N. 193 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2013
Ordinanza del 19 marzo 2013 emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - sez. distaccata Marcianise nel procedimento penale a carico di Massaro Clemente. Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive brevi - Esclusione, per il delitto di cui all'art. 624 cod. pen., quando ricorrono due o piu' circostanze indicate dall'art. 625 cod. pen. (reato di furto pluriaggravato) - Disparita' di trattamento rispetto a ipotesi di reato analoghe - Parita' di trattamento rispetto a ipotesi di reato piu' gravi - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lett. a), come modificato dall'art. 2, lett. m), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.38 del 18-9-2013 )
IL TRIBUNALE Il giudice, udite le parti all'udienza camerale del 15 marzo 2013, sciogliendo la riserva ivi formulata; Letti gli atti del procedimento penale di esecuzione n. 69/12 nei confronti di Massaro Clemente, condannato con sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere - Sezione Distaccata di Marcianise emessa in data 23 novembre 2010 e passata in giudicato il 22 aprile 2011 alla pena di mesi sei di reclusione ed euro trecento di multa per il reato di cui agli articoli 110, 624 e 625 n. 2 e 8 cod. pen. perche', come da contestazione del pubblico ministero, in concorso con altra persona, si impossessava di tre cavalli di proprieta' di Di Caprio Fabio, Di Caprio Amedeo e Di Caprio Mariano, introducendosi nell'allevamento di loro proprieta', con le aggravanti di aver commesso il fatto con violenza sulle cose, avendo danneggiato e tagliato la rete di recinzione dell'allevamento e di aver commesso il fatto su tre capi di bestiame equino; Visti l'ordine carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 26 novembre 2012, in esecuzione della predetta sentenza di condanna e con riferimento alla pena residua da espiare di mesi cinque e gironi ventotto di reclusione ed euro trecento di multa, nonche', il certificato dello stato di esecuzione da cui emerge che l'ordine di carcerazione emesso non e' stato spedito, in attesa della decisione del giudice di esecuzione sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale; Vista l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere della disposizione di cui all'art. 656, comma nono, lett, a) del codice di procedura penale, come modificata dall'art. 2, lett. m) del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125 nella parte in cui prevede «624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 c.p.», per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione; Osserva Il decreto-legge n. 92 del 23 maggio 2008 ha introdotto misure urgenti in materia di sicurezza pubblica apportando all'art. 2 modifiche al codice di procedura penale. Il preambolo di tale atto con forza di legge cosi recita: «Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni volte ad apprestare un quadro normativo piu' efficiente per contrastare fenomeni di illegalita' diffusa collegati all'immigrazione illegale e alla criminalita' organizzata, nonche' norme dirette a tutelare la sicurezza della circolazione stradale in relazione all'incremento degli incidenti stradali e delle relative vittime». Alla disposizione di cui all'art. 2 lett. m) del predetto decreto-legge e' sancito che «all'art. 656, comma 9, lettera a), dopo le parole: «della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni,» sono inserite le seguenti: «nonche' di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale». Tale normativa con legge n. 125 del 24 luglio 2008 ha subito modifiche in sede di conversione: «alla lettera m), le parole: "nonche' di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale" sono sostituite dalle seguenti: "nonche' di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice"». Con questo nuovo assetto normativo per tali fattispecie penali, e per quello che rileva nel caso di specie per il reato di furto pluriaggravato, come gia' previsto per le fattispecie di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario, non puo' essere disposta la sospensione dell'ordine di carcerazione, istituto sancito dall'art. 656, comma quinto, c.p.p., per l'esecuzione di pene detentive, anche se costituenti residuo di maggiore pena, non superiori a tre anni, con la conseguenza che la pena deve essere espiata in regime di detenzione carceraria e che le misure alternative alla stessa possono essere richieste solo dopo l'ingresso in carcere del condannato. E' stata, dunque, inserita la fattispecie del furto pluriaggravato in quelle che l'ordinamento considera, con una presunzione iuris et de iure, espressive di una maggiore capacita' a delinquere e come tali non meritevoli di poter godere in via immediata, con precedente sospensione dell'ordine di carcerazione, dei benefici previsti dalla legge n. 663 del 1986 e