N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 2014
Ordinanza del 9 luglio 2014 emessa dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Gestore dei servizi energetici - Gse Spa contro Cirio Agricola Srl e Ministero dello sviluppo economico. Energia - Attuazione della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili - Previsione che quando sia accertato che i lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame della richiesta di incentivi, il GSE rigetta la richiesta e dispone l'esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione - Previsione che il GSE dispone la esclusione dalla concessione degli incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza per un periodo di dieci anni dei soggetti che avevano presentato la richiesta di incentivi - Lesione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Violazione del principio di irretroattivita' delle sanzioni amministrative - Eccesso di delega - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU e dal diritto comunitario. - Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, art. 43. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, 76 e 117, primo comma; legge 4 giugno 2010, n. 96, art. 2, comma 1, lett. c); Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 6 e 7.(GU n.47 del 12-11-2014 )
IL CONSIGLIO DI STATO in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 6380 del 2013, proposto da: Gse - Gestore dei servizi energetici s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Panzarola e Stefano Crisci, con domicilio eletto presso Sergio Fidanzia in Roma, viale Bruno Buozzi, 109; Contro Cirio Agricola s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Pallottino, presso lo stesso elettivamente domiciliata in Roma, via Oslavia, 12, anche appellante incidentale; Nei confronti di Ministero dello sviluppo economico in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; Per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma: Sezione III ter n. 3314/2013, resa tra le parti, concernente decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cirio Agricola s.r.l. e del Ministero intimato; Visto l'appello incidentale proposto dalla societa' appellata; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Crisci e Pallottino e l'avvocato dello Stato Barbara Tidore; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: Il Gestore dei servizi energetici (d'ora in poi, Gse, o Gestore) chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto in parte il ricorso, con relativi motivi aggiunti, proposto dalla societa' Cirio Agricola avverso i provvedimenti di decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti previsti dal decreto ministeriale 19 febbraio 2007 per l'impianto fotovoltaico denominato «Cirio impianto FV su fienili», e di esclusione dalla concessione degli incentivi per un periodo di dieci anni ai sensi dell'art. 43 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28. La sentenza impugnata ha respinto il ricorso per la parte relativa alla decadenza dagli incentivi, determinata dal mancato completamento dei lavori alla data del 31 dicembre 2010: avverso questa parte della decisione la societa' resistente ha proposto appello incidentale. I) La controversia in esame si inscrive nell'ambito delle vicende relative agli incentivi per la realizzazione di impianti fotovoltaici, previsti originariamente dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'), il cui art. 7 demandava a successivi decreti la definizione dei criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare, anche per quanto riguarda le modalita' per la determinazione dell'entita' della specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio. In attuazione di tale norma sono stati emanati i decreti ministeriali in data 28 luglio 2006, 19 febbraio 2007, 6 agosto 2010 e 5 maggio 2011 (denominati, rispettivamente, primo, secondo, terzo e quarto conto energia), con i quali, in particolare, sono state determinate le condizioni di erogazione delle suddette tariffe ed e' stato affidato al Gse il compito di controllare le dichiarazioni rese dai richiedenti e di provvedere all'assegnazione degli incentivi. Il secondo conto energia, che qui rileva, ha previsto l'erogazione dei benefici per gli impianti entrati in esercizio in data successiva alla deliberazione dell'Autorita' per l'energia elettrica e il gas n. 90/2007 e fino al 31 dicembre 2010. In sostanziale coerenza, l'art. 