N. 6 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 novembre 2013
Ordinanza del 28 novembre 2013 emessa dal G.U.P. del Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di B.L.A. e G.E.. Reati e pene - Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope - Modifiche normative introdotte mediante una disposizione inserita nella legge di conversione del decreto-legge n. 272 del 2005 - Denunciata parificazione ai fini sanzionatori delle sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV (c.d. droghe leggere) del previgente art. 14 del testo unico in materia a quelle delle tabelle I e III (c.d. droghe pesanti) - Denunciato conseguente innalzamento delle sanzioni per le condotte riguardanti le sostanze di cui alle prime due tabelle - Denunciata unificazione delle tabelle che identificano le sostanze stupefacenti, in particolare includendo la cannabis e i suoi prodotti nella prima di tali tabelle - Estraneita' delle nuove norme inserite dalla legge di conversione all'oggetto, alle finalita' e alla ratio dell'originale decreto-legge - In via subordinata: carenza del presupposto del caso straordinario di necessita' e urgenza - In via ulteriormente subordinata: vulnerazione delle prerogative del Presidente della Repubblica in punto di esercizio del potere di rinvio - Ulteriormente e concorrentemente, previo, se del caso, promovimento da parte della Corte costituzionale di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via principale: contrasto con la decisione-quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, in relazione alla necessita' del rispetto dei criteri di effettivita', proporzionalita' e dissuasivita' della pena - In via ulteriormente subordinata: violazione del principio di leale collaborazione tra gli Stati membri e l'Unione europea per avere l'Italia innovato la disciplina in pendenza del termine di recepimento della suddetta decisione-quadro. - Decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49, artt. 4-bis (nella parte in cui sostituisce i commi 1 e 4 dell'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) e 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) (che sostituisce il comma 1 dell'art. 13 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), e comma 3, lett. a) n. 6 (recte: comma 3, nella parte in cui sostituisce l'art. 14, comma 1, lett. a) n. 6 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). - Costituzione, artt. 77, comma secondo, 11 e 117, primo comma, in relazione all'art. 4 paragrafo 1, e paragrafo 2, lett. b), prima parte, della decisione-quadro del Consiglio dell'Unione europea n. 2004/757/GAI del 25 ottobre 2004; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 49, comma 3; Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, art. 4, comma 3.(GU n.7 del 5-2-2014 )
IL GIUDICE Osserva quanto segue. La questione di legittimita' costituzionale sollevata dai difensori di entrambi gli imputati B.E.A. e G.E., cui il Pubblico ministero ha parzialmente aderito, e' sicuramente rilevante. Per dimostrarlo e' necessario ricostruire brevemente il procedimento. Il Pubblico ministero formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli imputati B. e G. per la violazione delle disposizioni «di cui agli articoli 110 c.p., 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 per aver concorso tra loro e con L. N. nei cui confronti si e' proceduto separatamente, [nonche' con] G. P., nei cui confronti si e' proceduto separatamente, [alla detenzione] ai fini di spaccio kg 21 di hashish. In particolare, G., G. e B. effettuavano l'acquisto e poi consegnavano lo stupefacente per il trasporto a L. N., fungendo da staffetta il G. P. e G. E., con l'auto VW Golf targata CV 644 HX, dandosi alla fuga subito dopo che il L. veniva fermato dalla Guardia di finanza di Milano, preventivamente allertata dalla PG operante. In Melegnano il 3 dicembre 2008». All'udienza del 13 giugno 2012, l'imputato G. personalmente formulava richiesta di rito abbreviato. Ammesso tale imputato al rito, procedevasi alla discussione. Quanto all'imputato B, il Pubblico ministero insisteva nella richiesta di rinvio a giudizio, mentre il difensore chiedeva emettersi sentenza di non luogo a procede; quanto all'imputato G., il Pubblico ministero concludeva per l' affermazione della sua penale responsabilita', con conseguente condanna alla pena finale di anni 5 di reclusione ed euro 50.000,00 di multa, oltreche' per la confisca dei beni in sequestro, mentre il difensore instava per il contenimento della pena nei minimi di legge, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (per l'incensuratezza e la buona condotta di vita successiva al commesso reato), formulando altresi' richiesta di restituzione di quanto in sequestro. All'esito della camera di consiglio, pubblicavasi ordinanza ex articoli 422, comma 1, c.p.p. (quanto a B.) e 441, comma 5, c.p.p. (quanto a G.) a termini della quale, revocata in dubbio da parte dei difensori di entrambi gli imputati la corretta identificazione di B. sulla base del compendio intercettivo e degli esiti di una consulenza fonica disposta dal Pubblico ministero, figurando agli atti un «servizio di osservazione, pedinamento e controllo nel corso del quale gli operanti hanno constatato la fattiva partecipazione di un soggetto, dai medesimi identificato per B. L., alle operazioni di trasbordo», con il coinvolgimento altresi' del coimputato G.), «presente ai fatti descritti nel servizio di o.c.p, dianzi richiamato, in tesi coordinando i suoi movimenti nientemeno che con B. L.», era disposta tra l'altro l'audizione dei militari intervenuti. All'udienza del 29 gennaio 2013, veniva assunta la testimonianza del luogotenente Della Porta Franco. La si riporta per intero, evitando qualsiasi intervento, al fine espresso di non anticipare il giudizio sul merito della vicenda e quindi generare ragioni di astensione nel prosieguo: ADG: ho partecipato direttamente alle attivita' di p.g. riguardanti gli imputati. ADG: partiamo con un'indagine di DDA per traffico di sostanze stupefacenti Si apre un filone verso Milano per affari di hashish. Individuiamo G. E. quale uno dei protagonisti. C'erano accordi pregressi che iniziano nel novembre tra il soggetto di Cerignola, G. P. ed il G. per transazione di sostanze stupefacenti. Abbiamo avuto la conferma che fosse sostanza stupefacente in occasione dell'arresto di L. N. A monte c'e' stata un'attivita' di osservazione, coordinandoci con i colleghi di Genova. Agli o[p.c.] ho partecipato io, prendiamo contatti con le due pattuglie di Genova e ci appostiamo in attesa degli sviluppi delle indagini tecniche. Individuiamo G. E., mi ricordo che ando' in un albergo a Pavia (nota 352968-11 del 24 giugno 2011). I colleghi del GOA di Genova ci hanno segnalato che la macchina di G. E. era giunta sul posto. Io e i miei colleghi eravamo in una zona piu' defilata senza contatto visivo con la via Parenzo. Io ho visto arrivare la macchina, era una macchina abbastanza strana, una Lancia Z. Abbiamo appreso dai colleghi che era arrivato pure G. E. in via Parenzo unitamente a. Poi alle 21,20, e' arrivata una Renault Clio condotta da B. L.. Io personalmente non ho visto la Renault Clio. Io ho partecipato all'appostamento per tutta la notte sino alla mattina, quando riparte la Lancia Z e con i miei colleghi ci siano messi al seguito di essa. Al casello di Milano abbiamo fatto controllare la Lancia. ADG: [La] nota 457101/10 del 24 agosto 2010, sub 10, e' quella di riferimento a proposito dell'individuazione di G. E. Abbiamo estratto una scheda fisionomica soggettiva. ADG: con riferimento a B. intercettiamo telefonate di G., dove G., parla del cognato, progr. 413 del 22 novembre 2008 (andiamo in pizzeria dal cognato: noi abbiamo interpretato il cognato come B. L.). Ancora: progr. 409 del 19 novembre 2008 (sono andato da L.). Io non [ho] visto il cognato sul posto. E' stato visto dalla pattuglia di Genova. A domanda difensore: l'utenza 338.7967433 viene associata B. L. dopo l'osservazione compiuta in sede di servizio di o.p.c. I colleghi di Genova avevano in corso un'altra operazione con ascolti, quindi e' probabile che i medesimi avessero elementi approfonditi per l'attribuzione a B. L. dell'utenza di cui si tratta. Il teste si impegna a fornire l'indicazione del collega di Genova che ha proceduto all'identificazione di B. L. ed ogni caso che ha partecipato con contatto visivo all'o.p.c. All'udienza del 10 aprile 2013, veniva sentito il vicebrigadiere Ferrante Eugenio: sentivamo nelle intercettazioni G. E. e le indagini erano condotte dal Pubblico ministero di Trento. A sua volta il G. aveva il contatto con tale G., per organizzarsi per acquistare cocaina o hashish. Il G. chiedeva a suo cognato se conosceva qualcuno per una quantita' di hashish. Il cognato si riservava di fargli sapere. In una conversazione con il G., G. P., il G. gli comunicava che si poteva acquistare l'hashish. Dopodiche' il G. comunicava al G. che il giorno successivo potevano aver luogo le operazioni. Quindi il G. e L. N. salivano dalla Puglia per alloggiare in un hotel. Il G. ed il L. effettivamente venivano ed alloggiavano. Il 2 dicembre, dopo essersi messi a posto con l'albergo, andavano tutti in direzione via privata Parenzo n. 6 in Milano. Il G. aveva una Lupo color blu elettrico targata X309FH intestata alla moglie B. E; il