successive modifiche. A parere di questo giudice tale normativa si presenta in contrasto con i principi di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione e genera, altresi', dei dubbi di legittimita' costituzionale in ragione della sua introduzione attraverso legge di conversione in modifica delle originarie previsioni del decreto d'urgenza in termini esorbitati dalla finalita' e dalla ratio indicati nel Preambolo dello stesso, non ravvisandosi un effettivo collegamento della disposizione impugnata con l'originario scopo del provvedimento d'urgenza, diretto al contrasto dei fenomeni di illegalita' diffusa collegati all'immigrazione illegale e alla criminalita' organizzata e alla tutela della sicurezza della circolazione stradale. Va rilevato sul punto che la norma in esame sembra alterare l'originario scopo del provvedimento normativo d'urgenza, ponendosi per tale ragione in contrasto con la ratio della disposizione di cui all'art. 77 della Costituzione. Come la Corte costituzionale ha precisato con una recente ed innovativa pronuncia, pur rimanendo l'introduzione di modifiche all'impianto normativo originario del provvedimento una legittima facolta' delle Camere in sede di conversione del decreto-legge, l'intervento di queste non puo' determinare una «alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa urgente», intesa «non solo in senso materiale, di identita' di oggetto disciplinato, ma anche in senso finalistico, funzionale, teleologico». In definitiva, tra l'atto approvato dal Governo e quello posto in essere dalle Camere per integrane l'efficacia, si realizza un «nesso di interrelazione funzionale» tale da configurare un «tutto unitario» indirizzato a porre rimedio ai casi di straordinaria necessita' ed urgenza di volta in volta sussistenti (Corte costituzionale n. 22 del 16 febbraio 2012). Tanto premesso la norma in esame appare porsi in contrasto con l'art. 27 della Costituzione con il principio della finalita' rieducativa della sanzione penale. Come ricordato dalla Corte costituzionale in una sentenza del 2006 «la finalita' rieducativa della pena, stabilita dall'art. 27 Cost., comma 3, deve riflettersi in modo adeguato su tutta la legislazione penitenziaria. Quest'ultima deve prevedere modalita' e percorsi idonei a realizzare l'emenda e la risocializzazione del condannato, secondo scelte del legislatore, le quali, pur nella loro varieta' tipologica e nella loro modificabilita' nel tempo, devono convergere nella valorizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato e dalle istituzioni per conseguire il fine costituzionalmente sancito della rieducazione» (Corte costituzionale sentenza n. 257 del 2006). Sulla base di tali considerazioni occorre stabilire in che termini ed entro quali limiti l'introduzione di una preclusione normativa che operi in termini aprioristici ed assoluti all'accesso ai benefici penitenziari in ragione di una scelta general-preventiva, scelta in evidente contrasto con la finalita' rieducativa della pena e con i criteri di proporzione e di individualizzazione della stessa che caratterizzano il trattamento penitenziario, possa essere ritenuta ragionevole e conforme ai principi della Costituzione. Ad avviso di questo giudice una preclusione all'accesso alle misure alternative alla detenzione per l'espiazione di una pena detentiva breve, quando non legata a determinati elementi di ragionevole pericolosita' sociale del condannato, non trova ragion d'essere nel sistema ordinamentale alla luce dei principi costituzionali. Va premesso che la finalita' di rieducazione del condannato propria della sanzione penale, pur non essendo limitata alla sola fase esecutiva, certamente trova in questa fase il suo momento di massima realizzazione e di sua sede naturale, con il rischio di essere irragionevolmente sacrificata dinanzi ad un sistema automatico di carcerazione immediata. Per garantire la finalita' rieducativa della pena, infatti, cio' che rileva non e' tanto, o solo, il tipo di pena previsto quanto il trattamento penitenziario che ne concreta l'esecuzione e a tal fine appare assolutamente necessario prendere in considerazione la personalita' del singolo. D'altronde, e' proprio l'ordinamento penitenziario che impone che sia dato largo spazio al trattamento individualizzato al fine di agevolare la rieducazione dei condannati (Corte costituzionale sentenza n. 104 del 1982). Pertanto, deve ritenersi che non vi sia dubbio che una applicazione rigida ed automatica della detenzione carceraria, con l'esclusione della possibilita' di un preventivo vaglio giurisdizionale circa l'idoneita' ed opportunita' di eventuali misure alternative alla detenzione, generi un contrasto con la finalita' rieducativa della pena, legata all'esigenza di garantire il recupero sociale del condannato attraverso la valorizzazione delle sue caratteristiche individuali. In materia di