N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 2014
Ordinanza del 10 febbraio 2014 emessa dal G.I.P. del Tribunale di Tivoli nel procedimento penale a carico di D.F.A., P.L. e S.S.. Processo penale - Procedimento per decreto - Giudizio conseguente all'opposizione - Richiesta di ammissione all'oblazione contestuale all'opposizione - Possibilita' per il giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen. - Mancata previsione - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di non colpevolezza e del principio del giusto processo. - Codice di procedura penale, art. 464, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, 27 e 111.(GU n.39 del 17-9-2014 )
TRIBUNALE DI TIVOLI Ufficio del Giudice per le indagini preliminari Ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 Nell'ambito del procedimento penale promosso contro 1) D. F. A., nato a ... il 13 giugno 1976 e residente in F. (RI), via B. n. ... assistito e difeso dall'avv. Frattini Fabio di fiducia domicilio eletto: Tivoli (RM), via Antonio del Re n. 47 c/o studio avv. Frattini Fabio; 2) P. L. nato a R. il 2 marzo 1956 ed ivi residente in via di P. n. ... assistito e difeso dall'avv. Frattini Fabio di fiducia domicilio eletto: Roma, via di Prataporci n. 161 c/o soc. M.A.C.E. S.r.l. 3) S. S. nato a R. il 22 gennaio 1946 ed ivi residente in via M. B. n. ...; assistito e difeso dall'avv. Frattini Fabio di fiducia domicilio eletto: Roma via di Montesacro n. 2 c/o Studio tecnico Salvi e associati Imputati D. F. A. in qualita' di Amm.re Unico «D. F. S. S.r.l.» ditta subappaltatrice dei lavori di escavazione; P. L. in qualita' di Amm.re Unico» 1 M. A. C. E. ditta aggiudicataria gara d'appalto; S. S. in qualita' di Direttore dei Lavori del reato di cui agli artt. 110 c.p., 192 comma 1 in relazione all'art. 256, comma I, lett. a) decreto legislativo n. 152/06, perche', in concorso morale e materiale tra loro, nelle rispettive q.p., abbandonavano sul terreno sito all'interno della ex cava in Colle Largo, di proprieta' del Comune di Guidonia Montecelio, rifiuti speciali non pericolosi (cod. CER 170504) costituiti terre e rocce da scavo provenienti dai lavori di realizzazione del parcheggio in via Fuori le Mura nel Comune di Guidonia, su una superficie di circa 3600 mq e per un quantitativo di circa 2000 metri cubi. Fatti acc. in Guidonia Montecelio (RM), loc. Colle Largo in data 22 aprile 2013. Premesso che in data 3 maggio 2013 il Pubblico ministero depositava richiesta di emissione di un decreto penale di condanna a carico degli imputati sopramenzionati per l'importo di € 2.500,00 di ammenda cadauno. In data 14 novembre 2013 il decreto in questione veniva emesso con la prescrizione della sospensione condizionale della pena irrogata. In data 10 dicembre 2013 il decreto veniva ritualmente notificato agli imputati. In data 24 dicembre 2013 la Difesa degli imputati depositava atto di opposizione al citato decreto con il contestuale deposito di una memoria (e di documentazione allegata) recante, in via principale, la richiesta di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 C.P.P. e, in subordine, l'istanza di ammissione all'oblazione ai sensi dell'art. 162-bis c.p. Ritiene il Giudice procedente che la documentazione allegata alla memoria difensiva depositata, in uno con l'atto di opposizione, il 24 novembre 2013 imponga la declaratoria di non doversi procedere nei confronti degli imputati sopra menzionati con la formula secondo cui il fatto non costituisce reato ed ai sensi dell'invocato art. 129 C.P.P. La documentazione depositata, infatti, fornisce la piena evidenza che il fatto ascritto agli imputati non costituisce reato, avendo gli stessi allegato la prova del loro incolpevole convincimento circa la piena legittimita' delle attivita' di abbandono dei rifiuti contestata nel capo d'imputazione. La peculiarita' del cantiere (sito a ridosso del centro storico di Montecelio, collocato su un rilevato di strade strette e destinato alla realizzazione di un parcheggio pubblico), aveva suggerito l'inserzione nel contratto di appalto di un'apposita clausola per effetto della quale «le materie trasportate in rilevato o rinterro con vagoni, automezzi o carretti non potranno essere scaricate direttamente contro le murature, ma dovranno depositarsi in vicinanza dell'opera per essere riprese poi al momento della formazione dei suddetti rinterri» per livellare il piano stradale (cosi' art. 26 in allegato 5 all'atto di opposizione). Conseguentemente la peculiarita' dell'insediamento impediva l'accantonamento in cantiere dei materiali provenienti dagli scavi (come emerge dalla documentazione fotografica