N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo 2013
Ordinanza del 29 marzo 2013 emessa dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile promosso da B.S. ed altri c/Demetra. Procreazione medicalmente assistita - Accesso alle tecniche - Divieto assoluto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo - Trattamento discriminatorio delle coppie con problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' - Contrasto con la finalita' perseguita dalla legge - Violazione del principio di ragionevolezza, corollario del diritto di uguaglianza - Questione di legittimita' costituzionale riproposta, esclusivamente sotto tale profilo, in esito alla restituzione degli atti disposta dalla Corte costituzionale con la ordinanza n. 150 del 2012. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40, art. 4, comma 3. - Costituzione, art. 3.(GU n.41 del 9-10-2013 )
Il giudice, a scioglimento della riserva, nel procedimento a seguito di ricorso ex art. 700 cpc (RG n. 7618/2010) osserva e ritiene quanto segue. 1. Con ricorso depositato in data 25.5.10, i ricorrenti hanno chiesto "che il Tribunale di Firenze, preso atto della sentenza adottata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 1ª sez., SH e altri/Austria, del 1°aprile 2010, ritenuta la rilevanza della medesima nel giudizio a quo, valutata l'impossibilita' di operare in via di interpretazione l'adeguamento della norma di cui all'art. 4 c. 3 L. 40/04 a quanto previsto dalla Convenzione e deciso dalla Corte; disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, con provvedimento ex art. 700 cpc - Nel merito e in via principale: preso atto in forza dell'art. 6/2 del Trattato di Lisbona ratificato il 1 dicembre 2009 e della conseguente integrazione del 'sistema CEDU' nell'ordinamento comunitario; disapplicare l'art. 4 c. 3 della L. n. 40 del 16 febbraio 2004 per contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU e per l'effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti di: a) ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo; b) utilizzare il materiale genetico di terzo donatore anonimo acquisito direttamente dalla coppia ovvero dal centro secondo quanto previsto dai DLGS 191/07 e DLGS 16/10, per la fecondazione degli ovociti della Sig.ra B. ; c) sottoporsi ad un protocollo di PMA adeguato ad assicurare le piu' alte chances di risultato utile compatibilmente a quanto stabilito dalla sentenza Corte cost. 151/09; d) sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalita' compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto; e) disporre, in attesa della definizione dei giudizio di merito e in via incidentale dell'eventuale giudizio di legittimita' costituzionale, la crioconservazione degli embrioni prodotti e destinati al ciclo di PMA di tipo eterologo. In ogni caso renda in via d'urgenza ogni provvedimento ritenuto opportuno in relazione al caso di specie, indicando le modalita' di esecuzione; renda ogni provvedimento relativo e conseguente; - in via subordinata, per le ragioni sopra richiamate, ritenuta la portata della pronuncia della Corte Europea quale canone ermeneutico generale con valore sub-costituzionale, disapplicare l'art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU, per l'effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti come formulato supra, e sollevare la questione di Legittimita' dell'art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con l'art. 11 e 117 Cost e per violazione degli artt. 2,3,13,32 Cost.; - in via ulteriormente subordinata, questione di legittimita' dell'art. 4 c. 3 L. 40/04 per contrasto con l'art. 11 e 117 cost. per violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU e 2,3,13,32 Cost. Con vittoria di spese, competenze e onorari." 2. I ricorrenti hanno esposto in fatto: - di essere coniugati dal 2004 e di non essere riusciti a concepire un figlio per vie naturali, essendo risultata la assoluta sterilita' del marito come da documentazione medica che producevano; - di aver tentato vanamente all'estero, stante il divieto previsto dalla l. 40/2004, la fecondazione eterologa sia in vivo sia in vitro; - che i tre anni trascorsi nel tentare la procreazione medicalmente assistita (PMA) all'estero avevano comportato notevoli sacrifici economici oltre che un notevole stress psicofisico dovuto all'invasivita' dei trattamenti necessari; - che, conosciuta la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, resa il 1.4.10, con cui questa aveva condannato l'Austria per violazione degli art. