N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 novembre 2013

Ordinanza del 27 novembre 2013 emessa dal G.U.P. del Tribunale per  i
minorenni di Bologna nel procedimento penale a carico di K.A.. 
 
Processo penale - Procedimento  a  carico  di  minorenni  -  Giudizio
  abbreviato instaurato a seguito di giudizio immediato - Competenza,
  secondo l'interpretazione  della  Corte  di  cassazione  assurta  a
  diritto  vivente,  del  giudice  delle  indagini  preliminari   del
  Tribunale per i minorenni  -  Denunciata  composizione  monocratica
  anziche'  collegiale  dell'organo  giudicante  -   Violazione   del
  principio  di  ragionevolezza  -  Disparita'  di  trattamento   tra
  minorenni - Lesione  del  diritto  di  difesa  -  Contrasto  con  i
  principi a tutela dell'infanzia. 
- Codice di procedura penale, art. 458; decreto del Presidente  della
  Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, art. 1, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 31. 
(GU n.10 del 26-2-2014 )
 
                    IL TRIBUNALE PER I MINORENNI 
 
    A  scioglimento  della  riserva  espressa   all'udienza   dell'11
novembre  2013,  sentite  le  parti,  ha  pronunciato   la   seguente
ordinanza, avente ad oggetto: giudizio abbreviato. 
 
                              In fatto 
 
    In data 27 marzo 2012, K.A., nato in Tunisia il  23  marzo  1992,
imputato  detenuto  per  altra  causa,  veniva  tratto  in   giudizio
immediato per i reati di  ricettazione  descritti  in  imputazione  a
seguito di richiesta di giudizio immediato  avanzata  dal  P.M.M.  in
data 27 marzo 2012, accolta dal GIP con apposito decreto del 29 marzo
2012. 
    Il difensore munito di procura speciale richiedeva procedersi con
rito abbreviato, disposto in pari data dal GUP  con  decreto  del  15
maggio 2012 e successivamente  veniva  svolto  il  relativo  giudizio
all'udienza del 12 luglio 2012, conclusosi con sentenza di condanna a
mesi 1 e giorni 10 di reclusione previa  riqualificazione  del  fatto
nel delitto di cui all'art. 647 del codice penale. 
    In data 24  luglio  2012  il  difensore  dell'imputato  proponeva
appello avverso tale sentenza e all'udienza del 21 novembre  2012  la
corte di appello di  Bologna  annullava  per  difetto  di  competenza
funzionale del giudice ai sensi degli articoli 178, comma 1,  lettera
a) e 179 del codice di procedura penale. 
    Avverso tale sentenza, la Procura generale avanzava  ricorso  per
Cassazione in data 7 gennaio 2013 che veniva rigettato dalla  Suprema
Corte in data 12 luglio 2013. 
    Gli atti venivano conseguentemente restituiti al giudice di prime
cure che fissava l'odierna udienza per la rinnovazione del  giudizio,
ove  il  P.M.M.  solleva   eccezione   di   parziale   illegittimita'
costituzionale dell'art. 458 del codice di procedura penale. 
    Questo  giudice  ritiene  di  dovere  rimettere  gli  atti   alla
consulta,  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 458 del codice  di
procedura  penale  e  dell'art.  1,  primo  comma  del  decreto   del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448,  in  relazione
agli articoli 3, 24 e 31 della Costituzione, nella parte in  cui  non
prevedono  l'applicazione   delle   norme   disciplinanti   l'udienza
preliminare  anche  con  riferimento  alla  composizione  dell'organo
giudicante,  alla  luce  del  diritto  vivente  della  Suprema  Corte
(secondo Cass. pen., Sez. IV, 16 settembre 2008, n. 38481: «ai  sensi
dell'art. 458  del  codice  di  procedura  penale  -  norma  generale
applicabile in difetto  di  diversa  previsione  speciale,  ai  sensi
dell'art. 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
22 settembre 1988, n. 448, anche nel  processo  penale  a  carico  di
minorenni  -  la  competenza  a  celebrare  il  giudizio   abbreviato
richiesto dall'imputato dopo la  notifica  del  decreto  di  giudizio
immediato appartiene al giudice per le indagini preliminari»). 
    In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza osserva quanto
segue: 
    1. In  punto  di  rilevanza,  la  questione  e'  da  considerarsi
senz'altro    rilevante.    Dalla    risoluzione    della    quaestio
costituzionale,  difatti,   dipende   la   composizione   dell'organo
giudicante  penale  investito   del   procedimento   (monocratica   o
collegiale) e, pertanto, la stessa validita' della procedura nel  suo
complesso. In punto di non manifesta infondatezza, la  questione  non
si palesa manifestamente infondata per le ragioni che si andranno  di
seguito ad esplicitare. 
    2. Quanto all'oggetto della questione, trattasi dell'art. 458 del
codice di procedura penale e dell'art. 1, primo comma del decreto del
Presidente della Repubblica n. 448/1988, nella parte in cui prevedono
che, nel giudizio minorile, la  composizione  dell'organo  giudicante
sia quella del GIP (monocratica) e non quella  del  tribunale  per  i
minorenni  nella  composizione  collegiale  prevista  per   l'udienza
preliminare. 