G. ed il L., erano a bordo di una Golf grigio chiaro targata CV644XH. ADG: io ho partecipato al servizio di osservazione. Io ed il collega che e' fuori eravamo nelle vicinanze appostati. In quell'occasione il G. faceva una telefonata, contattava il B. e gli chiedeva a che punto era, il B. gli dava la conferma che sarebbe arrivato sul posto in 20 minuti, mezz'ora. Dopo circa 20 minuti arriva il B. a bordo di una Renault Clio di colore grigio chiaro targata CN441DY. Gia' in precedenza avevamo sviluppato la targa ed era intestata alla sorella B. A. Noi eravamo nelle vicinanze ed il B. dopo aver parcheggiato usciva dalla stessa, si guardava intorno, apriva il baule sulla parte posteriore e tirava fuori un borsone di colore scuro molto pesante. Chiudeva il cofano ed entrava nel civico 6. Dopo circa 10 minuti, il G. ed il L. a bordo della Lupo si allontanavano e prendevano una direzione imprecisata. Dopo circa 10 minuti arrivava il G. a bordo della Lupo da solo, parcheggiava ed attendeva all'ingresso di via privata Parenzo ed attendeva il L. alla guida una Lancia Z di colore grigio chiaro targata BG675NV. A questo punto entrava nella via la Lancia. Tutti e quattro erano, all'interno del cortile della casa. A questo punto il collega in sala ci comunicava telefonata a livello privata dove sentiva in sottofondo il rumore di sportelli, lamiere, che venivano armeggiate. Dopo 20 minuti, il B. esce dal civico a bordo della Clio ed andava via prendendo una direzione che noi non sappiamo. Dopo circa 15-20 minuti il L. a bordo della Lancia Z usciva dal civico 6 ed andava a parcheggiare nelle vicinanze, in via Ernesto Rossi, nel cortile del civico 6, all'epoca la stessa residenza di B. L. Noi pensavamo che avevano occultato lo stupefacente all'interno della Lancia. Percio' abbiamo monitorato la Lancia tutta la notte. Il G. ed il L. con il Golf prendevano la direzione dell'hotel. Questo era intorno alle ore 22,00. Dopodiche', il giorno dopo, alle 9,40, circa, il G. e L. erano sulla Golf. Il G. faceva scendere il L. e si metteva alla guida della Lancia. Entrambi proseguivano nella stessa direzione a breve distanza l'una dall'altro in direzione dell'A1. ADG: circa il coinvolgimento del B. la telefonata era fatta da G. che chiedeva a B. in quanto tempo avrebbe impiegato ad arrivare sul posto. ADG: non avevamo individuato prima il B. La scheda TIM era intestata a lui. ADG: abbiamo iniziato ad identificato il B. perche' G. parlava con il G. parlando del cognato. La scheda era intestata a B. L. Avuto il nominativo, andiamo al comune di Milano e facciamo la fotocopia del documento di identita'. Quella sera e' arrivato il B. perche' l'ho riconosciuto dalla foto, io e gli altri colleghi. ADAvv. Saldarini: nella telefonata cui mi riferivo il G. chiamava il E. e noi pensavamo che essa fosse riferita allo stupefacente. Questa conversazione e' intervenuta il giorno stesso, il giorno precedente il sequestro. La telefonata parte dall'utenza in uso a G. Il B. aveva in uso l'utenza 338.7967433. ADAvv. Saldarini: abbiamo delle foto di B. che sono state acquisite prima dell'attivita' di cui si tratta, non ricordo se abbiamo un'annotazione degli accertamenti fatti presso il comune di Milano. ADG: non abbiamo documentato il servizio di o.c.p. anche con fotografie o filmati. Il teste, in ossequio all'impegno assunto, faceva pervenire in cancelleria le fotografie acquisite dal comune di Milano di B. con documentazione al seguito. All'udienza del 18 giugno 2013, i difensori di entrambi gli imputati si riportavano all'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata nelle memorie depositate. Seguivano altre udienze, finalizzate a consentire il pieno contraddittorio delle parti. All'udienza del 6 novembre 2013, le parti instavano per la discussione sull'eccezione stessa. Le conclusioni delle parti sono quelle constanti dal processo verbale: il Pubblico ministero ritiene di affermare la rilevanza della perche' anticipa che gli esiti dell'integrazione probatoria disposta d'ufficio dal giudice eliminano ogni dubbio, a suo avviso, sulla penale responsabilita' di G. e sull'esigenza della richiesta di rinvio a giudizio con riferimento a B. Sul punto della non manifesta infondatezza, rileva che non pare condivisibile l'ordinanza della Cass. 9 maggio 2013 laddove denuncia il vizio della legge di conversione per il mancato collegamento con il decreto-legge oggetto della conversione medesima; aggiunge che ritiene invece non manifestamente infondata la q.l.c. per contrasto con l'art. 4 della decisione-quadro in specie sotto il profilo del paragrafo 2, lettera b) in relazione alla mancata previsione della differenziazione della cornice edittale alternativamente per il caso in cui il reato implichi la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute pubblica ovvero abbia provocato danni per la salute di piu' persone per contrasto con l'art. 117 Cost. nonche' con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza nella parificazione di situazioni pacificamente disuguali. Riserva il deposito di memoria. L'avv. Calcaterra e l'avv. Saldarini si riportano alle conclusioni che depositano ed alle memorie gia' versati in atti. In particolar modo insistono affinche' il giudice pronunci sulla q.l.c. prima di dichiarare aperta la discussione nel merito perche' gli imputati devono conoscere le norme penali applicabili. Seguiva il deposito di memorie in specie da parte del Pubblico ministero. Alla luce di quanto precede, la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale e' di immediato apprezzamento. Si verte della detenzione, a seguito del pervenimento nel territorio milanese, di kg 21 di hashish. Anticipa il P.M. la rinnovazione della richiesta di condanna con riferimento alla posizione di G. e la rinnovazione della richiesta di rinvio a giudizio con riferimento alla posizione di B. Chiaramente, tanto piu' a fronte di siffatte richieste del Pubblico ministero, la determinazione della disciplina applicabile diviene uno snodo centrale del procedimento: qualora dovesse essere ritenuto che sussistano prove sufficienti per affermare la penale responsabilita' di G., nei confronti di costui dovrebbe procedersi alla determinazione della pena avuto specialmente riguardo, in relazione agli indici di cui all'art. 133, comma 1, c.p., alla natura e poi alla quantita' e qualita' della sostanza stupefacente; relativamente a B., fermo il suo diritto a conoscere anticipatamente, rispetto al dibattimento, la cornice edittale prevista per il fatto contestatogli, l'art. 438, comma 2, c.p.p. financo lo abilita a proporre la richiesta di rito abbreviato sino alla formulazione delle conclusioni ai sensi dell'art. 421 c.p.p. In punto di non manifesta fondatezza, il giudice, che accede alle prospettazioni dei difensori degli imputati, solo parzialmente condivise dal Pubblico ministero, prende le mosse da Cass. Pen., Sez. III, ord. 9 maggio 2013 (dep. 11 giugno 2013), Pres. Squassoni, rel. Franco, ric. Maniscalco, con cui il Supremo Consesso ha sottoposto al vaglio di codesta Ecc.ma Corte costituzionale la compatibilita' degli articoli 4-bis e 4-vicies-ter, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, entrambi introdotti dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, con l'art. 77, comma 2, Cost. L'art. 4-bis cit., nel sostituire i commi 1 e 4 dell'art. 73, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ha eliminato la distinzione tra le sostanze stupefacenti di cui alle tabelle II e IV e quelle di cui alle tabelle I e III previste dal previgente art. 14, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, parificando il trattamento sanzionatorio delle fattispecie relative alle prime al trattamento sanzionatorio delle fattispecie relative alle seconde, ma nel contempo rimodulando la cornice edittale del trattamento sanzionatorio relativo alle seconde con abbassamento del minimo, per quel che concerne la pena detentiva, ad anni sei di reclusione contro gli anni otto di reclusione precedenti. L'art. 4-vicies-ter cit. ha sostituito gli articoli 13 e 14, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, unificando le tabelle che identificano le sostanze stupefacenti e percio' eliminando la distinzione tra le c.d. droghe pesanti, di cui alle tabelle I e III, e le c.d. droghe leggere, di cui alle tabelle II e IV. Sotto il profilo della non manifesta infondatezza della questione, il Supremo Consesso, nell'articolatissima e profonda ordinanza di cui si tratta, denuncia, in principalita', l'estraneita' delle disposizioni inserite solo in sede di legge di conversione - con le quali e' stata modificata la disciplina penale delle sostanze stupefacenti, giusta l'introduzione di un trattamento sanzionatorio unico per le droghe pesanti e leggere - rispetto all'oggetto, alle finalita' e comunque alla ratio del decreto-legge; in subordine, comunque ed in ogni caso, la carenza del presupposto della straordinaria necessita' e urgenza. Inutile ripercorre in questa sede le tesi esposte da giudici di gran lunga piu' preparati dello scrivente giudice, per modo che all'ordinanza stessa non resta che fare rinvio. Anche lo scrivente giudice, in buona sostanza, ritiene, alla luce degli approdi piu' illuminati della giurisprudenza costituzionale in punto di richiesta omogeneita' tra la materia disciplinata dalla legge di conversione