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) in ragione dell'illegittima e irragionevole discriminazione tra coppie operata dalla legge nazionale di quello Stato che proibiscono il ricorso alla donazione di gameti per la fertilizzazione in vitro ove questa costituisca l'unica possibilita' di avere un figlio e dovendo ritenersi che le decisioni della Corte non siano solo un parametro interpretativo per i giudici nazionali ma - a seguito dell'ingresso della CEDU nell'ordinamento comunitario avvenuto con la ratifica del Trattato di Lisbona - abbiano valore vincolante in quanto diritto comunitario, si erano rivolti al Centro convenuto per sottoporsi a trattamento di PMA in vitro; - che il Centro aveva rifiutato, assumendo che la legge 40/2004 vietava in modo assoluto la fecondazione eterologa, che la sentenza della Corte EDU era destinata a produrre effetti diretti solo nell'ordinamento austriaco e che l'eventuale applicazione delle disposizioni della Corte non poteva avvenire in maniera automatica, essendo necessario un provvedimento di un giudice nazionale. 3. In diritto i ricorrenti hanno rilevato: - che, prima della ratifica del Trattato di Lisbona, la giurisprudenza riteneva costantemente che, mentre le norme comunitarie avevano piena e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, in forza dell'art. 11 Cost., le norme CEDU non producevano "effetti diretti nell'ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo norme interne in eventuale contrasto" (C, cost. sent. n, 348/2007); - che la Corte costituzionale aveva inoltre ritenuto che il nuovo testo dell'art. 117 cost. comportava che l'asserita incompatibilita' fra la legge ordinaria e la norma CEDU si presentava come una questione di legittimita' costituzionale per violazione del primo comma di detta norma costituzionale e che "in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, puo' porsi un dubbio di costituzionalita', ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa. Infatti «al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' e' permesso dai testi delle norme» e qualora cio' non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", egli deve investire questa Corte delle relative questioni di legittimita' costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma» Cost (sentenza n. 349 del 2007, par. 6 del Considerato in diritto; analogamente sentenza n. 348 del 2007, par. 5 del Considerato in diritto)" e che "solo ove l'adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l'eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimita' costituzionale, questa Corte potra' essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalita' della disposizione di legge. (C. Cost. sent. 239/2009); - che, a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona, in considerazione dell'esplicito richiamo operato dall'art. 6 del riformato Trattato UE, l'Unione aderisce alla CEDU e che "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione... e risultanti dalla tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali" per cui vi era stata la comunitarizzazione ovvero l'ingresso del sistema CEDU nell'ambito del diritto della UE, con tutte le conseguenze in punto di modalita' di adeguamento del diritto interno al diritto sovranazionale e dei rapporti fra i sistemi normativi non piu' fondati dell'art. 117, ma sull'art. 11 Cost.; - che il rapporto fra legge nazionale e ordinamento della UE - derivante dal coordinamento fra ordinamento comunitario e nazionale previsto dal Trattato di Roma e discendente dall'avere la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformita' con l'art. 11 Cost., le competenze nelle materie loro riservate - comportava che "il giudice italiano accerta che la normativa scaturente da tale fonte regola il caso sottoposto al suo esame, e ne applica di conseguenza il disposto, con esclusivo riferimento al sistema dell'ente sovrannazionale: cioe' al solo sistema che governa l'atto da applicare e di esso determina la capacita' produttiva. Le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della «forza e valore», che il Trattato conferisce al regolamento comunitario, nel configurante come atto produttivo di regole immediatamente applicabili. Rispetto alla sfera di questo atto, cosi' riconosciuta, la legge statale rimane infatti, a ben guardare, pur sempre collocata in un ordinamento, che non vuole interferire nella produzione normativa del distinto ed autonomo ordinamento della Comunita', sebbene garantisca l'osservanza di essa nel territorio nazionale. D'altra parte, la garanzia che circonda l'applicazione di tale normativa e' - grazie al precetto dell'art. 11 Cost., com'e' sopra chiarito - piena e continua. Precisamente, le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti dell'immediata applicabilita' devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato" (C. Cost., sent. 170/84); - che, conseguentemente, a seguito dell'ingresso del sistema CEDU nel diritto comunitario, le decisioni della Corte EDU sulla questioni di sua competenza dovevano ritenersi immediatamente applicabili all'ordinamento interno e che, in ipotesi di disposizione interna confliggente con la norma e/o la decisione della Corte, il giudice ordinario, operato il controllo di compatibilita', doveva disapplicare la norma interna; - che, quanto al caso di specie, cio' voleva dire che la decisione della Corte adottata nel caso SH e altri contro Austria poneva prescrizioni aventi valore generale stabilendo un principio di diritto che il giudice nazionale, adito da cittadini che lamentino