N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2013

Ordinanza del 7 novembre 2013  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Regione  Siciliana  sul  ricorso  proposto  da  Soc.
cooperativa Culture contro Assessorato regionale dei beni culturali e
dell'identita' siciliana ed altri.. 
 
Appalti pubblici - Norme della Regione Siciliana - Appalti di importo
  superiore a 100 migliaia di euro - Previsione, a pena  di  nullita'
  del bando, dell'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero
  di conto  corrente  unico  sul  quale  gli  enti  appaltanti  fanno
  confluire tutte le somme relative all'appalto, compresi i pagamenti
  delle retribuzioni al personale, da  effettuarsi  esclusivamente  a
  mezzo di bonifico bancario, bonifico postale  o  assegno  circolare
  non trasferibile - Violazione del principio di uguaglianza sotto il
  profilo  dell'irragionevolezza  -  Violazione   dei   principi   di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Violazione della sfera di competenza legislativa esclusiva  statale
  in materia  di  ordine  pubblico  e  sicurezza  ed  in  materia  di
  ordinamento civile. 
- Legge della Regione Siciliana 20 novembre  2008,  n.  15,  art.  2,
  comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, comma secondo, 97, primo comma, e 117, comma
  secondo, lett. h) e l). 
Appalti pubblici - Norme della Regione Siciliana - Bandi  di  gara  -
  Previsione, a pena di nullita',  della  risoluzione  del  contratto
  nell'ipotesi in cui il legale rappresentante o  uno  dei  dirigenti
  dell'impresa  aggiudicataria  siano   rinviati   a   giudizio   per
  favoreggiamento nell'ambito di procedimenti  relativi  a  reati  di
  criminalita' organizzata - Lesione  del  principio  di  uguaglianza
  sotto il profilo dell'irragionevolezza,  nonche'  dei  principi  di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Lesione  del  principio  di  presunzione  di  innocenza  fino  alla
  condanna  definitiva  -  Violazione  della  sfera   di   competenza
  legislativa esclusiva statale  in  materia  di  ordine  pubblico  e
  sicurezza ed in materia di ordinamento civile. 
- Legge della Regione Siciliana 20 novembre  2008,  n.  15,  art.  2,
  comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, comma secondo, 97, primo comma, e 117, comma
  secondo, lett. h) e l). 
(GU n.12 del 12-3-2014 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza,  sui  ricorso  numero  di
registro generale 853 del 2013, proposto dalla  Cooperativa  Culture,
in persona del legale rappresentante pro-tempore, in proprio e  nella
qualita' di mandataria del RTI composto con  le  imprese  Soc.  coop.
cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A., Bluecoop  Soc.  coop.,
Archeologia Soc. coop., Ipacem Soc. coop., Soc.  coop.  cult.,  Mondo
Mostre S.r.l., Skira Edit. S.p.A.,  Soc.  coop.  cult.  Mondo  Mostre
S.r.l., Skira Edit. S.p.a., Bluecoop Soc. coop., Alfio  Neri  S.r.l.,
Etna Tourism Cons. Soc. coop., Soc. coop. cult. Mondo Mostre  S.r.l.,
Skira Edit. S.p.A., Bluecoop Soc.  coop.,  Alfio  Neri  S.r.l.,  Etna
Tourism Cons. soc. coop., Soc. coop. cult. Mondo Mostre S.r.l., Skira
Edit.  S.p.A.,  Bluecoop  Soc.   coop.,   Archeologia   Soc.   coop.,
rappresentato e difeso dagli avv. Massimiliano  Brugnoletti  e  Maria
Beatrice Miceli, con domicilio  eletto  presso  lo  studio  dell'avv.
Maria Beatrice Miceli sito in Palermo, via N. Morello n. 40; 
    Contro   l'Assessorato   Regionale   dei   Beni    Culturali    e
dell'Identita' Siciliana,  Dip.  Reg.  dei  Beni  Cult.  e  Amb.,  la
Presidenza della Regione Siciliana e l'Ass. Reg.  dei  Beni  Cult.  e
dell'Identita' Sic. Dip. Reg. dei Beni  Cult.  e  dell'Id.  Sic.,  in
persona dei legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di  Palermo,  domiciliataria
per legge con uffici siti in Palermo, via A. De Gasperi, 81; 
    Nei confronti di: 
        Consorzio i Luoghi dell'Arcadia, non costituito; 
        Novamusa  S.r.l.,  in  persona  del   legale   rappresentante
pro-tempore, rappresentato e difeso dagli  avv.  Francesca  Albano  e
Valentino Vulpetti, con domicilio eletto presso lo  studio  dell'avv.
Francesca Albano sito in Palermo, viale Francesco Scaduto, 2/D. 
    Per l'annullamento: 
        A) quanto al ricorso introduttivo proposto dalla  Cooperativa
Culture: 
    della nota prot. n. 10523 del 26 febbraio 2013 con cui  e'  stata
comunicata la sospensione della gara indetta per l'affidamento  della
gestione dei servizi per il pubblico di cui all'art. 117  del  d.lgs.
n. 42 del 2004 nei siti di Palermo, Agrigento,  Siracusa,  Trapani  e
Messina; 
    della deliberazione n. 34 del 31 gennaio 2013; 
    della nota prot. n. 1392 del 31 gennaio 2013; 
    di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi; 
        B)  quanto  al  ricorso  incidentale,  proposto  da  Novamusa
S.r.l.: degli atti relativi sule procedure aperte  per  l'affidamento
della gestione integrata dei servizi per il pubblico di cui  all'art.
117 del d.lgs. n. 42/2004  nei  siti  archeologici  e  museali  della
Regione Siciliana per le provincie di Palermo,  Agrigento,  Siracusa,
Trapani e Messina con particolare riferimento: a) al bando  di  gara,
capitolato  speciale  e  allegati  relativi  inerenti  i  siti  delle
provincie di Trapani, Messina, Caltanisetta-Ragusa-Siracusa, Palermo,
Agrigento; b) agli atti e provvedimenti con  i  quali  le  ATI  Coop.
Culture sono state ammesse a partecipare alle gare; c) ai verbali  di
gara tutti e relativi allegati; d) ai provvedimenti di aggiudicazione
provvisoria e di aggiudicazione definitiva in favore  delle  suddetta
ATI  Coop.  Culture;  e)  ai  provvedimenti  di  esclusione  dell'ATI
Novamusa;  f)  agli  atti  di   concessione/contratti   eventualmente
stipulati;  g)  ad  ogni  ulteriore   atto   presupposto,   connesso,
conseguente. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   dell'Avvocatura
distrettuale dello Stato per le Amministrazioni regionali intimate  e
la successiva memoria; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Novamusa S.r.l. e  il
successivo ricorso incidentale; 
    Vista l'ordinanza  n.  353  del  22  maggio  2013  sulla  domanda
incidentale  di'  sospensione   degli   effetti   del   provvedimenti
impugnati; 
    Vista l'ordinanza n. 1796 del 10 ottobre 2013  sulla  domanda  di
accesso agli atti formulata dal ricorrente  incidentale  Novamusa  ai
sensi e per gli effetti dell'art. 116, comma 2, c.p.a.; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  23  ottobre  2013  il
dott.  Roberto  Valenti  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11  marzo
1953, n. 87; 
    Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; 
 
                              F a t t o 
 
    Con  ricorso  notificato  il  5  aprile  2013  e  depositato   il
successivo  24  aprile  2013,  la  societa'  Cooperativa  Culture  ha
impugnato,  chiedendone  l'annullamento  previa   sospensione   degli
effetti, il provvedimento in epigrafe indicato (prot.  10523  del  26
febbraio  2013,  ricevuto   il   6   marzo   2013)   con   il   quale
l'Amministrazione  regionale  ha  sospeso   le   gare   indette   per
l'affidamento della gestione dei  servizi  per  il  pubblico  di  cui
all'art. 117 del d.lgs. n. 42/2004 nei siti  di  Palermo,  Agrigento,
Siracusa, Trapani e Messina. Costituiscono  oggetto  di  impugnazione
altresi' la deliberazione n. 34 del  31  gennaio  2013  della  Giunta
regionale della Regione Siciliana, nonche' la nota prot. 1392 del  31
gennaio 2013 del Presidente della Regione. 
    Premette  la  societa'  ricorrente  di  aver   partecipato   alle
procedure indette dalla Regione Siciliana (con  bandi  approvati  con
decreto assessoriale 30 giugno 2010 e promulgati nel luglio 2010) per
l'affidamento in concessione della gestione integrata dei servizi  al
pubblico nei siti museali presenti sul territorio, il cui termine per
la presentazione delle domande di partecipazione e'  stato  previsto,
dall'art. 11 del bando, al 3  marzo  2011.  In  esito  alle  relative
procedure la medesima Cooperativa Culture e' risultata aggiudicataria
(in qualita' di mandataria  dei  relativi  RTI)  delle  gare  per  le
rispettive provincie di Palermo (lotto Palermo 1) ed Agrigento (lotto
Agrigento 1). 