    2.1. Sempre  in  punto  di  ammissibilita'  della  questione,  si
ritiene che un'interpretazione adeguatrice delle  norme  sospette  di
incostituzionalita' risulti infruttuosa ed inadeguata alla luce delle
seguenti considerazioni. Il giudice a quo e' onerato di  sperimentare
la cd. interpretatio secundum constitutionem  (Colte  Costituzionale,
ordinanza 10 febbraio 2006, n. 57), sussistendo in capo al rimettente
«la necessita' di motivare  sull'impossibilita'  di  interpretare  la
norma in senso conforme alla  Costituzione»  (cfr.  Corte  Cost.,  19
ottobre 2001, n. 336 in Giur. Costit., 2001, f. 5; Corte Cost.  ord.,
21 novembre 1997, n. 361 in Giur. Costit.,  1997,  fasc.  6).  Questo
onere impone pertanto  al  giudice  di  selezionare,  tra  i  diversi
significati giuridici astrattamente possibili di  una  norma,  quello
che  sia  piu'   conforme   alla   Costituzione.   Il   sospetto   di
illegittimita' costituzionale, infatti, e' legittimo solo allorquando
nessuno  dei  significati  che   e'   possibile   estrapolare   dalla
disposizione    normativa    si    sottragga    alle    censure    di
incostituzionalita' (Corte Cost., 12  marzo  1999,  n.  65  in  Cons.
Stato, 1999, II, 366). 
    E tuttavia, se e' vero che, in linea di principio,  le  leggi  si
dichiarano   incostituzionali   perche'    e'    impossibile    darne
interpretazioni  «secundum  Constitutionem»  e  non  in  quanto   sia
possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche  vero  che
esiste un preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo  salvifico
della norma a livello ermeneutico:  il  giudice  non  puo',  infatti,
«piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale». Ed in  tal  senso,  di  fatto,  vi  sarebbe  il  rischio,
dinnanzi ad una redazione chiara ed inequivoca di una data norma,  di
invadere una competenza che al giudice odierno non  compete,  se  non
altro perche' altri  organi,  nell'impalcatura  Costituzionale  (come
l'adita  Corte  delle  leggi),  sono  deputati  ad  espletare  talune
funzioni   ad   essi   esclusivamente   riservate.    In    sostanza,
l'interpretano secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente,
che l'interpretazione «altra» sia  «possibile»,  cioe',  praticabile:
differentemente, si creerebbe un vulnus  alla  certezza  del  diritto
poiche', anche dinnanzi  a  norme  «chiare»,  ogni  giudicante  adito
potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. 
    Svolte  le  considerazioni  sopra  riportate,  reputa   l'odierno
giudicante  che  il  dato  normativo  non  si   possa   prestare   ad
interpretazioni diverse da quella emergente dalla  mera  lettura  del
testo, se non altro per la interpretazione costante e pacifica  (c.d.
diritto vivente) che ne ha dato finora la Suprema Corte (v.  ad  es.,
Cass. Pen. ,  sez.  VI,  5  febbraio  2009,  n.  14389  «in  tema  di
procedimento a carico di minorenni, la  competenza  per  il  giudizio
abbreviato instaurato a  seguito  di  giudizio  immediato  spetta  al
giudice delle indagini preliminari e non al tribunale per i minorenni
nella composizione prevista per l'udienza  preliminare»;  oltre  alla
conforme decisione del 15 luglio 2013 che ha riguardato  il  presente
procedimento penale). 
    3. Introdotta nel rito la questione sollevata, si ritiene che nel
merito siano diversi i profili sotto i quali l'art. 458 del codice di
procedura penale e l'art. 1 primo comma del  decreto  del  Presidente
della   Repubblica   n.    448/1988    appaiono    sospettabili    di
incostituzionalita'. 
    Va  evidenziato  che,  nel  procedimento  penale   con   imputati
minorenni,  la  delicatezza  della  materia,  la  peculiarita'  delle
posizioni giuridiche e dei rapporti oggetto di  giurisdizione,  hanno
fatto si' che  il  legislatore,  in  piena  armonia  con  i  principi
costituzionali vigenti, garantisse al «fanciullo» un giudice minorile
specializzato, in cui la previsione della componente  collegiale  era
resa necessaria dall'esigenza di integrare l'organo giudicante con il
parere esperto dei giudici laici, tratti  dai  settori  professionali
afferenti alle scienze pedagogiche e psicologiche.  La  scelta  della
specificita' della potestas  iudicandi  e'  stata  presa  dal  nostro
legislatore al fine di tutelare al meglio i  minori  che  si  trovino
coinvolti in una vicenda processuale, in quanto categoria di soggetti
ritenuti meritevoli di tutela peculiare. Si e' trattato di una  presa
di coscienza importantissima derivata  dalla  considerazione  che  la
personalita' del minore e'  in  continua  evoluzione  e  il  processo
educativo fino al raggiungimento della maggiore eta'  non  e'  ancora
ultimato. 
    Questa considerazione  ha  consentito  di  colorare  la  funzione
rieducativa dei minori di tratti specifici in  quanto,  nel  processo
minorile, gia' nella  stessa  fase  processuale  e  ancora  piu'  del
giudizio  e  della  pena,  deve  essere   predisposto   un   progetto
individuale personalizzato volto alla rieducazione del minore. Non  a
caso il decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988  sancisce
espressamente che il processo penale minorile «non deve  interrompere
i processi educativi in atto». 
