N. 169 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 2014

Ordinanza    del   1°    aprile    2014    emessa    dal    Tribunale
- Sezione  specializzata in materia di impresa di Milano sul  ricorso
proposto da Biscotti Elena Alessandra. 
 
Lavoro (Controversie in materia di) - Astensione  e  ricusazione  del
  giudice - Obbligo di astensione per  l'organo  giudicante  (persona
  fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma  1,
  legge n. 92/2012, che abbia  pronunciato  l'ordinanza  ex  art.  1,
  comma 49, legge n. 92/2012  di  respingimento  di  ricorso  avverso
  licenziamento per giusta causa - Mancata previsione -  Lesione  del
  diritto di difesa e di azione in giudizio - Violazione dei principi
  del giusto processo. 
- Codice di procedura civile, art. 51, comma 1, n. 4; legge 28 giugno
  2012, n. 92, art. 1, comma 51. 
- Costituzione, artt. 24 e 111. 
(GU n.43 del 15-10-2014 )
 
                         TRIBUNALE DI MILANO 
             Sezione specializzata in materia di impresa 
                              Sezione A 
 
    Il  Tribunale  in  composizione  collegiale,  nella  persona  dei
seguenti magistrati: 
        dott.ssa Marina Tavassi pres.; 
        dott.ssa Paola Gandolfi giud.; 
        dott. Claudio Marangoni giud. rel.. 
    ha emesso la seguente ordinanza nel ricorso  per  ricusazione  ex
art. 52 c.p.c. promosso nell'ambito della causa promossa  dinanzi  al
giudice del lavoro da Elena Alessandra Biscotti nei  confronti  della
Libera Universita' di lingue e comunicazione IULM. 
    1. Elena Alessandra Biscotti ha promosso ricorso ex art. 1, comma
48 L. 92/12 nei  confronti  della  Libera  Universita'  di  lingue  e
comunicazione IULM al fine di ottenere  l'accertamento  della  natura
subordinata del lavoro da essa prestato tra il 1° gennaio 20010 al 28
gennaio 2013 e su tale presupposto la declaratoria  di  nullita'  del
licenziamento intimato in forma orale con condanna della  controparte
ai sensi dell'art. 18 Stat. Lav.  alla  sua  reintegrazione,  ricorso
respinto dal giudice cui esso era stato assegnato  per  la  decisione
con ordinanza del 23 settembre 2013. 
    Avverso tale provvedimento la ricorrente ha promosso  opposizione
ai sensi dell'art. 1, comma 51 L. 92, chiedendone  la  revoca  ed  il
relativo procedimento  e'  stato  assegnato  per  la  trattazione  al
medesimo  magistrato  che  aveva  svolto   la   fase   sommaria   del
procedimento. 
    Sulla base di quelle pronunce della giurisprudenza di merito  che
hanno ritenuto  -  in  maniera  difforme  da  altre  ordinanze  -  la
sostanziale identita' tra la natura del procedimento di cui  alla  L.
92/12 rispetto a quello disciplinato  dall'art.  28  Stat.  Lav.,  ha
dedotto la sussistenza di un obbligo  di  astensione  incombente  sul
giudice che abbia gia' deciso la prima  fase  sommaria  del  medesimo
procedimento qualora fosse investito anche  della  relativa  fase  di
opposizione in relazione all'ipotesi di cui all'art. 51, comma primo,
n. 4) c.p.c. 
    Il giudice della causa ha provveduto a dichiarare la  sospensione
della causa ai sensi dell'art. 52, comma 3 c.p.c. ed ha trasmesso  il
procedimento di  ricusazione  al  presidente  del  Tribunale  per  la
decisione, poi assegnata a questa sezione. 
    In data 4  febbraio  2014  il  giudice  oggetto  dell'istanza  di
ricusazione ha depositato brevi note nel termine a tale scopo fissato
dal Collegio. 
    2. A sostegno della  proposta  ricusazione  parte  ricorrente  ha
richiamato la sentenza n. 387/99 della Corte  costituzionale,  che  a
proposito del procedimento di cui all'art. 28 Stat. Lav. ha affermato
che il giudizio di opposizione si caratterizza quale revisio  prioris
istantiae, che postula l'alterita' del giudice  dell'impugnazione  il
quale  in  sede  di  gravame  si  trova  nella  condizione  di  dover
ripercorrere  l'itinerario  logico  gia'  seguito  per  giungere   al
provvedimento impugnato. 
