N. 105 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 2014
Ordinanza del 22 gennaio 2014 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria sul ricorso proposto da Cugnata Giovanni contro Comune di Chiavari . Giustizia amministrativa - Riordino del processo amministrativo - Domanda di risarcimento del danno conseguente all'annullamento giudiziale del provvedimento lesivo - Esperibilita' entro il termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento - Irragionevolezza - Lesione del diritto di difesa del danneggiato - Lesione del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, art. 30, comma 5. - Costituzione, artt. 3, 24, 103, 113 e 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.27 del 25-6-2014 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA Sezione Seconda Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 577 del 2013, proposto dal signor Giovanni Cugnata rappresentato e difeso dall'avvocato Daniele Rovelli, con lui elettivamente domiciliato a Genova, in via XX settembre 37/b, presso l'avvocato Luigi Bozano Gandolfi; Contro Comune di Chiavari, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Cocchi presso il quale ha eletto domicilio a Genova, in via Macaggi, 21/5; Per la condanna del comune di Chiavari al risarcimento del danno arrecato al ricorrente dall'illegittimo provvedimento di esclusione (nota n. 168 del 16 ottobre 2008) dalla gara di appalto dei lavori per la manutenzione straordinaria dei parapetti e del manto di copertura della scuola elementare di Caperana; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Chiavari; Visti gli atti e le memorie depositate; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2013 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Il signor Giovanni Cugnata, imprenditore edile, chiede condannarsi il comune di Chiavari al pagamento di una somma di denaro a titolo risarcitorio, in conseguenza dell'illegittimita' commessa dall'ente pubblico che lo escluse da una gara per l'esecuzione di lavori pubblici. Si e' costituito in causa il comune resistente, che chiede dichiararsi inammissibile o respingersi la domanda. Le parti hanno depositato memorie e documenti. L'interessato riferisce di essere titolare di un'impresa edile che presento' la migliore offerta per l'aggiudicazione dei lavori per la manutenzione straordinaria dei parapetti e del manto di copertura della scuola elementare di Caperana; l'illegittima esclusione dalla selezione - disposta dal Comune di Chiavari con nota n. 168 del 16 ottobre 2008 - ha comportato il danno di cui e' chiesto il risarcimento nelle componenti del danno emergente, di quello curricolare e delle altre voci specificate in domanda. A corredo della richiesta l'interessato espone di aver contrastato l'esclusione disposta dal comune resistente con ricorso straordinario al presidente della Repubblica, che lo ha accolto con il d.P.R. 23 settembre 2009, che a sua volta ha fatto proprio il parere 1240 del 2009 della terza sezione del consiglio di Stato: in quell'occasione l'atto consultivo ha ritenuto che sarebbe stato onere dell'amministrazione civica accertarsi della «... effettiva esistenza di violazioni definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, e non soffermarsi sulla mera pendenza di cartelle di pagamento non ancora onorate ...», ed ha per cio' considerato illegittima l'esclusione dell'impresa concorrente. Questa aveva presentato un'offerta che avrebbe consentito l'aggiudicazione del contratto: la circostanza non e' contestata dalla difesa comunale e deve pertanto considerarsi pacifica tra le parti. Su tali premesse viene proposta l'azione volta al risarcimento del danno, per paralizzare la quale il comune eccepisce l'intervenuta decadenza dell'iniziativa giurisdizionale, essendo ampiamente decorso il termine di centoventi giorni fissato dall'art. 30, comma 5, del d.lgs 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo). Parte ricorrente replica che detta norma non puo' trovare applicazione, trattandosi di una fattispecie che ritrae il suo fondamento dalle condotte e dagli atti comunali risalenti all'epoca precedente all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo; del pari la pronuncia del presidente della Repubblica e' cronologicamente anteriore al codice, si' che anche considerindo il d.P.R. come il fatto costitutivo dell'obbligazione risarcitoria, non si potrebbe ritenere l'intervenuta modificazione normativa influente sul regime di proposizione dell'atto introduttivo della lite. Ne conseguirebbe che al caso dovrebbe applicarsi il regime