e la materia disciplinata dal decreto-legge, l'illegittimita' costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies-ter decreto-legge n. 272 del 2005, introdotti solo dalla legge n. 49 del 2006, in quanto debordanti: dai limiti di materia tracciati nel titolo del decreto-legge; dall'oggetto del decreto-legge; ed in ultimo dai presupposti di necessita' ed urgenza legittimanti la normazione mediante decreto-legge nei termini indicati proprio in quest'ultimo. Non e' revocabile in dubbio che il parlamento abbia letteralmente sfruttato il treno in corsa sui binari ad alta velocita' della conversione del decreto-legge per realizzare una vera e propria riforma, strutturale e sistemica, del diritto penale degli stupefacenti, introducendo la parificazione della cornice edittale applicabile a condotte riferite alle droghe leggere alla cornice edittale applicabile a condotte riferite alle droghe pesanti, previa, si noti, l'eliminazione in se' della distinzione tra le une e le altre, attraverso l'abrogazione della distinzione tra le tabelle I e III e le tabelle II e IV del previgente art. 14, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. A fronte di un decreto-legge intitolato a «Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalita' dell'amministrazione dell'Interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi», ammesso e non concesso, in riferimento al «recupero di tossicodipendenti recidivi», che con l'art. 4, comma 1, decreto-legge n. 272 del 2005 nella versione antecedente la conversione vi fosse alcunche' di straordinariamente necessario ed urgente nel fatto di «sopprimere» (e neppure «abrogare») l'art. 94-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, introdotto dall'allora recentissima legge 5 dicembre 2005, n. 251, nota come legge ex-Cirielli (dacche' l'art. 4 cit. non aveva di mira l'introduzione di alcun trattamento di recupero dei tossicodipendenti, che tali sono a prescindere dalla recidivanza, bensi' la semplice sterilizzazione degli effetti della ridetta legge n. 251 del 2005 in termini di «massiva e pregiudizievole ricarcerizzazione» - come scrive il Supremo Consesso - dei condannati recidivi ed «altresi'» tossicodipendenti sul presupposto di una recidivanza per cosi' dire «connaturale» ad una supposta categoria di condannati, individuabili sol perche' tossicodipendenti); ammesso e non concesso, dunque, che lo strumento del decreto-legge potesse, e possa, addurre a giustificazione logico-giuridica della sua stessa esistenza un diverso intendimento del governo rispetto a quello fatto proprio dal parlamento circa la conformazione, per una sola categoria di soggetti, di un istituto di «generale» applicazione come quello della recidiva; ammesso e non concesso, poi, che, tra i tre temi della «sicurezza» e dei «finanziamenti» per le imminenti «Olimpiadi invernali» e della «funzionalita' dell'Amministrazione dell'interno», da una parte, del «recupero di tossicodipendenti recidivi», dall'altra parte, e, ancorche' neppure menzionato dal titolo del decreto-legge, dell'«esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero», possa sia pur labilmente scorgersi alcuna omogeneita' di materia o di finalita', in guisa tale da far ritenere rispettato il canone dell'unitarieta' del decreto-legge ex art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, quale atto eccezionale di esercizio della potesta' legislativa da parte del potere esecutivo, che di detta potesta' non e' ordinariamente attributario, al fine di soddisfare un'imminente necessita' di disciplina per l'evolvere di una situazione di fatto che non puo' attendere le lungaggini delle discussioni parlamentari; ammesso e non concesso tutto quanto precede, resta il dato di fondo che la realizzazione della riforma del diritto penale degli stupefacenti, cui si accennava, si pone al di' fuori dell'alveo ed in uno della logica del decreto-legge n. 272 del 2005 riguardato sia come tutto e sia anche come insieme dei suoi singoli articoli (il primo dedicato all'«assunzione di personale della polizia di Stato», il secondo al «personale della carriera prefettizia», il terzo - verrebbe da dire: finalmente - ai «finanziamenti per le Olimpiadi invernali»; il quarto - del tutto inaspettatamente - all'«esecuzione delle pene detentive per tossicodipendenti in programma di recupero»; il quinto -ancor piu' eterogeneamente - agli «adempimenti finalizzati all'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero»). La riprova di quel che si scrive si ha in cio' che la riforma del diritto penale degli stupefacenti, introdotta con la legge di conversione, costituisce il recepimento - tanto per riprendere nuovamente le parole del Supremo Consesso - di «una buona parte del contenuto del disegno S 2953, del novembre 2003, fermo nelle competenti commissioni referenti del Senato». Il parlamento, che non ha ritenuto di dare, per assai lungo tempo, impulso alla discussione su tale disegno di legge, ritenendo che l'agenda dei lavori non subisse l'impellenza di intervenire sull'omogeneizzazione della pena per i fatti di reato inerenti le droghe leggere rispetto alle droghe pesanti, alla fine, ha nondimeno agganciato il proprio intervento «recuperatorio» al grado viepiu' qualificato di necessita' ed urgenza espresso dal decreto-legge: quasi, in definitiva, che l'urgenza al quadrato discendesse da una volontaria inazione. Va segnalato che anche le Sezioni unite della Suprema corte di cassazione, con la sent. 10 giugno 2013, n. 25401, hanno confermato l'impostazione seguita nell'ord. 9 maggio 2013, perche', nel sancire che l'uso o consumo di gruppo integra esclusivamente un illecito amministrativo, hanno evidenziato possibili profili di illegittimita' costituzionale connessi all'introduzione in sede di conversione del decreto-legge di emendamenti eterogenei, offrendo di conseguenza un'interpretazione in tanto «corrispondente allo speciale procedimento legislativo prescelto» (paragrafo 9) in quanto volta ad escludere che con gli emendamenti al decreto-legge sia stata introdotta una norma penale determinante la trasformazione di un illecito amministrativo in illecito penale all'interno di un perimetro estraneo alla materia oggetto dell'iniziativa urgente del governo. Nondimeno, stante viepiu' il contrario avviso espresso dal P.M. rispetto all'impostazione seguita finanche dalle Sezioni unite della Suprema corte di cassazione, non puo' esimersi lo scrivente giudice dal rilevare che i portati degli arresti attorno ai quali si impernia l'intero ragionamento esposto nell'ord. 9 maggio 2013, oggetto di adesiva evocazione, costituiscono un'acquisizione recente della giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, discendendo in particolare dalla sent. n. 22 del 2012, ulteriormente sviluppata dalla sent. n. 34 del 2013, su cui si sono accese appassionate discussioni in dottrina. Invero, recuperando storici insegnamenti di diritto delle fonti, si fa notare che l'interpretazione dei rapporti tra decreto-legge e legge di conversione si e' per lungo tempo sedimentata in termini di un ordinario susseguirsi di testi aventi pari valore di legge. Secondo siffatta impostazione, la legge di conversione non subisce un vincolo di presupposizione necessaria derivante dall'emanazione in se' del decreto-legge quale «provvedimento provvisorio con forza di legge», che, proprio a motivo dell'espressa provvisorieta', non pone la quaestio della conversione; ne' il presupposto della straordinaria necessita' ed urgenza, richiesto per la legittimita' del decreto-legge, si comunica per cio' solo alla legge di conversione, dacche', per quanto sia vero che la conversione del decreto-legge deve intervenire nel termine di sessanta giorni dalla pubblicazione, tuttavia e' anche vero che, in difetto di essa, e' gia' prevista dal secondo comma dell'art. 77 Cost. la conseguenza decadenziale, sicche' la disciplina introdotta dal decreto-legge perde valore ex tunc, senza che sia cogente l'introduzione di una disciplina transitoria ad opera di alcuna legge, la quale puo' sopravvenire, convertendo o convertendo in parte o anche non convertendo esplicitamente, il decreto-legge, ma anche non sopravvenire. Dallo scioglimento dell'endiadi tra il decreto-legge e la legge di conversione circa l'an dell'emanazione di quest'ultima discende la riprova che il parlamento resta libero nell'esercizio della potestas di cui e' attributario: una potesias non condizionata nell'an, ma neppure nel quomodo, sotto il duplice profilo della materia trattata e del tipo di disciplina riservata alla trattazione della materia stessa. Nell'ottica della per vero autorevolissima opinione che si va indegnamente esponendo, l'emanazione del decreto-legge rappresenta soltanto l'occasio legittimante il parlamento all'attivazione del procedimento normativo, che, per quanto condizionato dal termine di sessanta giorni dalla pubblicazione posto dal terzo comma dell'art. 77 Cost., tale e' a pieno titolo. Esso, pertanto, giammai potrebbe subire alcun vincolo derivante dal decreto-legge, anche perche', diversamente, risulterebbe menomata la discrezionalita' del parlamento ad opera, nientemeno, che del governo, il quale, a quel punto, sarebbe messo nelle condizioni persino di dettare nel merito - e non solo nei tempi - l'agenda del parlamento. L'impianto disegnato invece dagli ultimi due