    Vi sarebbe, secondo parte ricorrente, una  sostanziale  identita'
tra la natura  del  procedimento  di  cui  alla  L.  92/12  e  quello
disciplinato dall'art. 28 Stat. Lav., dovendosi ritenere  sussistenti
diverse analogie tra detti procedimenti nonche' in comune  la  natura
di revisio prioris istantiae della sentenza emessa ai sensi dell'art.
1, comma 57 L.  92/12,  che  deve  riesaminare  la  legittimita'  del
licenziamento gia' valutata nella fase sommaria. 
    Sussisterebbe  in  tal  modo  nelle  due  fasi  la  medesima  res
iudicanda consistente nell'accoglimento o nel rigetto  della  domanda
relativa all'impugnativa del  licenziamento  nelle  ipotesi  regolate
dall'art. 18 Stat. Lav. 
    3. Questa Sezione  del  Tribunale  di  Milano  ha  gia'  ritenuto
analoghi ricorsi per ricusazione privi di fondamento. 
    Come gia' osservato nell'ordinanza 21  novembre  2013  di  questa
medesima sezione - di cui si ripropongono le stesse motivazioni - non
sussisterebbero nel caso di specie gli estremi di cui all'art. 51  n.
4 c.p.c., posto che tale norma prevede l'obbligo  di  astensione  del
giudice solo nel caso in cui abbia conosciuto della controversia  «in
altro grado del processo o come arbitro». Una simile  condizione  non
e' ravvisabile laddove, come nella  specie,  l'iter  processuale  sia
articolato in una  prima  fase  a  cognizione  sommaria,  cui  faccia
seguito un'eventuale seconda fase di  opposizione,  in  base  ad  uno
schema  che  risulta  comparabile  a  quello  dei   procedimenti   di
opposizione a decreto ingiuntivo, divisi fra una fase  di  cognizione
sommaria e una  fase  a  cognizione  piena,  ovvero  assimilabile  al
procedimento cautelare seguito dal giudizio di  merito  a  cognizione
piena. 
    La fattispecie in esame non sembra dunque discostarsi dai casi di
cui gia' si e' occupata la Corte di Cassazione, che ha avuto modo  di
evidenziare  che  l'emissione  di  provvedimenti  di  urgenza   o   a
cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che e'  chiamato  a
decidere il merito della stessa  causa,  costituisce  una  situazione
ordinaria del giudizio  e  non  puo'  in  nessun  modo  pregiudicarne
l'esito; neppure determina un obbligo di astensione  o  una  facolta'
della parte di chiedere la ricusazione (Cass. n. 422/2006). 
    Tali principi interpretativi risultano conformi  all'orientamento
espresso dalla Corte costituzionale con  sentenza  n.  326/1997  alla
quale era stata rimessa la questione della conformita'  dell'art.  51
n. 4 c.p.c. al dettato costituzionale. Con  tale  sentenza  la  Corte
costituzionale ha distinto la pluralita' dei gradi  di  giudizio  (al
fine di interpretare l'espressione «altro grado del processo» di  cui
all'art. 51 n. 4 c.p.c.), rispetto ad  un  iter  processuale  che  si
articoli attraverso piu' fasi  sequenziali  nelle  quali  l'interesse
posto a base  della  domanda  impone  l'appagamento  di  esigenze  di
carattere conservativo, anticipatorio, istruttorio. 
    Sulla base del medesimo  principio  la  Corte  costituzionale  ha
altresi'  dichiarato   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 51 n. 4  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'obbligo di astensione dal pronunciare la sentenza  per  il  giudice
che in ordine al medesimo oggetto si  sia  gia'  pronunciato  con  la
richiesta di ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. (C. Cost. 31  maggio
2000 n. 168). 
    Analogo  orientamento,  del  resto,  era  stato  formulato,   con
specifico riferimento alle ipotesi di opposizioni proposte davanti al
giudice  dell'esecuzione  avverso   atti   esecutivi   dallo   stesso
anteriormente adottati (v. Cass. n. 5510/2003). 
    E' stato infatti necessario un intervento legislativo per evitare
che dette opposizioni possano essere trattate dal  giudice  che  gia'
abbia adottato  atti  esecutivi  (art.  186-bis  disp.  att.  c.p.c.,
inserito con legge 18 giugno 2009 n. 69). 