    Espone quindi di aver ricevuto, in data 6 marzo 2013, la nota  in
epigrafe indicata con la  quale  l'Amministrazione  comunica,  giusta
delibera della Giunta Regionale n. 34 del 31 gennaio  2013,  di  aver
chiesto  all'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Palermo   di
sollevare eccezione di nullita' dei  bandi  in  questione  in  quanto
carenti della previsione normativa di cui all'art. 2 l.r. n. 15/2008;
per cui, nelle more del relativo esito, ha ritenuto di sospendere  le
procedure di verificazione dei risultati  delle  gare,  ivi  comprese
quelle aggiudicate  in  parola.  Segnatamente,  l'Amministrazione  ha
motivato  detta  richiesta,  e  la  conseguente  sospensione,   nella
considerazione che «i bandi adottati sono carenti delle  clausole  di
cui all'art. 2, commi 1  e  2,  della  legge  regionale  n.  15/2008,
risultando per questa ragione affetti da vizio di nullita' insanabile
che li rende di fatto inefficaci e dai quali deriva  la  nullita'  di
tutti gli atti conseguenti». 
    Il ricorso e' affidato a due profili di  doglianza  riconducibili
rispettivamente: 
        1) alla violazione degli artt. 1, 2, 3 e 21-quater  legge  n.
241/1990, nonche' alla violazione degli artt. 2, 11 e  12  d.lgs.  n.
163/2006 oltre che all'errore nei presupposti di fatto e di  diritto,
al difetto di istruttoria,  illogicita'  e  violazione  dell'art.  97
Cost. (prima censura), contestandosi in altri termini la  sospensione
sine die degli atti di gara in assenza di presupposti; 
        2) alla violazione dell'art. 3, legge n. 136/2010,  dell'art.
38 d.lgs. n. 163/2006, alla violazione del d.lgs. n. 159/2011 nonche'
all'errata applicazione dei presupposti di fatto e di diritto e  alla
violazione  degli  artt.  117   e   97   Cost.   (seconda   censura),
contestandosi sia l'inapplicabilita' della norma in  questione  (art.
2, commi uno e due, l.r. n. 15/2008) alla fattispecie  concreta,  sia
comunque l'implicita abrogazione della norma  regionale  per  effetto
dell'entrata in vigore della disciplina nazionale di cui all'art.  3,
legge n. 136/2010. 
    Si e' costituita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo
articolando scritti a difesa in vista della camera di  consiglio  del
22 maggio 2013, insistendo per  il  rigetto  del  ricorso  in  quanto
infondato  argomentando  come,  ratione   temporis,   debba   trovare
applicazione unicamente la mentovata normativa regionale. 
    Si e' altresi' costituita in giudizio l'intimata Novamusa. 
    Alla camera di consiglio del  22  maggio  2013,  fissata  per  la
trattazione della domanda cautelare, e' stata adottata l'ordinanza n.
353/2013  di  fissazione   della   presente   pubblica   udienza   di
discussione. 
    Con controricorso notificato il 13 maggio 2013  e  depositato  il
successivo 21 maggio 2013, Novamusa ha incidentalmente impugnato  gli
atti di gara nella parte in cui non e'  stata  disposta  l'esclusione
della ricorrente principale (per  omessa  dichiarazione  ex  art.  38
d.lgs. n. 163/2006 quanto ad un amministratore asseritamente  cessato
dalla carica nel triennio precedente), nonche' nella parte in cui  e'
stata disposta l'esclusione della medesima ricorrente incidentale per
mancanza dei requisiti ex art. 38 cit., cosi'  riproponendo  analoghe
prospettazioni e  doglianze  gia'  articolate  nel  separato  ricorso
incardinato presso questo decidente R.G. n. 1581/2010. 
    Con incidente ex art. 116, comma 2 c.p.a. la stessa  Novamusa  ha
chiesto l'annullamento del provvedimento  con  cui  l'Amministrazione
regionale ha riscontrato, in termini di diniego, l'istanza di accesso
ai documenti amministrativi costituiti dalla documentazione  prodotta
dalla Cooperativa Culture per la partecipazione alle gare. 
    Con ordinanza n. 1796, pubblicata il 10 ottobre 2013, la relativa
domanda e' stata respinta. 
    In  prossimita'  della  pubblica  udienza  di  trattazione  parte
ricorrente  ha   articolato   scritti   a   difesa   insistendo   per
l'accoglimento ed eccependo  altresi'  inammissibilita'  del  ricorso
incidentale presentato da Novamusa. 
    Quest'ultima,  con  memoria  in  termini,  ha  formulato  istanza
processuale insistendo altresi' nelle proprie conclusioni. 
    Con  memoria  di  replica  parte  ricorrente  ha   controdedotto,
chiedendo l'accoglimento del ricorso e  reiterando  le  eccezioni  in
rito. 
 
                            D i r i t t o 
 
    1.0 - La questione sottoposta al vaglio del Collegio. 
    1.1 - La ricorrente societa' Cooperativa Culture,  aggiudicataria
di alcune procedure di evidenza pubblica indette dall'Amministrazione
regionale ex art. 117 d.lgs. n. 42/2004 (con bandi  approvati  il  30
giugno 2010 e pubblicati nel mese di luglio 2010) per la gestione dei
servizi al pubblico nei siti museali  ed  archeologici  presenti  nei
vari   distretti   del   territorio   regionale,   si   duole   della
illegittimita' del provvedimento merce' il  quale  l'Amministrazione,
nel presupposto che i relativi bandi  risultano  carenti  rispetto  a
quanto previsto a pena di nullita' dall'art. 15, commi 1 e 2, l.r. n.
15/2008, ha «sospeso» sine die le ulteriori fasi delle  gare  di  che
trattasi, chiedendo al contempo all'Avvocatura erariale dello  Stato,
patrocinante ex lege, di farne valere in ogni sede la nullita'. 
    La pretesa sostanziale azionata con il  ricorso,  strumentalmente
connessa alla contestata  applicazione  della  norma  regionale  cit.
fattane   dall'Amministrazione,   tende   dunque   a    far    valere
l'illegittimita' del provvedimento in parola, che si frappone (al  di
la  del  nomen  iuris  utilizzato)  come  vero  e   proprio   arresto
procedimentale  immediatamente  lesivo  rispetto  alla  definitiva  e
materiale assegnazione dell'oggetto delle gare aggiudicate. 
    2.0 - Sull'applicabilita' alla fattispecie  dedotta  in  giudizio
della norma invocata dall'Amministrazione regionale nei provvedimenti
impugnati. 
    2.1 - Osserva  il  Collegio  come  i  bandi  delle  procedure  di
evidenza  pubblica  per  i  quali   e'   controversia,   sottesi   ai
provvedimenti   impugnati    e    pubblicati    nel    luglio    2010
(antecedentemente, quindi, alla legge nazionale 13  agosto  2013,  n.
136 - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  italiana
23 agosto 2010, n. 196 - il cui art. 3 rubricato «Tracciabilita'  dei
flussi finanziali» e' invocato  dalla  Cooperativa  Culture  per  far
valere l'abrogazione implicita della normativa regionale), in effetti
non recano le clausole previste, a pena  di  nullita',  dall'art.  2,
primo e  secondo  comma,  della  legge  della  Regione  Siciliana  20
novembre 2008, n. 15, secondo cui: «1. Per  gli  appalti  di  importo
superiore a 100 migliaia di euro, i bandi di gara prevedono, pena  la
nullita' del bando, l'obbligo per gli aggiudicatari  di  indicare  un
numero di conto corrente unico sul quale gli  enti  appaltanti  fanno
confluire tutte le somme relative  all'appalto.  L'aggiudicatario  si
avvale di tale  conto  corrente  per  tutte  le  operazioni  relative
all'appalto, compresi i pagamenti delle retribuzioni al personale  da
effettuarsi esclusivamente a mezzo  di  bonifico  postale  o  assegno
circolare non trasferibile. Il mancato aspetto dell'obbligo di cui al
presente   comma   comporta   la   risoluzione   per    inadempimento
contrattuale. 2. I bandi di gara prevedono, pena  la  nullita'  degli
stessi, la risoluzione del contratto nell'ipotesi in  cui  il  legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi a reati di criminalita' organizzata». 
    2.2  -  La  giurisprudenza  di  questo  Tribunale  Amministrativo
Regionale (sede di Palermo e sezione staccata di Catania) nonche' del
Giudice d'appello territoriale (Consiglio di Giustizia Amministrativa
per la Regione Siciliana), nelle fattispecie - sin qui susseguitesi -
nelle quali si e'  fatta  carico  dell'accertata  carenza  di  quelle
previsioni, e' pervenuta ad alcune conclusioni in  grande  prevalenza
del tutto univoche. 
