N. 15 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 novembre 2013
Ordinanza del 22 novembre 2013 emessa dal Tribunale di Imperia nel procedimento penale a carico di G.F.. Reati e pene - Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive - Ipotesi di sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Individuazione del valore giornaliero al quale puo' essere assoggettato l'imputato - Criteri di computo - Denunciata eccessiva onerosita' del coefficiente di ragguaglio previsto - Mancata previsione che "il computo ha luogo calcolando euro 97, o frazione di euro 97, per un giorno di pena detentiva" - Disparita' di trattamento tra l'imputato al quale sia comminata direttamente una pena pecuniaria e l'imputato al quale sia comminata una pena detentiva sostituita - Contraddittorieta' rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore nonche' rispetto al contesto normativo - Violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita' della pena. - Codice penale, art. 135, come modificato dall'art. 3, comma 62, della legge 15 luglio 2009, n. 94, limitatamente al richiamo operato dall'art. 53, comma secondo, della legge 24 novembre 1981, n. 689. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.9 del 19-2-2014 )
IL TRIBUNALE DI IMPERIA Letti gli atti dei procedimenti riuniti indicati in epigrafe nei confronti di G.F., nato ad Imperia il 21 luglio 1987, difeso di fiducia dall'Avvocato Carlo Fossati del Foro di Imperia, all'udienza del 22 novembre 2013 ha pronunciato la seguente, ordinanza. 1. La questione che si sottopone al giudizio della Corte. Norma oggetto di giudizio. Rilevanza. Con decreto in data 1° luglio 2010 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Imperia ha disposto la citazione a giudizio di G.F. per rispondere del reato di cui all'art. 186 comma 2 lett. b) C.d.S. per avere condotto la moto Honda tg. CG 37059 in stato di ebbrezza alcolica, con un tasso alcolemico accertato pari a 1,63 gr/l. All'udienza del 18 aprile 2011 il difensore, munito di procura speciale, ha chiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei seguenti termini previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pena base 3 mesi di arresto ed € 1.500 di ammenda, ridotta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche a 2 mesi ed € 1.000, ridotta per il rito ad 1 mese e 10 giorni di arresto ed € 800 di ammenda, con sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, con ragguaglio pari ad € 100 (quale "frazione di euro 250" ai sensi dell'art. 135 c.p.) per ogni giorno di pena detentiva, e ritenendo equa la suddetta frazione pari ad € 100 in funzione dei modesti redditi dell'imputato; e cosi' con l'applicazione della pena finale pari ad euro 4.800 [(100 x 40) + 800] di ammenda. Il Pubblico Ministero ha prestato il consenso. Il Giudice alla successiva udienza del 9 maggio 2011 ha rigettato l'istanza di applicazione della pena, dichiarando di "non accettare la conversione della pena frazionata pecuniaria cosi' come indicata nell'istanza". A seguito dell'incompatibilita' del Giudice che aveva rigettato la richiesta di applicazione della pena, il procedimento e' stato assegnato allo scrivente giudicante. Alla successiva udienza il legale dell'imputato ha insistito nell'istanza di patteggiamento gia' formulata, il Giudice ha disposto un rinvio e, dopo un ulteriore rinvio per consentire al difensore di conferire con il cliente, la Difesa ha presentato nuova istanza di applicazione della pena, con la medesima previsione quanto all'entita' della pena, ma con richiesta di sostituzione della pena mediante ragguaglio pari ad euro 250 per ogni giorno di pena detentiva e quindi con una pena finale di euro 10.800 [(250 x 40) + 800] di ammenda, da pagarsi a rate. Lo scrivente Giudice ha rinviato per esaminare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 135 c.p. ed all'odierna udienza ha emesso la presente ordinanza. Cio' premesso, questo Giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 135 cpv, c.p. come modificato dall'art. 3 comma 6 legge 15 luglio 2009, n. 94. Tale disposizione, cosi' modificata, prevede che: "Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per giorno di pena detentiva". La disposizione comporta cosi', dopo 16 anni dalla precedente modifica, un aumento del criterio di ragguaglio da £. 