    Tali temi sono stati anche piu' recentemente riconsiderati  dalla
giurisprudenza   di   legittimita',    la    quale    ha    affermato
l'inapplicabilita' dell'art. 51 n. 4 c.p.c., richiamando  i  principi
sovra esposti, in ipotesi in cui il  medesimo  giudice,  assegnatario
del giudizio e chiamato alla decisione conclusiva in sede  ordinaria,
abbia gia' conosciuto del contenzioso, nel medesimo grado,  adottando
provvedimenti a cognizione sommaria o cautelare (v. SS.UU.  Cass.  n.
1783/2011, Cass. n. 18047/2008). 
    Come gia' osservato da altra decisione di questo Tribunale  (ord.
4 aprile 2013, Pres. est. Bichi), la proposta  ricusazione  muove  da
una ricostruzione del sistema processuale civile che, implicitamente,
sembra  mutuare  principi  ad  esso  non  riconducibili  e  elaborati
nell'ambito degli istituti propri del processo penale, in rapporto ai
principi asseritamente desumibili dagli artt. 24 e 111 Cost.. 
    Infatti,    nell'ordinamento    processuale     penalistico     -
tendenzialmente secondo l'attuale sistema -  il  giudice  che  decide
deve  arrivare  al  dibattimento   senza   conoscere   il   materiale
istruttorio e la vicenda che ha coinvolto i soggetti che giudichera',
deve essere stato estraneo agli atti  antecedenti  del  procedimento:
meccanismo che esclude di per se' che  il  giudice  possa  avere  una
qualche pre-cognizione, anche nel medesimo  grado  di  giudizio,  del
thema decidendum. L'impostazione di un tale sistema processuale muove
da scelte che appaiono incompatibili con il processo  civile.  Appare
argomento risolutivo osservare come, nell'ambito del processo  civile
sia ricorrente la cognizione - nel medesimo grado di  giudizio  -  da
parte dello stesso giudice dei vari profili in cui  puo'  atteggiarsi
la vicenda processuale, anche  se  comportano,  in  corso  di  causa,
l'adozione di provvedimenti cautelari,  sommari  o  anticipatori.  Si
tratta al contrario di un valore perseguito (cfr. art.  174  c.p.c.),
costituendo detto valore,  anche  sotto  il  profilo  funzionale,  la
condizione affinche' possa operativamente esistere una  giurisdizione
civile puntualmente rispondente ai  precetti  costituzionali  di  cui
agli artt. 97 e 111 Cost., avuto  riguardo  alla  necessita'  di  una
ragionevole durata del processo. 
    Inoltre, un processo in cui  il  giudice,  che  abbia  emesso  un
provvedimento non meramente  ordinatorio  o  a  cognizione  sommaria,
diventi automaticamente «parziale» e  debba  quindi  astenersi  dalla
trattazione della causa (con  la  conseguente  sua  sostituzione  con
altro giudice), sarebbe di difficile se non  impossibile  attuazione.
Infatti, una tale opzione comporterebbe  -  in  considerazione  della
serie di provvedimenti di natura decisoria  e  anticipatoria  che  e'
chiamato ad adottare il giudice del lavoro e, piu'  in  generale,  il
giudice  civile  (dalla  concessione  della  provvisoria  esecuzione,
all'adozione di provvedimenti di urgenza e cautelari ante causam o in
corso di causa, alla definizione della rilevanza e ammissibilita' dei
mezzi istruttori, all'emissione dei provvedimenti ex artt. 186-bis  e
segg. ecc.) - un processo che viene trasferito da  un  giudice  a  un
altro  per  l'adozione  di  qualsiasi  provvedimento  non   di   tipo
ordinatorio,  con  conseguente  impossibile  gestione  dei  ruoli   e
dell'Ufficio,   sino   al   concreto   pericolo   dell'impossibilita'
dell'effettivo esercizio della giurisdizione. 
    Ne' tale conclusione potrebbe essere disattesa sul rilievo di una
specificita' del giudizio giuslavoristico,  attraverso  un'estensione
dei principi  espressi  dalla  Corte  costituzionale  nella  invocata
sentenza n. 387/1999 in  tema  di  applicazione  dell'art.  28  dello
Statuto dei lavoratori. Infatti in quel caso la  Corte  ha  esaminato
l'ipotesi processuale di un reclamo, che  si  atteggia  come  vera  e
propria impugnazione «con contenuto sostanziale  di  revisio  prioris
instantiae»,   ponendosi,   quindi,   nel   concreto   l'esigenza   -
espressamente evidenziata dalla Corte - di garantire l'alterita'  del
giudice dell'impugnazione, essendo allo stesso demandato, con piena e
identica  cognizione,  la  valutazione  del  provvedimento  reclamato
(orientamento espresso dalla Corte costituzionale anche  in  sentenza
n. 460/2005, sempre in tema di fase processuale avente  un  contenuto
tipicamente  impugnatorio,  quale   il   reclamo   avverso   sentenza
dichiarativa di fallimento). Ipotesi, all'evidenza,  affatto  diversa
rispetto a quella introdotta dall'art. 1 commi 48 e segg. L.cit.. 
