N. 63 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2013

Ordinanza del 12 dicembre 2013 emessa dal  tribunale  di  Milano  nel
procedimento civile promosso da E.K.M. contro D.B.R.. 
 
Procedimento civile - Cause nelle quali il tribunale giudica in primo
  grado  in  composizione  collegiale  (nella   specie:   Separazione
  giudiziale  dei  coniugi)  -  Rimessione  al  Collegio   -   Omessa
  previsione che  «il  giudice puo'  decidere  la  causa   ai   sensi
  dell'art. 281-sexies c.p.c.» - Conseguente  impossibilita'  per  il
  giudice istruttore di fissare udienza dinanzi al  Collegio  per  la
  decisione a seguito di trattazione orale - Violazione dei  principi
  di ragionevolezza e di uguaglianza - Violazione del  principio  del
  giusto processo. 
- Codice di procedura civile, art. 189. 
- Costituzione, artt. 3 e 111. 
(GU n.19 del 30-4-2014 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    A scioglimento della riserva espressa all'udienza del 10 dicembre
2013, ha pronunciato e seguente ordinanza, artt. 134 Cost., 23  legge
11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento iscritto al n. 22147 dell'anno
2013, pendente tra E.K.M., nata a Khenifra (Marocco) e  residente  in
Milano,  rappresentante  legale:  avv.  Giorgio  Rossari,   domicilio
eletto: presso studio legale Milano, via Vivaio n.  6,  procura  alle
liti: a margine dell'atto di ricorso, parte attrice; 
    Contro D.B.R., codice fiscale (non indicato dall'attrice), nato a
Milano e residente in Milano,  notificazione:  presso  residenza,  ai
sensi dell'art. 140 del codice di procedura civile,  parte  convenuta
contumace; 
    E con l'intervento dell'ufficio di  Procura  avente  ad  oggetto:
separazione giudiziale, art. 151 del codice civile. 
 
                              In fatto 
 
    I coniugi E.K.M., nata a Khenifra (Marocco),  e  D.B.R.,  nato  a
Milano, contraevano matrimonio civile in Milano,  in  data  6  luglio
2005, con atto trascritto nei registri dello stato civile di  Milano.
Dall'unione  non  nascevano  figli.   Con   ricorso   depositato   in
Cancelleria in data 25 marzo 2013, la E.K. richiedeva pronunciarsi la
separazione giudiziale dal marito  allegando  la  definitiva  rottura
dell'affectio coniugalis.  Richiedeva  la  liquidazione  delle  spese
processuali, solo in caso di opposizione alla domanda  da  parte  del
coniuge.  Nulla  chiedeva  per  se'  a  titolo  di  mantenimento.  Il
presidente  f.f.  fissava  l'udienza  in  data   1°   ottobre   2013.
All'udienza ex art. 708 del codice di procedura civile, non compariva
il D.B. nonostante la regolarita' della notificazione, perfezionatasi
ex art. 140 del  codice  di  procedura  civile.  Il  presidente  f.f.
autorizzava i coniugi a vivere separati e fissava l'udienza ex  artt.
709-bis, 183 del codice di procedura  civile,  in  data  10  dicembre
2013. La parte attrice depositava  memoria  integrativa  in  data  21
novembre 2013 insistendo per la pronuncia di separazione. All'udienza
di prima comparizione, tenuta in data 10  dicembre  2013,  il  marito
restava  contumace,  nonostante  la   regolarita'   della   notifica,
perfezionatasi in mano della madre convivente. L'avvocato della parte
attrice richiedeva  fissarsi  udienza  ex  art.  189  del  codice  di
procedura civile. Il giudice istruttore riservava  la  decisione.  Il
Tribunale, cio' detto, ritiene di  dovere  rimettere  gli  atti  alla
consulta,  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 189 del codice  di
procedura civile, nella parte in cui non prevede che «il giudice puo'
decidere la causa ai sensi dell'art. 281-sexies». 
    In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza. 
 