    Esse riguardano in primo luogo, e per quanto  qui  immediatamente
rileva, il pieno titolo dell'organo giurisdizionale adito a  rilevare
d'ufficio  la  nullita'  del  bando,  in  applicazione  del  precetto
contenuto nell'art. 31, quarto comma, secondo  periodo,  del  decreto
legislativo  2   luglio   2010,   n.   104   (codice   del   processo
amministrativo), peculiarmente in materia attribuita,  ex  art.  133,
primo  comma,  lettera  e),  del  medesimo  testo   normativo,   alla
giurisdizione esclusiva  del  giudice  amministrativo  (Consiglio  di
Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 27 luglio
2012, n. 721, richiamata dall'ordinanza,  resa  dal  medesimo  organo
giurisdizionale in sede di appello cautelare,  16  ottobre  2013,  n.
786; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sentenza 20  maggio  2013,  n.
1441). Di talche' appaiono non conducenti  le  considerazioni  svolte
dalla parte ricorrente (nell'ambito della prima  censura)  sulla  non
ancora  intervenuta  dichiarazione   di   nullita'   dei   bandi   in
considerazione. 
    2.2.1 - La  medesima  giurisprudenza  sopra  richiamata  concorda
inoltre sulla sostanziale  applicabilita'  della  norma  regionale  a
tutto il comparto degli appalti pubblici, non  solo  cioe'  a  quelli
relativi  alla  materia  dei  lavori  [riservata  alla   legislazione
esclusiva della Regione ai sensi dell'art. 14, lettera g) del decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante lo Statuto della  Regione
Siciliana (approvato con legge costituzionale 26  febbraio  1948,  n.
2)]: l'indirizzo appena tracciato, tanto  consolidato  da  costituire
«diritto vivente» a livello regionale, ha ritenuto che nel  difficile
contesto dell'Isola anche gli  appalti  di  servizi  e  forniture  di
importo superiore ai 100.000,00 euro devono  rispettare,  quindi,  la
speciale disciplina de quo  in  tema  di  tracciabilita'  dei  flussi
finanziari  e  di  tutela  avanzata  nei  confronti  dei   reati   di
criminalita' organizzata, come stabilita nei commi  primo  e  secondo
dell'art. 2 della citata legge regionale n. 15 del 2008 (Consiglio di
Giustizia  Amministrativa  per  la  Regione  Siciliana,  sentenza  n.
721/2012 cit.; ordinanza n. 786/2013 cit.; T.A.R. Sicilia, Sez.  III,
sentenza 19 dicembre 2011, n. 2406;  T.A.R.  Sicilia,  Catania,  Sez.
III, ord. 11 luglio 2013, n. 646). Tale indirizzo  appare,  peraltro,
coerente con il chiaro tenore letterale della disposizione  regionale
(significativamente inserita nella legge regionale  n.  15  del  2008
contenente «Misure  di  contrato  alla  criminalita'  organizzata»  a
fronte dell'iniziale previsione - desumibile dai  lavori  preparatori
del disegno di legge - che concepiva la  norma  quale  come  aggiunto
all'art. 19 della legge 11 febbraio 1991, n. 109, come introdotta con
modifiche in ambito regionale merce'  la  legge  regionale  2  agosto
2002, n. 7), la quale fa riferimento,  con  formulazione  volutamente
ampia, agli «appalti di importo superiore a 100 migliaia di euro». 
    2.3 - Cio' posto sul piano generale, il Collegio non dubita della
diretta e immeditata applicazione della  norma  in  parola  ai  bandi
indetti dalla Regione che qui vengono in rilievo, quantunque  occorre
altresi' riconoscere che al momento della scadenza del termine per la
presentazione delle offerte (3 marzo 2011, come previsto dall'art. 11
di ogni bando di gara) era certamente vigente ed operante  in  ambito
nazionale  la  disciplina  di  cui  l'art.  3,  legge   n.   136/2010
(osservandosi altresi' che in virtu' della  disciplina  «transitoria»
introdotta dall'art. 6, comma 1, del d.l. n. 187/2010, la  previsione
nazionale verrebbe in rilievo al  momento  della  sottoscrizione  dei
contratti). Ma sul piano dei rapporti tra la norma ragionale e quella
nazionale il Collegio avra' modo si soffermarsi in seguito. 
    2.3.1 - Rispetto a quanto argomentato, con opposti  intendimenti,
rispettivamente dall'Avvocatura erariale  (che  qualifica  come  mero
appalto di servizi l'oggetto delle gare)  e  dalla  parte  ricorrente
(che invece qualifica  le  fattispecie  quali  mere  «concessione  di
servizi» con impossibilita', quindi, di applicare la norma  regionale
di che trattasi, come dedotto con  il  primo  profilo  della  seconda
doglianza), il Collegio prende atto  che  con  le  procedure  di  che
trattasi l'Amministrazione regionale abbia  invece  posto  in  essere
quanto necessario al fine di  individuare  i  soggetti  cui  affidare
rispettivamente: a) sia la gestione dei servizi  aggiuntivi  ai  siti
museali ed archeologici ex art. 117 d.lgs. n. 42/2004 (con previsione
di un canone); b) sia i servizi di biglietteria (con previsione di un
aggio sul singolo biglietto e versamento nelle casse pubbliche  della
restante parte di quanto percepito). 
    Ebbene, in fattispecie del tutto analoga a quella in  discussione
le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent.  12252/2009)  hanno
avuto modo di precisare che  la  materia,  limitatamente  ai  servizi
aggiuntivi segnatamente individuati dalla norma cit., va  qualificata
come «concessione di servizi»; mentre residua la qualificazione quale
appalto di servizi per il «servizio biglietteria» (in  termini  anche
Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 giugno 2012, n. 3764). Con  quel  che
ne consegue in ordine alla diretta  applicazione  delle  disposizioni
dell'art. 2, commi primo e secondo, l.r. n. 15/2008 ai singoli  bandi
con i quali l'Amministrazione regionale  ha  contestualmente  indetto
uniche procedure di evidenza pubblica tanto  per  la  concessione  di
servizi, quanto per l'appalto di servizi correlato. 
    2.3.2  -  A  ben  vedere,   rinviando   oltre   per   l'ulteriore
approfondimento,  risulterebbe  comunque  limitativa   della   chiara
volonta' del legislatore regionale ritenere che la  norma  cosi  come
formulata, posta in essere nel  chiaro  intendimento  di  dettare  in
ambito regionale una disciplina in tema di tracciabilita' dei  flussi
finanziari  e  di  tutela  avanzata  nei  confronti  dei   reati   di
criminalita' organizzata, non sia applicabile anche alla  concessione
di servizi (che - ripetesi - costituisce una parte dell'oggetto delle
gare). 
    Soccorre  a   tal   fine   quanto   sottolineato,   ad   esempio,
dall'Autorita' di Vigilanza sui Contratti Pubblici (determinazione n.
4 del 7 luglio 2011) in relazione alla ritenuta e pacifica estensione
anche al settore delle «concessioni» pubbliche  della  (sopravvenuta)
norma (pure invocata dall'impresa  ricorrente)  di  cui  all'art.  3,
legge n. 136/2010: «Occorre precisare che l'applicazione della  legge
n. 1361 2010 ai contratti di appalto ed a quelli di  concessione,  di
cui agli articoli 30, nonche'  142  e  253,  comma  25,  del  Codice,
prescinde  dall'esperimento  di  una  gara  per  l'affidamento  degli
stessi; in altri termini si ribadisce che non  rileva  ne'  l'importo
del contratto ne' la procedura di affidamento  utilizzata».  Persuade
l'argomentazione con  cui  la  predetta  autorita'  afferma  che  «Le
disposizioni di cui alla legge n.  136/2010  si  applicano  anche  ai
contratti di concessione aventi ad oggetto l'acquisizione di lavori e
servizi, posti  in  essere  dalle  stazioni  appaltanti,  dagli  enti
aggiudicatori e  dai  soggetti  aggiudicatori  sottoposti  al  Codice
(...)» cio' in  quanto  «la  legge  fa  riferimento  all'esigenza  di
tracciare i flussi finanziari generati dalle commesse pubbliche  (...
) a prescindere dalla procedura utilizzata». 
    Le predette considerazioni, che il  Collegio  condivide,  possono
trovare applicazione  anche  in  sede  di  interpretazione  del  dato
normativa regionale che qui rileva. 