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010 n. 3, introdotto dalla legge di conversione 22 marzo 2010, n. 41 ha riconosciuto il beneficio a tutti i soggetti che avessero concluso, entro il 31 dicembre 2010, l'installazione dell'impianto fotovoltaico ed avessero «inviato la richiesta di connessione dell'impianto di produzione entro l'ultima data utile affinche' la connessione» fosse realizzata entro il 31 dicembre 2010. Poiche', peraltro, l'entrata in esercizio scontava l'autorizzazione del gestore di rete alla connessione e alla realizzazione dell'impianto, per la quale erano necessari tempi lunghi e non preventivabili, sottratti alla disponibilita' del soggetto richiedente, l'art. 1-septies del decreto-legge 8 luglio 2010, n. 105, convertito nella legge 13 agosto 2010, n. 129, modificando tale art. 2-sexies ha esteso la possibilita' di usufruire delle tariffe previste dal secondo conto energia a tutti gli impianti che alla data del 31 dicembre 2010 avessero completato i lavori di realizzazione dell'impianto e fossero poi entrati in esercizio entro il 30 giugno 2011, ponendo quale condizione, oltre a quelle gia' previste dall'art. 5 del decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 (tra le quali la presentazione della richiesta del beneficio entro sessanta giorni dalla data di entrata in esercizio dell'impianto), la comunicazione al gestore della rete e al Gse della fine lavori entro la suddetta data del 31 dicembre 2010, asseverata dalla dichiarazione di un professionista. Per il caso di false dichiarazioni, l'art. 11 del suddetto decreto ministeriale del 19 febbraio 2007 prevedeva la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante per l'intero periodo per la quale e' prevista, mentre il decreto-legge n. 105 del 2010 non contiene una specifica disposizione in tal senso; peraltro, il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ha esplicitamente posto, all'art. 23, terzo comma il seguente principio: «Non hanno titolo a percepire gli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili da qualsiasi fonte normativa previsti, i soggetti per i quali le autorita' e gli enti competenti abbiano accertato che, in relazione alla richiesta di qualifica degli impianti o di erogazione degli incentivi, hanno fornito dati o documenti non veritieri, ovvero hanno reso dichiarazioni false o mendaci. Fermo restando il recupero delle somme indebitamente percepite, la condizione ostativa alla percezione degli incentivi ha durata di dieci anni dalla data dell'accertamento e si applica alla persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonche' ai seguenti soggetti: a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; b) il soggetto responsabile dell'impianto; c) il direttore tecnico; d) i soci, se si tratta di societa' in nome collettivo; e) i soci accomandatari; se si tratta di societa' in accomandita semplice; f) gli amministratori con potere di rappresentanza, se si tratta di altro tao di societa' o consorzio.» Di tale regime, riprodotto nel quarto conto energia di cui al decreto ministeriale 5 maggio 2011, l'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011 ha previsto l'applicazione anche alle situazioni pregresse. La norma appena richiamata infatti dispone che «fatte salve le norme penali, qualora sia stato accertato che i lavori di installazione dell'impianto fotovoltaico non sono stati conclusi entro il 31 dicembre 2010, a seguito dell'esame della richiesta di incentivazione al sensi del comma 1 dell'articolo 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, e successive modificazioni, il GSE rigetta l'istanza di incentivo e dispone contestualmente l'esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione. Con lo stesso provvedimento il GSE dispone l'esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell'accertamento, della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonche'» dei soggetti elencati dal precedente art. 23. II) Nella fattispecie in esame, la societa' Cirio Agricola ha presentato in data 29 dicembre 2010 la comunicazione di fine lavori ai sensi dell'art. 1-septies del d.l. n. 105 del 2010 per l'impianto sopra indicato; il Gestore ha effettuato il sopralluogo di competenza il 2 febbraio 2011, rilevando il mancato completamento dell'impianto di utenza e delle opere di integrazione architettonica ed ha, di conseguenza, dichiarato la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti. Il 14 novembre 2011 il Gse ha poi disposto, ai sensi dell'art. 43 d.lgs. n. 28 del 2011, l'esclusione di Cirio Agricola dalla concessione degli incentivi per un periodo di dieci anni. Il ricorso proposto, con motivi aggiunti, dalla societa' avverso tali provvedimenti e' stato respinto dal Tar per quanto riguarda il diniego del beneficio, mentre e' stato accolto nella parte relativa all'applicazione della sanzione decennale, sul presupposto della mancata