75.000 (poi arrotondati ad euro 38 con l'avvento dell'Euro) ad euro 250, pari a circa 6 volte e mezzo del precedente valore. Ritiene questo Giudice che la norma sia in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione (il primo evocato non solo e non tanto sotto il profilo della disparita' di trattamento quanto sotto quello della ragionevolezza); infatti detta disposizione, come modificata, configura, innanzitutto, un aumento del tutto sproporzionato ed irragionevole, contrario - ad una lettura attenta - con le finalita' della norma stessa e della legislazione intervenuta negli ultimi anni, in cui la norma e' andata ad inserirsi; in tal modo, comporta inoltre, tramite il ragguaglio, una pena pecuniaria irragionevolmente eccessiva, in contrasto con il principio di proporzionalita' della pena, garantito dall'art. 27 della Costituzione. In punto rilevanza, e' sufficiente osservare che nel presente giudizio, stante la richiesta difensiva di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria, occorre applicare l'art. 135 c.p. pervenendo ad una sanzione pecuniaria che appare appunto - come accennato e per quanto si dira' oltre - sproporzionata rispetto al disvalore del fatto ed irragionevole rispetto alle finalita' della norma che ha aggiornato il criterio di ragguaglio. Occorre precisare che non e' in alcun modo praticabile l'interpretazione proposta in un primo momento dalla Difesa dell'imputato ed avvallata dal Pubblico Ministero secondo cui, prevedendo la norma che il computo avvenga calcolando per ogni giorno di pena detentiva "euro 250 o frazione di euro 250", possa essere procedersi al ragguaglio sostituendo ad ogni giorno di arresto l'ammenda pari ad euro 100, intesa quest'ultima quale "frazione di 250": infatti, quando occorre convertire (o sostituire) una pena detentiva in pena pecuniaria, non c'e' necessita' di ricorrere ad alcuna frazione; tale necessita' si presenta invece nel caso opposto (ed e' per tale motivo che l'art. 135 contiene la previsione «frazione di ...»), giacche' la pena pecuniaria comminata ben puo' non essere pari all'importo previsto per il ragguaglio (ieri euro 38, oggi euro 250) o ad un suo multiplo, cosicche' in presenza di una pena pecuniaria comminata pari ad esempio ad euro 350, per la stessa dovra' essere computata una pena detentiva (secondo la norma oggi vigente) di 2 giorni. Una diversa interpretazione (mai proposta da alcuno prima d'ora e significativamente avanzata proprio oggi in virtu' dell'evidente sproporzione tra disvalore del fatto e la pena pecuniaria determinata in caso di conversione) comporterebbe d'altra parte un inaccettabile vulnus al principio di tassativita', lasciando al Giudice il potere di sostituire ogni giorno di pena detentiva con qualsiasi frazione di € 250, e quindi anche - in ipotesi - con 1 solo Euro, di pena pecuniaria. E d'altra parte tale interpretazione e' esclusa testualmente, per il caso di specie, dall'art. 53 comma 2 legge n. 689/81, secondo cui il Giudice deve individuare il valore giornaliero di pena pecuniaria, tenuto conto delle condizioni economiche dell'imputato, valore che "non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non puo' superare di dieci volte tale ammontare". Il valore di cui all'art. 135 c.p. - oggi e 250 - costituisce quindi l'importo giornaliero minimo sotto il quale non si puo' scendere per operare la sostituzione. Ma e' assai indicativo che Accusa e Difesa abbiano sentito la necessita' di scendere al di sotto di tale soglia (sul punto si tornera' alla fine del § 3.1). 2. Le finalita' dell'art. 6 legge n. 94/2009. L'intervento del Legislatore penale del 2009 ha rappresentato solo l'ultima delle modifiche che la norma originaria ha subito al fine di rendere costantemente adeguata l'entita' della pena pecuniaria alla realta' economico-sociale, tanto da conservarne intatta la portata retributiva e detenente. Il coefficiente di ragguaglio e' stato interessato, nel tempo, da modifiche legislative avvenute a cadenza dilazionata nel tempo: per fermarsi all'ultimo trentennio, per rispondere a identiche esigenze di attualizzazione, si registrano gli interventi della legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha portato il tasso di conversione a 25.000 lire, ed in seguito, il primo incremento "corposo" operato triplicando tale cifra ad opera della legge 5 ottobre 1993 n. 402. Il valore di 75.000 lire cosi' ottenuto venne poi convertito - con arrotondamento - in curo quasi dieci anni dopo, nella misura di 38 euro o frazione