prescrizionale di cui all'art. 2947 c.c., e non gia' quello decadenziale introdotto dalla norma sopra citata, ma sul punto appare opportuno rinviare a quanto osservato di seguito. La questione va allora esaminata alla luce dei contributi dottrinali e delle pronunce che si sono avute in argomento. L'art. 30 del cpa non ha soltanto introdotto il termine dichiaratamente decadenziale su cui si controverte, ma si e' proposto lo scopo di dirimere un contrasto che era assai acuto tra la giurisprudenza del consiglio di Stato e quella della corte di cassazione. La prima ribadiva, seppur con diverse accentuazioni, la necessaria dipendenza dell'azione di danno da quella demolitoria del provvedimento lesivo, dal che derivava l'affermazione del principio della cosiddetta pregiudizialita' amministrativa, con cio' intendendosi che il danno non poteva essere liquidato se prima, o contemporaneamente, non si era ottenuta la pronuncia sull'illegittimita' del provvedimento lesivo, quello che aveva concretamente inciso la situazione di interesse legittimo che era stata azionata. La corte di cassazione propendeva, invece, per la separazione delle situazioni che vengono in rilievo in materia, ritenendo che la proposizione della richiesta risarcitoria potesse avvenire separatamente ed in modo indipendente da quella cassatoria del provvedimento ritenuto lesivo, in cio' seguendo una linea argomentativa che puo' farsi risalire alla sentenza 22 luglio 1999, n. 500 delle sezioni unite. Tale contrasto aveva portato ad orientamenti dissonanti, si' che il legislatore ha ritenuto di intervenire introducendo l'art. 30 del cpa, che tratta appunto dell'azione di condanna, ed in particolar modo di quella risarcitoria. Per restare a quanto rileva ai fini della presente decisione, va osservato che la norma in questione ha accolto la tesi che nega la natura vincolante della cosiddetta pregiudiziale amministrativa, ammettendo il soggetto che si ritiene leso alla proposizione della domanda di danno in modo autonomo o congiunto con quella di annullamento: degno di nota e' il precetto di cui al comma 3, che prevede il termine decadenziale, eccepito dal comune di Chiavari, anche per le cause in cui l'istanza risarcitoria risulta del tutto scollegata da quella proposta per l'annullamento, e introduce delle disposizioni simili a quelle che si leggono nell'art. 1227 cod. civ. per limitare il risarcimento dovuto a coloro che avrebbero potuto elidere o contenere il danno proponendo l'azione di annullamento. Il comma quarto dispone in merito al termine previsto dalla legge per chiedere il risarcimento del danno, allorche' la lesione deriva dal ritardo nella decisione. Anche in questo caso la legge prevede il termine decadenziale di giorni centoventi, ed in tal misura e' modulata la decorrenza iniziale in ragione dell'entita' dell'inadempienza fatta registrare dalla p.a. Il quinto comma su cui si controverte prevede il caso in cui la domanda di risarcimento venga proposta insieme o successivamente alla conclusione del giudizio di annullamento, ed in detta ipotesi la norma dispone che il termine da rispettare per la sua proposizione sia sempre di giorni centoventi. In proposito non puo' negarsi alla pronuncia del DPR in questione - conseguente a ricorso straordinario, cioe' a rimedio «alternativo» al ricorso giurisdizionale amministrativo - l'efficacia cassatoria della determinazione lesiva subita dal ricorrente: al tempo dei fatti era infatti data la possibilita' di adire il presidente della Repubblica anche in materia di contratti pubblici, per cui la pubblicazione del decreto presidenziale ha comportato l'annullamento dell'atto del comune di Chiavari e la possibilita' di adire il giudice competente per conseguire il risarcimento del danno. In tale contesto sembra doversi opinare per la natura processuale delle previsioni in commento: si tratta infatti di precetti che mirano ad imprimere una scansione ai giudizi che il legislatore ammette possano essere proposti in materia, ed in particolare le disposizioni sul termine di introduzione della causa delineano una modalita' di consumazione del diritto processuale che si riverbera direttamente su quello sostanziale. Il riconoscimento del carattere processuale della disciplina in questione induce a ritenere che l'art. 30 del cpa intervenne a disciplinare la situazione del ricorrente sin dalla sua entrata in vigore (16 settembre 2010), si' che da tale giorno inizio' a decorrere il nuovo termine decadenziale che si era sostituito per forza di legge a quello prescrizionale previgente che deriva dal diritto