allegata). A cio' occorre aggiungere che l'atto di opposizione ha offerto la prova che l'area individuata nell'informativa di reato della Polizia provinciale di Roma del 22 aprile 2013 come oggetto dell'illecito abbandono prefigurato nel capo d'imputazione era stata individuata di comune accordo tra la societa' appaltatrice dell'imputato P. e l'amministrazione comunale di Montecelio con l'impegno, successivamente al completamento dei lavori, di bonificare l'area destinata al deposito temporaneo dei materiali di risulta, gia' occupata da rifiuti pericolosi e comunque destinata dallo stesso Comune all'accumulo del materiale derivante dalle potature del verde pubblico (cfr. l'offerta tecnica in allegato 7). Il deposito temporaneo delle rocce e dei detriti ricavati dall'attivita' di escavazione, piu' esattamente, era stato concordato con il responsabile unico del procedimento, il quale aveva assentito alla soluzione teste' indicata. Tant'e' che subito dopo la contestazione operata dalla Polizia provinciale, in data 6 maggio 2013, con determinazione dirigenziale n. 193, l'amministrazione comunale aveva espressamente autorizzato (per meglio dire, ratificato) le intese precedenti volte alla individuazione dell'area in contestazione come sito intermedio per l'accantonamento temporaneo del materiale di scavo (cfr. allegato 14). Cio' posto deve riconoscersi che il fatto contestato agli imputati non costituisce reato per avere D. F., A. P. L. e S. S. agito in buona fede e, quindi, in carenza assoluto dell'elemento soggettivo che contraddistingue l'ipotesi di reato loro contestata. Tanto premesso V'e' da constatare che il disposto dell'art. 459 comma 3 C.P.P. assegna al Giudice il potere di emettere sentenza ai sensi dell'art.129 C.P.P. nella fase antecedente l'emissione del decreto penale di condanna, allorquando ritenga che ne sussistano le condizioni di legge. A sua volta, l'art. 464 comma 2 C.P.P. stabilisce che «Il giudice, se e' presentata domanda di oblazione contestuale all'opposizione, decide sulla domanda stessa prima di emettere i provvedimenti a norma del comma 1», senza nulla prevedere in ordine alla possibilita' per il Giudice di definire il giudizio ai sensi dell'art. 129 C.P.P. ex officio o su richiesta dell'imputato. La giurisprudenza di legittimita' ha, a piu' riprese, affrontato il tema della possibilita' per il giudice che procede ai sensi del citato art. 464 comma 2 C.P.P. di emettere una sentenza di declaratoria ex art. 129 C.P.P. nella fase successiva all'emissione del decreto penale di condanna ed al deposito dell'atto di opposizione ai sensi dell'art. 464 C.P.P. Dopo qualche oscillazione, la questione e' stata definitivamente risolta dalle Cassazione, sezioni unite, 25 marzo 2010 n. 21243 secondo cui e' da considerarsi «affetta da abnormita' genetica o strutturale la sentenza di proscioglimento emessa dal G.I.P. successivamente all'opposizione a decreto penale di condanna, poiche' il giudice e' vincolato in tale fase all'adozione degli atti di impulso previsti dall'art. 464 Cod. proc. pen., e non puo' pronunciarsi nuovamente sullo stesso fatto-reato dopo l'emissione del decreto ne' revocare quest'ultimo fuori dei casi tassativamente previsti». Le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione danno, ovviamente, atto dell'esistenza di discordi valutazioni nella giurisprudenza di legittimita'. Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza ora menzionata: «Sul tema sono da registrare orientamenti discordanti nell'ambito della giurisprudenza di legittimita'. Da un lato, si e' affermato (Sez. III, n. 8838, c.c. 20 novembre 2008, ric. Budel) che costituisce legittimo esercizio dei poteri previsti dalla legge la sentenza con la quale il giudice per le indagini preliminari, investito di richiesta di giudizio immediato da parte dell'opponente a decreto penale, pronunci sentenza di proscioglimento ex art. 129 C.P.P. (nella specie, per estinzione del reato per prescrizione maturata antecedentemente alla data di emissione del decreto penale); in senso conforme, in presenza di cause di estinzione del reato, Sez. III n. 979, c.c. 10 giugno 1992, P.m. in proc. Bonfante; Id., n. 444, c.c. 10 marzo 1992, ric. in proc. Calza). Dall'altro, si e' ritenuto (Sez. III, n. 20115, c.c. 16 marzo 2004, ric. P.m. in proc. Prevedello) che, nella situazione anzidetta, il giudice per le indagini preliminari non puo' adottare de plano una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 C.P.P., dovendo egli emettere il decreto di giudizio immediato, in quanto l'esigenza di immediatezza nella declaratoria di una causa di non punibilita' deve pur sempre