per giorno di detenzione. Cio' che oggi viene in discussione e' la costituzionalita' dell'odierno tasso di conversione, che, a distanza di quasi 16 anni dall'ultimo intervento di adeguamento (legge n. 402/93 da ultimo richiamata), ha comportato un aumento delle pene pecuniarie all'esito della conversione o sostituzione pari a circa 6 volte e mezzo in termini nominali e - cio' che importa e che qui si censura - a quasi 5 volte in termini reali (ovvero depurando l'aumento dalla svalutazione). Occorre chiedersi se tale aumento cosi' considerevole sia frutto di un preciso disegno legislativo, sorretto da una specifica ratio; o se, al contrario, sia irragionevole in relazione alle stesse finalita' della legge 94/2009 ed in contrasto con la ratio della normativa preesistente, in particolare dell'art. 4 comma 1 lett. a) legge 12 giugno 2003 n. 134 (che, modificando l'art. 53 legge n. 689/81, ha tra l'altro innalzato da 3 a 6 mesi il limite entro il quale la pena detentiva puo' essere sostituita con la pena pecuniaria). Obiettivo dichiarato dell'art. 3 comma da 60 a 65 legge 15 luglio 2009, n. 94 e' quello di rafforzare la portata detenente della pena pecuniaria. Riprendendo e facendo proprie le considerazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2012 (intervenuta in materia di conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del condannato in liberta' controllata), si osserva che "La recente modifica dell'art. 135 cod pen. si colloca, infatti, nell'ambito del piu' ampio intervento di adeguamento al mutato quadro economico del sistema delle sanzioni pecuniarie, sia penali che amministrative, operato dalla legge n. 94 del 2009, in coerenza con il suo obiettivo generale di potenziamento del sistema repressivo penale. In questa prospettiva, il legislatore ha ritenuto, in particolare, necessario assicurare una maggiore incisivita' della pena pecuniaria, tenuto conto anche della notevole svalutazione monetaria intervenuta rispetto all'ultimo adeguamento risalente alla legge n. 689 del 1981. L'obiettivo e' stato perseguito mediante tre ordini di interventi: il sensibile innalzamento dei limiti minimi e massimi della multa e dell'ammenda, stabiliti dagli articoli 24 e 26 cod. pen. (art. 3, commi 60 e 61, della legge n. 94 del 2009); l'aggiornamento - appunto - del parametro di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, previsto dall'art. 135 cod. pen. (art. 3, comma 62); infine, la delega al Governo ad adottare uno o piu' decreti legislativi, diretti a rivalutare l'ammontare delle multe, delle ammende e delle sanzioni amministrative originariamente previste come sanzioni penali (art. 3, comma 65)". Cio' che emerge ad una lettura attenta dell'art. 3 (nei comma che interessano), dei relativi lavori preparatori e della stessa interpretazione data dalla Corte, e' che a ben vedere l'obiettivo principale del legislatore e' quello di un mero "adeguamento" o "aggiornamento" delle pene pecuniarie, in considerazione del mutato valore dell'Euro in virtu' della svalutazione monetaria, obiettivo che viene raggiunto aumentando l'importo in termini nominali delle sanzioni; ed in tale ottica - in parte - si parla di "potenziamento" del sistema penale, giacche' mantenere immutate tali pene, con l'erosione del valore della moneta determinato dalla svalutazione, ne comporta un "depotenziamento". Accanto a tale obiettivo si affianca quello di un sensibile ed obiettivo inasprimento delle stesse pene, considerate dal legislatore troppo lievi (anche dopo l'aggiornamento ISTAT), ottenuto aumentando l'importo delle sanzioni non solo in termini nominali, ma anche in termini reali (ovvero, come detto, al netto della rivalutazione). Ma - appunto - tale aumento (sempre da una lettura complessiva del sistema, e ferma restando la liberta' del legislatore di prevedere consapevolmente un maggiore inasprimento) deve essere sensibile e non sproporzionato. Per meglio comprendere quale sia l'inasprimento delle sanzioni pecuniarie realmente voluto dal legislatore del 2009 e' sufficiente analizzare il comma 65, relativo alla rivalutazione (tale definita letteralmente) delle sanzioni pecuniarie, attuata con lo strumento della delega legislativa al Governo: "Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Governo e' delegato ad adottare uno o piu' decreti legislativi diretti a rivalutare l'ammontare delle multe, delle ammende e delle sanzioni amministrative