    In   tale   procedimento,   infatti,   e'   prevista   una   fase
sostanzialmente a cognizione  sommaria,  anche  sotto  il  profilo  o
istruttorio  (il  giudice  «procede...  agli   atti   di   istruzione
indispensabili...»), cui segue un'eventuale fase oppositiva, che  non
si struttura quale impugnazione dell'ordinanza emessa ex art. 1 comma
49,  ma  determina  l'instaurazione  di  un  giudizio  ordinario   di
cognizione  in  materia  di  lavoro.  Tanto  vero  che  non  vi  sono
preclusioni riferite  alla  precedente  fase,  mentre  la  cognizione
successiva ben puo' estendersi ad ulteriori  allegazioni,  produzioni
ed offerte probatorie. 
    La disposizione  e'  inequivoca  in  tal  senso  «...puo'  essere
proposta  opposizione  con  ricorso  contenente  i  requisiti  di cui
all'art. 414  c.  p.  c.»  (comma  51)  introducendosi,  quindi,  una
cognizione piu' ampia e piena, che puo'  abbracciare  domande  nuove,
sia pure fondate sui medesimi fatti costitutivi, ovvero  domande  nei
confronti  di  eventuali   litisconsorti   o   garanti,   ovvero   la
proposizione  di  domande  riconvenzionali,   con   istruttoria   non
vincolata alle acquisizioni della prima fase sommaria. 
    Pertanto sembra da escludersi la natura impugnatoria del giudizio
di opposizione, tale da individuare la  cognizione  da  parte  di  un
giudice necessariamente diverso. Il  rapporto  tra  le  due  fasi  e'
quello tipico e ricorrente  di  un  momento  a  cognizione  meramente
sommaria - introdotto dal legislatore a fini' acceleratori - con  una
fase  successiva  ed  eventuale  a  cognizione  piena,   secondo   le
caratteristiche,  con  riguardo  ai   diversi   profili   soggettivi,
oggettivi e procedimentali, sovra evidenziate. 
    Ne' puo' affermarsi (vedi ord. Sez. B 11 luglio  2013)  l'assenza
di «qualsiasi espressa connotazione cautelare della  prima  fase  del
procedimento», ove si osservi che il contenuto del comma 49 in  esame
e' assolutamente  sovrapponibile  al  I  comma  dell'art.  669-sexies
c.p.c., che disciplina il  processo  cautelare  uniforme,  e  che  la
natura  urgente  e   cautelare   e'   evidente   nella   immediatezza
dell'intervento demandato al giudice  in  attesa  di  procedere  agli
accertamenti piu' approfonditi della fase a cognizione piena. 
    Non puo' tacersi infine che avverso la sentenza che  conclude  il
procedimento di primo grado e' ammessa  l'impugnazione  davanti  alla
Corte d'appello (commi 58/60 art. 1), cosicche' nella  prospettazione
che ravvisa gia' un «grado»  nella  fase  a  cognizione  sommaria  si
finirebbe per avere tre gradi  di  merito  nell'ambito  dello  stesso
procedimento. 
    4. Sulla base di quanto innanzi  esposto  la  giurisprudenza  che
appare prevalente non individua dunque alcuna preclusione a  che  sia
mantenuta l'identita' del medesimo giudice nelle due fasi di  cui  al
procedimento ex artt. 48 e ss. L. 92/12 e pertanto sotto  il  profilo
costituzionale non pare consentita  un'interpretazione  che  muovendo
dall'art. 111 Cost. imponga l'obbligo di astensione del giudice. 