commi dell'art. 77 Cost. accorda assoluta preminenza proprio al parlamento, relegando il potere legislativo del governo ai «casi» eccezionali di straordinaria necessita' ed urgenza sotto il principio di auto-responsabilita' (politica) del governo stesso, che, per l'appunto, deve godere della fiducia del parlamento. Ne esce confermata una divaricazione dei piani interpretativi concernenti, rispettivamente, la vicenda delle fonti e la vicenda dei rapporti tra i poteri dello Stato da cui dette fonti possono promanare (nel caso del governo) o promanano (nel caso del parlamento). Va da se' che, cosi' impostati i temi della discussione, legittima sarebbe in linea di principio una legge di conversione introducente contenuti disallineati e persino apertamente disomogenei rispetto al decreto-legge, in forza del principio di assolutezza dell'attribuzione legislativa del parlamento. Il tema rileva tanto piu' in quanto, secondo la modesta opinione dello scrivente giudice, nella sentenza n. 355 del 2010, codesta Ecc.ma Corte, nel traguardare, per la prima volta, il punto di approdo di un sindacato di per se stesso rivolto alle disposizioni aggiunte in sede di conversione, nel contempo pero' parametrandolo a quelle «non del tutto estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza», in modo da far salvo il rapporto funzionale della legge di conversione rispetto a quest'ultima, pare, salvo errori di lettura, ammettere quantomeno implicitamente nella legge di conversione medesima sia norme non del tutto estranee e sia pero' anche norme eterogenee al tessuto disciplinare del testo governativo, esse pure predicabili di rispondenza al dettato costituzionale sotto il vincolo - contermine nondimeno all'apprezzamento politico riservato al parlamento - della riconducibilita' al fine gia' fatto proprio, eccezionalmente, dal governo. D'altronde non manca chi sottolinea che il «nesso di interrelazione funzionale» - di cui alle due sentenze n. 22 del 2012 e n. 34 del 2013 - corrente tra la legge di conversione ed il decreto-legge nel contesto di un procedimento normativo unitario che risale gia' all'emanazione del decreto-legge come momento di avvio, nell'obiettivo silenzio della lettera degli ultimi due commi dell'art. 77 Cost., e' inferito in via interpretativa, per un verso, dall'art. 96-bis reg. Cam. Dep., che attribuisce al Presidente della Camera dei deputati il potere di dichiarare inammissibili gli emendamenti «non strettamente attinenti» alla materia del decreto-legge, e, per altro verso, dalla prassi recente del Presidente della Repubblica, che ha in diverse occasioni richiamato le Camere al rispetto della sostanziale omogeneita' delle norme della legge di conversione a quelle del decreto-legge, al fine di non vedere pregiudicate le sue prerogative sia quanto a quest'ultimo e sia, ed anzi soprattutto, quanto alla prima: art. 96-bis reg. Cam. Dep. e prassi recente del Presidente della Repubblica chiamati congiuntamente ad assurgere, con le consuete difficolta' di inquadramento dell'efficacia assertivo-precettiva di dati extra-testuali, a criterio quantomeno orientatore dell'interpretazione, se non tout court integrativo, degli ultimi due commi dell'art. 77 Cost. Nondimeno lo scrivente giudice, che, per trasparenza, ha ritenuto di esplicitare alcune delle principali obiezioni percorse in dottrina rispetto agli approdi interpretativi seguiti da codesta Ecc.ma Corte e fatti propri dal Supremo Consesso nell'ord. 9 maggio 2013, riflettendo proprio sul caso specifico, si permette di evidenziare un argomento che reputa, forse, di un certo spessore per dimostrare un profilo di criticita' delle opinioni contrarie a ravvisare un «nesso di interrelazione funzionale» tra la legge di conversione ed il decreto-legge: cio' nella personale consapevolezza che l'estrema difficolta' delle questioni vertite apre ad un momento di sintesi rimesso ai giudici di codesta Ecc.ma Corte, che possiedono strumenti assai piu' penetranti, rispetto a chi si limita a prospettare un'ipotesi di riflessione, per interpretare il tessuto della Carta fondamentale. Lo spunto e' offerto dall'obiter dell'ordinanza che recita come segue: ... nel caso in esame gli aspetti patologici delle modalita' di svolgimento dell'iter legislativo potrebbero apparire ancora maggiori di quelli che avevano indotto il Presidente della Repubblica a rinviare alle Camere la legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4. Nella specie ... la legge di conversione fu definitivamente approvata l'8 febbraio, ossia pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere e dell'inizio delle Olimpiadi, e fu poi promulgata il 21 febbraio. Quindi il Presidente della Repubblica, non potendo disporre un rinvio parziale, avrebbe potuto esercitare la sua prerogativa, a Camere sciolte e nell'immediatezza del termine di conversione, solo assumendosi la responsabilita' di mettere a rischio le esigenze di sicurezza e lo stesso svolgimento delle Olimpiadi di Torino. Fermo il vulnus delle prerogative del Presidente della Repubblica consumato ad opera della legge n. 49 del 2006, poiche' il Presidente della Repubblica non e' stato messo in grado di esercitare il sindacato riservatogli attraverso il rinvio giust'appunto in relazione alla riforma del diritto penale degli stupefacenti, il ragionamento puo' essere spinto a conseguenze ulteriori. L'ultima parte del secondo comma dell'art. 77 Cost. statuisce l'obbligo di presentazione del decreto-legge lo stesso giorno dell'adozione per la conversione alle Camere, soggiungendo che esse, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». Ad avviso dello scrivente giudice, la straordinarieta' del procedimento - la quale riflette la straordinarieta' del caso di necessita' ed urgenza legittimante ab initio il governo all'esercizio di una potesta' che naturalmente non gli appartiene - conchiude il cerchio con l'attribuzione una tantum del potere legislativo ad un parlamento non piu' attributario di siffatto potere: sicche', ove, in ipotesi, il parlamento, a camere sciolte, introducesse una disciplina avulsa da quella del decreto-legge, parrebbe legiferare sine titulo. Cio' detto, abbandonando il terreno della disquisizione teorica ed incentrando l'attenzione sul decreto-legge n. 272 del 2005, che ne occupa, neppure reputa lo scrivente giudice che si possa ravvisare un indice di «collegamento», a prescindere dalla qualifica di funzionalita', tra esso e la legge n. 49 del 2006 alla luce del primo considerando del decreto-legge medesimo, il quale recita: «Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di prevenire e contrastare il crimine organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche per le esigenze connesse allo svolgimento delle prossime Olimpiadi invernali ...». Ancorche' le organizzazioni criminali - e non il «crimine organizzato» - ben possano perseguire lo scopo di trafficare in stupefacenti, il loro rilievo, dal punto di vista del diritto penale, discende dalla constatazione della messa in pericolo dell'ordine pubblico derivante dalla semplice esistenza di una struttura impegnata in attivita' delinquenziali, derivandone che la finalita' di «contrastare il crimine organizzato», di cui al decreto-legge n. 272 del 2005, in difetto di specificazioni concernenti la categorizzazione del programma perseguito dai partecipi, non si estende sino al punto di ricomprendere, non gia' soltanto l'equiparazione del trattamento sanzionatorio dei fatti di narcotraffico inerenti le droghe leggere a quelli inerenti le droghe pesanti, ma, contemporaneamente, la riduzione, perche' di cio' si tratta, del minimo edittale proprio per quelli inerenti le droghe pesanti. Del resto, sul punto, pare decisiva la considerazione secondo cui la rimodulazione del trattamento sanzionatorio dei fatti di narcotraffico, proprio perche' i fatti di narcotraffico al piu' appartengono al programma avuto di mira dal partecipi, non dispiega effetti rilevanti sullo statuto penale dell'associazione per delinquere, pur se finalizzata al narcotraffico, con la conseguenza che neppure la si puo' considerare uno strumento di «contrasto», alla stregua di quanto letteralmente preteso dal primo considerando del decreto-legge n. 272 del 2005, al «crimine organizzato». Cio' senza considerare che, diversamente opinando, si perverrebbe all'inaccettabile conclusione a termini della quale il mero richiamo al «crimine organizzato» avrebbe consentito alla legge di conversione di incidere, ad esempio, sugli articoli 416 e 416-bis c.p. e, di piu', sulla legge 16 marzo 2006, n. 146, intitolata «Ratifica ed esecuzione della convenzione e dei protocolli delle Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001». Espresse le superiori considerazioni nell'intento di minimamente arricchire gli spunti di ponderazione gia' scandagliati dall'ord. 9 maggio 2013, lo scrivente giudice manifesta tuttavia l'avviso che sorga necessita' di affrontare anche il profilo, concorrente e non subordinato, della ritenuta illegittimita' costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies-ter, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), numero 6), citt., ulteriormente, per contrasto con il diritto dell'Unione europea. Preso atto che il profilo di cui si tratta e' stato ritenuto assorbito nell'ord. 9 maggio 2013, osserva nondimeno che il contrasto