trovare attuazione nelle forme ordinarie e nel rispetto del contraddittorio e dei diritti delle parti; con la precisazione (Sez. V, n. 15085, c.c. 27 gennaio 2003, P.m. in proc. Grisotto) che una simile sentenza deve ritenersi abnorme, dato che il G.I.P. ha il potere di pronunciare sentenza ex art. 129 C.P.P. allorche' debba delibare la richiesta del p.m. di emissione di decreto penale ma non quando, emesso tale decreto, sia investito dell'opposizione con richiesta di giudizio immediato». Orbene pare evidente che l'art. 129 C.P.P. «non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione [...] atipica di decidere la res iudicanda, rispetto a quello che gli deriva dalle specifiche norme che disciplinano i diversi segmenti processuali»; dettando invece «una regola di condotta o di giudizio, la quale si affianca a quelle proprie della fase o del grado in cui il processo si trova», che, «sotto il profilo dei tempi e dei modi di applicazione, deve trovare attuazione nel corso delle fasi e dei gradi del processo e nell'ambito della corrispondente disciplina prevista, alla quale [il giudice] deve uniformarsi» (cfr. Sezioni Unite n. 12283 emessa alla c.c. del 25 gennaio 2005, ric. P.m. in proc. De Rosa). Tuttavia occorre prendere in considerazione la specificita' del caso rimesso alla cognizione di questo Giudice in cui gli imputati hanno espressamente richiesto, per il ministero del proprio difensore, di definire il procedimento con le forme dell'oblazione, onde evitare il pregiudizio derivante dalla pendenza del procedimento penale ai fini dell'aggiudicazione di ulteriori contratti ad evidenza pubblica. Indubbiamente anche la definizione del giudizio ai sensi dell'art. 141 disp.att. C.P.P., con la conseguente estinzione del reato, e' in condizioni di recare pregiudizio agli imputati sotto il profilo reputazionale di cui all'art. 38 del decreto legislativo n. 152/2006 (Codice degli appalti). Per cui non puo' in alcun modo discutersi che sia interesse fondamentale degli imputati vedersi applicata la declaratoria di cui all'art. 129 C.P.P. in una condizione in cui ne risulta evidente l'innocenza sulla scorta della documentazione allegata. L'opzione esercitata dagli imputati impedisce qualsivoglia altra soluzione, precludendo loro l'accesso ad una pronuncia di merito che ne accerti parimenti l'innocenza (cfr. art. 464 C.P.P.). Ne' puo' discutersi dell'inevitabile prolungamento dei tempi del giudizio che deriverebbe da un rigetto dell'istanza di oblazione ai sensi dell'art. 141 comma 4 disp. att. C.P.P. obliquamente volto a consentire agli imputati di rimettere in discussione la res iudicanda, atteso che le cause di rigetto dell'istanza di oblazione sono tutte da interpretare contra reum. Alla stregua del diritto vivente che regola il procedimento monitorio nella fase ex art. 464, comma 2 C.P.P., ritiene questo Giudice che non sia conforme ai canoni costituzionali che una volta che «il decreto di condanna sia stato emesso, il giudice per le indagini preliminari (sia) spogliato di poteri decisori sul merito dell'azione penale, incombendo sullo stesso, ove sia proposta opposizione, esclusivamente poteri-doveri di propulsione processuale, obbligati nell'an e nel quomodo, con la sola eccezione rappresentata dalla decisione sulla eventuale domanda di oblazione (v. art. 464 comma 2 C.P.P.)» (Cassazione citata). Per giunta non appare corretta l'interpretazione che il medesimo diritto vivente opera in relazione ad un'asserita violazione delle regole sulla incompatibilita' che deriverebbe dalla declaratoria ex art. 129 C.P.P. Secondo la pronuncia in commento «dato che l'art. 34 comma 2 C.P.P. inibisce al giudice che abbia emesso decreto penale di condanna di «partecipare al giudizio» concernente Io stesso imputato (v. specificamente Corte cost., ord. n. 126 del 2001; e in genere, sull'ampio significato del termine «giudizio», Corte cost., sent. n. 131 del 1996)» da cio' dovrebbe trarre conferma la decisione che censura come abnorme l'eventuale sentenza ex art. 129 C.P.P. Invero e' lo stesso art. 141 comma 3 disp. att. C.P.P. a prevedere che il medesimo giudice, una volta che sia versato l'importo della cauzione a cura dell'imputato, dichiari l'estinzione del reato con sentenza, a dimostrazione di una valenza del tutto attenuata della clausola di incompatibilita' di cui all'art. 34 comma 2 C.P.P. In questo consolidato ed univoco quadro ermenuetico deve il decidente dubitare della legittimita' costituzionale del disposto dell'art. 464 comma 3 C.P.P. nella parte in cui, in difformita' dell'art. 459 comma 3 C.P.P., non consente al Giudice che riceve l'atto di opposizione con