benefici penitenziari dovrebbero essere, dunque, esclusi rigidi automatismi e dovrebbe richiedersi, invece, una valutazione individualizzata, che consenta di legare la concessione del beneficio ad una prognosi ragionevole sulla sua utilita' a condurre il condannato sulla via dell'emenda e del reinserimento sociale (Corte costituzionale, sentenza n. 189 del 2010). Le misure alternative alla detenzione si connettono, infatti, all'esigenza di individualizzazione della pena in fase esecutiva, in rapporto alla quale la valutazione di pericolosita' sociale del condannato, da condursi caso per caso e non sulla base di arbitrarie presunzioni assolute, viene, per converso, in primario rilievo. L'istituto della sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi, che consente di avanzare richiesta di sostituzione della pena detentiva con una misura alternativa alla stessa senza il preventivo ingresso in carcere trova giustificazione, pertanto, proprio nella finalita' rieducativa della pena, essendo volto ad evitare l'impatto con la struttura carceraria e a favorire, in tal modo, la riabilitazione del condannato che venga poi ammesso ad espiare la stessa pena in regime alternativo alla detenzione. Il giudice delle leggi con diverse pronunce ha costantemente ribadito i principi di «proporzionalita' e di individualizzazione della pena» caratterizzanti il trattamento penitenziario e riconducibili all'art. 27 Cost., commi 1 e 3, e art. 3 Cost., precisando, altresi', che «eguaglianza di fronte alla pena significa proporzione della medesima alle personali responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono» (Corte costituzionale, sentenza n. 255 del 2006; n. 445 del 1997; n. 504 del 1995; n. 306 del 199; n. 203 del 1991; n. 50 del 1980; n. 349 del 1993 e n. 299 del 1992). Occorre, tuttavia, anche considerare che la «funzione (e fine) della pena non e' certo il solo riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie retributive secondo cui la pena e' dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi e' dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena» (Corte costituzionale, sentenza n. 267 del 22 novembre 1974). Da cio' ne deriva che, pur essendo indiscutibile la discrezionalita' del legislatore nelle valutazioni relative alle modalita' di esecuzione della pena in relazione ai diversi titoli di reato, tuttavia, e' in ogni caso sempre necessario che tale scelta non determini in concreto un contrasto con i principi di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalita'. Il legislatore, in altri termini, nei limiti della ragionevolezza, puo' fare tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l'esigenza di prevenzione generale e di difesa sociale - con i connessi caratteri di afflittivita' e retributivita' - oppure quella di prevenzione speciale e di rieducazione - comportante una certa flessibilita' della pena in funzione dell'obiettivo di risocializzazione - purche' «nessuna di esse ne risulti obliterata» e sempre che il sacrificio dell'una sia il «minimo indispensabile» per realizzare il soddisfacimento dell'altra, determinandosi diversamente una concreta elusione alle funzioni costituzionali della pena (Corte costituzionale sentenza n. 306 del 1993). Va aggiunto che la presenza nell'ordinamento giuridico italiano di principi costituzionali, di stato di diritto e di stato sociale, che garantiscono l'autonomia e la dignita' dell'individuo e lo sviluppo della personalita' in una prospettiva di solidarieta', inducono a ritenere che il concetto di rieducazione di cui all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, debba essere inteso nel significato di recupero sociale, da realizzarsi, inoltre, necessariamente in termini di proporzione con il fatto ai sensi della disposizione di cui all'art. 3 della Costituzione. Per tali ragioni, non dovrebbero essere ammissibili risposte sanzionatorie di tipo afflittivo-deterrente, considerato che con la sanzione penale si dovrebbe tendere a favorire un'effettiva integrazione del soggetto mediante un concreto programma di reinserimento ed attraverso la sperimentazione quanto piu' ampia possibile di modalita' alternative di esecuzione della sanzione, dirette a realizzare le condizioni di non ulteriore desocializzazione, normalmente connesse all'internamento nell'istituzione carceraria. Ed e' proprio al fine di garantire tali funzioni della sanzione penale e soprattutto, dunque, per soddisfare l'esigenza di evitare l'ingresso nel circuito carcerario, potenzialmente ostativo alle possibilita' di emenda, di soggetti che, dovendo espiare pene o residui di pena in limiti non rilevanti, piu' facilmente possono essere reinseriti nel tessuto sociale attraverso misure alternative alla detenzione, che nell'ordinamento giuridico italiano l'ingresso in carcere dei soggetti condannati a pene detentive brevi, astrattamente in condizione