    Per quanto riguarda i riferimenti costituzionali, l'art. 27 Cost.
che al terzo comma codifica il fondamentale principio della finalita'
rieducativa  della  pena  («Le  pene  non   possono   consistere   in
trattamenti contrari al senso  di  umanita'  e  devono  tendere  alla
rieducazione del condannato»), non menziona espressamente  i  minori.
Tuttavia, sono state le numerose pronunce della Corte  costituzionale
ad evidenziare l'importanza che  tutto  il  sistema  della  giustizia
minorile debba essere improntato in  via  pressoche'  esclusiva  alla
rieducazione, qualificata come «interesse-dovere» dello Stato,  ed  a
cui viene subordinata, addirittura, la stessa pretesa punitiva (cent.
n. 49 del 1973). Ancor piu' esplicita, in tal senso, e'  Corte  Cost.
n. 168 del 1994, ove si chiarisce che la funzione  rieducativa  della
pena  per  i  minorenni  «e'  da  considerarsi,  se  non   esclusiva,
certamente preminente». 
    L'art. 31, comma 2, della Costituzione identifica, tra i  compiti
affidati allo Stato, la protezione della «maternita', l'infanzia e la
gioventu', favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Proteggere
la  gioventu'  nel  contesto   processuale   minorile   si   traduce,
essenzialmente ed ancora una volta, nella necessita' di preservare il
processo educativo in atto nel minore. 
    Da qui la impellente necessita' che a giudicare un minore sia  il
giudice  minorile,  in  composizione  collegiale.   Parafrasando   le
direttive ermeneutiche della Corte costituzionale (ordinanza  n.  330
del  2003,  emessa  nell'ambito  di  un  giudizio   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 110 del regio decreto n.  12/1941  e  2
secondo comma del regio decreto n. 1579/1934) va  ricordato  che  «le
esigenze costituzionali di tutela dei  minori  risultano  soddisfatte
dalla peculiare composizione del tribunale per i  minorenni,  il  cui
collegio e' formato, oltre che  da  due  magistrati  togati,  da  due
cittadini, un uomo e una donna, benemeriti  dell'assistenza  sociale,
scelti fra i cultori di biologia,  di  psichiatria,  di  antropologia
criminale, di pedagogia, di psicologia, nonche' dall'apporto di altri
operatori che  ne  preparano  e  fiancheggiano  l'attivita'  e  dalle
specifiche garanzie e modalita'  procedurali  che  caratterizzano  il
procedimento minorile». 
    Il principio che si trae dalla giurisprudenza  costituzionale  e'
che le norme procedurali previste per il «processo degli adulti»  non
possono essere tout court applicate all'imputato di minore d'eta' (se
non a sacrificio della sua  dignita'  e  della  sua  protezione),  in
quanto il fine ultimo della tutela e della rieducazione del minore va
posto al centro dell'attenzione statale  fin  dal  primo  momento  di
ingresso del soggetto minorenne nel circuito processuale. 
    Il tribunale per  i  minorenni,  come  si  poteva  leggere  nella
«Relazione del Consiglio superiore della  magistratura  per  il  1971
sullo stato della giustizia»,  venne  istituito  proprio  perche'  si
ritenne che il minore, in genere portato al delitto da gravi  carenze
di personalita' dovute a fattori  familiari,  ambientali  e  sociali,
dovesse  essere  valutato  da  giudici  specializzati  che   avessero
strumenti tecnici e  capacita'  personali  particolari  per  vagliare
adeguatamente  la  sua  personalita'  al  fine  di   individuare   il
trattamento rieducativo piu' appropriato. Proprio a conferma di cio',
venne  predisposta  sia  la  particolare   struttura   del   collegio
giudicante  (composto,  accanto  ai  magistrati  togati,  da  esperti
magistrati togati, benemeriti dell'assistenza sociale, scelti  fra  i
cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale,  pedagogia,
psicologia), sia l'affiancamento di altri organi e  professionalita',
quali i servizi sociali, in grado di indirizzare il minore  verso  il
proprio recupero, insieme a tutte le peculiari garanzie che assistono
l'imputato minorenne nell'iter processuale davanti al tribunale per i
minorenni.  L'obiettivo  era  proprio  quello  di  dar  vita  ad  una
magistratura  specializzata  che,  per  competenze,  composizione   e
formazione, fosse  realmente  in  grado  di  porsi  quale  anello  di
congiunzione tra il legislatore e la comunita' civile. 
    La stessa Corte costituzionale aveva cosi' potuto  inquadrare  il
tribunale per i minorenni nell'ambito  di  quella  «protezione  della
gioventu'», che trova fondamento nell'ultimo comma dell'art. 31 Cost.
Il processo minorile, in sostanza, e' diventato il primo luogo ed  il
primo strumento offerto dall'ordinamento ai fini del recupero sociale
del minore, con sottoposizione della pretesa  punitiva  statale  alla
finalita' rieducativa. 
    3.1. Continuando ad attribuire al procedimento ex  art.  458  del
codice di procedura penale una competenza  monocratica  del  GIP,  si
finisce per creare una «sacca» di area grigia nella tutela del minore
durante il processo penale, in cui vengono meno le garanzie  previste
dal decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988 e tutto cio',
peraltro,  a  fronte  di  situazioni  analoghe  (qual  e'   l'udienza
preliminare) in  cui  l'organo  giudicante  e'  e  resta  collegiale.