presentazione, in data successiva alla comunicazione di fine lavori, della specifica richiesta diretta ad ottenere l'incentivo. Il Gestore ha proposto appello avverso questa parte della sentenza; con appello incidentale la societa' Cirio Agricola ha contestato la reiezione del ricorso principale. III) L'appello incidentale e' stato respinto con sentenza resa all'odierna camera di consiglio, con la consequenziale conferma della sentenza nella parte in cui ha respinto il ricorso diretto avverso la decadenza dagli incentivi previsti dal secondo conto energia. Rimane pertanto confermato l'interesse del Gestore a coltivare l'appello principale, diretto a contestare la sentenza per la parte reiettiva dei motivi aggiunti, attinenti all'applicazione della sanzione prevista dall'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011, sanzione che e' conseguenza della non veridicita' della comunicazione di fine lavori. IV) Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha ritenuto che le sanzioni previste dalla norma appena citata possano trovare applicazione solo se e' stata presentata la richiesta di accesso agli incentivi, non essendo sufficiente la mera dichiarazione di fine lavori e, in ragione della mancata presentazione di tale domanda da parte della Cirio Agricola, ha, come si e' detto, accolto il ricorso. V) Ai fini della risoluzione della controversia in esame e' pregiudiziale sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011. 1) Il giudizio di rilevanza impone di interpretare la suddetta disposizione anche al fine di valutare la possibilita' di fornirne una interpretazione di essa costituzionalmente orientata (da ultimo, Corte cost. n. 21 e n. 10 del 2013). Il Tribunale amministrativo regionale, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che tale disposizione debba essere intesa nel senso che la stessa contempli un fatto illecito che si perfeziona all'esito del completamento di due fasi temporalmente separate: la prima, costituita dalla comunicazione di fine lavori, deve concludersi entro il 31 dicembre 2010; la seconda fase, successiva all'entrata in esercizio che deve avvenire entro il 30 giugno 2011, costituita dalla richiesta di incentivi da presentate al GSE entro il successivo termine di sessanta giorni. Si sarebbe, pertanto, in presenza di un fatto illecito a formazione progressiva. Questa Sezione ritiene, invece, che il fatto illecito si perfeziona in un unico contesto temporale nel momento in cui l'impresa presenta la comunicazione di fine lavori (incompleta o falsa) unitamente alla richiesta di incentivi. Tale esito interpretativo e' l'unico possibile per le seguenti ragioni. In primo luogo, dall'esame complessivo della normativa rilevante e, in particolare, dalle linee guida predisposte dal GSE, risulta che sussistono due richieste di incentivi: la prima da presentare unitamente alla comunicazione di fine lavori; la seconda da presentare successivamente all'entrata in esercizio dell'impianto. L'art. 43, codificando tale prassi operativa, prevede che debbano essere presenti, per il perfezionamento del fatto illecito, i requisiti costituiti dalla comunicazione di fine lavori e dalla richiesta di incentivi. Tale richiesta, genericamente indicata, e', anche in ragione di quanto si dira' oltre, quella che deve essere presentata, entro il 31 dicembre 2010, unitamente alla comunicazione fine lavori. Nelle fattispecie oggetto del presente giudizio risulta dagli atti che la societa' Cirio Agricola ha depositato nel procedimento, unitamente all'attestazione di fine lavori, anche la suddetta richiesta nel termine sopra indicato. In secondo luogo, il significato assegnato alla disposizione e' l'unico coerente con il potere di controllo dell'amministrazione. Il legislatore, infatti, ha previsto che tale potere e' esercitabile alla scadenza del predetto termine del 31 dicembre 2010. Se il perfezionamento del fatto illecito fosse ricollegabile alla richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto sarebbe stato questo il momento che avrebbe consentito della funzione di verifica da parte del GSE. La stretta correlazione tra fatto illecito, potere di controllo e potere interdittivo induce, pertanto, a ritenere che il comportamento che giustifica l'applicazione della misura in esame sia posto in essere entro il suddetto termine del 31 dicembre 2010. Si tenga conto, inoltre, che l'esito negativo dei controlli per l'impresa determina di fatto un arresto del procedimento con conseguente normale mancata presentazione della seconda richiesta. Ne consegue che l'interpretazione seguita dal Tar condurrebbe di fatto ad una sostanziale inapplicabilita' della