comune (l'art. 2947 cc citato). Non e' infatti plausibile argomentare che la nascita dell'obbligazione risarcitoria con l'esclusione dell'impresa dalla selezione, od al piu', con l'accoglimento del ricorso straordinario interposto appunto avverso detta esclusione, abbiano fatto si' che l'originaria disciplina dell'azione ipoteticamente proponibile restasse immutata, non ostante l'entrata in vigore dell'art. 30 del cpa. Detta pretesa ultrattivita' del regime non ha infatti base normativa, apparendo anzi smentita dall'art. 2 dell'allegato 3 delle norme transitorie del codice del processo amministrativo, che stabilisce che i termini gia' in corso di decorrenza alla data di entrata in vigore del codice continuano ad essere regolati dalle leggi previgenti; da cio' deriva che i termini per i quali la decorrenza non era ancora iniziata sono disciplinati dalle norme di nuova introduzione. Nel caso in questione, il legislatore ha ritenuto di mutare in modo rilevante il quadro normativo nel senso descritto, per cui non e' possibile sostenere che il termine prescrizionale fosse gia' in corso di decorrenza e quindi la situazione si fosse consolidata in tal senso, cosi' come appare incongruo negare che la decorrenza del termine per agire sia stata influenzata dalla novella introdotta dal codice. Comunque, anche a voler condividere, invece, la giurisprudenza che riconosce natura sostanziale ai termini in questione, si perviene parimenti a concludere nel senso dell'applicabilita' ai giudicati di annullamento precedenti all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo (16 settembre 2010) delle previsioni dell'art. 30, comma 5, del codice stesso, con inizio della decorrenza del termine di decadenza ivi previsto dalla data di entrata in vigore della disposizione (v. T.A.R. Campania, Salerno, 1, 10 ottobre 2013, n. 2038; T.A.R. Puglia, Lecce, 1, 21 giugno 2013, n. 1490). Tutte queste osservazioni chiariscono che, nella fattispecie oggetto del presente giudizio, la parte privata avrebbe dovuto introdurre il giudizio risarcitorio entro 120 giorni dall'entrata in vigore del codice del processo amministrativo. Essa, invece, non ha osservato detta tempistica processuale, si' che l'azione risarcitoria andrebbe dichiarata inammissibile per intervenuta decadenza. Tutto cio' premesso, il collegio dovrebbe dichiarare inammissibile il ricorso: tuttavia la norma decisiva per la pronuncia, appunto l'art. 30, comma 5, del d.lgs. 2010, n. 104, pone dubbi di costituzionalita' che vanno sottoposti alla competente corte costituzionale. Va subito osservato che quanto precede configura la sussistenza della rilevanza della questione, posto che l'efficacia della norma nell'ordinamento orienta la decisione in un senso o nell'altro, almeno in ordine all'ammissibilita' della domanda. Circa la non manifesta infondatezza va osservato quanto segue. Il legislatore ha inteso restringere in modo severo i termini di proposizione della domanda risarcitoria, una volta che sia stata conseguita la dichiarazione di illegittimita' del provvedimento lesivo, ovvero quando si intenda chiederne la dichiarazione incidentale di illegittimita', cosi' da poter proseguire senza ostacoli verso la condanna della p.a. al risarcimento del danno. La ragione di cio' puo' essere individuata nell'esigenza di contenere la prevedibile mole delle domande risarcitone piu' o meno giustificate, che potrebbero aggravare il carico debitorio pubblico in una situazione finanziaria che non e' tranquillizzante su quel versante. Oltre a cio' si puo' ritenere che le amministrazioni pubbliche abbiano rappresentato al governo, in sede di compilazione del testo definitivo del codice del processo amministrativo, l'esigenza di conoscere per tempo se una determinata situazione giuridica possa considerarsi conclusa, ovvero se vi siano ancora possibilita' di vederla messa in discussione. In merito puo' notarsi che il diritto amministrativo si e' formato intorno ad alcuni concetti, taluni di chiaro favore per le amministrazioni, uno dei quali si sostanzia nella necessita' che un provvedimento autoritativo sia impugnato a pena di inoppugnabilita' entro termini decadenziali assai piu' ristretti di quelli prescrizionali del diritto comune. Tale previsione venne introdotta per far si' che il margine operativo dell'amministrazione e dell'eventuale controinteressato fosse limitato nel tempo, cosa che non puo' invece dirsi per le situazioni in cui si tratta di risarcimento. Si privilegio' in tal senso l'esigenza dell'amministrazione di esercitare il potere previsto alla legge senza il