Attualmente esiste, di fatto, un diverso  approccio  processuale  nei
confronti del minore, basato su due differenti  metri  di  misura,  a
fronte di un unico interesse supremo (la rieducazione e la promozione
del diritto del minore al migliore sviluppo della personalita') e  di
una identica situazione soggettiva. 
    Il momento processuale in cui interviene la richiesta  di  essere
ammesso al giudizio abbreviato (dopo il decreto di giudizio immediato
richiesto dal P.M.M. o in sede di udienza preliminare o, per la messa
alla  prova,  in  sede  dibattimentale)  diventa  fattore   selettivo
rispetto alla possibilita' del minore di  beneficiare  o  meno  della
valutazione degli esperti non togati, garantita in  analogo  rito  ad
altri imputati minorenni. 
    Il  tutto  e'  sicuramente  non  solo  irragionevole,  ma   anche
ampiamente  discriminatorio  e  comunque   viola   le   garanzie   di
specializzazione che il legislatore, in conformita' anche ai principi
sanciti  nelle  principali  Convenzioni  internazionali  (Regole   di
Pechino, Convenzione O.N.U. del  1989  sui  diritti  dell'infanzia  e
dell'adolescenza, Convenzione di Strasburgo),  ha  voluto  assicurare
attraverso le specifiche disposizioni sul processo penale minorile. 
    Da qui, conseguentemente, deriva la violazione dell'art. 3  Cost.
(quanto a uguaglianza e ragionevolezza), dell'art. 31 Cost. (quanto a
tutela del minore) e dell'art. 24 Cost. (quanto a tutela del  diritto
di difesa). 
    Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost., si
da' attualmente luogo ad una ingiustificata disparita' di trattamento
tra i minori che vengano a trovarsi nella descritta situazione e  gli
altri minori, autori di reati, che  restano  sottoposti  al  giudizio
collegiale del tribunale per i minorenni, pur essendo, gli  uni  come
gli altri, su un piano  di  sicura  parita'  quanto  all'esigenza  di
recupero  e  reinserimento  sociale,   maggiormente   garantita   dal
procedimento  avanti  all'organo   specializzato,   in   composizione
collegiale. 
    Esiste anche un contrasto con il comma secondo dello stesso  art.
3,  in  quanto  il  tribunale  minorile  svolge,  come   piu'   volte
sottolineato, una precisa funzione di garanzia dello  sviluppo  della
personalita'  dell'adolescente  e  un'eccezione  alla  sua   generale
composizione collegiale finisce per configurarsi come un  ostacolo  a
tale sviluppo. 
    Inoltre, vi e' violazione dell'art. 31  Cost.,  essendo  l'organo
giudiziario minorile, a differenza dal tribunale ordinario, uno degli
strumenti di protezione della gioventu' costituzionalmente previsti. 
    Infine, vi e' contrasto anche con l'art. 24, comma 2,  Cost.,  in
quanto il minore,  per  effetto  della  denunciata  norma,  si  trova
dinanzi alla negazione della possibilita' di avvalersi,  per  la  sua
difesa, delle particolari garanzie offerte dal  procedimento  innanzi
al tribunale per i minorenni, in funzione collegiale. 
    Preme sottolineare  che  la  vera  specializzazione  del  giudice
minorile  e'  oggi  garantita  principalmente  dalla  componente  non
togata,  soprattutto   con   riferimento   alla   valutazione   della
personalita' dei minori e alla necessita'  o  meno  di  irrogare  una
sanzione penale.  In  effetti,  il  legislatore  ha  optato  per  una
competenza  «unitaria»   (penale-civile-amministrativa)   dell'organo
giudiziario minorile essendo  possibile,  anzi  auspicabile,  che  un
minore sottoposto a procedimento penale sia, nell'ambito del medesimo
processo  penale,  anche  oggetto  di  un  provvedimento   civile   o
amministrativo: sembra al remittente, che solo la componente  privata
di  tale  organo  giurisdizionale  possa  garantire   il   necessario
contributo di natura scientifica, o meglio,  che  solo  l'interazione
tra giudice togato  e  componenti  cc.dd.  laici,  istituzionalizzata
nella collegialita' dell'autorita' deputata ad assumere decisioni  in
ambito minorile, possa effettivamente assicurarla. 
    La  decisione  di  privare  un  minore  di  tali  garanzie,   con
sacrificio dell'interesse superiore del fanciullo e  derogando  cosi'
alla tutela e alla realizzazione del preminente interesse dello Stato
al reinserimento sociale del minore, necessita di essere sorretta  da
valide ragioni giustificative, che non si ritengono sussistenti. 
    4.  Questo  giudice,  concordemente   a   quanto   asserito   dal
procuratore generale nel suo ricorso per cassazione,  non  condivide,
infatti, l'orientamento degli Ermellini che fin dal 2008 (Cass.  sez.
V pen. , 16 settembre 2008, n. 38481) ritengono che il giudice  delle
indagini preliminari del tribunale per i  minorenni  sia  un  giudice
specializzato,  pur  nella  sua  composizione   monocratica   e,   di
conseguenza, lo considerano idoneo a giudicare  autonomamente  e  con
pienezza di poteri un minore nel giudizio abbreviato. 
    La Cassazione motiva la propria  convinzione  sostenendo  che  la
magistratura togata sia specializzata  in  ragione  delle  competenze
acquisite da quest'ultima con l'esperienza e la pratica  nel  settore
minorile e tramite la partecipazione ai vari corsi per la  formazione
e l'aggiornamento dei magistrati. Tale orientamento sembra  passibile
di censura costituzionale per le ragioni sopra accennate e  che  qui,
di seguito, si intendono meglio illustrare. 