    Come gia'  osservato  in  precedenti  ad  analoghe  ordinanze  di
rimessione  alla  Corte  costituzionale   attinenti   alla   medesima
problematica  provenienti  da  diverse  sezioni  di   questo   stesso
Tribunale - qui riprese in maniera  del  tutto  conforme  nella  loro
parte motiva (Tribunale Milano ord. 27.2014; Tribunale Milano ord.  6
febbraio 2014) - e' stato peraltro rilevato che  se  il  sospetto  di
illegittimita' costituzionale, infatti, e' legittimo solo allorquando
nessuno  dei  significati,  che  e'   possibile   estrapolare   dalla
disposizione    normativa,    si    sottrae    alle    censure     di
incostituzionalita' (Corte Cost., 12  marzo  1999,  n.  65  in  Cons.
Stato, 1999,  II,  366),  tuttavia,  se  e'  vero  che  in  linea  di
principio,  le  leggi  si  dichiarano  incostituzionali  perche'   e'
impossibile darne interpretazioni «secundum Constitutionem» e non  in
quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche
vero che esiste  un  preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo
salvifico della norma a livello  ermeneutico:  il  giudice  non  puo'
«piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale» cosi' invadendo la competenza propria del giudice preposto
alla verifica di legittimita' costituzionale delle leggi. 
    Inoltre  rinterpretatio   secundum   constitutionem   presuppone,
indefettibilmente, che  l'interpretazione  «altra»  sia  «possibile»,
cioe', praticabile: differentemente,  si  creerebbe  un  vulnus  alla
certezza del diritto poiche' anche dinnanzi  a  norme  «chiare»  ogni
giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. 
    Secondo questo Collegio il dato normativo non puo'  prestarsi  ad
interpretazioni diverse da quella emergente dalla  mera  lettura  del
testo,  ne'  puo'  ritenersi  applicabile,  al  caso  di  specie,  il
principio  ricavabile  dalla   sentenza   n.   387/99   della   Corte
costituzionale. 
    Come gia' osservato nelle precedenti ordinanze di rimessione alla
Corte Costituzionali innanzi citate, il giudizio  previsto  dall'art.
28, legge 20 maggio 1970 n. 300, infatti, ha la funzione esclusiva di
reprimere la condotta antisindacale e, pertanto, oggetto del processo
e' la violazione del diritto dei lavoratori all'attivita' sindacale e
allo sciopero, tant'e' che il provvedimento conclusivo del  rito  (se
positivo) comporta la cessazione del comportamento illegittimo  e  la
rimozione degli effetti. 
    Si tratta, inoltre, di una procedura attivata  su  ricorso  degli
organismi  locali  delle  associazioni  sindacali  nazionali  che  vi
abbiano interesse. Ambito processuale del tutto differente da  quello
regolato dalla l. 92/12 in cui, invece, il procedimento ha ad oggetto
un  determinato  rapporto  di  lavoro  in  un   giudizio   che   vede
confrontarsi parti legate da rapporto negoziale,  con  un  ambito  di
cognizione ben piu' ampio e complesso, in cui  anche  la  conclusione
del giudizio e'  aperta  ad  una  variegata  ricchezza  di  soluzioni
giudiziali. Pertanto: nel primo rito,  la  pronuncia  ha,  di  fatto,
vocazione sanzionatoria  e  l'ambito  di  cognizione  e'  limitato  e
ristretto cosicche' non si assiste  invero,  a  due  fasi  «in  senso
tecnico», ma ad una sanzione ed alla  sua  impugnazione.  Da  qui  la
sostanziale assimilabilita' di quella  fase  ad  un  vero  e  proprio
«grado» del giudizio. Quanto non accade nel rito ex  lege  92/12.  In
questo caso, il procedimento resta unico ma scandito da due  fasi  in
cui, nella prima, il rapporto di lavoro e' oggetto di  una  pronuncia
celere e ad istruttoria «approssimativa» che, se non soddisfacente  a
giudizio di una o entrambe  le  parti,  viene  accantonata  per  dare
ingresso alla seconda (delle citate fasi) in  cui  il  processo  gode
della pienezza dei rimedi, degli strumenti, dei tempi. La  diversita'
ontologica tra i due riti  e'  pure  resa  palese  dal  dettaglio  di
disciplina che assiste il procedimento ex  lege  92/12  in  cui,  nei
commi da 47 a 69, il Legislatore disciplina in modo dettagliato: fase
sommaria, fase a cognizione piena, giudizio di  appello  procedimento
di Cassazione. Deve pure essere rilevata la particolare  singolarita'
del caso giudicato da Corte Cost. 387/1999:  in  quella  fattispecie,
infatti, erano state le sopravvenienze normative a creare una  aporia
nel formante  legislativo  originale.  Si  vuol  segnalare  che,  nel
sistema originario del procedimento  di  repressione  della  condotta
antisindacale, era prevista una fase davanti  al  Pretore,  il  quale
decideva in ordine alla richiesta di emissione del decreto ex art. 28
della legge n. 300 del 1970, ed una eventuale opposizione  avanti  al
Tribunale. Successivamente, la struttura nata  geneticamente  con  la
previsione  di  due  giudici  diversi,  era   stata   manipolata   in
conseguenza della riunificazione della competenza in capo al  giudice
monocratico.  Da  qui  l'intervento  della  Consulta  nel  senso   di
ammettere spazi  per  una  interpretazione  secundum  constitutionem»
(cosi' in particolare Tribunale Milano ord. 27 gennaio 2014 cit.). 