originariamente previste come sanzioni penali, attualmente vigenti", rivalutazione da operarsi "Fermi restando i limiti minimi e massimi delle multe e delle ammende previsti dal codice penale, nonche' quelli previsti per le sanzioni amministrative dall'articolo 10 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (...) nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore anteriormente al 24 novembre 1981, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 6 e non superiore a 10". Fermando per un attimo l'analisi alla lettera a) (sanzioni definite ante 24 novembre 1981), e tenuto conto che il legislatore delegante impone di tenere conto - nella scelta tra i coefficienti tra 6 e 10 - della variazione dell'indice dei prezzi al consumo, appare evidente che l'indice dovra' essere pali a 6 per le sanzioni stabilite in epoca prossima al novembre 1981 e via via ad aumentare fino ad un massimo di 10 per sanzioni definite in epoca anteriore. Una sanzione fissata a 1.000 il 1 novembre 1981 dovra' quindi essere moltiplicata per 6 e portata quindi a 6.000. Ora, la variazione percentuale dell'indice dei prezzi al consumo dal novembre 1981 al luglio 2009 (data di emanazione della legge n. 94/09) e' pari al 245,1 %; cio' significa che un valore di 1.000 nel novembre 1981 corrisponde ad un valore di 3.451 nel luglio 2009 e che essendo la sanzione innalzata a 6.000 (anziche' a 3.451), l'aumento in termini reali (e quindi l'effettivo inasprimento) delle sanzioni fissate in epoca prossima al novembre 1981 e' pari al 73,86%, ovvero a circa tre quarti. Proseguendo, il comma 65 dell'art. 3 prevede i seguenti principi e criteri direttivi: "b) le pene pecuniarie, il cui attuale ammontare sia stato stabilito con una disposizione entrata in vigore successivamente al 24 novembre 1981 e prima del 31 dicembre 1986, ad eccezione delle leggi in materia di imposte dirette e di tasse ed imposte indirette sugli affari, sono moltiplicate, tenuto conto della serie storica degli indici di aumento dei prezzi al consumo, per un coefficiente non inferiore a 3 e non superiore a 6; c) (...) con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1986 e prima del 31 dicembre 1991, ad eccezione delle leggi ecc. (...) per un coefficiente non inferiore a 2 e non superiore a 3; d) (...) con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1991 e prima del 31 dicembre 1996 (..) per un coefficiente non inferiore a 1,50 e non superiore a 2; e) con una disposizione entrata in vigore successivamente al 31 dicembre 1996 e prima del 31 dicembre 2001 (...) per un coefficiente non inferiore a 1,30 e non superiore a 1,50". Applicando gli stessi principi di cui sopra, una sanzione fissata in epoca di poco successiva al novembre 1981 dovra' essere (cosi come quella in epoca di poco anteriore) moltiplicata per 6 e via via a diminuire fino alle sanzioni fissate in epoca vicina al dicembre 1986, da moltiplicarsi per 3. E cosi' via. Sviluppando il conseguente calcolo alla luce dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo di operai ed impiegati, si evince quanto segue: (lettera b) dal dicembre 1986 al luglio 2009 la variazione percentuale e' pari al 111,3 % (1.000 nel dicembre '86 equivale a 2.113 nel luglio '09), mentre la sanzione viene elevata a 3.000, con un aumento in termini reali del 41,98%, ovvero di meno della meta'. (lettera c) dal dicembre 1991 al luglio 2009 la variazione percentuale e' pari al 58,7 % (1.000 nel dicembre '91 equivale a 1.587 nel luglio '09), mentre la sanzione viene elevata a 2.000, con un aumento in termini reali del 26,02%, ovvero di circa un quarto. (lettera d) dal dicembre 1996 al luglio 2009 la variazione percentuale e' pari al 29 % (1.000 equivale a 1.290), mentre la sanzione viene elevata a 1.500, con un aumento in termini reali del 16,28%. infine (lettera c), dal dicembre 2001 al luglio 2009 la variazione percentuale e' pari al 16,6 % (1.000 equivale a 1.166), mentre la sanzione viene elevata a 1.300, con un aumento in termini reali dell'11,49%. Sinteticamente, puo' pertanto dirsi che il legislatore, al di la' dell'adeguamento voluto a causa della svalutazione monetaria, ha inteso inasprire realmente le pene pecuniarie, in misura maggiore per quelle piu' risalenti e in misura minore per quelle piu' recenti, aumentandole, sempre in termini reali, secondo un coefficiente (ovvero un moltiplicatore) che va da un minimo del 1,1149 ad un massimo del 1,7386. Non emerge in alcun modo un intendimento del legislatore di inasprire in misura maggiore le pene pecuniarie applicate attraverso lo strumento della sostituzione di pene detentive brevi ai sensi dell'art. 53 legge n. 689/81 rispetto a quelle invece comminate direttamente dal Giudice. Ci si sarebbe aspettato, allora, che anche il coefficiente di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p. venisse aumentato in modo da comportare - appunto - un aumento analogo. 