con il diritto dell'Unione europea, nei termini che subito si esporranno, vizia le disposizioni denunziate di per se stesse, ossia a prescindere da rilievi di merito sulla novella in punto di ragionevolezza dell'equiparazione del trattamento sanzionatorio di fatti di reato relativi a droghe leggere a quelli relativi a droghe pesanti. In questo senso, la prospettiva in cui lo scrivente giudice si pone, per un verso, accede al, ma, per altro verso, nel contempo, si discosta sensibilmente dal punto di vista esposto da C. App. Roma, Sez. III Pen., ord. 28 gennaio 2013. L'inosservanza del diritto dell'Unione europea, con i contenuti che gli appartengono e che devono essere interpretati alla luce dei canoni che governano il diritto dell'Unione europea e non il diritto interno, non viene in rilievo per tali contenuti (la discordanza dai quali ad opera del diritto interno determinerebbe un vulnus al principio di uguaglianza e, correlativamente, al principio di legalita' penale sotto il profilo dell'offensivita' al bene giuridico), ma per il fatto in se' del contrasto. La precisazione sembra opportuna, perche', con riferimento al diritto costituzionale ed al diritto penale interni, puo' argomentarsi, come in effetti si e' argomentata, la ragionevolezza della disciplina vigente, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 25 Cost., dalla constatazione che anche le droghe leggere attentano alla salute pubblica, in maniera forse diversa dalle droghe pesanti, ma comunque pericolosa. Lasciato dunque intenzionalmente in disparte il terreno dedicato ex professo all'analisi - meramente interna (salvo quel che si aggiungera' in confronto del diritto dell'Unione europea) - della disciplina vigente al cospetto del principio di uguaglianza e del principio di legalita' penale sub specie del principio di offensivita', resta il contrasto', che si spieghera' essere insanabile, fra le modifiche introdotte dagli articoli 4-bis e 4-vicies-ter, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), numero 6), citi agli articoli 13, 14 e 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e l'art. 4, segnatamente paragrafo 2, lettera b), prima parte, della decisione-quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio del 25 ottobre 2004 «riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti» (in prosieguo «decisione-quadro» e, per brevita', «d.q.»). Com'e' noto, la decisione-quadro, costituendo un atto di armonizzazione delle legislazioni nazionali adottato dal Consiglio nell'ambito dello spazio giuridico che prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona era denominato «Terzo pilastro», e' bensi' sprovvista, per espressa indicazione normativa, di dirette applicabilita' ed efficacia, ma vincola gli Stati membri «quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorita' nazionali quanto alla forma e ai mezzi» [art. 34, paragrafo 2, lettera b), TUE]. La conseguenza di maggior rilievo che discende da siffatta premessa si apprezza sul terreno del sindacato del contrasto del diritto interno con la decisione-quadro, che, pur con le ridette peculiarita', seguita ad essere un atto fonte nel contesto dell'Unione europea, il cui ordinamento - a motivo o della sovraordinazione rispetto agli ordinamenti nazionali (predicata dalla ferma giurisprudenza della Corte di Giustizia), ovvero, comunque, dell'apertura dell'ordinamento italiano in favore di esso con corrispondente limitazione della sovranita' in un'ottica di promozione internazionale (predicata dall'altrettanto ferma giurisprudenza della Corte costituzionale) - esige prevalenza rispetto al diritto interno incompatibile sul presupposto della vincolativita' per gli Stati. membri, scaduti i termini di recepimento, del «risultato da ottenere» quale parametro dell'adempimento e, oltre, dell'esatto adempimento. E' proprio in considerazione di cio' che, per tralaticia interpretazione della Corte di Giustizia, la decisione-quadro, e prima la direttiva, affinche' possa spiegare effetto nell'ordinamento dell'Unione europea e per compenetrazione negli ordinamenti degli Stati membri senza subire la sorte di rimanere confinata a lettera morta in caso di inadempimento od inesatto adempimento da parte di questi ultimi, costituisce la fonte dell'obbligo - rectius, dovere - minimale in capo al giudice nazionale di interpretare il diritto interno in conformita' alla lettera ed allo scopo di essa (cfr. da ultimo l'intera motivazione in diritto di CG, 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino). Sul punto, peraltro, la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, pur partendo da presupposti ordinamentali eterogenei, ha infine trovato una ragione di convergenza con la giurisprudenza dell'omologa nell'Unione europea (come funditus si evince dalla sent. n. 227 del 2010). Cio' premesso, secondo lo scrivente giudice, il trattamento sanzionatorio che l'art. 73, commi 1 ed 1-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 attualmente prevede per i delitti aventi ad oggetto le droghe leggere non e' proporzionato rispetto a quello stabilito per i delitti aventi ad oggetto le droghe pesanti, avuto riguardo al criterio della diversa dannosita' per la salute di cui all'art. 4, numero 2, lettera b), prima parte, d.q. E' da premettere che l'art. 4 cit., al paragrafo 1, esordisce imponendo agli Stati membri la previsione di sanzioni penali per le fattispecie contemplate dagli articoli 2 e 3 dotate dei caratteri di «effettivita', proporzionalita' e dissuasivita'». Secondo l'opinione dello scrivente giudice, ferma (sara' perdonato il gioco di parole) la stabilizzazione del massimo edittale per i reati di cui all'art. 2 in uno spazio minimo compreso tra un anno e tre anni di pena detentiva, i paragrafi 2, 3 e 4 sono dedicati alla declinazione di limiti alla discrezionalita' del legislatore nazionale sotto il profilo del criterio della proporzionalita'. Il paragrafo 2 eleva la durata minima del massimo edittale, rispetto allo spazio minimo cui teste' si accennava, quando «il reato implica grandi quantitativi di stupefacenti» [lettera a)] e quando "il reato o implica la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato gravi danni alla salute di piu' persone» [lettera b)]. I paragrafi 3 e 4 si ispirano alla medesima ratio con riferimento ai reati commessi nell'ambito di organizzazioni criminali ai sensi dell'azione comune 98/733/GAI del 21 dicembre 1998, avendo cura di inserire un limite minimo dello spazio minimo del massimo edittale qualora - con specifico riferimento «[alla] fabbricazione, [al] trasporto, [alla] distribuzione di precursori, quando la persona che compie tali atti sia a conoscenza del fatto che essi saranno utilizzati per la produzione o la fabbricazione illecite di stupefacenti» - si verta in materia di «precursori [...] destinati ad essere utilizzati nella produzione o per la produzione di stupefacenti alle condizioni di cui al paragrafo 2, lettere a) o b)» (in tale aggiunta sostanziandosi la differenza tra il paragrafo 4 ed il paragrafo 3, che peraltro ha riguardo alle sole fattispecie, gia' di per se stesse aggravate, di cui al paragrafo 2, lettere a) o b)]. L'impianto della decisione-quadro, pertanto, pare potersi leggere nei seguenti termini: sussiste per gli Stati membri un obbligo di penalizzazione delle fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 e detto obbligo e' improntato alla previsione di pene detentive, tra l'altro, «proporzionate», ossia proporzionate evidentemente alla gravita' dei fatti, nel contesto della quale, trattandosi di sostanze stupefacenti, deve tenersi conto della natura delle stesse in funzione del maggiore o minore pericolo per la salute pubblica (primo comma del paragrafo 1); i soli reati di cui all'art. 2 devono andar soggetti «a pene detentive della durata massima compresa tra almeno i e 3 anni» (secondo comma del paragrafo 1); i soli reati di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettere a), b) e c) [con esclusione quindi di fabbricazione, trasporto e distribuzione di' precursori ex lettera d)] devono andar soggetti ad un massimo edittale piu' elevato - siccome ricompreso tra almeno 5 e 10 anni - nella ricorrenza di due (ed anzi tre) ipotesi: laddove la condotta cada su «grandi quantitativi di stupefacenti» [lettera a) del paragrafo 2]; laddove la condotta si risolva nella «fornitura degli stupefacenti per la salute» [prima parte della lettera b) del paragrafo 2]; laddove la condotta abbia «determinato gravi danni alla salute di piu' persone» [seconda parte della lettera b) del paragrafo 2]. Il paragrafo 3 nuovamente torna sui soli reati di cui all'art. 2, stabilendo un innalzamento del massimo edittale al «almeno 10 anni» in caso di commissione nell'ambito di un'organizzazione criminale rilevante. Il paragrafo 4 per la seconda volta pone la durata massima compresa tra almeno 5 e 10 anni per i reati di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettera d), sin qui apparentemente pretermesso, in caso di commissione nell'ambito di un'organizzazione criminale rilevante, nella misura in cui «i precursori siano destinati ad essere utilizzati nella produzione o per la produzione di stupefacenti alle condizioni di cui al paragrafo 2, lettere a) o b)». Se e' vero che i paragrafi 3 e 4 pongono una differenziazione al rialzo del massimo edittale per