di usufruire delle misure alternative alla detenzione, e' sospeso in ragione di una presunzione di scarsa pericolosita' sociale basata sull'entita' della pena irrogata. Simmetricamente, tuttavia, all'art. 656, comma nono, c.p.p. sono previsti alcuni divieti alla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva breve. Questi, per essere ritenuti legittimi, dovrebbero essere tutti fondati su una ragionevole presunzione di pericolosita' in relazione al titolo del reato, alla gravita' della sanzione edittale o al particolare allarme sociale destato da talune condotte criminose, cui dovrebbero affiancarsi condizioni di accertata pericolosita'. Va, infatti, osservato che le presunzioni giuridiche, quando sono assolute e soprattutto limitative di un diritto fondamentale della persona, se sono arbitrarie e irrazionali e non legate a dati di esperienza generalizzati, violano il principio di eguaglianza e, pertanto, pur rientrando nelle scelte di politica criminale di competenza esclusiva del legislatore, presentano alcuni aspetti di irragionevolezza. Ed in particolare, con riferimento alla presunzione di pericolosita' sociale, la Corte costituzionale ha precisato che, pur non essendo la stessa del tutto esclusa dall'ordinamento giuridico, e' in ogni caso necessario che trovi fondamento nell'id quod plerumque accidit (Corte costituzionale, sentenza n. 139 del 1982). Per l'attuazione di tutte le finalita' proprie della sanzione penale costituzionalmente sancite, senza che alcuna venga sacrificata e al fine di non compromettere in termini assoluti la funzione della risocializzazione del condannato, ad eccezione delle ipotesi normativamente contemplate e legate effettivamente a dati ragionevoli di presunzione di pericolosita' sociale, dovrebbe essere, quindi, sempre necessario come regola generale assicurare progressivita' trattamentale e flessibilita' della pena e, conseguentemente, riconoscere un potere discrezionale al magistrato di sorveglianza nella concessione dei benefici penitenziari, da esercitarsi ancor prima dell'ingresso in carcere del condannato (Corte costituzionale, sentenza n. 504 del 1995). Di contro la scelta operata dal legislatore di introdurre tra le ipotesi eccezionali che a prescindere dalla pena da espiare non consentono la sospensione dell'ordine di carcerazione anche la fattispecie di furto pluriaggravato appare irragionevole ed in contrasto con la stessa ratio della disposizione di cui all'art. 656 c.p.p. in quanto non legata a concreti elementi di pericolosita' sociale del condannato, tenuto conto, altresi', che il divieto di sospensione dell'esecuzione della pena non e' previsto, invece, per fattispecie di reato piu' gravi e di maggiore allarme sociale rispetto a quella in esame, quale ad esempio quella di rapina semplice, astrattamente sussumibile nell'ambito applicativo dell'istituto in questione. Va sul punto evidenziato che il reato di rapina, fattispecie a natura complessa, si configura con la condotta tipica del furto, di impossessamento del bene mobile altrui, con sottrazione dello stesso al legittimo detentore e accompagnata dal dolo specifico del fine di profitto ingiusto, a cui si aggiunge un ulteriore elemento costituito dalla violenza alla persona ovvero dalla minaccia. Pertanto, la irragionevole scelta legislativa di prevedere una modalita' esecutiva piu' gravosa per il condannato per il furto pluriaggravato rispetto a quello resosi responsabile della fattispecie di rapina semplice comporta che nei confronti di chi abbia posto in essere un'eventuale condotta ulteriore rispetto all'impossessamento del bene, concretizzatasi nella minaccia ovvero nella violenza alla persona, sarebbe consentita, in fase di esecuzione, la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, invece, preclusa nei confronti di chi si sia limitato a commettere un'azione di impossessamento del bene mobile altrui, al piu' con atti di violenza verso le cose, ma in ogni caso priva di violenza alla persona ovvero di minaccia. Tale disparita' di trattamento di maggiore rigore afflittivo nei confronti di una situazione di minore pericolosita' sociale e, viceversa, di minore rigore afflittivo nei confronti di una situazione di maggiore pericolosita' sociale si rivela priva di razionalita' e coerenza, cosi' da comportare un addebito in termini di arbitrarieta' alla scelta legislativa, in violazione dell'art. 3 della Costituzione. Va aggiunto che, tenuto conto che il limite di tre anni previsto dall'art. 656, comma quinto, c.p.p. ai fini della sospensione dell'esecuzione trova applicazione anche con riguardo alle pene residue, la norma in esame appare ulteriormente irragionevole in quanto comporta una valutazione di pericolosita', in base ad una presunzione aprioristica, nei confronti di chi abbia commesso un reato di modesta gravita' ed allarme sociale, avendo riportato condanna ad una pena