3. Analisi della norma sottoposta al vaglio della Corte. Sua irragionevolezza. Al contrario, dall'ottobre 1993 (1) al luglio 2009 l'aumento percentuale e' del 46,3%; nel 2009 l'equivalente di £. 75.000 e' quindi L. 109.725, pari ad euro 55,60, La pena pecuniaria corrispondente ad un giorno viene invece elevata ad Euro 250, ovvero quasi quintuplicata, con un aumento in termini reali del 349,64% (moltiplicatore 4,4964). Ora, pur non potendosi escludere, in astratto - come piu' volte precisato - che il legislatore possa ragionevolmente operare una notevole differenziazione tra pene pecuniarie comminate in sostituzione di pene detentive mediante il criterio di ragguaglio e pene pecuniarie comminate direttamente, cio' e' da escludere nel caso di specie in assenza di una chiara scelta innovativa in tal senso. E se e' cosi, se realmente l'intenzione del legislatore fosse stata quella di inasprire cosi' fortemente le pene pecuniarie, quasi quintuplicandole, avrebbe parimenti quasi quintuplicato anche le sanzioni pecuniarie comminate direttamente. Ne' elementi di segno diverso sull'intenzione e sul disegno del legislatore si traggono dal terzo intervento volto all'adeguamento delle pene pecuniarie, ovvero l'innalzamento dei limiti edittali degli artt. 24 e 26 c.p., decuplicati nel minimo e nel massimo (2) . Quanto ai limiti minimi edittali, gli stessi erano fissati ormai in misura praticamente non piu' che simbolica (e 2 ed 5) ed i nuovi limiti (E 20 ed 50) sono obiettivamente adeguati per una sanzione penale e non tali da avere alcun effetto diroppente sul sistema (come invece ha - si vedra' meglio oltre - il criterio di ragguaglio in argomento). Nessun effetto diroppente hanno neanche i limiti massimi, se si considera che il limite massimo e' nella quasi totalita' dei casi fissato dalla singola norma incriminatrice e che tali massimi hanno solo la funzione di limite - si scusi il bisticcio - agli aumenti oggetto della delega legislativa (3) . 3.1 (Segue) Contrasto del nuovo criterio di ragguaglio con la normativa preesistente e con le generali finalita' deflattive perseguite dal legislatore. Non si trovano parole migliori, in merito, di quelle della Relazione dell'Ufficio massimario della Suprema Corte di Cassazione, che, investita del vaglio dell'intera legge (4) , ha soffermato la propria attenzione anche sul profilo riguardante l'art. 135 del codice penale. Uno stralcio di tale intervento si riporta e si fa interamente proprio (le sottolineature sono di questo giudicante). La Cassazione rileva preliminarmente che la rivalutazione dell'entita' delle sanzioni penali come quello di adeguamento del panorama delle pene pecuniarie al mutato quadro economico fosse "Intervento che periodicamente si rende necessario per garantirne la funzione a fronte dell'usura cui il tempo le sottopone per la progressiva svalutazione dei valori monetari che le caratterizzano e che il legislatore non provvedeva ad effettuare da esattamente vent'anni, atteso che l'ultimo intervento organico in proposito risale alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (l'importo, per il ragguaglio con le pene detentive, di lire 75.000 e' stato, poi, introdotto, nell'art. 135 cod. pen., in sostituzione di quello in precedenza previsto di lire 25.000, dalla legge 5 ottobre 1993, n. 402). L'intervento in questione e', dunque, in qualche modo fisiologico ed indubbiamente opportuno, atteso com'e' sin dall'avvento della moneta unica europea". La Corte esprime poi perplessita' proprio in relazione all'impatto del nuovo coefficiente di ragguaglio sull'applicazione dell'art. 53 della legge n. 689/81: "Infine la novella ha provveduto altresi' a rivalutare anche il coefficiente di ragguaglio tra pene detentive e pene pecuniarie di cui all'art. 135 cod. pen., portando il "tasso" di conversione, attualmente fissato in euro 38,72, fino alla soglia dei 250 euro. Sul piano pratico, quest'aumento di oltre sei volte del