possibile ostacolo costituito dall'incertezza in ordine alle situazioni che residuavano come potenzialmente controverse. La necessita' di operare una sicura distinzione tra le situazioni individuate e' divenuta ancor piu' rilevante nei tempi recenti, allorche' l'apprezzamento dell'attivita' amministrativa non ha avuto piu' riguardo ai singoli atti, quanto al procedimento: in tale contesto e' divenuta assai importante l'individuazione delle scansioni del procedimento che devono essere immediatamente impugnate, senza attendere che la serie di determinazioni giunga alla fine prevista dalle norme che la regolano. Cio' posto, sembra di poter desumere che la norma in questione ha teso a riprodurre il citato orientamento legislativo anche in un settore in cui esso risulta incongruo, in particolare ove si proceda ad una comparazione tra i differenti trattamenti che si vengono cosi' a determinare. Da un lato chi e' leso, ed ha un diritto di azione fondato sugli artt. 2043 e seguenti del codice civile, ha davanti a se', prima del decorso del termine della prescrizione, uno spazio deliberativo quinquennale per decidere se intraprendere l'iniziativa giudiziaria. Chi si trova invece ad affrontare il tema risarcitorio come conseguenza della lesione patita ad un interesse legittimo deve determinarsi in un tempo che e' un decimo di quello previsto dalla legge comune, oltre tutto a pena non di prescrizione, ma di decadenza, con conseguente irrilevanza di ogni iniziativa volta ad esigere il credito diversa dall'azione in giudizio. La differenziazione cosi' operata dal legislatore delegato non sembra avere un fondamento razionale sufficiente, sicche' la formulazione dell'art. 30 comma 5 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 appare integrare la violazione di svariati articoli della Costituzione. Il collegio condivide, al riguardo, le considerazioni in appresso svolte, contenute nell'ordinanza del T.A.R. Sicilia, II, n. 1628 del 7 novembre 2011, sulle quali la Consulta non si e' pronunciata, per difetto di rilevanza della questione nel caso di specie (Corte cost. n. 280 del 12 dicembre 2012). La non manifesta infondatezza della questione discende, innanzi tutto, dal rilievo della irragionevole compressione del diritto di difesa in giudizio della parte danneggiata, con violazione degli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. E' ampiamente nota la ratio posta alla base dei termini di decadenza previsti in materia di annullamento di atti giuridici emanati da poteri pubblici e da soggetti privati: si tratta dell'esigenza di certezza del diritto e di stabilita' dei rapporti giuridici, connessa al rilievo che l'atto pone un assetto di interessi rilevante sul piano superindividuale. Il bilanciamento fra il diritto degli interessati a sollecitare un sindacato giurisdizionale dell'atto, e l'interesse a definire sollecitamente la relativa vicenda in modo da non esporre ad un arco temporale eccessivamente lungo la sorte della fonte di un rapporto giuridico rilevante per una collettivita' di soggetti, consente di individuare nella previsione di un termine di impugnazione a pena di decadenza - purche' il relativo termine sia ragionevole e non renda eccessivamente difficile l'esercizio del diritto - il soddisfacente punto di equilibrio del sistema. L'azione risarcitoria, gia' sul piano strutturale, si pone al di fuori di questa problematica: l'esposizione del debitore, pubblico o privato, alla domanda di risarcimento non incide minimamente sulla dinamica dei rapporti giuridici di cui lo stesso soggetto e' titolare, ne' sulla certezza delle situazioni e posizioni giuridiche correlate, rilevando solo sul piano della reintegrazione patrimoniale dello spostamento di ricchezza conseguente all'illecito. Nella stessa sistematica del codice del processo amministrativo (art. 7, comma 4) il risarcimento del danno e' incluso fra i «diritti patrimoniali consequenziali» all'annullamento del provvedimento lesivo. Se la discrezionalita' legislativa avesse inteso porre un limite temporale all'esercizio dell'azione risarcitoria compatibile con la natura del rimedio, avrebbe potuto ragionevolmente farlo attraverso l'individuazione di un congruo termine prescrizionale (in tesi diverso da quello stabilito dal diritto comune, ove sussista una congrua e ragionevole giustificazione per la differenziazione). Un ininterrotto e coerente insegnamento, gia' sul piano istituzionale, chiarisce, infatti, che mentre la prescrizione ha per oggetto un rapporto (azione o diritto sostanziale) che per effetto di essa si estingue, «la