    L'indirizzo  giurisprudenziale  della  Suprema  Corte  sembra   a
codesto giudice in contrasto con la ratio ed  i  principi  che  hanno
portato il nostro legislatore, nel 1934, a costituire il giudice  del
tribunale  per  i  minorenni,  la  cui  principale  caratteristica  e
differenziazione rispetto  alla  magistratura  ordinaria  era  ed  e'
proprio la composizione collegiale mista. Fin dalla  istituzione  del
tribunale per i minorenni,  in  sostanza,  il  sapere  giuridico  dei
giudici togati si e'  confrontato  con  quello  tecnico  dei  giudici
onorari. Dell'importanza di tale combinazione di saperi  si  e'  resa
conto l'adita Corte costituzionale che, nell'ordinanza del 27 ottobre
2003, n. 330, ha  difatti  affermato  che  «la  specializzazione  del
giudice minorile e' assicurata dalla struttura  complessiva  di  tale
organo giudiziario, qualificato dall'apporto  degli  esperti  laici».
Dunque  solamente  la  struttura  collegiale  e   mista   dell'organo
giudicante assicura la specializzazione del giudice minorile. 
    5. Non sembra superfluo, a questo punto,  continuare  a  spendere
alcuni cenni storici sulle ragioni della scelta  della  collegialita'
mista nei tribunali per i minorenni. 
    Innanzitutto,  il  legislatore,  con  la  legge  istitutiva   del
tribunale per i minorenni  nel  nostro  Paese,  dimostro'  di  essere
animato dalla convinzione per cui:  «L'inclusione  di  un  componente
privato nella formazione del collegio  "giudicante"  e'  giustificata
dalla considerazione che la funzione  giudiziaria  nei  riguardi  dei
minorenni deve essere animata da  un  soffio  vivo  e  palpitante  di
umanita' e nutrita di conoscenza specifica  almeno  di  alcuna  delle
scienze che piu' efficacemente contribuiscono alla  conoscenza  della
personalita' del minore e di mezzi piu'  idonei  per  correggerne  le
deficienze.  ...  Il  riconoscimento  della  utilita'  della  persona
scientificamente specializzata nella funzione  del  giudice  minorile
spiega la preferenza avuta per il  sistema  collegiale  in  luogo  di
quella del giudice unico, auspicato da una parte  della  dottrina  ed
accolto da alcune legislazioni ...  Elementi  giuridici  ed  elementi
scientifici devono concorrere al successo della difficile missione, e
non si puo' affermare, senza rinnegare la realta', che sia  frequente
trovare nella stessa persona il possesso di  tali  elementi.  D'altra
parte, lo sviluppo dato alle funzioni giuridiche del tribunale, anche
nel  campo  del  diritto  privato,  non  consentiva   di   rinunciare
all'intervento del magistrato ordinario (Novelli, 1934)». 
    Il legislatore divento' pian piano sempre  piu'  consapevole  del
fatto che ogni decisione riguardante l'applicazione di una misura (di
protezione e/o di recupero) ad un minore dovesse essere il frutto  di
una accurata  valutazione  del  «background»  affettivo/educativo  di
quest'ultimo  e  delle  effettive  ragioni  che  lo  abbiano  portato
all'attuale condizione di disattamento  sociale.  Solo  immergendosi,
con grande attenzione e sensibilita', nelle difficili dinamiche della
crescita minorile, una volta analizzate tutte le variabili  del  caso
specifico, un giudice minorile  potra',  alla  fine,  individuare  la
misura  piu'  adatta  a   conseguire   l'obiettivo   primario   della
rieducazione del minore, facendo uso di quella  discrezionalita'  che
solo una persona altamente specializzata (in ambiti  che  trascendono
il puro diritto) puo' rendere  strumento  preziosissimo  al  servizio
della tutela dei piu' piccoli.  Due  dei  tratti  caratterizzanti  la
giurisdizione  minorile  e  che  la   contraddistinguono   nettamente
rispetto   alla   giurisdizione   ordinaria,    sono    proprio    la
personalizzazione e la flessibilita'  della  potestas  iudicandi:  e'
sempre la Corte costituzionale, con la decisione n. 109 del 1997 (che
riprende, in parte, considerazioni  gia'  espresse  da  C.  Cost.  n.
125/1992), ad esplicitarlo, evidenziando  come  la  protezione  della
gioventu'  di  cui  all'art.  31,  comma  2,  Cost.,   coincide   con
«l'esigenza di  specifica  individualizzazione  e  flessibilita'  del
trattamento che l'evolutivita' della personalita'  del  minore  e  la
preminenza della funzione rieducativa richiedono». 
    6. Tornando alla legge del 25 luglio 1956, n. 888, e al  rapporto
che l'accompagnava, vi si riconosceva espressamente che le  «speciali
ricerche» prescritte dall'art. 11 del decreto del 1934 allo scopo  di
determinare la personalita' del minore e le cause della sua  condotta
irregolare (cioe' quelle che  gia'  la  circolare  Orlando  del  1908
prescriveva) devono essere effettuate anche dalla componente  privata
del tribunale per i minorenni, la  quale  sola,  tramite  le  proprie
specifiche competenze,  permette  un'attendibile  osservazione  della
personalita' e delle potenzialita' rieducative del  minorenne  e  una
maggiore sensibilita' verso i disagi che il minore ha vissuto  e  che
sta attualmente vivendo, tra i quali quello  di  trovarsi  seduto  in
un'aula di udienza in veste di imputato. 