la maggiore pericolosita' delle condotte agite nell'ambito di un'organizzazione criminale rilevante, avendo viepiu' cura di calibrare con precisione lo spazio edittale minimo del massimo della pena detentiva in funzione delle tipologie di reato, identicamente deve ritenersi che il paragrafo 2 si attesti sullo spazio edittale minimo del massimo della pena detentiva per marcare la diversita', dalle fattispecie ordinarie del secondo comma del paragrafo 1, di fattispecie che, per la «quantita'» ovvero per la «qualita'» della droga, sono meritevoli di un trattamento sanzionatorio deteriore. Pare appena il caso di far notare che le lettere a) e b) citt. ragionano dei due indici «intrinseci» di pericolosita' della droga per la salute pubblica: la quantita', dacche' da una maggior grandezza di droga discende pianamente la possibilita' di un maggior confezionamento di dosi destinate al consumo, con conseguente maggiori indici di esposizione della salute delle persone agli effetti nocivi che conseguono all'assunzione; la qualita', che differenzia, nel genus, le species di sostanze stupefacenti di per se stesse «piu' dannose», in guisa tale da doversi riguardare queste ultime, ex ante, sotto il profilo del maggior pericolo e, ex post, sotto il profilo del maggior nocumento, alla stregua di quanto letteralmente fa la lettera b), che infatti ha di mira il reato il quale «o implica la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato gravi danni alla salute di piu' persone». Agli effetti che presentemente ne occupano, rileva la prima parte della lettera b), rispetto alla quale conviene specificare che il tenore fatto proprio dalle parole - nel riferirsi alla «fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute» - da' per scontato il diverso grado di pericolosita' delle sostanze stupefacenti in rapporto al parametro del danno per la salute pubblica. Cio', oltre a costituire un dato normativa insuperabile, al piu' costituente il portato di una scelta politica rimessa alla discrezionalita' del legislatore dell'Unione europea, appare in linea con le acquisizioni della tossicologia, che ordina in una scala di gravita' crescente gli effetti, per un verso psicotropi e per altro verso neuronali, delle droghe leggere e, rispettivamente, delle droghe pesanti. Del resto, anche gli studiosi di medicina, di chimica e, in diverso ambito, di sociologia orientati ad accomunare le droghe leggere a quelle pesanti profondono il loro impegno scientifico, giammai per negare una graduazione tra esse per via della graduazione degli effetti di esse, ma semmai per ricondurre alla matrice comune delle sostanze dotate di un qualche effetto psicotropo o neuronale in grado di indurre dipendenza anche sostanze, come il caffe', l'alcool od il tabacco, che la cultura internazionale tollera. In definitiva, come la stessa decisione-quadro di cui si discute non manca di rimarcare, e' il grado di nocivita' a determinare le categorizzazioni, se del caso da inserire in un contesto piu' ampio persino dell'insieme dato dalla somma delle droghe leggere e delle droghe pesanti. Fatte le superiori puntualizzazioni, l'adozione, da parte del parlamento italiano (non importa - a questo punto - se in sede di conversione di un decreto-legge a sua volta viziato nei presupposti), di norme penali che prevedono pene sproporzionate perche' appaianti il trattamento sanzionatorio delle fattispecie che hanno ad oggetto le droghe leggere a quelle che hanno ad oggetto le droghe pesanti si pone in contrasto con l'art. 4, numero 2, lettera b), prima parte, d.q., che, invece, impone agli Stati membri di adottare «pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive» nel senso della differenziazione della risposta repressivo-punitiva a seconda, tra l'altro, della nocivita' e, quindi, ex ante della pericolosita' ed ex post della dannosita' delle sostanze stupefacenti su cui cadono le condotte. Nello stabilire pene che abbiano siffatte caratteristiche, la discrezionalita' che la decisione-quadro lascia agli Stati membri non e' senza limiti, in quanto, da un lato, e' proprio la lettera b) a denunziare l'esigenza di innalzare la cornice del minimo del massimo edittale laddove il reato «implic[hi] la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute»; dall'altro lato, il quinto considerando, il quale spiega efficacia in chiave euristica si' da orientare l'interprete nella determinazione del significato delle disposizioni a valenza precettiva, precisa che «gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, comprendenti pene privative della liberta'», soggiungendo in appresso che, «per stabilire l'entita' della pena, si dovrebbe tener conto degli elementi di fatto quali i quantitativi e la natura degli stupefacenti oggetto di traffico e l'eventuale commissione del reato nell'ambito di un'organizzazione criminale». Ricorrono, in definitiva, i tre cardini dell'aggravamento su cui dianzi ci si e' intrattenuti: quantita' e qualita' delle sostanze stupefacenti e connessione dei reati con la criminalita' organizzata. L'introduzione di una pena sproporzionata - perche' equipara tutte le droghe - da parte del legislatore italiano rischia di compromettere gli obiettivi della decisione-quadro, tra cui spicca la lotta contro il narcotraffico, che, per usare le parole del nono considerando, «dipende in modo essenziale dal ravvicinamento delle misure nazionali adottate in attuazione della decisione-quadro». Par questo il momento per far rilevare che l'empasse terminologico sollevato da altro arresto della Suprema Corte di cassazione, secondo cui, dall'art. 4 d.q. «in realta' non si desume[rebbe] alcuna specifica previsione di necessaria differenziazione di pena fra tipi di droghe in quanto il predetto art. 4 prevede un livello minimo di sanzioni per le droghe maggiormente dannose ma non impedisce che il medesimo trattamento venga riservato a qualsiasi sostanza catalogata come stupefacente» [Cass. Pen., Sez. VI, sent. 28 febbraio 2013 (dep. 29 aprile 2013), Pres. Milo, Rel. Di Stefano, Ric. Petrelli], e' superabile alla luce dell'inquadramento dell'art. 4 cit., ed in particolare della prima parte della lettera b) del paragrafo 2 di esso, quale declinazione del criterio della proporzionalita' del paragrafo 1. Siffatto inquadramento, come visto, e' sorretto dai canoni di interpretazione letterale, logico-sistematica ed euristica che si sono discussi. Del resto neppure puo' sottacersi che l'invocazione della proporzionalita', ben lungi dall'appartenere semplicemente ad un testo privo di efficacia precettiva, qual e' la decisione-quadro che si commenta, trova sicura cittadinanza come principio generale del diritto codificato nell'art. 49, collima 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, per modo che, pur supposto che l'articolo 4 in commento sia privo di un contenuto suscettivo di immediata interpretazione nel senso illustrato, comunque tale deficienza contenutistica dovrebbe essere ortopedicamente colmata mediante il raccordo con l'espressa previsione di un principio generale del diritto a tal punto cogente da essere assurto a diritto fondamentale. Appare superfluo ricordare la riconduzione a livello di diritto primario dell'Unione europea della Carta stessa ex art. 6, comma 1, TUE, secondo cui «l'Unione riconosce i diritti, le liberta' e i principi sanciti nella Carta di diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Per il tramite dell'art. 6, comma 1, cit., la Carta acquisisce dignita' e rango dei trattati, integrandoli, per modo che le sue disposizioni divengono a loro volta canone di valutazione della legittimita' europea, cosi' delle discipline europee, come pero' pure delle discipline nazionali, entrando a pieno titolo ad integrare il riferimento normativo di uno dei termini del contrasto di queste ultime. Peraltro non ci si deve fermare qui. L'art. 73, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 nella versione originaria era conforme ai criteri indicati nella decisione-quadro. La menzionata equiparazione sanzionatoria e' intervenuta in pendenza del termine di trasposizione della decisione-quadro medesima, quando il legislatore nazionale era obbligato, non solo a darvi attuazione, ma anche, e soprattutto, a non adottare atti o comportamenti che potessero comprometterne gli obiettivi. Cio' in virtu' del principio di leale collaborazione, che, ben lungi dal rappresentare una semplice superfetazione concettuale, trovasi codificato nell'art. 4, comma 3,TUE. Il punto rileva per fondare un autonomo profilo di contrasto della disciplina italiana rispetto a quella europea, financo idoneo a determinare il deferimento dello Stato italiano dinanzi alla giurisdizione transnazionale. Ne' in contrario varrebbe richiamare la relazione della Commissione sull'attuazione della decisione-quadro 2004/757/GAI riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti [SEC(2009)1661] del 10 dicembre 2009. Preliminarmente, non puo' non rilevarsi che, come chiarito dal terzo paragrafo del punto 1 intitolato al «Metodo», l'Italia, rendendosi per cio' solo inadempiente agli obblighi internazionali, neppure ha inoltrato la comunicazione di cui all'art. 9, paragrafo 2, d.q., con la conseguenza che la disciplina italiana non e' stata letteralmente presa in considerazione dalla Commissione nella redazione della relazione. Ad ogni buon