la lesione di un identico diritto soggettivo fondamentale, effettuato il controllo di compatibilita', doveva applicare; - che la pronuncia della Corte EDU aveva deciso il ricorso di due coppie di cittadini che avevano sostenuto che le disposizioni della legge austriaca in materia che vietava l'uso di ovuli e di spermatozoi di donatori per la fecondazione in vitro erano contrarie al diritto al rispetto della vita privata e familiare in combinato disposto con il divieto di discriminazione (previsti, rispettivamente, all'art. 8 e all'art. 14 della CEDU); - che la Corte aveva ritenuto che quando era in gioco un aspetto importante della vita di un individuo, il margine di regolamentazione concesso allo Stato doveva essere limitato e, considerato che il desiderio di avere un bambino era un aspetto particolarmente importante, il divieto di procreazione artificiale eterologa non rappresentava una ragionevole sintesi, non essendovi un rapporto di proporzionalita' fra mezzi impiegati e scopo perseguito posto che il divieto di ingerenza nella vita privata e familiare era derogabile solo nell'interesse della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza, del benessere economico del paese, della protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle liberta' altrui; - che inoltre la Corte aveva ritenuto che fosse irragionevole la disparita' di trattamento fra le coppie che per soddisfare il loro desiderio di un bambino potevano ricorrere alla fecondazione con donazione di gameti in vivo (ammessa dalla legge austriaca) e quelle che potevano ricorrere solo alla fecondazione con donazione di gameti in vitro (vietata dalla legge austriaca) ed aveva pertanto ritenuto la violazione del combinato disposto degli art. 8 e 14 del CEDU; - che vi era identita' di petitum e assimilabilita' della causa petendi fra il loro caso e quello delle coppie austriache; - che il divieto assoluto di PMA di tipo eterologo - nelle ipotesi in cui sia la generazione per via naturale sia la PMA di tipo omologo fossero precluse per la assoluta inidoneita' del materiale generico dell'uomo a fini procreativi - costituiva una irragionevole e sproporzionata compressione di un fondamentale diritto soggettivo, lesiva anche del principio di non discriminazione, discriminando fra coppie sterili o infertili in base alla gravita' della condizione patologica; - che le implicazioni della sentenza della Corte EDU nel caso di specie potevano avere, in relazione alla qualificazione del sistema CEDU accolte dal giudice (post o pre Trattato di Lisbona), effetto di dictum con effetti diretti sull'ordinamento interno in forza della comunitarizzazione per violazione degli artt. 8 e 14 CEDU o criterio interpretativo in forza del quale il giudice deve procedere all'adeguamento del diritto interno con rilievo della questione di legittimita' costituzionale solo ove cio' non fosse possibile o l'eventuale disciplina derivante facesse sorgere dubbi di legittimita' costituzionale; - che la lamentata violazione del diritto di procreare costituiva anche violazione di norme costituzionali (artt. 2, 3 e 13, oltre che 32 ove sterilita' fosse qualificata come patologia e le tecniche di PMA come trattamenti terapeutici); - che la disapplicazione o la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 4, 3° comma della 1. 40/2004 non creerebbe alcun vuoto normativo in quanto la parte relativa all'approvvigionamento, controllo, conservazione e donazione dei gameti era disciplinata dai DLgs 191/07 e 16/10 mentre quella relativa alla tutela dei nati e dell'integrita' della famiglia era disciplinata dall'art. 9 della 1. 40/2004, che prevede l'esclusione dell'azione di disconoscimento della paternita' da parte di colui che in qualita' di partner della donna l'aveva autorizzato a sottoporsi a PMA di tipo eterologo e l'assenza di ogni relazione giuridica fra il nato ed donatore dei gameti che non puo' far valere alcun diritto nei suoi confronti ne' essere soggetto ad obblighi; - che sussistevano i requisiti per il richiesto provvedimento d'urgenza: il fumus boni iuris risultando dai principi costituzionali richiamati, mentre il periculum in mora derivando dai rischi di ulteriori danni alla loro integrita' psicofisica e dall'eta' della ricorrente (nata nel 1972). Quale azione di merito, i ricorrenti hanno indicato le richiesta "di accertamento del loro diritto ad accedere a tecniche di PMA di tipo eterologo; di realizzare la fecondazione in vitro mediante utilizzo del materiale genetico fornito dalla coppia ricorrente e/o comunque proveniente da un terzo donatore anonimo individuato di concerto col centro medico; di aver trasferito gli embrioni che sia con riguardo al numero che alle modalita', risultino compatibili con la tutela del proprio diritto alla salute; di crioconservare gli eventuali embrioni risultati soprannumerari all'esito del trattamento di PMA realizzato con successo". 