valore di cambio comporta innanzi tutto un significativo aumento dei costi della conversione delle pene detentive brevi ai sensi dell'art. 53 legge n. 689 del 1981, istituto dalla cui applicazione rischiano dunque di essere definitivamente espulsi i cittadini meno abbienti, nonostante nel 2003 il legislatore ne avesse promosso una piu' massiccia applicazione aumentando il limite massimo di pena detentiva sostituibile da tre a sei mesi. Infatti, se fino ad oggi tre mesi di reclusione, ad esempio, venivano convertiti 3.420 euro di multa, dopo la novella la medesima operazione di conversione verra' a costare all'imputato ben 22.500 euro. Ed in tal senso la rivalutazione del coefficiente di ragguaglio rischia di incidere sull'efficienza del procedimento per decreto in tutti quei casi in cui lo stesso viene adottato previa conversione della pena detentiva in pena pecuniaria: infatti e' ragionevole attendersi che il sensibile aumento di quest'ultima faccia registrare una maggior numero di opposizioni. Per converso, la rivalutazione del "tasso di cambio" si traduce in un vantaggio per il condannato nelle ipotesi previste dagli artt. 163 (ai fini della sospensione condizionale della pena) e 175, comma secondo (ai fini del beneficio della non menzione), cod. pen., nonche' dall'art. 735, comma secondo, cod. proc. pen. (per il caso di riconoscimento di sentenze straniere), anche perche', trattandosi di norma piu' favorevole, in tali casi trova applicazione retroattiva." Riprendendo le argomentazioni di cui sopra, si osserva che con il nuovo criterio di ragguaglio anche per un reato - cio' vale in particolare per i delitti - di gravita' modestissima, la pena detentiva minima di 15 giorni dovrebbe essere sostituita con la pena pecuniaria di € 3.750, somma che se non esorbitante e' comunque ragguardevole e sproporzionata alla lievita' del reato. Il procedimento per decreto (quando il reato sia punito con pena detentiva ed occorra quindi effettuare il ragguaglio) diventa difficilmente attuabile, prestandosi assai spesso ad un'inevitabile opposizione anche quando l'imputato non sia intenzionato a sollevare serie contestazioni sulla propria colpevolezza, ma al solo fine di evitare la sostituzione della pena, preferendo magari alla stessa - quando ne ricorrano i presupposti - altri benefici (sostituzione con liberta' controllata, sospensione condizionale, ecc.). La situazione che si determina ad opera dell'intervento riformatore dell'art. 135 cpv. comporta poi una sostanziale abrogazione de facto, dopo soli 6 anni, dell'art. 4 comma l lett. a) legge 134/2003, che aveva innalzato il limite massimo di pena "breve" sostituibile, passato da 3 a 6 mesi. Come sottolineato dalla richiamata relazione della Corte di Cassazione, tale riforma viene svuotata di significato, giacche' una pena di 6 mesi dovrebbe essere sostituita con la pena pecuniaria di € 45.000, somma proibitiva - a fronte del beneficio che se ne otterrebbe - non solo per i non abbienti, ma per la stragrande maggioranza dei cittadini. Tutto cio' appare immotivato anche alla luce dei lavori preparatori che hanno preceduto l'approvazione definitiva della legge: nell'articolato iter parlamentare del disegno di legge, nessun elemento concorre infatti a far trasparire l'intenzione di ottenere gli effetti appena menzionati, che devono pertanto considerarsi una conseguenza non voluta e non calcolata dal legislatore, che ha pertanto emanato una legge del tutto irragionevole ed in contrasto con i suoi stessi intenti, come emergono - ad esempio - dalla modifica dell'art. 53 1. 689/81 da pochi anni approvata. Ed e' d'altra parte assai significativo che nel presente giudizio Difesa e Accusa abbiano sentito la necessita' di proporre una interpretazione del combinato disposto degli artt. 135 c.p. e 53 l. 689/81, interpretazione che, per quanto sopra detto, appare improponibile alla luce del dettato legislativo, ma tale da riportare il coefficiente di ragguaglio nei parametri della ragionevolezza. Deve concludersi che, pur non essendo precluso al legislatore un maggiore inasprimento delle pene pecuniarie all'esito della sostituzione delle pene detentive, purche' si tratti di scelta rispondente a criteri di ragionevolezza, avuto riguardo alle conseguenze del suo innesto nella complessiva disciplina della materia, nei caso in esame l'innegabile squilibrio introdotto dalla riforma non e' ascrivibile a una scelta discrezionale del legislatore, munita di adeguata base giustificativa, ed impedisce di pervenire a una ragionevole ricostruzione del sistema. 