    Ribadito,  in  conformita'  alla  prevalente  giurisprudenza  (da
ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 7 maggio 2013,  n.  13),
che «Ai sensi della direttiva comunitaria 2004/18/Ce e degli art.  3,
comma 12,  e  30,  comma  2,  d.lgs.  12  aprile  2006,  n.  163,  la
concessione di  servizi  e'  il  contratto  che  presenta  le  stesse
caratteristiche di un appalto pubblico di servizi» (ad eccezione  del
fatto che  il  corrispettivo  della  fornitura  di  servizi  consiste
unicamente  nel  diritto  di  gestire  i  servizi  e   di   sfruttare
economicamente il servizio o  in  tale  diritto  accompagnato  da  un
prezzo: distinzione che attiene  alla  struttura  del  rapporto,  che
nell'appalto di servizi intercorre tra  due  soggetti,  mentre  nella
concessione  di  servizi  pubblici  intercorre  tra  tre   soggetti),
risulterebbe un'operazione ermeneutica non corretta, perche'  elusiva
della  chiara  voluntas  legis  (ed   impregiudicate   le   ulteriori
considerazioni   che   di   seguito   verranno   svolte),    limitare
l'applicazione della norma  regionale  cit.  al  solo  settore  degli
«appalti pubblici» e non anche a  tutti  i  «bandi»  e/o  alle  altre
procedure di evidenza pubblica preordinate alla stipula di  contratti
per la concessione  di  servizi  pubblici  (anche  in  combinato  con
«appalti di servizi», come in specie). 
    3.0  -  Sulla   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  2,  primo  e  secondo  comma,  della  legge
regionale 20 novembre 2008, n. 15. 
    Il  Collegio  dubita  della  legittimita'  costituzionale   delle
disposizioni contenute nell'art. 2,  primo  e  secondo  comma,  della
legge regionale 20 novembre 2008, n. 15, con le quali il  legislatore
regionale incide anche potenzialmente nell'ambito di una materia,  la
sicurezza e l'ordine pubblico, appartenente alla competenza esclusiva
statale. 
    Questo  Tribunale,  stante  la  normativa   applicabile   ratione
temporis  ai  bandi  di  gara,  laddove  non  nutrisse  dubbi   sulla
legittimita'  costituzionale  della  norma  posta  a  fondamento  dei
provvedimenti impugnati (dubbi che ne' il «diritto vivente», ne'  gli
ulteriori tentativi cui per una lettura costituzionalmente  orientata
della norma riescono a revocare, come d'appresso meglio evidenziato),
dovrebbe limitarsi a dare atto dell'assenza delle  clausole  previste
dall'art. 2, l.r. n. 15/2008, procedendo nel doveroso  esercizio  del
potere-dovere di rilevare la nullita'  dei  bandi  presupposti  (cfr.
C.G.A., sent. n. 721/2010 cit.; T.A.R. Sicilia, Sez.  Catania,  sent.
n. 3127/2010; T.A.R. Sicilia, Palermo,  sent.  n.  2406/2011;  T.A.R.
Sicilia, Catania, sent. n. 1411/2013; C.G.A., Sez.  Giurisdiz.,  Ord.
n. 786/2013), con conseguente declaratoria  di  improcedibilita'  del
ricorso  introduttivo  -  proposto  avverso   il   provvedimento   di
sospensione/arresto  procedimentale  -  per  carenza   di   interesse
(C.G.A., sent. n. 427/2011). Diversamente, ove la norma in questione,
in accoglimento dei dubbi di legittimita' costituzionale che  con  la
presente  ordinanza  si  sollevano,  venisse  per  l'effetto  espunta
dall'ordinamento in quanto incostituzionale, il  primo  provvedimento
impugnato risulterebbe illegittimo e andrebbe per l'effetto annullato
in accoglimento del mezzo e della prima censura dedotta. 
    La peculiarita' della questione in esame e' per altro connessa al
fatto che, come dedotto dall'Avvocatura erariale,  al  momento  della
pubblicazione dei bandi non si  poneva  (ancora)  il  problema  della
vigenza della normativa nazionale in materia  di  tracciabilita'  dei
flussi finanziari di cui  all'art.  3,  legge  n.  136/2010  (la  cui
disciplina incide comunque non sui «bandi» ma sui contratti  a  valle
delle aggiudicazioni). 
    Passando  quindi  al  profilo  relativo  alla   possibilita'   di
configurare come solo parziale, piuttosto che totale, la nullita' del
bando di gara difforme dalla previsione normativa regionale in  esame
-  con   conseguente   ipotizzata   applicabilita'   del   meccanismo
dell'inserzione automatica di clausole, di cui all'art. 1339 del cod.
civ. (ove applicabile anche all'atto amministrativo  recante  la  lex
specialis di una gara  d'appalto)  -  il  Collegio  ritiene  che  una
siffatta  configurazione  esegetica  travalicherebbe  i   limiti   di
compatibilita' con il tenore letterale della legge regionale, che  un
interprete che non voglia farsi legislatore e' tenuto a osservare. 
    La norma regionale,  infatti,  non  reca  una  mera  sanzione  di
generica nullita',  e  neppure  di  «nullita'  assoluta»  (come,  per
esempio, si legge invece nel comma 8 del  cit.  art.  3  della  legge
statale n. 136/2010); bensi' una preclara sanzione di  «nullita'  del
bando». 
    Il Giudice di seconde cure (C.G.A.,  Ord.  16  ottobre  2013,  n.
786), con argomentazioni condivisibili, ha infatti ritenuto  che  non
si possono avere dubbi sul fatto che il legislatore  regionale  abbia
inteso sanzionare con la nullita' del bando (vale a dire di tutto  il
bando, ossia del bando nella sua interezza) la violazione,  da  parte
della stazione appaltante, del precetto posto dall'art. 2, comma uno,
l.r. n. 15/2008. 
    Stesse  considerazioni  varrebbero  altresi'  per  l'ipotesi   di
nullita' prevista a sanzione del mancato rispetto del precetto di cui
al comma secondo della stessa norma. 
    La scelta e' frutto della valutazione, da ritenere  evidentemente
consapevole, del legislatore regionale: e cio' impedisce altresi'  di
ipotizzare  nullita'  parziale   dei   bandi,   con   meccanismi   di
eterointegrazione delle singole  lex  specialis  ai  sensi  del  gia'
ricordato art. 1339 cod. civ. 
    Differentemente da  quanto  opinato  dal  Giudice  d'appello  (il
riferimento e' sempre alla recente ordinanza del  C.G.A.  16  ottobre
2013, n. 786) il Collegio dubita sulla stessa legittimita'  di  poter
introdurre una peculiare ipotesi di «nullita' regionale» che, per  il
tramite della dichiarazione di nullita' non sanabile del  bando  (per
omessa previsione del dato normativo  cit.)  si  riverbera  sull'atto
negoziale a valle dell'aggiudicazione. 
    4. - Non manifesta infondatezza della questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  2,  primo  e  secondo  comma,  della  legge
regionale 20 novembre 2008,  n.  15,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettere h) e l), art. 3, comma  secondo,  e  art.  97,
comma primo, della  Costituzione;  nonche',  del  secondo  comma  del
ridetto art. 2, l.r. n. 15/2008 in  riferimento  anche  all'art.  27,
secondo comma, della Costituzione. 
    4.1. - Sul primo comma  dell'art.  2  della  legge  regionale  20
novembre 2008, n. 15. 
    Il  Collegio  dubita  della  legittimita'  costituzionale   della
disposizione  contenuta  nell'art.  2,  primo  comma,   della   legge
regionale 20 novembre 2008,  n.  15,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettere h) e l), della Costituzione. 
    4.1.1. - In relazione al  primo  parametro  costituzionale,  art.
117, secondo comma, lettera h). 
    Il Collegio dubita della legittimita' costituzionale della  norma
regionale in commento, tenuto conto dei principi espressi da  codesta
Corte costituzionale con la recente sentenza n. 35 del 2012. 
    Con  quella  pronuncia  si  e'  qualificata  la   materia   sulla
«tracciabilita' dei flussi  finanziari»  come  strettamente  connessa
all'ordine pubblico e alla sicurezza: in  quanto  tale,  la  relativa
disciplina  risulta  sottratta  alla  competenza  legislativa   delle
regioni ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  h),  della
Carta fondamentale. Ritiene il Collegio che  il  principio  affermato
dalla Corte costituzionale valga anche nei confronti della  normativa
regionale in commento. Ad avviso del Tribunale, la circostanza che la
disciplina cola' dichiarata costituzionalmente illegittima  fosse  di
una regione a statuto ordinario  (nel  caso  di  specie,  la  Regione
Calabria) non altera le conclusioni raggiungibili anche nei  riguardi
della su indicata norma della Regione Siciliana. 
    Cio', per la fondamentale ragione che  la  ritenuta  appartenenza
della legislazione sulla tracciabilita' dei flussi  alla  prevenzione
in materia di ordine pubblico e  sicurezza  non  puo'  modificarsi  a
seconda dell'ambito territoriale  nel  quale  si  venga  ad  operare;
sicche',  gia'  sotto  questo  riguardo,  si  ravvisano  ragioni  per
rimettere la questione al Giudice delle leggi. 