norma. Infine, il sistema a regime, contemplato dal riportato art. 23 del d.lgs. n. 28 del 2011, prevede, quale unico presupposto per l'applicazione della suddetta misura, l'avere fornito ai soggetti competenti dati o documenti non veritieri, ovvero avere reso dichiarazioni false. Non sarebbe, pertanto, conforme al canone della ragionevolezza diversificare i requisiti a seconda che il rimedio trovi applicazione a fattispecie soggette alla pregressa o alla nuova forma di regolazione. L'interpretazione fornita, che conduce, per le ragioni indicate nel successivo punto, a ritenere la norma contraria a Costituzione, non e' superabile attraverso la ricerca di un diverso significato conforme a Costituzione. La scissione temporale del comportamento sanzionato porta, infatti, ad esiti anch'essi contrari a Costituzione. Se, infatti, si ritiene che il completamento della fattispecie illecita si realizza nel momento della presentazione della seconda richiesta di incentivi successiva all'entrata in esercizio dell'impianto si verrebbe a determinare una irragionevole discriminazione, consentita dalla norma, tra operatori economici a seconda che la funzione di controllo sia esercitata prima o dopo la scadenza del predetto termine. Solo nel primo caso, infatti, l'impresa sarebbe indotta a non presentare l'istanza proprio allo scopo di non subire il divieto decennale di percezione degli incentivi. Alla luce di quanto sin qui esposto, l'amministrazione, contrariamente da quanto affermato dal Tar, ha fatto una corretta applicazione alla fattispecie concreta di quanto stabilito dall'articolo 43, inibendo, sostanzialmente, per un periodo decennale, l'attivita' ai soggetti che avevano presentato una incompleta o falsa comunicazione di fine lavori con contestuale richiesta di incentivi. L'appello dovrebbe, pertanto, trovare accoglimento qualora non venga dichiarata costituzionalmente illegittima la predetta disposizione. In definitiva, il Collegio ritiene che non sia possibile dare alla norma in esame una interpretazione costituzionale e che l'unica interpretazione possibile, rendendo tale norma applicabile alle fattispecie oggetto del presente giudizio, assegna rilevanza, ai fini della risoluzione della presente controversia, alla questione di costituzionalita'. 2) Il giudizio di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale risulta dal ritenuto contrasto dell'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011 con gli articoli 3, 25, secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione. 3) In via preliminare, deve accertarsi se il rimedio in esame possa essere inquadrato nell'ambito della categoria dei provvedimenti sanzionatori, individuandone natura, tipologia ed effetti. Le sanzioni, irrogate dalla pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni amministrative, rappresentano la reazione dell'ordinamento alla violazione di un precetto. La dottrina, valorizzando i profilo funzionale, distingue le sanzioni in senso lato e le sanzioni in senso stretto: le prime hanno una finalita' ripristinatoria, in forma specifica o per equivalente, dell'interesse pubblico leso dal comportamento antigiuridico; le seconde hanno una afflittiva, essendo indirizzate a punire il responsabile dell'illecito allo scopo di assicurare obiettivi di prevenzione generale e speciale. Le principali tipologie di sanzioni in senso stretto sono pecuniarie, quando consistono nel pagamento di una somma di denaro, ovvero interdittive, quando impediscono l'esercizio di diritti o facolta' da parte del soggetto inadempiente. La disciplina generale delle sanzioni pecuniarie, modellata alla luce dei principi di matrice penalistica, e' contenuta nella legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), La disciplina delle altre sanzioni e' contenuta nelle singole discipline di settore, dai si applicano, ove compatibili, i principi generali sanciti dalla predetta legge. Il d.lgs. n. 28 del 2001 ha previsto uno specifico sistema sanzionatorio nel settore delle fonti di energia rinnovabili. L'art. 43 dello stesso decreto contempla una sanzione afflittiva, non pecuniaria, di tipo interdittivo, con effetti retroattivi. La natura afflittiva e' conseguenza del fatto che l'effetto di ripristinazione dell'interesse pubblico leso e' assicurato dal divieto di concessione di incentivi in relazione a quello specifico impianto cui si riferisce la comunicazione di fine lavori, nonche' agli impianti che utilizzano in altri siti le componenti dell'impianto non ammesso all'incentivazione. L'estensione del divieto anche in relazione ad incentivi previsti da fonti regolatrici diverse per una durata di dieci anni non puo' che perseguire