    Deve dunque concludersi, a parere  di  questo  Collegio,  che  la
necessita' nel rito ex lege 92/12 che il giudice delle due fasi debba
essere persona fisica diversa non possa desumersi  da  un  ricorso  a
criteri interpretativi costituzionalmente orientati ne' dal  richiamo
ai  principi  affermati  nella  sentenza  n.   387/99   della   Corte
costituzionale. 
    5. Sussistono tuttavia motivi rilevanti che inducono il  Collegio
a prospettare l'ipotesi di illegittimita' costituzionale delle  norme
attinenti al rito stabilito dalla L. 92/12, cosi' dando accesso  alla
valutazione  della  Corte  costituzionale  rispetto  alle   questioni
sollevate dalla parte ricusante. 
    Deve invero darsi atto - come  gia'  rilevato  -  che  gli  esiti
interpretativi innanzi riferiti non sono  condivisi  da  parte  della
giurisprudenza di merito gia' espressasi sul punto (v. in particolare
Corte d'appello di Milano, sent. 1577/13),  che  ha  ritenuto  invece
applicabili  i  principi  dettati  dalla  sent.  387/99  della  Corte
costituzionale con le conseguenti ricadute sia  sui  procedimenti  in
corso che sugli  assetti  ordinamentali  ed  organizzativi  che  tale
interpretazione implica. 
    Possono dunque ritenersi sussistenti dubbi  di  costituzionalita'
quanto alla previsione di un giudice  (persona  fisica)  unico  nella
struttura procedimentale contenuta nella L. 92/12, posto che  essa  -
pur delineando una fase  sommaria  ed  urgente  e  l'altra  di  piena
cognizione, e quindi tecnicamente al di fuori della previsione di  un
«grado» di giudizio - sarebbe idonea  a  configurare,  secondo  parte
della  giurisprudenza,  un  rito  che  nella  seconda  fase  in  esso
descritta puo' assumere valore impugnatorio con contenuto sostanziale
di revisio prioris istantiae. 
    In  tale  prospettiva  potrebbe  fondatamente   prospettarsi   la
violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione,  per  la  lesione
del  diritto   alla   tutela   giurisdizionale   sotto   il   profilo
dell'esclusione dell'imparzialita' del giudice. 
    6. La questione  appare  senza  dubbio  rilevante,  posto  che  -
esclusa allo stato la ricorrenza dei  presupposti  per  l'ipotesi  di
astensione  obbligatoria  oggetto  dell'istanza  di   ricusazione   -
l'accertata non corrispondenza ai precetti  costituzionali  dell'art.
51 c.p.c. con l'art. 1,  comma  51  L.  92/12  imporrebbe  invece  al
Collegio l'accoglimento del ricorso della parte ricusante. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 L. 87/153; 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. e 1,
comma 51 L. 28 giugno 2012 n. 92 (Disposizioni in materia di  riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) nella parte in
cui non prevedono l'obbligo di  astensione  per  l'organo  giudicante
(inteso come persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex
art. 41, comma 1 L. 92/12 che abbia gia' pronunciato  l'ordinanza  ex
art. 1, comma 49 L. 92/12, in riferimento agli artt. 24 e  111  della
Costituzione; 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti  alla  Corte  costituzionale,  unitamente   alla   prova   delle
comunicazioni e notificazioni previste. 
    Dispone che, a cura della Cancelleria, l'ordinanza sia notificata
a tutte le parti del processo  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' comunicata ai Sigg.ri Presidente della  Camera  dei
Deputati e Presidente del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Milano, nella camera di consiglio del 20 febbraio
2014. 
 
                       Il Presidente: Tavassi