    Ne', tanto meno,  puo'  configurarsi  una  peculiare  specialita'
della causa che modificherebbe, per la  tipicita'  della  prevenzione
relativa ai fenomeni mafiosi, l'appartenenza della materia  a  quella
per dir cosi' allargata dei  «lavori  pubblici»  in  sede  regionale,
anziche' all'ordine pubblico e sicurezza con estensione nazionale. 
    Giova,   invero,   sottolineare   che,   pur   se   con   origini
prevalentemente insulari, le metodiche e le pratiche connesse a  quei
fenomeni sono estese e gestite  su  tutto  il  territorio  nazionale,
cosi' che risulta ben difficile, allo  stato  delle  cose,  formulare
un'ipotesi normativa esclusivamente orientata al quadro regionale, il
quale presenta, certamente, una maggiore  intensita',  ma  non  certo
l'esclusivita' rispetto al citato fenomeno. 
    Ne' varrebbe rilevare - come opinato dalla difesa erariale -  che
al momento della pubblicazione dei bandi in  parola  non  era  ancora
stata emanata la legge n. 136/2010 (il cui art. 3 ha dettagliatamente
disposto in materia di tracciabilita' dei flussi finanziari).  Invero
ritiene il Collegio che la  materia  (come  in  seguito  normata  dal
legislatore nazionale  con  legge  ordinaria  ex  art.  3,  legge  n.
136/2010) e' certamente di competenza esclusiva statale  ancor  prima
(e potremmo  dire  a  prescindere)  dall'avvenuto  o  meno  esercizio
legislativo da parte del Parlamento nazionale.  Ed  e'  indiscutibile
che con la norma della cui legittimita'  costituzionale  il  Collegio
dubita, l'Assemblea  Regionale  Siciliana  abbia  inteso  intervenire
(ancorche' con un tentativo certamente encomiabile) nel settore della
tracciabilita' dei pagamenti  delle  pubbliche  amministrazioni,  nei
modi  previsti  dalla  norma,  al  fine  non  taciuto  di   prevenire
infiltrazioni criminali e prevenire la commissione di reati. 
    Non e'  infatti  in  discussione  la  legittimita'  di  possibili
interventi  normativi,  anche  in  ambito  regionale,  preposti  alla
promozione della legalita' in quanto tesa alla diffusione dei  valori
di civilta' e pacifica convivenza su cui si regge la Repubblica: cio'
in quanto, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sent.
n. 35/2012 cit.) la promozione della legalita' «non  e'  attribuzione
monopolistica, ne' puo' divenire oggetto di contesa  tra  i  distinti
livelli di legislazione e di  governo:  e'  tuttavia  necessario  che
misure predisposte a tale  scopo  nell'esercizio  di  una  competenza
propria della Regione, per  esempio  nell'ambito  dell'organizzazione
degli uffici regionali (come fatto dalla stessa Regione Siciliana con
l'adozione - sul piano interno alla pubblica  amministrazione  -  del
c.d. Codice Vigna - «Codice antimafia e anticorruzione della pubblica
amministrazione», come richiamato anche dall'art. 15 legge  regionale
n. 5/2011, nonche' con l'atto di indirizzo pubblicato in G.U.R.S.  n.
54 del 30 dicembre 2011), non  costituiscano  strumenti  di  politica
criminale,  ne',  in  ogni   caso,   generino   interferenze,   anche
potenziali, con la disciplina statale di  prevenzione  e  repressione
dei reati (sentenza n. 55 del 2001; da ultimo, sentenza  n.  325  del
2011)». 
    Come nel caso gia'  deciso  dalla  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 35/2012, anche le disposizioni di cui all'art.  2,  primo
comma (ma analoghe considerazioni valgono anche per il secondo comma,
come d'appresso precisato), l.r. n. 15/2008 appaiono  esorbitare  dai
limiti individuati dal Giudice delle leggi,  invadendo  la  sfera  di
competenza legislativa dello Stato oltre le previsioni  dello  stesso
Statuto regionale, che non attribuisce alla Regione Siciliana (munita
di competenza esclusiva solo nelle materie  strettamente  individuate
dall'art. 14 del proprio Statuto) alcuna  competenza  in  materia  di
ordine pubblico e sicurezza (che diversamente appartengono allo Stato
alla stregua della previsione costituzionale presa a parametro). 
    Ancorche' non vigente al momento dell'emanazione della  norma  in
argomento, oggi e' anche nel codice antimafia, di cui  al  d.lgs.  n.
159/2011, che puo' rinvenirsi la prova ulteriore della non confluenza
in diversa materia della disciplina della tracciabilita'  dei  flussi
finanziari, laddove si stabilisce che «il  prefetto  puo',  altresi',
desumere  il  tentativo  di  infiltrazione  mafiosa  da  ...  nonche'
dall'accertamento delle violazioni degli obblighi  di  tracciabilita'
dei flussi finanziati di cui all'art. 3 della legge 13  agosto  2010,
n. 136,  commesse  con  la  condizione  della  reiterazione  prevista
dall'art. 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In  tali  casi,
entro il termine di cui all'art. 92, rilascia l'infonazione antimafia
interdittiva» (art. 91, sesto comma, d.lgs. n. 159 del 2011). 
    Il precetto statale assume particolare rilievo perche'  ricollega
la tematica della  tracciabilita'  dei  flussi  finanziari  a  misure
sanzionatorie   specifiche,   confermando,   di    conseguenza,    la
riferibilita' della disciplina alla  legislazione  sull'ordine  e  la
pubblica sicurezza. 
    Il Collegio trae argomenti  a  conforto  della  rimessione  della
questione a codesta Corte costituzionale anche dal «diritto  vivente»
che ha cercato di interpretare la norma regionale in  commento  anche
nel rapporto con la sopravvenuta disciplina statale di  cui  all'art.
3,  legge   n.   136/2010   (successiva,   ratione   temporis,   alla
pubblicazione dei bandi, come ancora sottolineato dall'Avvocatura  di
Stato  nel  controdurre  alla   richiesta   di   applicazione   nella
fattispecie concreta adombrata dalla Cooperativa Culture). 
    Si fa qui riferimento: 
        da un lato, all'orientamento espresso da questa  stessa  sede
di Palermo del T.A.R. Sicilia con le sentenze  rispettivamente  della
Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 468 e della Sez. II, 26 marzo 2013, n.
725,  secondo  cui  la  norma  regionale  sarebbe  stata  tacitamente
abrogata per effetto dell'entrata in vigore della sopravvenuta  norma
statale (merce' il meccanismo di  cui  all'art.  10  della  legge  10
febbraio  1953,  n.  62,  secondo  cui  la  legge   statale   emanata
successivamente a quella regionale, che abbia  regolato  il  medesimo
oggetto,  ha  effetto  abrogativo  della  preesistente   legislazione
regionale nel  caso  in  cui  la  norma  statale  sopravvenuta  ponga
principi  diversi  da  quelli  cui  la  precedente   disciplina   era
ispirata); 
        dall'altro, all'orientamento,  per  certi  aspetti  di  segno
opposto, espresso dal giudice di appello (C.G.A.  Sent.  n.  721/2011
cit., confermato ancora di recente in sede cautelare giusta ordinanza
n. 786 del 16  ottobre  2013)  secondo  cui  le  norme  in  argomento
risultano  perfettamente  sovrapponibili,  non  manifestando   quella
incompatibilita'  assoluta  che  e'  presupposto  indispensabile  per
eventualmente predicare la sopravvenuta abrogazione implicita di  una
norma preesistente; con conseguente vigenza di entrambe le previsioni
di  legge  (nazionale  e  regionale)  da  applicare  rispettivamente,
secondo il giudice di appello, in funzione dell'importo  del  singolo
appalto (quella nazionale agli appalti al di sotto dei 100.000  euro;
quella regionale per gli appalti di importo superiore  alla  predetta
soglia), sussistendo tra le due norme un rapporto di «specialita'». 
    Per  quanto  possa  rilevare  nel  caso  in  esame,  entrambe  le
soluzioni corroborano il dubbio, che con  la  presente  ordinanza  si
solleva, che la disposizione regionale, per  le  chiare  ed  univoche
indicazioni che promanano dalla sedes materie in cui e' inserita, per
la finalita' che persegue e per l'oggetto materiale su cui impatta  -
nonche' per lo strumento normativo impiegato  (cfr.  Corte  Cost.  n.
35/2012) - graviti e abbia potenziali refluenze  dirette  nell'ambito
di una materia (la sicurezza e l'ordine pubblico) che  e'  certamente
di competenza esclusiva  statale  ancor  prima  (e  potremmo  dire  a
prescindere) dall'avvenuto  o  meno  esercizio  del  relativo  potere
legislativo da parte del Parlamento nazionale. 