4. I parametri costituzionali che si assumono violati. 4.1 Va premesso che, una volta affrancato il principio di ragionevolezza sia dal principio di uguaglianza, sia dalla ricerca del tertium comparationis, la Corte costituzionale ne ha affermato la violazione anche in assenza di una sostanziale disparita' di trattamento tra fattispecie omogenee, allorche' la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorieta' od illogicita' rispetto al contesto normativo preesistente o rispetto alla complessiva finalita' perseguita dal legislatore. Cio' detto, e richiamando tutto quanto sopra esposto, e senza necessita' di argomentare ulteriormente, appare evidente che la norma qui in esame si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., che sancisce il principio di ragionevolezza: a) per la disparita' di trattamento che crea tra l'imputato al quale sia comminata direttamente una pena pecuniaria (per la quale la legge delega prevede nei principi direttivi, come visto, un aumento massimo in termini reali del 73,86%) e l'imputato al quale sia comminata una pena detentiva sostituita (con un aumento, sempre in termini reali, del 349,64%), ovvero semplificando, una pena quasi 5 volte maggiore; b) per contraddittorieta' intrinseca tra la complessiva finalita' perseguita dal legislatore (ovvero un adeguamento delle pene pecuniarie al mutato valore della moneta per effetto della svalutazione ed un sensibile inasprimento delle stesse pene, al netto dell'adeguamento) e la disposizione espressa dalla norma censurata; c) per contraddittorieta' con il contesto normativo in cui la disposizione viene ad inserirsi, limitando fortemente - quale conseguenza non voluta - l'applicazione della sostituzione di cui all'art. 53 legge n. 689/81, applicazione che lo stesso invece lo stesso legislatore aveva da poco inteso agevolare. Approfondendo quanto appena affermato alla lettera b), deve chiarirsi che il nuovo criterio di ragguaglio (e quindi l'art. 135 c.p.) e' sicuramente eccessivo rispetto alle finalita' del legislatore, e pertanto irragionevole, sia quando utilizzato per sostituire una pena detentiva in pecuniaria, sia quando si debba a qualunque effetto, in senso inverso, parametrare la pena pecuniaria in pena detentiva; si pensi, a titolo di esempio, al caso della valutazione della concessione della sospensione condizionale della pena o del beneficio della non menzione, ovvero a quando si debba convertire la pena pecuniaria comminata per violazione dell'ad. 186 C.d.S. in pena detentiva "virtuale" ai fini della sua sostituzione con pari giorni di lavoro di pubblica utilita'. Soffermandoci ad esempio sul lavoro sostitutivo previsto dall'art. 186 comma 9-bis C.d.S., si osserva che, cosi' come nei casi sopra esaminati (applicazione art. 53 legge 689/81) la pena pecuniaria e' eccessivamente elevata, applicando il citato comma 9-bis la pena detentiva sara' eccessivamente lieve, comportando (sempre come effetto non realmente voluto dal legislatore), un numero di giorni di lavoro sostitutivo che e', nella parte in cui questi sono calcolati in sostituzione della pena pecuniaria, pari a meno di un sesto di quanto avveniva precedentemente. In sintesi, quando applicato "in senso opposto" a quanto avviene nel presente giudizio, il coefficiente di ragguaglio introdotto con 1. 94/2009 comporta un non voluto favor per il reo. Ma e' evidente che tale effetto di favor, se puo' essere ritoccato dal legislatore, non puo' essere toccato da una pronuncia della Corte Costituzionale, stante il divieto di declaratoria di incostituzionalita' ife pejus. La questione che si sottopone al vaglio della Corte e' pertanto quella di legittimita' costituzionale dell'art. 135 c.p., nei soli casi in cui il detto criterio di ragguaglio e' utilizzato ai fini dell'applicazione dell'art. 53 1. 698/81, ovvero in altre parole, del combinato disposto degli artt. 135 c.p. e 53 1. 689/81. 4.2 La palese eccessivita' della pena pecuniaria sostituita in applicazione dell'art. 53 cit. si pone inoltre in contrasto con il principio di proporzionalita' della pena, espresso dall'art. 27 Cost., comportando la comminazione di pene pecuniarie sproporzionate alla gravita' del reato. 