conto, nel contesto di un discorso riguardante i soli Stati membri che hanno inoltrato una comunicazione corredata di idonei richiami a discipline e prassi, la Commissione, al punto 2.4. intitolato alle «Sanzioni (art. 4)», esplicita la trama, dianzi offerta alla riflessione, che permea la decisione-quadro in punto di crescente gravita' delle fattispecie di reato, perche', in una scala di maggiore offensivita', ai «reati ordinari (articolo 4, paragrafo 1)»; fa seguire i «reati aggravati in materia di traffico illecito di stupefacenti (art. 4, paragrafo 2)» ed i «reati aggravati commessi nell'ambito di un'organizzazione criminale (art. 4, paragrafi 3 e 4)» (con ulteriori sotto-declinazioni interne). In relazione specificamente ai «reati aggravati in materia di traffico illecito di stupefacenti (art. 4, paragrafo 2)», la Commissione scrive: dei 21 Stati membri che hanno risposto[16] 20 rispettano l'entita' della pena prevista dall'art. 4, paragrafo 2, ma l'ago della bilancia tende piuttosto ad oscillare piu' che altro tra 10 e 15 anni. Sono dieci gli Stati membri infatti che prevedono una pena massima di 10 anni (AT, BE, CZ, DK, EE, FI, HU, LT, LU, SE) e otto quelli che la fissano a 15 anni (BE, CZ, DK[17], DE, HU, LT, LV, SK). Sei Stati membri poi stabiliscono sanzioni molto maggiori (FR, HU, IE, LU, RO, SE), mentre solo quattro fissano pene massime tra 5 e 8 anni (AT, LT, NL, PL). Otto Stati membri tengono conto degli elementi quantitativi e di danno alla salute (AT, CZ, DK, DE, FI, NL, SE, SK), altri otto considerano solo uno dei due elementi (BE, EE, HU, LT, LU, LV, PL, RO), mentre cinque non fanno riferimento ne' all'uno ne' all'altro (BG, FR, IE, PT, SI). Visto pero' che la pena massima prevista per il reato di base in questi Stati membri corrisponde gia' al livello stabilito dall'art. 4, paragrafo 2, o addirittura lo supera, l'assenza di tale differenziazione non puo' essere contestata. E' bensi' vero che la Commissione conclude nel senso che «il livello di attuazione dell'art. 4, paragrafo 2, [e'] soddisfacente per quanto concerne l'entita' delle pene detentive», ma e' anche vero che essa, limitando la positivita' del giudizio al dato in se' dell'entita' delle pene detentive», recrimina che ben «tredici Stati membri non hanno introdotto nella loro legislazione gli elementi quantitativi e/o di danno alla salute». Par di potersi affermare che il piano di lavoro su cui la Commissione si pone concerne la verifica esclusivamente «formale» del rispetto, da parte delle discipline nazionali, delle previsioni edittali di pena di cui alla decisione-quadro, senza, per il momento, estendere l'analisi al «merito». Lo si evince con chiarezza gia' nell'impostazione seguita a proposito dei «reati ordinari (art. 4, paragrafo 1)», laddove, preso atto delle verticali differenze tra le varie discipline, nondimeno tutte rispettose del limite minimo di un anno di pena detentiva, denunzia che, nonostante l'introduzione della decisione-quadro, mirante istituzionalmente all'armonizzazione, «le discrepanze legislative tra gli Stati membri» seguitano ad essere «nel complesso invariate», giungendo ad una conclusione ineccepibile: «La Commissione prende quindi atto della conformita' formale delle normative nazionali trasmesse, ma deve purtroppo lamentarne l'eterogeneita' e si interroga sulla loro applicazione pratica». Sicche' reputare che la relazione della Commissione abbia la forza di scardinare le conclusioni dianzi raggiunte significherebbe consentire all'argomento di provare troppo. La Commissione, esercitando una discrezionalita' politica nella scelta di attivare, o meno, procedure di coercizione amministrativo-giudiziaria degli Stati membri verso l'armonizzazione, ha ritenuto, in sede di prima valutazione della materia, dato anche l'elevato numero di Stati membri non allineato ai contenuti della decisione-quadro in specie per non aver «introdotto nella loro legislazione gli elementi quantitativi e/o di danno alla salute», di adottare un criterio meramente formale quale indice basilare di riavvicinamento delle previsioni statuali, lanciando nondimeno nelle conclusioni il chiaro monito a termini del quale un'uniformita' di facciata, perche' non ossequiante delle previsioni di merito, pregiudica l'efficacia della politica dell'Unione europea nella lotta contro il narcotraffico. Par chiaro che il portato di valutazioni politiche della Commissione a proposito del mancato promuovimento di procedure di infrazione, tanto piu' stante la sottolineatura della mancanza di dati circa l'«applicazione pratica» delle «normative nazionali trasmesse», non puo' soverchiare la logica, condivisibile o meno, delle analisi giuridiche. Ne', come dicevasi, il comportamento dell'Italia puo' essere riguardato solo nella sua dimensione statica, in relazione a quanto odiernamente prevede la disciplina in materia di sostanze stupefacenti, giacche' il fatto stesso di intervenire a modifica di una disciplina originariamente conforme alla decisione-quadro per disallinearla dalle sue previsioni, viepiu' senza congrua motivazione sul punto, costituisce un elemento di rottura della lealta' cui improntare, in un'ottica di collaborazione e non di contrapposizione, i rapporti con l'Unione europea. Facendo ora il punto della situazione, lo scrivente Giudice e' consapevole che il Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1° dicembre del 2009, ma recepito in Italia gia' con la legge 2 agosto 2008, n. 130) ha abolito la struttura dell'Unione europea in pilastri, estendendo il metodo comunitario al settore della cooperazione giudiziaria in materia penale e prevedendo che le competenze di armonizzazione in tale materia siano esercitate mediante direttive, da adottare secondo la procedura legislativa ordinaria, dotate, esse si, di effetto diretto ex articoli 82 e seguenti TUE; ma allo stesso tempo e' consapevole che, in assenza di un atto espresso di «sostituzione» della decisione-quadro che ne occupa ad opera di una direttiva (come invece e' avvenuto, ad esempio, con la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che ha sostituito la decisione-quadro n. 2004/68/GAI del Consiglio del 22 dicembre 2003 in materia), detta decisione-quadro mantiene intatte le caratteristiche che aveva prima della caducazione dei pilastri. Ne' per vero lo stallo cosi venutosi a determinare giova, non solo alla causa dell'effettiva armonizzazione, ma soprattutto alla posizione dei singoli: e' infatti di per se' censurabile che le posizioni soggettive conferite ai singoli nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale godano di una tutela diversa, nelle declinazioni dell'invocabilita' diretta davanti al Giudice nazionale in confronto del mero obbligo di interpretazione conforme, a seconda che il contenuto dello strumento che le prevede sia stato trasfuso, o meno, in una direttiva. Ad ogni buon conto, rebus sic stantibus, lo scrivente Giudice si vede costretto ad investire della questione codesta Ecc.ma Corte, con richiesta alla stessa di dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 73 e per estensione 13 e 14, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione al preliminare contrasto con l'art. 4, numero 2, lettera b), prima parte, d.q. A tal fine richiama l'insegnamento proprio di codesta Ecc.ma Corte a termini del quale sussiste il potere-dovere del Giudice di sollevare questione di legittimita' costituzionale, nei termini proposti, in caso di contrasto con norme comunitarie prive di effetto diretto, essendo queste ultime inidonee a sottrarre alla fonte statuale il suo valore e la sua efficacia e, quindi, di riflesso, a consentire al Giudice medesimo, quale Giudice di uno Stato membro che si veste delle potesta' di Giudice dell'Unione europea in una dimensione diffusa della giurisdizione europea, l'esercizio del potere-dovere di disapplicazione del diritto interno incompatibile (in argomento, sia consentito di richiamare, lungo un ideale filo conduttore che si avvita in una linea interpretativa costante sin dalla meta' degli anni ottanta del secolo scorso, le celeberrime sentenze n. 170 del 1984, n. 284 del 2007, n. 28 del 2010 e, da ultimo, proprio in relazione alle decisioni-quadro, n. 227 del 2010). Piu' particolarmente, nel caso di specie, il contrasto oggetto di denunzia non pare sanabile in via interpretativa, a fronte dell'impossibilita' per il Giudice di determinare una cornice edittale, per le fattispecie involgenti le droghe leggere, al di la' (rectius, al di sotto) dei limiti fissati dall'art. 73, commi 1 ed 1-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Di cio' tiene conto anche la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea laddove afferma che in ogni caso l'obbligo di interpretazione conforme gravante sul Giudice nazionale incontra i limiti derivanti dai principi generali del diritto e non puo' pertanto servire da fondamento per un'interpretazione contra legem del diritto dello Stato membro (cfr., in relazione all'obbligo di interpretazione conforme alle direttive, CG, 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis, punto 13; 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler e a., punto 110; 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact, punto 100; in relazione all'obbligo di interpretazione conforme alle decisioni-quadro, CG, 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, cit., punti 44 e 47). Il punto e' centrale nel diritto penale perche', tra i principi generali del diritto riguardanti le pene, si annovera il monopolio assoluto, o tendenzialmente assoluto, riconosciuto al potere legislativo nella previsione e nella determinazione della pena. Detto monopolio, specialmente in un ordinamento di civil law come quello italiano, si traduce nell'impellente cogenza del principio di stretta legalita' delle pene. Ne' pare condivisibile il suggerimento di risolvere il conflitto riconducendo le fattispecie di reato inerenti le droghe leggere alle ipotesi di minore gravita' di cui all'art. 