uno scopo di punizione del soggetto che ha violato il precetto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 148). L'appartenenza al tipo di sanzioni interdittive risulta chiaramente dalla descrizione normativa della fattispecie: il rimedio, infatti, vietando la concessione di benefici economici per un periodo di dieci anni, si risolve in un sostanziale impedimento allo svolgimento dell'attivita' di impresa. La produzione retroattiva degli effetti e' desumibile dalla circostanza che la sanzione e' applicabile per illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, in quanto, come sottolineato, la disciplina di legge vigente al momento della avvenuta comunicazione di fine di lavori e richiesta di incentivi non contemplava tale misura. Gli operatori economici del settore non sapevano, pertanto, che l'eventuale accertata incompletezza o falsita' della comunicazione di fine lavori avrebbe determinato l'applicazione di una sanzione consistente nel divieto di concessione di incentivi per un cosi' lungo periodo temporale. La norma, pertanto, incide negativamente sulle prevedibilita' delle conseguenze derivanti da azioni o omissioni di coloro che esercitano liberamente la propria iniziativa economica. 4) L'art. 76 Cost. prevede che la delega al Governo della funzione legislativa non puo' avvenire «se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetto definiti». . La giurisprudenza costituzionale e' costante nel ritenere che il sindacato di legittimita' costituzionale sulla delega legislativa si esplichi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli. Il primo riguarda le disposizioni che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione, tenuto conto del contesto normativo in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalita' relative. Il secondo riguarda le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri direttivi della delega (da ultimo, sentenza n. 50 del 2014). Nella fattispecie in esame la legge n. 96 del 2010 ha, agli artt. 2 e 3, delegato il Governo ad adottare disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per violazione di obblighi contenuti nella normativa europea da attuare. In particolare, l'art. 2, comma 1, lettera c), prevede, quali principi e criteri direttivi per le sanzioni amministrative, che esse: devono consistere nel «pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 estro»; II) nell'ambito di detti limiti devono essere determinate nella loro entita' «tenendo conto della diversa potenzialita' lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualita' personali del colpevole, comprese quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonche' del vantaggio patrimoniale che l'infrazione puo' recare al colpevole ovvero alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce». L'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011, nella parte in cui ha introdotto una sanzione interdittiva e non pecuniaria senza, peraltro, graduarne l'applicazione nel rispetto delle modalita' predeterminate dalla suddetta legge, ha disciplinato un oggetto privo di copertura da parte della legge di delega e comunque in contrasto con i principi e criteri stabiliti dalla legge delega, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost. 5) L'art. 25, secondo comma, Cost. dispone che «nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». La Corte costituzionale ha piu' volte affermato, su un piano generale, che la legge puo' introdurre norme che modifichino in senso sfavorevole per gli interessati la disciplina di determinati rapporti, anche quando l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, purche' tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella «certezza dell'ordinamento giuridico», da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenze n. 69 del 2014, n. 310 e n. 83 del 2013, n. 166 del 2012, n. 202 del 2010, n. 206 del 2009). Sul piano specifico delle sanzioni, la Corte costituzionale ha ritenuto che l'art, 25, secondo comma, Cost. ponga un divieto assoluto di retroattivita' nella materia penale (da ultimo sentenza n. 5 del 2014). La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2010, ha innovativamente ritenuto che il citato art. 25, secondo comma, in ragione dell'ampiezza della sua formulazione, ricopre nel suo ambito di applicazione anche le sanzioni amministrative, con la conseguenza che «ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (...) e' applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti gia' vigente al momento della commissione del fatto sanzionato» (si vedano anche sentenze n. 447 del 1988 e n. 78 del 1967, che hanno ritenuto le sanzioni amministrative