decadenza ha per oggetto un atto che per effetto di essa non puo' piu' essere compiuto». La disciplina dell'azione di risarcimento del danno appare dunque ragionevolmente compatibile con la prima, e non anche con la seconda. Ma, cio' che appare maggiormente rilevante, e' il rilievo che, sul piano della teoria generale del diritto, la differenza strutturale ed effettuale fra prescrizione e decadenza denota una precisa - e diversa -connotazione funzionale dei due istituti, cosi' da non consentirne (se non violando il canone di ragionevolezza) un'applicazione indifferenziata. Secondo i risalenti insegnamenti della dottrina civilistica, mentre la prescrizione e' in qualche modo legata all'inerzia del titolare del diritto, la decadenza esprimerebbe «un'esigenza di certezza del diritto cosi' categorica da essere tutelata indipendentemente dalla possibilita' di agire del soggetto interessato». Ora, come accennato, in materia di risarcimento del danno una esigenza di certezza, che implichi una compressione assai significativa del diritto del danneggiato di azionare i relativi rimedi, non pare affatto sussistente: tanto piu' nell'ipotesi - quale quella in esame - di azione risarcitoria non autonoma, ma conseguente alla proposizione dell'azione di annullamento del provvedimento lesivo. Uno schema logico di utile riferimento si rinviene nella disciplina posta dall'art. 1495 del codice civile, in materia di azione di risarcimento dei danni per vizi della cosa venduta: laddove la denuncia del vizio deve avvenire entro un brevissimo termine di decadenza (correlato all'esigenza di certezza dei traffici), mentre la successiva azione risarcitoria, subordinata alla tempestiva (e pregiudiziale) denuncia, ma di per se' ormai estranea all'esigenza posta alla base del ridetto termine decadenziale, soggiace - coerentemente - al un termine prescrizionale annuale. La situazione e' strutturalmente identica a quella dell'illecito da atto della pubblica amministrazione, nell'ipotesi - qui ricorrente - in cui l'azione risarcitoria sia preceduta dalla pregiudiziale impugnazione della statuizione lesiva: con la significativa differenza , tuttavia, che il termine decadenziale per l'impugnazione del provvedimento e' ampiamente giustificato dalla funzione cui lo stesso provvedimento assolve, mentre, diversamente dalla sistematica del codice civile, la successiva azione risarcitoria e' nel codice del processo amministrativo anch'essa soggetta ad un termine decadenziale, peraltro infrannuale (con significativa compressione del diritto di difesa del danneggiato, in assenza di un reale e giustificato interesse antagonista). Mentre ne] caso di azione risarcitoria autonomamente proposta (art. 30, comma I, cod. proc. amm.) l'accertamento - sia pure meramente incidentale, e dunque senza effetti sostanziali sul rapporto - della illegittimita' del provvedimento veicolo di lesione potrebbe in tesi giustificare la previsione di tale termine, la definitiva certezza giuridica prodotta - su] rapporto - dal passaggio in giudicato della sentenza che statuisce sulla domanda di annullamento del provvedimento, priva di qualsivoglia giustificazione razionale la previsione di un brevissimo termine decadenziale per la proposizione dell'azione risarcitoria incidente unicamente sul profilo della regolazione patrimoniale delle conseguenze dell'illecito. I contributi della dottrina hanno generalmente formulato ampie riserve critiche sulla soluzione recata dalla disposizione in esame. Si e', in particolare, posto in evidenza da parte dei piu' autorevoli studiosi del processo amministrativo, come la disciplina recata dall'art. 30 risponda unicamente ad una logica compromissoria, volta a conciliare le opposte posizioni emerse nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e in quella del Consiglio di Stato in merito alle condizioni per l'accesso al rimedio risarcitorio in materia di illecito della pubblica amministrazione, risolvendo per legge il conflitto fra due massimo organi giurisdizionali. Si sarebbe cosi' affermata la possibilita' teorica della proponibilita' dell'azione risarcitoria autonoma, ma assoggettandola ad un breve termine di decadenza (con il risultato pratico di non differenziare di molto, quanto a condizioni di accesso, le due forme di tutela). La critica piu' diffusa poggia sulla «mancanza di tenuta sul piano teorico» della soluzione prescelta: id est, sulla irragionevolezza in se' della disposizione, sulla intrinseca carenza di una sua giustificazione razionale, a prescindere dai risvolti in ordine alla compressione del diritto di