                               Osserva 
 
    Quanto segue. 
    1. - In punto di  rilevanza,  la  questione  e'  da  considerarsi
senz'altro rilevante. All'esito dell'udienza ex art. 183  del  codice
di procedura civile, essendo la causa matura  per  la  decisione,  e'
precipua intenzione di questo Tribunale fissare  udienza  dinanzi  al
collegio per la discussione orale della  causa,  ai  sensi  dell'art.
281-sexies del codice di procedura civile, al fine di  accelerare  la
fase decisoria, tenuto conto della evidente semplicita' della materia
del   contendere.   Possibilita'   affatto   preclusa   dall'impianto
organizzativo  dell'ufficio  (anche  cd.  tabellare),  in  quanto  le
udienze dinanzi al collegio sono fisse per  previsione  presidenziale
con programmazione annuale. Ad esempio, nel caso di specie, la  prima
udienza collegiale utile e' del 12 dicembre 2013. La  scelta  per  il
modulo  decisorio  succitato  e',  tuttavia,  preclusa   dall'attuale
sistematica del codice di rito. La separazione giudiziale rientra tra
le controversie nelle quali  il  tribunale  giudica  in  composizione
collegiale (artt. 50-bis,  comma  I,  70,  comma  II  del  codice  di
procedura civile): non sono, dunque, applicabili al  procedimento  le
disposizioni di cui al libro II, titolo I, capo III-bis (procedimento
davanti al tribunale in composizione monocratica). In particolare,  e
per quanto qui esclusivamente interessa, non  e'  applicabile  l'art.
281-sexies del codice di procedura civile, che prevede la decisione a
seguito di trattazione orale.  Infatti,  l'art.  189  del  codice  di
procedura civile, prevede che il giudice istruttore  possa  rimettere
le parti dinanzi al collegio esclusivamente a norma degli artt. 187 o
188 del codice di procedura civile  e,  dunque,  secondo  il  modello
decisorio ordinario di' cui agli artt. 275 e seguenti del  codice  di
procedura  civile.  Ne  consegue  che  il  procedimento  a  decisione
collegiale - esaurita l'istruttoria - puo' concludersi esclusivamente
a seguito della concessione dei termini ex art.  190  del  codice  di
procedura civile e, dunque, mediante le appendici scritte conclusive.
Reputa questo ufficio che la preclusione in parola  sia  sospettabile
di incostituzionalita', per contrasto con gli artt. 3  e  111  Cost.;
contrasto  all'evidenza  che  non  puo'   essere   risolto   in   via
interpretativa. In punto di non manifesta infondatezza, la  questione
non si palesa manifestamente infondata in relazione  ai  profili  che
vengono a breve ad essere illustrati. 
    2.  -  In  punto   di   ammissibilita'   della   questione,   una
interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa.  E'  noto  a  questo
tribunale che  tra  i  diversi  significati  giuridici  astrattamente
possibili il giudice deve selezionare quello che  sia  conforme  alla
Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale,  infatti,
e'  legittimo  solo  allorquando  nessuno  dei  significati,  che  e'
possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle
censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65, in
Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea  di
principio,  le  leggi  si  dichiarano  incostituzionali  perche'   e'
impossibile darne interpretazioni «secundum Consfitutionem» e non  in
quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche
vero che esiste  un  preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo
salvifico della norma a livello  ermeneutico:  il  giudice  non  puo'
«piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale». Ed, in tal senso, di  fatto,  vi  sarebbe  il  rischio  -
dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere  una
competenza che al giudice odierno non compete, se non  altro  perche'
altri organi, nell'impalcatura  Costituzionale  (come  l'adita  Corte
delle leggi), sono deputati ad  espletare  talune  funzioni  ad  essi
esclusivamente riservate. Ma vi e' di piu': l'interpretatio  secundum
constitutionem presuppone, indefettibilmente,  che  l'interpretazione
«altra» sia  «possibile»,  cioe',  praticabile:  differentemente,  si
creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche  dinnanzi
a norme «chiare» ogni giudicante adito potrebbe  offrire  uno  spunto
interpretativo diverso. Svolte le  considerazioni  riportate,  reputa
l'odierno giudicante che il dato normativo non si possa  prestare  ad
interpretazioni diverse da quella emergente dalla  mera  lettura  del
testo. Rimane, pertanto infruttuoso il doveroso  tentativo  da  parte
dell'odierno giudice di  individuare  un'interpretazione  compatibile
con la Costituzione (Corte Cost. ord. n. 427/2005; ord.  n.  306  del
2005). 
    3. - Cosi' introdotta, nel  rito,  la  questione  sollevata,  nel
merito  disposizione  e'  sospettata   di   incostituzionalita'   per
violazione  dell'art.  3  della  Charta  Chartorum  (sub  specie   di
principio di ragionevolezza e uguaglianza) e dell'art. 111 Cost. Come
noto, il modulo decisorio della discussione  orale  (art.  281-sexies
del codice di procedura civile) e' stato  riservato,  sin  dalla  sua
introduzione, esclusivamente al procedimento davanti al tribunale  in
composizione monocratica. In tempi recenti, tuttavia, il  legislatore
ha ritenuto necessario ed opportuno estenderne il fascio applicativo.
Dapprima, mediante manipolazione  dell'art.  429,  comma  c.p.c.  per
quanto  concerne  il  rito  cd.  lavoro  (vedi  art.  53,  comma   2,
decreto-legge  25  giugno  2008,  n.  112,  convertito  in  legge  n.
133/2008), prevedendo  la  definizione  della  controversia  mediante
discussione orale seguita dalla sentenza con contestuale motivazione.
In seguito, mediante introduzione  del  modulo  decisorio  accelerato
anche al giudice dell'impugnazione. La legge  12  novembre  2011,  n.
183, infatti, modificando gli artt. 351 e 352 del codice di procedura
civile,  ha  previsto  la  possibilita'  della   decisione   mediante
discussione orale ex art. 281-bis del  codice  di  procedura  civile,
anche davanti al giudice di appello (quindi, in  caso  di  competenza
della Corte, un organo collegiale), sia nell'intercapedine  ex  artt.
283, 351 comma I del codice  di  procedura  civile  (udienza  per  la
discussione sulla cd. inibitoria),  sia  nello  sviluppo  fisiologico
della procedura di gravame: ai sensi dell'art. 352, ultimo comma  del
codice di procedura civile, «quando non provvede ai sensi  dei  commi
che precedono, il giudice puo' decidere la causa ai  sensi  dell'art.
281-sexies». La scelta legislativa e' stata, peraltro, nel  senso  di
rendere maggiormente agevole il ricorso  al  modulo  della  decisione
orale,  rispetto  alle  condizioni  in  presenza  delle   quali,   la
giurisprudenza l'ammetteva (vedi Cass. Civ. 6205/2009). In tal  modo,
tuttavia, si e' creata una  aporia  nell'impalcatura  codicistica  in
quanto il giudice in composizione collegiale (la  Corte  di  appello)
puo' beneficiare della discussione orale ex art. 281-bis  del  codice
di procedura civile, in secondo grado e non puo'  farlo,  invece,  in
primo grado (tribunale  in  composizione  collegiale).  Peraltro,  il
modello di decisione «immediata», a seguito di discussione  orale  e'
divenuto, di  fatto,  lo  strumento  generale  di  definizione  delle
controversie e si rintraccia, infatti, anche nelle normative speciali
(vedi ad es.,  art.  23,  legge  n.  689/1981  e  art.  152,  decreto
legislativo  n.  196/2003  come  recepiti,  dopo  l'abrogazione,  nel
decreto legislativo n. 150/2011) e  soprattutto  in  tutte  le  cause
definite mediante procedimento sommario di cognizione, ormai  modello
processuale largamente diffuso (vedi decreto legislativo 1° settembre
2011, n. 150). Orbene,  e'  noto  come  la  decisione  a  seguito  di
trattazione orale sia divenuta, dunque, nell'ultimo decennio, uno dei
principali  e  piu'  importanti   strumenti   di   organizzazione   e
razionalizzazione del  ruolo  ed  attuale  oggetto  privilegiato  nei
protocolli di  udienza  adottati  dagli  uffici  giudiziari  italiani
(nell'ambito  delle  cd.  prassi  virtuose).  Non  stupisce  che   la
dottrina,  proprio  in  tempi  recenti,   abbia   inquadrato   l'art.
281-sexies del codice di procedura civile, nell'ambito  delle  misure