    La prospettata sussistenza (C.G.A. Ord. n. 786/2013 cit.)  di  un
rapporto di specialita' tra legge statale (in specie sopravvenuta  ai
bandi) e legge regionale,  come  sostenuto  dal  Giudice  di  appello
territoriale (in disparte la non condivisibile  idea  che  una  norma
statale espressamente dedicata, con  strumenti  di  controllo  tipici
dell'attivita' di prevenzione, alla tutela e al  contrasto  di  reati
anche  di  tipo  mafioso  abbia  dovuto  sottoporsi  a   un   duplice
recepimento per operate nella Regione a  Statuto  speciale,  cio'  in
quanto, a ben vedere,  il  primo  comma  dell'art.  247  del  decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e'  -  al  pari  di  altre  norme
sparse  nel  Codice  dei  Contratti  Pubblici  -   una   disposizione
pleonastica, che non puo' fungere certo da valvola di scambio per  la
ricezione della disciplina ivi ricordata, attesa la  piena  capacita'
di  quest'ultima  di  operare   indipendentemente   da   qualsivoglia
«autorizzazione» da parte di altri testi  normativi,  trattandosi  di
norma-promemoria,  valida   quale   memento,   ma   priva   di   ogni
innovativita'),  implica  allora  l'appartenenza  delle  disposizioni
correlate ad una materia  unitaria,  nella  quale  puo'  operare  una
priorita'   escludente   rispetto   a    fattispecie    astrattamente
assoggettabili ad identico precetto. Se ne  dovrebbe  quindi  dedurre
che le due norme (nazionale e regionale)  hanno  quindi  la  medesima
ratio, sottendono la medesima voluntas legis (ancorche'  espressa  da
due differenti legislatori),  e  partecipano  della  stessa  materia:
materia che, in relazione all'art. 3 della legge n. 136 del 2010,  e'
stata gia' chiaramente individuata dalla Corte costituzionale con  la
menzionata sentenza n. 35 del 2012. 
    Anche  a  voler  considerare  solo  «parziale»  il  rapporto   di
specialita' individuato nella  su  citata  ordinanza  del  C.G.A.  n.
786/2013 tra la norma regionale e quella statale, si addiverrebbe  al
risultato, non condivisibile, che l'interesse primario  di  contrasto
alla criminalita' - di competenza esclusiva statale anche sub  specie
di tracciabilita' dei flussi finanziari  intesa  come  mezzo  per  il
perseguimento di politiche di contrasto alla criminalita' -  varrebbe
solo per gli appalti sotto i 100.000,00 euro, per trasformarsi, al di
sopra  di  detta  soglia,  nel  recessivo  interesse  (di  competenza
regionale)  alla  trasparenza  nei  pubblici  appalti   e   al   buon
funzionamento degli uffici (ivi comprese le stazioni appaltanti). 
    In  altri  termini,  ritiene  il  Collegio  che   la   disciplina
introdotta dal legislatore regionale con il menzionato art. 2,  comma
1, l.r. n. 15/2008 in ogni caso determina, anche solo potenzialmente,
una interferenza con una  materia  sicuramente  di  competenza  dello
Stato, come  chiarito  dalla  Corte  costituzionale  (v.  sentenza  a
35/2012). 
    Ne' risulterebbe  utile,  nel  rinnovato  tentativo  che  incombe
sull'interprete di  percorrere  tutte  le  opzioni  per  una  lettura
costituzionalmente orientata della norma prima di  adire  il  Giudice
delle leggi, il richiamo alla cd. clausola di cedevolezza  desumibile
dall'art. 1, primo comma, della legge n. 131 del 2003:  non  solo  in
quanto  detta  disposizione   fa   espressamente   riferimento   alle
«disposizioni normative regionali vigenti alla  data  di  entrata  in
vigore» della stessa legge n. 131 del 2003; ma soprattutto, in quanto
l'applicazione  di  detta  clausola  e'   tendenzialmente   riservata
all'ambito delle materie a competenza concorrente  (art.  117,  terzo
comma, Cost.), in quanto funzionale a regolare  la  successione,  nel
tempo, fra norme di principio statali e norme di dettaglio regionali.
Il che e' da escludere nel caso di specie, attesa  la  qualificazione
giuridica che la stessa Corte costituzionale ha gia'  chiaramente  ed
univocamente attribuito  alla  materia  afferente  ai  controlli  dei
flussi finanziari. 
    Per tutto quanto finora esposto, ad avviso del  Collegio  e'  non
manifestamente infondata - oltre che rilevante, per le ragioni  sopra
spiegate - la questione  di  legittimita'  costituzionale  del  primo
comma dell'art. 2 della legge regionale 20 novembre 2008, n. 15,  per
contrasto con l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione. 
    4.1.2 - Per quanto attiene al secondo parametro costituzionale  -
art. 117, secondo comma, lettera l) -  il  Collegio  ritiene  che  la
risoluzione del contratto  per  inadempimento  contrattuale  prevista
nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della  L.R.S.  n.  15
del 2008 confligga con l'attribuzione all'ordinamento civile  che  la
lettera l)  del  secondo  comma  dell'art.  117  Cost.  riserva  alla
legislazione esclusiva statale. 
    Ancora di recente la Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno
2013, n. 159, ha chiaramente affermato: «l'art. 117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. ha codificato il  limite  del  "diritto  privato'',
consolidatosi  gia'  nella  giurisprudenza  anteriore  alla   riforma
costituzionale del 2001 (ex multis: sentenze n. 295 del 2009, n.  401
del 2007, n. 190 del 2001, n. 279 del 1994, e n. 35 del 1992). Questa
Corte ha piu' volte affermato che "L'ordinamento del diritto  privato
si pone quale limite alla legislazione regionale, in  quanto  fondato
sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di
garantire nel territorio  nazionale  l'uniformita'  della  disciplina
dettata per i rapporti tra privati. Esso, quindi, identifica  un'area
riservata alla competenza  esclusiva  della  legislazione  statale  e
comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto  di  codificazione''
(sentenza n. 352 del 2001). In particolare, questa Corte ha stabilito
che la disciplina dei rapporti contrattuali (art. 1321 e seguenti del
codice civile) va riservata alla legislazione  statale  (sentenze  n.
411 e n. 29 del 2006)». 
    Le  affermazioni  appena  trascritte  trovano,  ad   avviso   del
Collegio,  piana  applicazione  anche  alla  disposizione   contenuta
nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2 della  L.R.S.  n.  15
del 2008, per l'evidente invasione della competenza  esclusiva  dello
Stato relativamente alla regolazione dei rapporti  contrattuali,  nei
quali si esprime sia il principio di autonomia privata, sia quello di
presidio e garanzia di eguaglianza nell'intero territorio nazionale. 
    4.1.3  -  Venendo  al  terzo   parametro   costituzionale   sopra
menzionato - art. 3,  secondo  comma,  Cost.,  qui  invocato  in  via
gradata rispetto ai parametri costituzionali  gia'  richiamati  -  il
Collegio ritiene che, anche nell'esercizio del potere  discrezionale,
di cui e' certamente munito il  legislatore  regionale,  nel  dettare
canoni normativi per l'organizzazione  dell'attivita'  amministrativa
del proprio apparato e degli enti  sottoposti  al  proprio  controllo
(ivi ricomprese quindi anche le stazioni appaltanti),  non  si  possa
comunque prescindere dal principio di ragionevolezza intrinseca e dal
divieto di introdurre meri automatismi non  coerenti  con  lo  stesso
canone di  ragionevolezza  cit.  desumibile,  secondo  l'insegnamento
della Corte costituzionale, proprio dall'art. 3, comma 2, della Carta
fondamentale. 
    Con la sentenza n. 87/2012 la Corte  costituzionale  riafferma  e
ripercorre la giurisprudenza che desume dall'art. 3 Cost.  un  canone
di  «razionalita'»  della  legge  svincolato  da  una  normativa   di
raffronto,     rintracciato     nell'«esigenza     di     conformita'
dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita'» (sentenza n. 421
del  1991)  ed  a  criteri  di   coerenza   logica,   teleologica   e
storico-cronologica, che costituisce un presidio  contro  l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle conseguenze  della  stessa
(sentenze n. 46 del 1993, n.  81  dei  1992)  (cfr.  relazione  sulla
Giurisprudenza costituzionale dell'Anno  2012  del  Presidente  della
Corte costituzionale,  Riunione  Straordinaria  della  Corte  del  12
aprile 2013, pagg. 95 e ss.). 
    Mutuando le considerazioni svolte (ancorche'  in  riferimento  ad
altri contesti normativi) dalla Corte costituzionale  (cfr.  sentenza
n. 166 del 2012), la scelta  di  introdurre  «automatismi»  normativi
deve costituire  il  risultato  di  un  ragionevole  e  proporzionato
bilanciamento degli  interessi  coinvolti,  soprattutto  quando  quel
meccanismo sia suscettibile di incidere (non solo e non semplicemente
sul  piano   interno   dell'attivita'   amministrativa,   ma   anche)
sull'affidamento ingenerato all'esterno sulla validita' del bando  di
gara     e      sul      conseguente      contratto      sottoscritto
dall'aggiudicatario/concessionario. Il che, ad avviso  del  Collegio,
sembra difettare nel caso che qui ci occupa in quanto il  legislatore
regionale, introducendo  un'ipotesi  di  nullita'  automatica  e  non
sanabile del bando di gara, sembra prescindere dalla possibilita'  di
operare  -  ove  l'intento  fosse  realmente  stato  solo  quello  di
approntare  quanto  necessario  per  una   corretta   e   trasparente
organizzazione del proprio apparato amministrativo, e  non  anche  di
incidere su una materia coperta da riserva assoluta di legge  statale
- sul piano del controllo interno  traslando  invece  sul  terzo  gli
effetti del mancato rispetto della norma per causa della stessa  P.A.