5. La riconduzione dell'art. 135 c.p. ai canoni di ragionevolezza e proporzionalita' della pena. Una volta appurato che il criterio di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p. e' irragionevole e che, quando utilizzato per sostituire la pena ai sensi dell'art. 53 legge 689/81, comporta la comminazione di pene eccessive, si pone il problema se sia possibile individuare un coefficiente che, entro i limiti del giudizio di costituzionalita' - e quindi senza andare ad interferire con la discrezionalita' del legislatore - possa dirsi "ragionevole". Si e' coscienti, infatti, che la Corte non puo' sostituirsi al legislatore nell'individuare un coefficiente di ragguaglio "adeguato", o "ragionevole". Ed allora, delle due l'una: 1) o e' possibile individuare tale coefficiente adottando un parametro oggettivo evincibile dal sistema, ovvero - ancor meglio - dalla stessa 1. 94/2009; ed allora potra' ritenersi non manifestamente infondata la norma in esame nella parte in cui non prevede detto coefficiente; 2) oppure tale operazione risulta impossibile, ed allora, ferma l'illegittimita' del coefficiente di ragguaglio introdotto dalla legge 94/2009, non potra' che ritenersi la disposizione che ha modificato l'art. 135 c.p. incostituzionale tout court, il tutto, sempre limitatamente al combinato disposto con l'art. 53 comma 2 legge n. 689/81. Ritiene lo scrivente che possa percorrersi la strada sopra indicata sub 1). Un parametro oggettivo si trova infatti nell'art. 3 comma 65 legge n. 94/09, ovvero nella norma di delega sopra analizzata nel dettaglio al § 2. In detta norma troviamo la reale e consapevole intenzione del legislatore, ovvero quello di un inasprimento delle pene pecuniarie in termini reali che va da un minimo dell'11,49% ad un massimo del 73,86%. Dovra' allora ritenersi che violi il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che sia irragionevole (ancora art. 3 Cost.) e che preveda una pena pecuniaria eccessiva (art. 27 Cost.), e che sia come tale incostituzionale, un criterio di ragguaglio che comporti un aumento della pena pecuniaria - sostituita alla pena detentiva -, sempre in termini reali, maggiore del 73,86% rispetto alla disciplina previgente. Tradotto in numeri, considerato: che la disposizione introdotta nel 1993 prevede un coefficiente di ragguaglio di £. 75.000; che l'importo di £. 75.000 (come gia' visto) corrisponde nel luglio 2009 (tradotto in Euro) ad € 55,60; che l'importo di € 55,60, aumentato del 73,86%, porta ad un valore di € 96,66 (arrotondato a 97), tutto cio' considerato sara' incostituzionale per i motivi sopra indicati un criterio di ragguaglio superiore ad € 97, o frazione di 97, per ogni giorno di pena detentiva. Cosi' corretto il criterio di ragguaglio, e' possibile pervenire ad una ragionevole ricostruzione del sistema. La questione, in tali termini, non e' manifestamente infondata e si sottopone pertanto al giudizio della Corte. (1) Come visto, la 5 ottobre 1993 n. 402 aveva infatti elevato a £. 75.000 il criterio di ragguaglio dell'art. 135 c,p. (2) All'art. 24 le parole "non inferiore a euro 5 ne' superiore a euro 5.164" sono state sostituite da "non inferiore a euro 50 ne' superiore a curo 50.000", mentre l'art. 26 reca oggi "non inferiore a euro 20 ne' superiore a euro 10.000", in luogo della precedente formulazione "non inferiore a euro 2 ne' superiore a curo 1.032 ". (3) V. l'art. 3 comma 65 1. 94/09, gia' riportato: "Fermi restando i limiti minimi e massimi delle multe e delle ammende previsti dal codice penale, nonche' quelli previsti per le sanzioni amministrative dall'articolo 10 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la rivalutazione delle sanzioni pecuniarie e' stabilita nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi (...)" (4) Corte di Cassazione, Relazione III/09/09, oggetto: Novita' legislative - Legge 15 luglio 2009 n. 94 - Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, Roma, 27 luglio 2009, consultabile su www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione%20III_09_09.pdf
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e segg. legge n. 87/1953 Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 135 c.p. nella parte in cui - limitatamente al richiamo operato dall'art. 53 comma 2 L 689/81 - non prevede che "il computo ha luogo calcolando € 97, o frazione di € 97, per un giorno di pena detentiva", Sospende il giudizio in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere. Imperia, addi' 22 novembre 2013 Il Giudice: Colamartino