difesa. In questo senso la previsione di un termine decadenziale per proporre azione risarcitoria autonoma (fattispecie invero puramente teorica, anche a seguito dell'interpretazione dell'impianto codicistico resa dal diritto vivente: Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, decisione n. 3 del 2011), pare confermare questa lettura: il codice non ha inteso discostarsi formalmente dall'indicazione del giudice dei diritti, ed ha ammesso l'autonoma proponibilita' dell'azione risarcitoria, ma sottoponendola ad un regime - almeno in punto di sbarramento temporale - molto piu' simile a (e compatibile con) quello dell'azione di annullamento del provvedimento amministrativo, che a quello della domanda di risarcimento del danno. Se gia' questo esito appare fortemente discutibile, ancor di piu' lo e' l'estensione - ad opera del comma 5 dell'art. 30 - di tale regime alla diversa fattispecie di azione risarcitoria preceduta dalla (pregiudiziale) impugnazione del provvedimento lesivo, caratterizzata, come accennato, dalla avvenuta, irrevocabile formazione della certezza giuridica sul profilo sostanziale della spettanza. Tralasciando ogni considerazione sulla effettiva eziologia storico-giuridica del regime censurato, esso appare irragionevolmente e ingiustificatamente compressivo del diritto del danneggiato a richiedere il risarcimento del danno. Il parametro di legittimita' della decadenza convenzionale (art. 2965 cod. civ.) e' dato dal limite della eccessiva difficolta' nell'esercizio del diritto: dal che discende la centralita', anche nelle ipotesi di decadenza legale, del criterio funzionale (l'unica differenza risiede nel fatto che mentre nel primo caso la verifica della rispondenza al cennato parametro funzionale e' operata dal giudice comune, nel secondo caso, relativo alla decadenza legale, la valutazione e' affidata al Giudice delle leggi). Il profilo di irragionevolezza che vizia la disposizione in esame attiene quindi sia alla previsione di un termine stabilito a pena di decadenza, al di fuori del presupposti legittimanti una cosi' incisiva compressione del'esercizio del diritto (senza la possibilita' di conciliare la delimitazione temporale con il piu' favorevole - per il danneggiato - regime della prescrizione); sia nella concreta fissazione di tale termine in centoventi giorni. Il giudizio di irragionevolezza si fonda sia sulle argomentazioni di ordine teorico-generale e disciplinare sopra esposte, sia sul rilievo della inesistenza di un tertium comparationis che giustifichi l'introduzione di simile disciplina. La Relazione al codice del processo amministrativo afferma che il termine di centoventi giorni si giustificherebbe «sul presupposto che la previsione di termini decadenziali non e' estranea alla tutela risarcitoria, vieppiu' a fronte di evidenti esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione». Quanto alla prima parte dell'affermazione, non e' dato rinvenire riscontri alla stessa: se non, come osservato, in relazione al diverso profilo della esistenza, nell'ambito della complessa disciplina dei rimedi contro l'illecito, di termini decadenziali relativi ad attivita' propedeutiche alla proposizione dell'azione di danno, ma da questa strutturalmente e funzionalmente distinte (cio' che, nel processo amministrativo, e' garantito dal termine per la sollecita impugnazione del provvedimento lesivo; e, nell'esempio tratto dal diritto civile relativo alla garanzia per i vizi della cosa venduta, dalla tempestiva denuncia della scoperta del vizio). Quanto alla seconda parte dell'affermazione, se le «esigenze di stabilizzazione delle vicende che coinvolgono la pubblica amministrazione» possono avere un qualche rilievo oltre la prospettiva meramente caducatoria (il che e' tradizionalmente escluso), cio' potrebbe al piu' riscontrarsi nell'ipotesi di proposizione dell'azione risarcitoria in via autonoma, con contestuale sindacato (incidentale) della legittimita' del provvedimento lesivo. Non gia' nell'ipotesi, qui ricorrente, in cui detto sindacato e' stato definitivamente compiuto. Peraltro, la violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione si configura anche per altra via. All'esito della ricostruzione del sistema di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, cui ha recato un fondamentale contributo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, si ritiene comunemente che il rimedio risarcitorio sia inscindibilmente legato, in relazione di complementarieta', a quello caducatorio: la tutela costituzionale dell'interesse legittimo e' soddisfatta solo