4. Si costituiva il centro convenuto che rilevava che, in presenza dell'art. 4, comma 3 della l. 40/2004 che vietava senza eccezione la PMA di tipo eterologo, esso non poteva, pur in presenza della sentenza della Corte EDU citata dalle controparti, adempiere alle loro richieste senza una specifica pronuncia del giudice competente, Rilevava comunque di' condividere le argomentazioni di cui al ricorso, osservando che il TAR del Lazio, con sentenza n. 1198/10, aveva ritenuto che l'adesione della UE alla CEDU ed il riconoscimento che "i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione... e risultanti dalla tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali" comportava la conseguenza che le norme della Convenzione erano immediatamente operanti negli ordinamenti nazionali e percio' in Italia ai sensi dell'art. 11 Cost. con l'obbligo per il giudice di applicare le norme nazionali in conformita' al diritto comunitario o di procedere in via diretta alla loro disapplicazione in favore del diritto comunitario senza dover transitare per il filtro della loro incostituzionalita'. Osservava infine la piena fattibilita' sul piano tecnico-sanitario e normativa della prestazione media chiesta dai ricorrenti e si dichiarava remissiva alle loro richieste. 5. Intervenivano volontariamente in causa con unico atto le associazioni Luca Coscioni per la liberta' di ricerca scientifica, Amica Cicogna ONLUS e Cerco un bimbo e, con atto distinto, la associazione Liberididecidere, assistite dal medesimo avvocato dei ricorrenti e tutte ad adiuvandum i ricorrenti di cui ribadivano le deduzioni, richiamando anch'esse la sentenza del TAR del Lazio. In udienza anche l'avvocato dei ricorrenti richiamava la sentenza del TAR del Lazio come conferma della ricostruzione di cui al ricorso. in punto di diretta applicabilita' delle decisioni della sentenza CEDU agli Stati membri. 6. Il tribunale, con ordinanza del 1/6.9.10 sollevava "questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3, della legge 19.2.2004, n. 40 per contrasto con l'art. 117, 1° comma, Cost in relazione al combinato disposto degli artt. 8 e 14 CEDU - come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 1°.4.10 emessa nel caso S.H. e altri contro Austria - e con l'art. 3 Cost.". 7. La Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 del 7.6.12, restituiva gli atti (a questo tribunale ed ai tribunali di Catania e Milano che avevano sollevato questioni analoghe, decise con la medesima ordinanza) "alla luce della sopravvenuta sentenza della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria" che aveva escluso, riformando la sentenza richiamata nel ricorso la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU da parte della legge austriaca, "affinche' i rimettenti procedano ad un rinnovato esame dei termini delle questioni". 8. I ricorrenti, con memoria autorizzata hanno ribadito quanto esposto nel ricorso, aggiungendo osservazioni critiche sulla sentenza della Grand Chambre. 9. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 9.1. I ricorrenti si trovano nelle condizioni stabilite dagli artt. 1, 2° comma, e 4, 1° comma, della l. 40/2004 che prevedono, rispettivamente, che il ricorso alla PMA "e' consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o infertilita'" e "solo quando sia accertata l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi di sterilita' o di infertilita' inspiegate documentate da atto medico nonche' ai casi di sterilita' o di infertilita' da causa accertata e certificata da atto medico". Nel caso di specie, risulta dalla documentazione prodotta dai ricorrenti che il ricorrente risulta che egli e' affetto da "azoospermia con assenza di cellule spermatogeniche" "azoospermia non ostruttiva in ipogonadismo-ipogonadotropo (azoospermia non ostruttiva secretoria pre-testicolare)" (cfr. certificato 11.5.10 della ASL CN1), risultata pur a seguito dei trattamenti con gonadotropine e terapia androgenica sostitutiva (cfr. certificato 1.7.2007 della Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle-Cuneo e risultati analisi sperma); risultano peraltro effettuati vanamente alcuni tentativi di PMA. Risultano pertanto, nelle forme richieste dalla norma, sia l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione sia la sussistenza di un caso si sterilita' da causa accertata. 9.2. I ricorrenti si trovano inoltre nella condizione soggettiva stabilita dall'art. 5 della l. 40/2004, essendo viventi, coniugi, maggiorenni ed in eta' potenzialmente fertile (avendo 34 anni il ricorrente e 38 la ricorrente). 9.3. E'evidente che la sterilita' del ricorrente comporta che l'unica tecnica di PMA utilmente applicabile nel caso potrebbe essere solo quella di tipo eterologo, che e' - appunto - assolutamente vietata dal 3° comma dell'art. 4 l. 40/2004, per cui la richiesta comporta l'applicazione della suddetta norma. 