    Tutto cio' riconduce ancora una  volta  alla  considerazione  del
fatto che la peculiare composizione collegiale del giudice  minorile,
nella sua unitarieta',  sia  l'unica  a  garantire  una  approfondita
ricerca, comprensione e valutazione delle ragioni  alla  base  di  un
comportamento criminoso messo in atto da  un  minorenne,  nonche'  la
previsione delle possibili conseguenze sul piano psichico  e  sociale
e, di conseguenza, l'adozione di misure personalizzate adeguate  alle
specifiche esigenze del minore. 
    Pertanto, a parere dello scrivente, il  giudice  dei  minori  non
puo' essere  solo  un  mero  giurista  con  una  semplice  conoscenza
teorico-astratta delle dinamiche di insorgenza del disagio minorile e
dei possibili strumenti e metodi in uso per la tutela e  il  recupero
dei  minori.  Al  contrario,  deve  essere  un  insieme  di  persone,
altamente qualificate, in grado di osservare e valutare concretamente
l'interazione dei  molteplici  fattori  soggettivi  e  giuridici  che
renderanno una misura piu' adatta  dell'altra,  un  metodo  educativo
piu' efficace di un altro e, soprattutto,  deve  essere  un  collegio
specificamente competente per le persone  ed  i  rapporti  familiari,
chiamato  attivamente  a   partecipare   alla   realizzazione   della
personalita' dei minori che necessitano di sostegno  per  le  carenze
del contesto familiare di naturale appartenenza. In altre parole,  si
ritiene che solo la stretta  collaborazione  ed  interazione  tra  le
conoscenze giuridiche del giudice togato e le conoscenze scientifiche
dei componenti cc.dd. laici, possa portare ad  una  effettiva  tutela
del minore tramite l'applicazione  di  misure  rieducative  a  schema
libero, adattabili alle specifiche esigenze del caso di specie. 
    E' di fondamentale  importanza  che  la  giustizia  minorile  sia
dotata di una «particolare struttura in quanto  e'  diretta  in  modo
specifico alla ricerca delle forme piu' adatte  per  la  rieducazione
dei minorenni» e  tale  struttura  pone  le  proprie  radici  proprio
sull'interazione tra giudici togati e laici. Tale principio, e' stato
ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 222  del  1983,
ulteriormente specificato nel 1989 (con la sentenza n. 79) e nel 1996
(con la decisione n. 143). 
    La specifica professionalita' del giudice minorile togato, cui fa
riferimento la Corte di Cassazione  per  giustificare  l'applicazione
dell'art. 458 del codice di procedura penale,  non  puo'  quindi  che
individuarsi ed intendersi esclusivamente nella  peculiare  capacita'
dello stesso di relazionarsi con il «sapere  altro»  proveniente  dai
giudici onorari, appositamente selezionati attraverso  una  complessa
procedura dal Consiglio Superiore della Magistratura; e non anche nel
possedere anch'egli tale  competenza,  tra  l'altro,  non  di  natura
giuridica, ma bensi' scientifica, non appartenente al  patrimonio  di
conoscenze richieste  per  accedere  all'ordine  giudiziario  tramite
apposito concorso pubblico. 
    In questo e solo in cio' puo' consistere la specializzazione  del
giudice togato minorile e non in una sua omnicomprensiva scienza  che
gli  consentirebbe   di   adottare   la   giusta   decisione,   anche
autonomamente, senza il contributo tecnico e proprio della componente
laica. L'intero sistema processuale, ponendo in contatto  il  giudice
togato   minorile   con   i   giudici   onorari   minorili,    spinge
inevitabilmente  il  primo  ad  osservare  ogni  nuovo  caso  da  una
prospettiva diversa, multidisciplinare, e soprattutto a  confrontarsi
e  a  focalizzarsi  su  dettagli  spesso  trascurati  dalla   cultura
giuridica e che solo i componenti  cc.dd.  laici  possono  pienamente
decifrare,  persino  nella  fase  esecutiva  (tant'e'  che  anche  il
magistrato minorile di sorveglianza svolge le sue funzioni  con  tale
composizione). 
    D'altronde,   qualora   la    collegialita'    «mista»    e    la
specializzazione del giudice  onorario  non  fossero  necessarie  per
«giudicare»  un  minore  in  sede  di  giudizio  abbreviato,  non  si
comprenderebbe  la  loro  necessita'  e,  di  conseguenza,  la   loro
previsione presso le sezioni per i minorenni delle corti di  appello.
Si crea, di fatto, una ulteriore discrasia tra un  processo  minorile
di  primo  grado  (il  quale,  secondo  il  contestato   orientamento
giurisprudenziale potrebbe, anzi dovrebbe,  essere  «affrontato»  dal
solo giudice togato) ed  un  eventuale  giudizio  di  secondo  grado,
vertente sul medesimo fatto-reato a carico del medesimo imputato, ove
e'  invece  richiesto  l'apporto  specialistico  e   l'indispensabile
integrazione del sapere giuridico e del sapere tecnico. 