detentiva breve, come si e' verificato nel caso di specie e non anche nei riguardi di un soggetto il quale, invece, si sia reso responsabile di un reato piu' grave e, pertanto, sia stato condannato ad una pena detentiva elevata. Considerato, infine, che l'istituto della sospensione della carcerazione e' direttamente funzionale alla eventuale applicazione delle misure alternative alla detenzione, anche se prescinde dal controllo sui requisiti soggettivi di applicabilita' delle misure stesse che e' affidato soltanto al Tribunale di Sorveglianza, nell'ambito di una normativa coerente, il catalogo dei delitti ostativi alla sospensione iniziale della carcerazione breve dovrebbe essere identico a quello dei delitti che sono ostativi alle misure alternative alla detenzione, circostanza che non si verifica per la fattispecie penale del furto pluriaggravato per la quale il pubblico ministero deve emettere l'ordine di carcerazione senza poterne disporre la sospensione, ma il condannato, una volta ristretto in carcere, puo' ugualmente formulare istanza per ottenere una misura alternativa alla detenzione o uno degli altri benefici, senza che la relativa richiesta debba essere, per di piu', sottoposta ad una valutazione di attenuata pericolosita' sociale da parte del Tribunale di Sorveglianza, come previsto, invece, per le fattispecie di cui all'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario e questo medesimo meccanismo e' previsto, inoltre, anche per l'esecuzione della pena detentiva, in quanto non superiore a diciotto mesi, presso il domicilio ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 1, commi terzo e quarto, della legge 26 novembre 2010 n. 199. Per le motivazioni sopra illustrate la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere della disposizione di cui all'art. 656, comma nono, lett. a) del codice di procedura penale, come modificata dall'art. 2, lett. m) del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125 nella parte in cui prevede «624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 c.p.», per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione non appare manifestata infondata. Va aggiunto che il predetto contrasto ai principi costituzionali della disposizione in esame non puo' essere superato attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in ragione dell'assoluto divieto di legge di sospensione della esecuzione della pena stabilito dall'art. 656, comma nono, c.p.p. nei confronti dei condannati per delitto di cui all'art. 624 cod.pen. aggravato da due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 cod.pen. La questione, inoltre, risulta rilevante ai fini della presente decisione, considerando sul punto che, benche' la condotta criminosa sia stata posta in essere in epoca antecedente alle sopra indicate modifiche apportate attraverso la legge n. 125 del 24 luglio del 2008, la nuova normativa e' al caso di specie comunque applicabile; come, infatti, precisato dalla Corte di Cassazione «il divieto di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive nei confronti dei condannati per reati di furto pluriaggravato, stabilito dall'art. 656, comma nono, lett. a), cod. proc. pen. (nel testo innovato dall'art. 2 del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, conv. dalla legge 24 luglio 2008, n. 125), ha natura di norma processuale e si applica, conseguentemente, anche ai fatti pregressi» (Cass. Pen. Sez. 1, Sent. n. 37083 del 29 settembre 2010 Cc. (dep. 18 ottobre 2010) Rv. 248580, Imputato: Cipriano). Per tali ragioni, si rimette al vaglio della Corte costituzionale la legittimita' della norma di cui all'art. 656, comma nono, lett. a) del codice di procedura penale, come modificata dall'art. 2, lett. M) del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125 nella parte in cui prevede «624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 c.p.».
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale n. 1 del 9 febbraio 1948 e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Ritenuto che ai fini del presente giudizio non appare manifestamente infondata le questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 656, comma nono, lett, a) del codice di procedura penale, come modificata dall'art. 2, lett. m) del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92, convertito in legge 24 luglio 2008 n. 125 nella parte in cui prevede «624, quando ricorrono due o piu' circostanze tra quelle indicate dall'art. 625 c.p.», per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione; Ritenuto che la stessa sia rilevante ai fini del decidere; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata all'imputato Massaro Clemente, al difensore avv. Clemente Crisci, al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nonche', al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Marcianise, 19 marzo 2013 Il giudice: Comella