«atte a garantire la ragionevole durata  del  processo  ex  art.  111
Cost.» ed abbia affermato che  il  modello  di  decisione  introdotto
dalla  norma  citata  possa  essere  «considerato  il  piu'  coerente
rispetto  al  parametro  costituzionale  del  giusto  processo».   Il
criterio di preferenza si fonda sulla constatazione che una decisione
che  segua  immediatamente  la  discussione  orale  non  consente  la
dispersione  del  sapere   proveniente   dalla   preparazione   della
deliberazione e delle difese delle parti e, soprattutto, accelera  la
fase decisoria e riduce in modo significativo la durata del processo.
Esigenza di accelerazione sempre piu' avvertita al fine di  prevenire
ed  evitare  le  responsabilita'   dirette   dello   Stato   per   la
irragionevole durata dei procedimenti civili (e sul  punto,  infatti,
e' recente l'intervento del legislatore proprio in materia  di  legge
cd. Pinto: vedi legge 7 agosto 2012, n. 143, di modifica della  legge
n. 89/2001). Ebbene,  in  un  mutato  contesto  ordinamentale,  cosi'
brevemente ricostruito, la preclusione del  modulo  di  decisione  ex
art.  281-sexies  del  codice  di  procedura  civile  per  le   cause
collegiali in primo grado non appare  giustificabile  mediante  alcun
criterio oggettivo che riveli ragionevolezza  e  si  traduce  in  una
previsione priva di coerenza razionale  con  il  sistema  processuale
vigente e, soprattutto, in  una  omissione  normativa  che  impedisce
l'attuazione ed il rispetto del principio  del  giusto  processo.  Si
tratta di una lacuna normativa che crea pure una distinzione priva di
giustificazione e, dunque, uno strappo nel principio di  uguaglianza:
infatti,  se  per  alcune  controversie  la  ragionevole  durata   e'
garantita  mediante  l'applicazione  della  decisione  a  seguito  di
trattazione  orale,  per  altre,  alla  luce   della   sola   diversa
composizione dell'organo giudicante - e limitatamente al primo  grado
- questa possibilita' non e' praticabile. 
    Questo tribunale non ignora l'insegnamento costante  della  Corte
costituzionale, in tema di normative processuali e, cioe', il costume
pretorile per cui «nella disciplina degli istituti  processuali  vige
il principio della discrezionalita' e insindacabilita'  delle  scelte
operate dal legislatore» (vedi, da ultimo, Corte cost.,  sentenza  16
gennaio 2013, n. 10) pero'  pure  non  ignora  che  un  sindacato  e'
comunque ammesso in caso di «manifesta irragionevolezza» (ex  multis,
ordinanze n. 174 del 2012, n. 141 del 2011, e n. 164  del  2010)  che
reputa ricorra nel caso di specie. 
    4. - Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene  che
la norma  censurata  si  ponga  in  contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza e il principio  di  uguaglianza,  difesi  dall'art.  3
della Charta Costituzionale, e con il principio del  giusto  processo
ex art. 111 Cost. 
    5. - Petitum. Per quanto sin qui  osservato,  e'  auspicabile  un
intervento  della  Corte  adita   che   dichiari   costituzionalmente
illegittimo l'art. 189 del codice di procedura civile, nella parte in
cui non prevede che «il giudice  puo'  decidere  la  causa  ai  sensi
dell'art. 281-sexies». 
    Alla luce di tutte le  considerazioni  svolte,  il  tribunale  di
Milano, sezione nona civile. 
 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost., 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 189  del  codice  di  procedura
civile, per violazione degli artt. 3, 111 Cost., nella parte  in  cui
non prevede che «il giudice puo' decidere la causa ai sensi dell'art.
281-sexies». 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti  alla  Corte  costituzionale,  unitamente   alla   prova   delle
comunicazioni e notificazioni previste a seguire. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
notificata alle parti del processo (incluso il convenuto contumace  e
il pubblico ministero), al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della  Camera  dei  deputati  e  del
Senato della Repubblica. 
      Cosi' deciso in Milano, 11 dicembre 2013 
 
                         Il giudice: Buffone