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990: invero l'espressione «qualita' della sostanza» di cui al comma 5 e' da interpretare - ed e' interpretata anzitutto dalla giurisprudenza di legittimita' - nel senso del richiamo al grado di raffinatezza e non nel senso del richiamo alla natura pesante o leggera della droga in questione. Inoltre, nel caso di una condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 73, commi 1 ed 1-bis, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 avente ad oggetto una droga leggera, i fatti non per cio' solo sono automaticamente di lieve entita', concorrendo altri elementi di valutazione, tra cui in particolare «la modalita' e le circostanze dell'azione» e la «quantita' delle sostanze». Ne' pare di poco momento il rilievo, di per se' assorbente, a termini del quale la cornice edittale unica di cui all'attuale comma 5 appiattisce il trattamento sanzionatorio dei fatti di reato relativi alle droghe leggere su quello gia' previsto, in specie per la pena detentiva, dal previgente comma 5 per i fatti di reato relativi alle droghe pesanti, cosi' replicando, pur nella previsione attenuata, la vulnerazione della proporzionalita'. Ritenuto il contrasto, e' bensi' vero che lo scrivente Giudice avrebbe potuto sollevare una questione interpretativa dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea al fine di ottenere risposta alla domanda se il diritto dell'Unione europea osti o non osti ad una disciplina, che, come quella italiana, equipara le sanzioni penali delle condotte relative alle droghe leggere alle sanzioni penali delle condotte relative alle droghe pesanti. Tuttavia la correlativa sentenza avrebbe potuto dispiegare un effetto circoscritto, siccome meramente allocutorio: proprio a causa della mancanza di efficacia diretta della decisione-quadro, infatti, detta Corte e' abilitata solamente ad indicare al Giudice nazionale la strada - tuttavia, come gia' detto, impercorribile per il verticale contrasto con il principio di legalita' - dell'interpretazione conforme. Per conseguenza il suo dictum, in ipotesi persino favorevole alla posizione degli imputati, giammai avrebbe potuto riversarsi nel procedimento penale pendente nei loro confronti, se non attraverso la successiva denunzia di illegittimita' costituzionale delle disposizioni incompatibili. Diversamente, codesta Ecc.ma Corte, in quanto organo giurisdizionale abilitato a - e per certi versi financo onerato di - elevare questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 TUE, anche in occasione della trattazione di questioni di illegittimita' costituzionale sollevate in via incidentale, giusta l'ord. n. 207 del 2012, potrebbe - e, in quanto giurisdizione avverso le cui decisioni non e' possibile proporre gravame di diritto interno, fors'anche dovrebbe - determinarsi ad un tale rinvio, qualora ritenga necessario ottenere chiarimenti sull'interpretazione della nozione di effettivita', proporzionalita' e dissuasivita' della pena ai sensi dell'articolo 4, paragrafi 1 e 2, d.q., ottenendo per l'effetto precisazioni sui confini delle competenze dell'Unione europea in materia di diritto penale degli stupefacenti e sui vincoli di riflesso ridondanti sul legislatore nazionale. Resta un ultimo argomento, per completezza, da affrontare. Secondo una linea di pensiero, emersa nella giurisprudenza di merito, la questione di legittimita' costituzionale che ne occupa sarebbe inammissibile perche' la reviviscenza della disciplina previgente determinerebbe la rinnovata applicazione di un trattamento sanzionatorio deteriore con riferimento alle ipotesi di reato in allora previste dall'art. 73, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 ed eliminerebbe il collima 5-bis che introduce la possibilita' di sostituzione della pena con quella dei lavori di pubblica utilita' (G.U.P. Rieti, Giud. Fanelli, ord. 13 giugno 2013, imp. Zara, inedita). Par di potersi affermare che l'argomento e' suggestivo, ma non probante. Tenuto conto che l'effetto della novella e', dal punto di vista logico, duplice, avendo essa abrogato la disciplina previgente pero' nel contempo sostituendola con l'attuale, come emerge chiarissimamente dalla motivazione e dal dispositivo dell'ord. 9 maggio 2013 del Supremo Consesso, l'incidente di costituzionalita' concerne solo le droghe leggere, in rapporto all'equiparazione delle quali alle droghe pesanti tutti i ragionamenti esposti si impuntano. Di conseguenza, un'eventuale dichiarazione di illegittimita' costituzionale della novella in parte qua determinerebbe bensi' la reviviscenza della disciplina previgente, ma solo con riguardo a quel segmento di essa dedicata alle droghe leggere e, quindi, solo con riguardo all'art. 73, in allora comma 4 e, per quanto di' ragione, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva nei termini indicati ed argomentati nella parte motiva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, nella parte in cui ha modificato l'art. 73 del testo unico sulla sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella parte in cui, sostituendo i commi 1 e 4 dell'art. 73, parifica ai fini sanzionatori le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV a quelle di cui alle tabelle I e III previste dal previgente art. 14 e conseguentemente eleva le sanzioni per le prime dalla pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164 ad euro 77.468 alla pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da curo 26.000 a curo 260.000, nonche', per estensione, dell'art. 4-vicies-ter, comma 2, lettera a), e comma 3, lettera a), numero 6), del medesimo decreto-legge, nella parte in cui sostituisce gli artioli 13 e 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, unificando le tabelle che identificano le sostanze stupefacenti, ed in particolare includendo la cannabis ed i suoi prodotti nella prima di tali tabelle, per denunciato contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost.: in via principale, sotto il profilo della estraneita' delle norme inserite dalla legge di conversione all'oggetto, alle finalita' ed alla ratio del decreto-legge; in via subordinata, sotto il profilo della carenza del presupposto del caso straordinario di necessita' e urgenza; in via ulteriormente subordinata, per vulnerazione delle prerogative del Presidente della Repubblica in punto di esercizio del potere di rinvio; Nonche', ulteriormente e concorrentemente, previo, se del caso, promuovimento, da parte di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, quale organo giurisdizionale avverso le cui decisione non possibile proporre gravame di diritto interno, di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'art. 267 TUE, con gli articoli 11 e 117, comma 1, Cost.: in via principale, sotto il profilo del preliminare contrasto con le previsioni dell'art. 4, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera b), prima parte, della decisione-quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio del 25 ottobre 2004, in relazione alla necessita' del rispetto dei criteri di «effettivita', proporzionalita' e dissuasivita'» della pena, con conseguente necessita' di graduazione della pena quando «il reato o implica la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato gravi danni alla salute di piu' persone»; in via subordinata, sotto il profilo del preliminare contrasto con il principio di proporzionalita' della pena codificato nell'art. 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, avente «lo stesso valore giuridico dei trattati» ai sensi dell'art. 6, comma 1, TUE; in via ulteriormente subordinata, sotto il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. tra gli Stati membri e l'Unione europea codificato nell'art. 4, comma 3, TUE, per avere l'Italia, con la legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, innovato la previgente disciplina penale delle sostanze stupefacenti, conforme all'art. 4, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera h), prima parte, della decisione-quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio del 25 ottobre 2004, rendendola difforme dal predetto articolo, in pendenza del termine di recepimento della decisione-quadro; Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Dispone che, a cura della Cancelleria: gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale; la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Coniglio dei ministri; la presente ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento, dando atto che la comunicazione in udienza al Pubblico ministero ed ai difensori equivale, per loro, a notificazione. Milano, 28 novembre 2013 Il Giudice dell'udienza preliminare: Salemme