(che predispone il bando). 
    4.1.4 - Per quanto attiene al quarto parametro  costituzionale  -
art. 97, primo comma, Cost. - il Collegio osserva che la norma, cosi'
come  formulata,  ancorche'  voglia  costituire  un  contributo  alla
trasparenza  e  alla  correttezza  dell'agere  publicum,  rischia  di
rappresentare (per l'impossibilita' gia' evidenziata di  far  ricorso
alla  etero-integrazione  della  lex  specialis)  occasione  per   la
proposizione  di  variegate  e  plurime  azioni  (anche   di   natura
risarcitoria) contro la Pubblica Amministrazione, esperibili finanche
da parte di soggetti esclusi  dalle  gare  medesime,  che  perseguano
l'interesse alla  declaratoria  di  nullita'  delle  stesse,  con  il
travolgimento  dei  contratti  sottoscritti.  Tale  rischio  si   e',
infatti, dimostrato tutt'altro che meramente potenziale,  siccome  si
e' invece tradotto in concrete azioni proposte per la declaratoria di
nullita' dei bandi, con  domande  formulate  anche  in  via  gradata,
ovvero con pronunce di nullita' d'ufficio dei medesimi bandi di  gara
decretate dal  Giudice  cui  erano  state  rimesse  le  questioni  di
legittimita' dei relativi esiti (cfr. C.G.A. sent. n.  721/2011  cit.
di conferma della sentenza T.A.R. Palermo, Sez. III,  n.  2406/2011).
L'automatismo della sanzione della nullita' del bando,  che  e'  atto
amministrativo unilateralmente  predisposto  dalla  P.A.,  lascerebbe
altresi' impregiudicata la strada ad  azioni  risarcitorie  anche  da
parte degli aggiudicatari incolpevoli; di contro, si osserva  che  la
differente previsione  contenuta  nell'art.  3,  legge  n.  136/2010,
spostando  la  sanzione  della  «nullita'»  sull'atto  negoziale  del
contratto,  all'evidenza  coinvolge  e  responsabilizza  al  rispetto
dell'ultima norma cit. lo stesso aggiudicatario. Va  infine  rilevato
che la nullita' del bando, per mancato inserimento  delle  condizioni
previste dall'art. 2 l.r. n.  15/2008,  non  consente  alla  stazione
appaltante di esercitare il tradizionale  -  e  codificato  (v.  art.
21-nonies, legge  n.  241/1990,  applicabile  certamente  in  Sicilia
merce' il rinvio di cui all'art. 37, l.r. n.  10/1991)  -  potere  di
«autotutela amministrativa»,  cui  doverosamente  sarebbe  tenuta  in
presenza  dei   necessari   presupposti   anche   nella   prospettiva
dell'eventuale convalida di un provvedimento annullabile in  presenza
di ragioni di pubblico interesse; ma al contempo - operando invece la
nullita' cit. in modo automatico ed essendo  altresi'  rilevabile  da
chiunque  -  rischia  di  incidere  sullo   stesso   buon   andamento
dell'amministrazione la quale non potrebbe  dar  seguito  all'oggetto
della gara. 
    4.2 - Sul secondo comma dell'art.  2  della  legge  regionale  20
novembre 2008, n. 15. 
    Questo Tribunale dubita della legittimita'  costituzionale  della
disposizione  contenuta  nell'art.  2,  secondo  comma,  della  legge
regionale 20 novembre 2008,  n.  15,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettere h) e l), all'art. 27, secondo comma,  all'art.
3, secondo comma, e all'art. 97, primo comma, della Costituzione. 
    4.2.1. - Per quanto attiene al  primo  parametro  costituzionale,
art. 117, secondo comma, lettera h). 
    La disposizione introduce una causa di nullita'  del  bando,  che
non prevede la risoluzione  del  contratto  nell'ipotesi  in  cui  il
legale rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria
siano  rinviati  a  giudizio  per  favoreggiamento   nell'ambito   di
procedimenti relativi a reati di criminalita' organizzata, stabilendo
che «2. I bandi di gara prevedono, pena la nullita' degli stessi,  la
risoluzione   del   contratto   nell'ipotesi   in   cui   il   legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi a reati di criminalita' organizzata». 
    Si  tratta,  all'evidenza,   di   una   disposizione   automatica
particolarmente grave che colpisce immediatamente la legge  di  gara,
la quale, in assenza di tale clausola, non e' in grado di condurre la
procedura a buon esito, attesa la previsione della sanzione  massima,
dalla cui applicazione derivano conseguenze rilevanti:  l'azzeramento
della gara. 
    Ritiene il Collegio che l'art. 2, secondo comma, della L.R.S.  n.
15  del  2008,  costituente  un  unicum  nel   panorama   legislativo
nazionale, per quanto rileva in ordine alla fattispecie qui  dedotta,
non abbia subito ad oggi alcuna abrogazione implicita  per  l'effetto
del recepimento in Sicilia del  «codice  dei  Contratti»  (d.lgs.  n.
163/2006) avvenuto con legge regionale n. 12 del  2011  e,  per  tale
via, del recepimento del Codice Antimafia (approvato con il d.lgs. n.
159 del 2011), come, del resto, ritenuto  dal  Giudice  siciliano  di
appello (v. C.G.A., ord. n. 786/2013 cit.). 
    Ed invero - rinviando a quanto gia' argomentato  in  ordine  alla
superfluita' di qualsivoglia recepimento della normativa antimafia ai
fini della applicabilita'  in  Sicilia  -  non  si  riscontra  alcuna
sovrapposizione tra le norme statali sopravvenute e quella regionale. 
    In primo luogo, la norma regionale contenuta nell'art. 2, secondo
comma, della L.R.S.  n.  15  del  2008  prevede  un  meccanismo  piu'
rigoroso rispetto alla  normativa  contenuta  nel  codice  antimafia,
statuendo una automatica risoluzione del contratto per il solo  fatto
che il  legale  rappresentante,  o  uno  dei  dirigenti  dell'impresa
aggiudicataria, sia stato rinviato  a  giudizio  per  favoreggiamento
nell'ambito  di  procedimenti  relativi  a  reati   di   criminalita'
organizzata. 
    Di contro, in applicazione (anche) delle  disposizioni  normative
in materia  di  informative  prefettizie  antimafia  vigenti  ratione
temporis al momento di pubblicazione  del  bando  (disposizioni  oggi
riunite nel del Codice Antimafia, di cui al d.lgs. n. 159 del  2011),
il previsto recesso dal contratto eventualmente stipulato deve essere
preceduto dalla valutazione discrezionale  del  Prefetto,  che,  allo
scopo, emette una informazione  antimafia  interdittiva;  residuando,
peraltro, alla parte pubblica - pur in presenza di altre informazioni
del Prefetto - un potere  discrezionale  sulle  sorti  del  contratto
nelle more sottoscritto. 
    Va altresi' evidenziato che il citato art. 2 della L.R.S.  n.  15
del 2008 struttura il (mero) rinvio a giudizio non gia' come semplice
requisito - e, quindi come eventuale causa di esclusione  dalla  gara
come previsto invece dalle condizioni di partecipazione alle gare  di
cui all'art. 38 d.lgs. n. 163/2006 (oggi recepito in Sicilia ex  l.r.
n. 12/2011 cit.) - bensi'  come  causa  di  nullita'  del  bando  per
mancanza di clausola risolutiva espressa, pur in assenza di tutte  le
cautele procedimentali e di coerenza del giudizio che, rispetto  alla
mera sussistenza del requisito, pone l'ultimo periodo  della  lettera
m-ter) del primo comma dell'art.  38  del  d.lgs.  n.  163  del  2006
relativamente a soggetto  non  destinatario  comunque  del  rinvio  a
giudizio. 
    La norma, cosi' come redatta, appare,  pertanto,  strutturalmente
priva di ogni altra finalita' che ecceda  quelle  di  contrasto  alla
criminalita' organizzata, ponendosi, in tal modo, in palese contrasto
con la riserva della legislazione esclusiva  statale  in  materia  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    4.2.2 - Per quanto attiene al secondo  parametro  costituzionale,
art. 117, secondo comma, lettera l). 