se il titolare puo' chiedere, oltre all'annullamento del provvedimento lesivo, il risarcimento per equivalente del danno che traguardi e completi gli effetti del giudicato di annullamento. L'azione di danno e' dunque costituzionalmente necessaria; in questo senso la Corte costituzionale e' stata ancora piu' esplicita nella successiva sentenza n. 191 del 2006: «laddove la legge (...) costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, come strumento di tutela affermandone - come e' stato detto - il carattere "rimediale", essa non viola alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell'art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa in tempi ragionevoli». La concentrazione dei rimedi in capo al giudice amministrativo, tuttavia, funzionale alla contrazione dei tempi processuali, non puo' avvenire a condizione della introduzione di condizioni di accesso alla tutela assolutamente (e senza ragione) restrittive. Se l'attribuzione alla giurisdizione amministrativa della cognizione dell'azione risarcitoria, coerente alla pienezza della tutela in termini ragionevoli, comporta come contropartita l'introduzione di un regime che, derogando al diritto comune, comprime significativamente le condizioni per l'accesso al rimedio, risulta palesemente contraddetta la finalita' stessa della previsione dello strumento risarcitorio accanto a quello caducatorio nel sistema di tutela dell'interesse legittimo: in altre parole, viene contraddetta l'esigenza di pienezza ed effettivita' della tutela. La richiamata giurisprudenza costituzionale ha reso, invero, le riportate affermazioni in presenza di una disciplina dell'accesso al rimedio risarcitorio nei confronti della pubblica amministrazione regolata dal diritto comune: dal che discende il quesito circa la perdurante attualita' di quelle considerazioni, in punto di conformita' allo standard di tutela posto dall'art. 24 della Costituzione, alla luce della disciplina introdotta dal codice del processo amministrativo, e in particolare della disposizione censurata. E' appena il caso di osservare che e' estranea alla prospettazione del vizio di legittimita' costituzionale la qualificazione, in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, della situazione giuridica soggettiva de] danneggiato che domanda il risarcimento del danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa. Nel primo caso, non trova ragionevole giustificazione una disciplina diversa da quella stabilita per ogni diritto soggettivo dalla clausola generale di responsabilita' civile (la pubblica amministrazione essendo un debitore la cui posizione in nulla si differenzia, sotto questo profilo, da quella dell'obbligato ex delitto). Nel secondo caso, la complementarieta' dei rimedi evocata dalla citata giurisprudenza costituzionale ha un senso se si mantiene la diversita' strutturale degli stessi e delle corrispondenti tecniche di tutela: se invece si assimila - quanto alle condizioni di accesso - quello risarcitorio a quello caducatorio, la complementarieta' si riduce ad una astratta petizione di principio, risolvendosi in concreto la tutela dell'interesse legittimo nella sola possibilita' di contestare entro un breve termine di decadenza la legittimita' del provvedimento (a fini caducatori, ovvero a fini risarcitoti). Infine, ad avviso del collegio, la disciplina dettata dall'art. 30, comma 5, cod. proc. amm., viola pure l'art. 117, primo comma, della Costituzione, attraverso la violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), che prevede il diritto ad un «giusto processo», in quanto il legislatore nazionale, fissando il suddetto ristretto termine decadenziale, ha interferito nell'amministrazione della giustizia, attribuendo alla pubblica amministrazione una posizione di vantaggio in assenza di «motivi imperativi di interesse generale», come enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Il presente giudizio va pertanto sospeso, disponendosi per le attivita' previste dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda). Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 30, comma 5, del d.lgs 2 luglio 2010, n. 104, in relazione agli artt. 3, 24, 103, 113 e 117, comma 1, della Costituzione, e per l'effetto sospende il processo, e dispone perche' la Segreteria trasmetta gli atti alla Corte costituzionale, notifichi la presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunichi ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2013. Il Presidente: Giuseppe Caruso Il Consigliere: Oreste Mario Caputo Il Consigliere estensore:: Paolo Peruggia