contestuale richiesta di ammissione all'oblazione di pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129 C.P.P. Cio' comporta che il giudice possa rilasciare la declaratoria in questione quando e' investito su impulso del solo Pubblico ministero della richiesta di decreto penale di condanna, ma che non possa rivedere la propria decisione (con la revoca del decreto monitorio) allorquando abbia avuto completa conoscenza delle argomentazioni difensive contenute nell'atto di opposizione. Con l'ulteriore sperequazione, in questa specifica ipotesi, di infliggere agli imputati il pagamento di una somma di denaro a titolo di oblazione ex art. 162-bis c.p. da cui dovrebbero essere tenuti esenti in ragione della loro comprovata innocenza. Per effetto della disposizione impugnata si determina una palese equiparazione nel trattamento processuale che e' riservato agli imputati prima e dopo l'emissione del decreto penale di condanna, posto che se le indagini preliminari si fossero compiutamente svolte con l'acquisizione della documentazione allegata, poi, all'atto di opposizione, i medesimi imputati avrebbero fruito dell'applicazione dell'art. 459 comma 3 C.P.P. Il completamento del compendio probatorio a cura della difesa e' certo fisiologico nella procedimento monitorio, ma non pare ragionevole la diversa latitudine che l'interpretazione giurisprudenziale ha assegnato all'art. 129 C.P.P. prima e dopo il rilascio del decreto penale di condanna, in presenza (ripetesi) di un'istanza di oblazione. La norma censurata, di cui si richiede a Codesta Corte lo scrutinio di costituzionalita' con l'eventuale addizione del testo normativo vigente nei termini sopra indicati, appare cosi' in contrasto con il principio di ragionevolezza, quale particolare accezione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in termini non dissimili da quelli gia' evidenziati dal Giudice delle Leggi in numerose altre sue pronunce, giacche' rende ingiustificatamente deteriore la posizione dell'imputato nel caso contemplato dall'art. 464 comma 2 C.P.P. rispetto a quella del medesimo imputato nella fase di cui all'art. 459 comma 2 C.P.P. e solo in ragione del fatto che costui, contestualmente all'opposizione, ha invocato la determinazione oblativa. A ben guardare l'adozione della sentenza ex art. 129 C.P.P. ai sensi del citato art. 459 comma 2 C.P.P. e' rimessa alla completezza o meno delle indagini del Pubblico ministero prima (ma non dopo) l'emissione del decreto penale di condanna. Si tratta di un assetto normativo, consolidato sulla scorta del diritto vivente, che comprime irragionevolmente il diritto di difesa dell'imputato, la cui tutela costituzionale ex art. 24 della Costituzione si espande in ogni fase processuale, inclusa quella presa in considerazione nel presente giudizio. La norma impugnata appare anche in contrasto con l'art. 27 della Costituzione poiche' lesiva della presunzione d'innocenza e del diritto dell'imputato a conseguire in ogni stato e grado del giudizio l'assoluzione dall'accusa elevata a suo carico quando dagli atti emerga univocamente la non colpevolezza dell'imputato, imponendo al giudice - in violazione del principio del libero convincimento - di determinare la somma da versare a titolo di oblazione e di emettere la sentenza di estinzione del reato con la relativa formula ex art. 141 comma 3 disp. att. C.P.P. Quale ulteriore parametro del sindacato di costituzionalita' si indica l'art. 111 della Costituzione nella parte in cui prevede il diritto dell'imputato di allegare prove della propria innocenza (in questo caso attraverso l'atto di opposizione) e di conseguire l'immediata declaratoria della propria innocenza nel contraddittorio (differito) imposto dal procedimento monitorio; nella parte in cui impone, con il canone della ragionevole durata, di evitare che l'imputato sia costretto a richiedere il giudizio abbreviato o il giudizio immediato o ad attendere il giudizio ordinario per conseguire un'assoluzione che gia' emerge come evidente dall'incartamento processuale formato dalle parti.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1053 n. 87, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 464, comma 2 C.P.P. nella parte in cui, secondo il diritto vivente, preclude al giudice la possibilita' di pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129 C.P.P. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e dichiara sospeso il giudizio in corso. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e comunicata alle parti. Tivoli, 10 febbraio 2014 Il giudice: Cisterna Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2014. Il cancelliere: Pirro