    La norma che prevede,  nel  giudizio  minorile,  la  composizione
monocratica del tribunale per i minorenni in funzione di  GIP  e  non
quella collegiale prevista per  l'udienza  preliminare  oltre  a  non
trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, pare
in  contrasto  con  altri  valori  ed  interessi   costituzionalmente
protetti, quali la tutela dell'affidamento legittimamente  sorto  nei
soggetti, la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico  e  il
rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente  riservate  al   potere
giudiziario. 
    Sembra a questo giudice che  l'intero  apparato  normativo  e  la
stessa Corte adita ritenga prevalente le esigenze  trattamentali  del
minore su ogni altra esigenza e spinga nel senso che il  giudice  dei
minori, in forza della peculiarita' delle  sue  funzioni,  non  debba
presentarsi quale mero «giudice delle sanzioni», ma piuttosto come il
garante e il promotore del diritto del minore  ad  essere  educato  e
reinserito nella societa'  civile,  in  particolar  modo  per  quanto
riguarda il processo penale minorile. Il  minore  imputato,  infatti,
quale soggetto da tutelare in quanto tale,  titolare  pleno  iure  di
diritti e non piu' mero oggetto di posizioni giuridiche altrui, ha il
diritto di essere valutato alla luce della sua personalita',  nonche'
della sua situazione personale/familiare, prima che  lo  Stato  porti
avanti  la  sua  pretesa  punitiva,  la  quale  ultima   non   potra'
prescindere dalle suddette considerazioni. 
    La protezione del minore, anche quando abbia commesso  un  reato,
e'  affidata  allo  Stato,  che  se  ne  fa  carico,  in  termini  di
interesse-dovere al recupero e  alla  rieducazione,  sin  dalla  fase
processuale, attraverso le specificita' della giurisdizione minorile.
In altre parole, il minore ha il diritto di  rivendicare  il  dettato
dell'art. 24 Cost., ad avere, cioe',  il  proprio  giudice  naturale:
diritto che ha per oggetto proprio  la  giurisdizione  minorile,  con
tutte le specificita' per la stessa predisposte dal legislatore,  tra
le quali spicca la composizione collegiale dell'organo giudicante. 
    6.1. Ancora, non appare insuperabile l'argomento utilizzato dalla
Suprema   Corte   in   ordine   all'esclusivita'    delle    funzioni
giurisdizionali minorili introdotto con la legge 9 marzo 1971, n.  35
«Determinazione delle piante  organiche  dei  magistrati  addetti  ai
tribunali per i minorenni e alle procure della Repubblica presso  gli
stessi tribunali». 
    Il richiamato disposto normativo sottolinea esclusivamente che il
tribunale per i minorenni e' diventato un organo autonomo rispetto al
tribunale ordinario,  del  quale  prima  costituiva  una  sezione  e,
pertanto,  non  fa  altro  che  riconfermare  la  necessita'  di  una
specifica professionalita' del giudice minorile e, di conseguenza, di
una  composizione  collegiale  che  si  avvalga   del   prezioso   ed
insostituibile contributo dei giudici  onorari,  esperti  di  scienze
umane e sociali. Di contro,  l'applicazione  letterale  del  disposto
normativo che si ritiene incostituzionale, propugnata dalla corte  di
appello di Bologna e dalla Corte  di  cassazione  nel  caso  de  quo,
evidentemente stride con  quanto  sopra  asserito.  Il  GIP  minorile
svolge   indubbiamente   un   ruolo   completamente    diverso    dal
corrispondente  giudice  presso  il  tribunale   ordinario,   dovendo
relazionarsi con un imputato minorenne (e non con un adulto) al quale
vanno chiarite le proprie responsabilita', illustrato il  significato
delle attivita' processuali che si svolgono in  sua  presenza,  cosi'
come il contenuto e le ragioni etico-sociali delle decisioni,  unendo
a tutto cio' anche un ruolo di persuasione  costruttiva  al  fine  di
cercare di evitare la  commissione  di  futuri  atteggiamenti  contra
legem. Di conseguenza, anche il GIP, in sede di  giudizio  abbreviato
ex art. 458 del codice di procedura  penale,  non  potra'  unicamente
fare il portavoce di una  generica  voluntas  legis,  ma  dovra',  in
particolare, farsi garante di un  progetto  educativo  personalizzato
che tuteli il minore. 
    E' la stessa Corte delle leggi che auspica un  giudice  promotore
della  «cura»  dell'interesse  superiore  del  minore.   Quest'ultimo
dovrebbe essere un criterio guida per tutte le  decisioni  prese  dal
tribunale  per  i  minorenni,  anche   nell'applicazione   di   norme
processuali ed indipendentemente dall'esistenza di parametri  scritti
di giudizio. 
    E' lo stesso organo di rilevanza  costituzionale,  deputato  alla
formazione professionale della magistratura (togata e  onoraria),  ad
affermare:  «Il  magistrato  minorile  ...  viene   sempre   piu'   a
configurarsi come garante del diritto dei minori  alla  educazione  e
alla formazione della loro personalita' con funzioni di tutela  e  di
protezione. Egli si sostituisce  alla  volonta'  dei  genitori  e  ne
integra l'opera. ... < egli > ha poteri ampiamente discrezionali e di
scelta nell'adozione dei suoi provvedimenti, sia per il contenuto che
per i modi». (C.S.M.,  1971,  p.  492  e  ss.)  Le  osservazioni  del
Consiglio  Superiore  si  conformano,   quindi,   alla   scelta   del
legislatore di prevedere una collegialita' mista. 