9.4. Quanto all'ammissibilita' del rilievo della questione di legittimita' costituzionale in sede cautelare, si richiama, da ultimo, la sentenza della Corte costituzionale n. 151/2009 che, in un giudizio promosso anche da questo Tribunale e sempre in questa materia, ha rilevato che "la giurisprudenza di questa Corte ammette la possibilita' che siano sollevate questioni di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando il giudice non provveda sulla domanda, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice fruisce (sentenza n. 161 del 2008 e ordinanze n. 393 del 2008 e n. 25 del 2006). Nella specie, i procedimenti cautelari sono ancora in corso ed i giudici a quibus non hanno esaurito la propria potestas iudicandi: risulta, quindi, incontestabile la loro legittimazione a sollevare in detta fase le questioni di costituzionalita' delle disposizioni di cui sono chiamati a fare applicazione (sentenza n. 161 del 2008)". Nel caso, il procedimento cautelare verra' sospeso per il rilievo della questione di legittimita' costituzionale e dunque e' ancora in corso. 10. Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione. 10.1. Il giudice ribadisce anzitutto il contenuto della propria precedente ordinanza (punto 8.1.) in ordine alla non avvenuta 'comunitarizzazione' della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo a seguito del Trattato di Lisbona. 10.2. Il giudice richiama poi il contenuto della propria precedente ordinanza (punti 8.2., 8.3. e 8.4.) in ordine ai termini del rilievo di un ritenuto contrasto fra una disposizione della CEDU ed una norma di diritto interno, che si pone esattamente nei termini attestati nella giurisprudenza della Corte costituzionale a partire dalle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 (e confermati dalle sentenze nn. 39/2008, 239 e 311 del 2009), la quale espressamente affermato "che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo (grassetto del presente estensore), alla quale questa competenza e' stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti". 10.3. Considerato che la Grand Chambre ha offerto una interpretazione degli artt. 8 e 14 della CEDU che ha portato ad escludere la violazione da parte della legge austriaca di dette norme, il giudice nazionale non puo' che adeguarsi e, nella specie, concludere per la manifesta infondatezza della violazione dell'art. 117 Cost. 11. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale per violazione dell'art. 3 della Costituzione. 11.1. Ritiene il giudice che permangano ragioni per ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3, della legge 19.2.2004, n. 40 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Tale limitazione appare in contrasto con il principio di ragionevolezza che e' un corollario del diritto di uguaglianza, in forza della quale il giudizio di legittimita' costituzionale delle norme deve essere compiuto verificando la logicita' interna della normativa e la giustificazione oggettiva e ragionevole delle differenze di trattamento. E tale principio ha ancora maggiore rilievo laddove la norma venga ad incidere sui diritti fondamentali della persona, fra cui rientrano certamente quelli relativi alla creazione di una famiglia, compresa la scelta di avere figli, tutelati dagli artt. 2, 29 e 31 della Costituzione. Esso impone al legislatore di non disciplinare in maniera difforme situazioni soggettive analoghe; pertanto egli non puo' - in assenza di razionali ragioni giustificatrici - trattare diversamente soggetti che si trovino in situazioni uguali o anche analoghe. Come ritenuto dalla Corte costituzionale (sent. 17.12.2010, n. 359) per verificare la ragionevolezza di un trattamento normativo differenziato deve farsi riferimento al "punto centrale della disciplina, nella prospettiva in cui si colloca lo stesso legislatore". Nel caso in esame il legislatore dichiara espressamente (all'art. 1) che l'obiettivo della legge in esame e' quello di "favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana" consentendo "il ricorso alla procreazione medicalmente assistita... qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o infertilita'". Il divieto di cui all'art. 4, comma 3, appare violare l'art. 3 sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto ne risulta un trattamento opposto di coppie con problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita', che si differenziano solo per il tipo di patologia che li provocano, dovendosi invece ritenere che, ad una situazione sostanzialmente uguale (sterilita' o infertilita') possa corrispondere la uguale possibilita' il ricorso alla procreazione medicalmente assistita applicando la tecnica utile per superare lo specifico problema, da individuarsi in relazione alla causa patologica accertata, anche se evidentemente essa sara' diversa fra un caso e l'altro.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11.3.53, n. 87: 1) solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3, della legge 19.2.2004, n. 40 per contrasto con l'art. 3 Cost.; 2) dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il procedimento in corso; 3) ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; 4) dispone che la presente ordinanza sia comunicata dalla Cancelleria al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Firenze, 28 marzo 2013 Il Giudice: Paparo Il cancelliere: Sareri