    Oltre che per gli aspetti differenziali rispetto alla  disciplina
generale del codice dei contratti pubblici,  la  norma  in  esame  si
rivela di assai dubbia legittimita' costituzionale sotto un ulteriore
profilo: la prescrizione di una specifica causa  di  risoluzione  del
contratto non sembra  conforme  al  dettato  costituzionale,  perche'
invasiva della riserva statale  in  materia  di  ordinamento  civile,
secondo le su esposte osservazioni  da  ritenersi  qui  integralmente
riprodotte (v. punto 4.1.2). 
    4.2.3. - Per quanto attiene al  terzo  parametro  costituzionale,
art. 27, secondo comma, Costituzione. 
    La  previsione  della  sanzione,  automatica  e  definitiva,   in
presenza di un mero rinvio  a  giudizio  sembra  confliggere  con  la
presunzione di  non  colpevolezza,  prevista  dall'art.  27,  secondo
comma, della Costituzione  (v.  C.G.A.,  ordin.  n.  786/2013  cit.),
secondo cui  «L'imputato  non  e'  considerato  colpevole  sino  alla
condanna definitiva»; principio, il quale e' stato ripreso  nell'art.
6, secondo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo,  a
mente del quale «Ogni  persona  accusata  di  un  reato  e'  presunta
innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata  legalmente
accertata». 
    Invero, il principio costituzionale di non colpevolezza  (fino  a
definitiva statuizione giurisdizionale)  sembra  opporsi  anche  alla
incondizionata operativita' di una cosi incisiva  causa  di  nullita'
sulla  legge  di  gara,  ponendo  l'interesse  generale   sottostante
all'inqualificazione in un contesto temporale, nel quale  non  ne  e'
certa la sussistenza (ad esempio per una successiva  assoluzione  con
formula piena). 
    E' ben vero che  il  legislatore  statale  ha  previsto  numerosi
temperamenti alla  incondizionata  operativita'  di  tale  principio,
introducendo misure finalizzate ad evitare che il decorso  del  tempo
possa costituire un pericolo  per  l'accertamento  del  reato  o  per
l'esecuzione di una sentenza (misure cautelari personali e reali),  o
misure  special-preventive,  formalmente  di  natura  amministrativa,
dirette ad evitare la commissione di reati da  parte  di  determinate
categorie di soggetti considerati socialmente pericolosi  (misure  di
prevenzione); ma, a tale contemperamento e' addivenuto nell'esercizio
della potesta'  legislativa  esclusiva  in  ambito  penale,  o  nella
delicata materia dell'ordine pubblico e sicurezza;  e,  sovente,  con
l'introduzione di misure di carattere provvisorio. 
    Nel caso della norma in commento, la non  manifesta  infondatezza
della questione,  sotto  tale  profilo,  si  apprezza  ulteriormente,
tenendo conto  dell'inscindibile  collegamento,  creato  dalla  norma
regionale, tra il  dato  del  rinvio  a  giudizio  e  la  risoluzione
automatica del contratto medio  tempore  stipulato;  con  conseguente
diretta e definitiva incidenza  del  (mero)  rinvio  a  giudizio  sul
rapporto negoziale in  corso,  destinato  -  pur  in  presenza  della
apposita clausola nel presupposto bando di gara - ad essere risolto. 
    Tale definitiva ed automatica conseguenza sul contratto non trova
riscontro neppure nella normativa nazionale emanata nel settore degli
appalti pubblici, contenuta nell'art. 38 del d.lgs. n. 163 del  2006,
il cui primo comma, alla lettera  c),  esclude  dalla  partecipazione
alle gare i (soli) soggetti nei cui confronti  e'  stata  pronunciata
sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della
pena su richiesta, ai sensi dell'art. 444  del  codice  di  procedura
penale, per reati gravi in danno dello Stato o  della  Comunita'  che
incidono sulla  moralita'  professionale;  o  sentenza  di  condanna,
passata in giudicato, per  uno  o  piu'  reati  di  partecipazione  a
un'organizzazione criminale, corruzione,  frode,  riciclaggio,  quali
definiti dagli atti  comunitari  citati  all'art.  45,  paragrafo  1,
direttiva CE 2004/18; indicando i titolari di poteri,  di  cui  vanno
accertati i predetti precedenti penali. 
    L'analisi  di  tale  costruzione  giuridica  rende  ulteriormente
evidente - qualora ve ne fosse bisogno -  la  reale  finalita'  della
norma  regionale,  di  prevenzione  e  contrasto   di   fenomeni   di
infiltrazioni criminali nel delicato settore degli appalti  pubblici;
compito  riservato  dalla  Carta   Fondamentale   esclusivamente   al
legislatore statale, al quale compete di stabilire il contemperamento
tra i principi costituzionali che vengono in rilievo, per mezzo della
normativa, penale o para-penale, esclusivamente  volta  al  contrasto
della criminalita' (organizzata e non). 
    4.2.4 - Venendo  al  quarto  parametro  costituzionale,  art.  3,
secondo comma, Cost. - il Collegio ritiene  di  poter  richiamare  in
questa sede le considerazioni gia' sopra svolte al punto 4.1.3 cui si
rinvia. Appare  tuttavia  utile  aggiungere  come,  in  relazione  al
secondo  comma  dell'art.  2  della  legge  regionale   n.   15/2008,
l'irragionevolezza del'automatismo introdotto dalla norma si appalesa
maggiormente grave e  privo  della  necessaria  razionalita'  laddove
connette la nullita' del bando alla mancata  previsione  dell'ipotesi
di  risoluzione  del  contratto  (nei   casi   in   cui   il   legale
rappresentante o uno dei dirigenti dell'impresa aggiudicataria  siano
rinviati a giudizio per favoreggiamento nell'ambito  di  procedimenti
relativi  a   reati   di   criminalita'   organizzata)   prescindendo
dall'esistenza di informative tipiche ovvero atipiche  di  competenza
dell'autorita' di polizia. 
    4.2.5 - Per quanto attiene al  quinto  parametro  costituzionale,
art. 97, primo comma, Costituzione, per brevita' di  trattazione,  il
Collegio rinvia alle considerazioni gia' svolte in  ordine  al  primo
comma  (e  per  il  medesimo  parametro  costituzionale)  di  cui  al
precedente  punto  4.1.4,  che   qui   si   intendono   integralmente
richiamate. 
    5. -  In  conclusione,  appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  che  con  la
presente ordinanza viene rimessa alla Corte costituzionale in ordine: 
        A)  all'art.  2,  primo  comma,  della  legge  della  Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lettere h) e l), 3, secondo comma, e 97, primo  comma,
della Costituzione; 
        B) all'art. 2,  secondo  comma,  della  legge  della  Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n. 15, per violazione  degli  artt.  117,
secondo comma, lettere h) e l), 27, secondo comma, 3, secondo  comma,
e 97, primo comma, della Costituzione. 
    Il processo deve,  pertanto,  essere  sospeso,  con  trasmissione
degli  atti  alla  Corte   costituzionale,   per   ogni   conseguente
statuizione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale  per  la  Sicilia  (Sezione
Seconda) non definitivamente pronunciando: 
        i) dichiara  rilevanti  e  non  manifestamente  infondate  le
questioni di legittimita' costituzionale: 
          A) dell'art. 2, primo  comma,  della  legge  della  Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n.  15,  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettere  h)  e  l),  dell'art.  3,  secondo  comma,  e
dell'art. 97, primo comma, della Costituzione; 
          B) dell'art. 2, secondo comma, della  legge  della  Regione
Siciliana 20 novembre 2008, n.  15,  per  violazione  dell'art.  117,
secondo  comma,  lettere  h)  e  l),  dell'art.  27,  secondo  comma,
dell'art. 3, secondo  comma,  e  dell'art.  97,  primo  comma,  della
Costituzione; 
        ii) sospende il presente  giudizio  ai  sensi  dell'art.  79,
primo comma, cod. proc. amm.; 
        iii) ordina l'immediata trasmissione degli  atti  alla  Corte
costituzionale, per il competente  controllo  di  legittimita'  sulle
questioni sollevate; 
        iv) rinvia ogni definitiva statuizione nel merito e  in  rito
del ricorso introduttivo e sul mezzo incidentale, nonche' sulle spese
di  lite,   all'esito   del   promosso   giudizio   di   legittimita'
costituzionale, ai sensi dell'art. 79 ed 80 del c.p.a. 
    Ordina che, a cura della segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza: a) sia notificata a tutte le parti in causa, ivi  comprese
espressamente  quelle  intimate  ancorche'  non  costituite,   e   al
Presidente  della  Regione  Siciliana  nonche'  al   Presidente   del
Consiglio  dei  ministri;   b)   sia   comunicata   alla   Presidenza
dell'Assemblea Regionale Siciliana e ai Presidenti delle  due  Camere
del Parlamento. 
      Cosi' deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23
ottobre 2013. 
 
                       Il presidente: Valenti 
 
 
                                                L'estensore: Cavallo