    In buona sostanza, e' l'intero sistema legislativo a ritenere, in
primis, che i magistrati togati non possano giudicare in autonomia un
minore e, in secondo luogo e di conseguenza, che il giudice  minorile
professionale debba essere sempre supportato dagli  esperti  onorari.
Tutte queste considerazioni rimarrebbero, tuttavia, vanificate  dalla
pedissequa  applicazione  delle   norme   processuali   tacciate   di
incostituzionalita'. 
    Gli  stessi  lavori  preparatori  del  vigente  processo   penale
minorile, dopo un lungo dibattito sulla  composizione  monocratica  o
collegiale  del  giudice  dell'udienza   preliminare,   hanno   fatto
prevalere la tesi favorevole alla collegialita' mista,  peraltro  con
maggioranza dei giudici onorari sui togati. 
    La  portata  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
settembre 1988, n. 448, recante «Disposizioni sul processo  penale  a
carico di imputati minorenni» ha rivoluzionato il ruolo del tribunale
per i minorenni, a cui vengono richieste esplicitamente capacita'  di
comunicazione con i minori e di interazione con i servizi sociali che
solo la scelta della collegialita' mista garantisce appieno. 
    6.2. Sfugge  a  questo  giudice  come  e  perche'  la  pedissequa
interpretazione  ed  applicazione  della  norma  processuale  di  cui
all'art.  458  del  codice  di  procedura  penale,   norma   generale
applicabile in difetto  di  diversa  previsione  speciale,  ai  sensi
dell'art. 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica
22 settembre 1988, n. 448, anche nel  processo  penale  a  carico  di
minorenni, possa consentire,  anzi  imporre,  il  mancato  contributo
degli esperti  dell'eta'  evolutiva,  arrecando  un  evidente  vulnus
all'imputato   minorenne    e    all'intera    giustizia    minorile,
caratterizzata generalmente da un'interazione forte  tra  il  momento
giuridico e il momento psicosociale, tra  giudici  togati  e  giudici
onorari. 
    La specializzazione del giudice minorile, cui si rifa' la Suprema
Corte al fine di giustificare la suddetta interpretazione della norma
de qua, nulla ha a che vedere con l'interazione tra i due contributi,
forniti  dal  giudice  togato  e  da  quello  onorario.  Il   giudice
rimettente si permette di ritenere, contrariamente  alla  Cassazione,
che  la  specifica  professionalita'  di  cui  sono,  di   per   se',
autonomamente   portatori   tali   giudici,   non   costituisca    la
specializzazione richiesta dal  nostro  ordinamento  giuridico.  Tale
specializzazione  deriva,  invece,  unicamente  dalla   collegialita'
mista, ossia dal loro «incontro». 
    Il  legislatore  ha  realizzato  un  delicato  bilanciamento  tra
giudici togati e giudici onorari, proprio al  fine  di  proteggere  e
promuovere il superiore interesse del minore. L'incontro e  l'ascolto
del minore, l'osservazione della sua personalita', la disamina  della
sua anamnesi familiare e del contesto  sociale  di  appartenenza,  si
ribadisce, costituiscono il proprium della professione di  magistrato
minorile specializzato, lo specifico ineludibile  che  giustifica  la
stessa esistenza del tribunale per i minorenni; mentre, lo  specifico
professionale  individuato  dalla  Corte  di  Cassazione  sembra  non
reggere  ulteriormente  alla  luce  di  precise  scelte   a   livello
legislativo e, prima ancora, a livello politico e culturale. 
    Aderendo  al  disapprovato  orientamento  giurisprudenziale   che
applica passivamente la norma impugnata, si avrebbe  quale  risultato
irragionevole  che  la  mera  scelta  processuale  del   P.M.   prima
(richiesta di giudizio immediato) e quella  successiva  dell'imputato
(richiesta  di  giudizio  abbreviato)  vanificherebbero  la   valenza
educativa del processo penale minorile e, principalmente, creerebbero
una irragionevole situazione di disparita' trattamentale tra imputati
che hanno commesso illeciti penali, i quali verrebbero  giudicati  da
un giudice monocratico o collegiale in virtu' di una scelta di natura
meramente strategica-processuale. 
    Visti gli interessi in  gioco  e  la  tenera  eta'  dei  soggetti
processuali, e' doveroso che il nostro  ordinamento  sia  chiamato  a
farsi carico della rimozione di quelle impalcature giurisdizionali  e
processuali  che  si  rivelano  del   tutto   inidonee   a   tutelare
compiutamente posizioni giuridiche peculiari, quali la  tutela  e  la
rieducazione di un minore entrato nel circolo penale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 139 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 458  del  codice  di  procedura
penale e dell'art. 1, primo comma del decreto  del  Presidente  della
Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, nella parte  in  cui  prevedono
che, nel giudizio minorile,  la  composizione  del  tribunale  per  i
minorenni in funzione di GIP sia  quella  monocratica  e  non  quella
collegiale; 
    Sospende il giudizio e dispone la trasmissione  degli  atti  alla
Corte  costituzionale,  unitamente  alla  prova   delle   intervenute
notificazioni e comunicazioni di legge; 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
notificata alle parti del processo, al Presidente del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati
e del Senato della Repubblica. 
 
      Bologna, 11 novembre 2013 
 
           Il giudice per le indagini preliminari: Spadaro