soggette al rispetto del principio di tassativita'). In questa prospettiva l'art. 1 della legge n. 689 del 1981 - nella parte in cui dispone che «nessuno puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione» - costituisce espressione di regole costituzionali. In definitiva, per le sanzioni amministrative di tipo afflittivo opera il principio di legalita' nella connotazione che esso ha nel settore penale, con conseguente necessita' di rispettare i principi di riserva di legge, tassativita' e irretroattivita'. L'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011, prevedendo una misure affluiva finalizzata a sanzionare comportamenti posti in essere prima della entrata in vigore del decreto stesso, si pone, pertanto, in contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost. 6) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto «degli obblighi internazionali». La giurisprudenza costituzionale ritiene che la CEDU contenga norme interposte, oggetto di bilanciamento, nel giudizio di costituzionalita' al fine di assicurare la integrazione delle tutele (da ultimo, sentenza n. 264 del 2012). L'art. 6 della CEDU stabilisce quali sono le condizioni che devono essere rispettate perche' si abbia un «equo processo». L'art. 7 della stessa CEDU prevede che «non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato e' stato consumato». La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: I) dalla qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non e' vincolante quando si accerta la valenza «intrinsecamente penale» della misura; II) dalla natura dell'illecito, desunta dall'ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; III) dal grado di severita' della sanzione (sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, resa nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia; si v. anche Corte di giustizia UE, grande sezione, 5 giugno 2012, n. 489, nella causa C-489/10). L'assegnazione alla «materia penale» di un significato ampio conduce a ritenere che anche il potere amministrativo sanzionatorio deve essere esercitato nel rispetto, non solo delle garanzie dell'equo processo, ma anche dai principi sanciti dal citato art. 7. L'art. 43 del d.lgs. n. 28 del .2011, nella parte in cui introduce una sanzione afflittiva con effetti retroattivi, si pone, pertanto, in contrasto non soltanto con l'art. 25, secondo comma, Cost., ma anche con la suddetta norma convenzionale e, conseguentemente, con l'art, 117, primo Cost. 7) L'art. 3 della Cost., nell'applicazione che di esso ha fatto la giurisprudenza costituzionale, pone il vincolo del rispetto del principio di ragionevolezza nell'esercizio della discrezionalita' legislativa. Nello specifico settore delle sanzioni amministrative deve essere osservato, nella fase applicativa, il principio di proporzionalita', il quale impone che la misura sia idonea, necessaria e proporzionata in senso stretto rispetto allo scopo perseguito. Il rispetto di tale principio, nelle sue declinazioni, impone, in concreto, l'attribuzione all'autorita' amministrativa di un potere discrezionale in grado di individualizzare la sanzione modulandone l'entita' alla luce della tipologia e gravita' della violazione, nonche' della intensita' dell'elemento soggettivo (si veda Corte cost. n. 299 del 1992, con riferimento all'entita' delle sanzioni penali; si veda anche art. 11 della legge n. 689 del 1981, con riferimento all'esigenza di una commisurazione discrezionale della sanzione amministrativa pecuniaria), elemento, quest'ultimo, che assume particolare rilevanza laddove, come nella fattispecie in esame, ad essere colpito e' il legale rappresentante della societa' sanzionata. La proiezione di tale principio a livello costituzionale ne comporta la sua collocazione nell'ambito della regola della ragionevolezza. Non e', infatti, conforme a tale regola una misura sanzionatoria che, risolvendosi in una applicazione generalizzata non aderente alla specificita' delle singole condotte, determina una ingiustificata discriminazione tra operatori economici. L'art. 43 del d.lgs. n. 28 del 2011, contemplando un sistema sanzionatorio rigido applicabile indistintamente a tutte le fattispecie senza che l'autorita' amministrativa competente possa modulare l'irrogazione della sanzione a seconda della valenza degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie stessa, si pone, pertanto, in contrasto con l'indicato parametro costituzionale. 8) L'art. 117, primo comma, Cost., stabilisce che la potesta' legislativa deve essere esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, La Corte di giustizia dell'Unione europea ritiene che le autorita' preposte all'irrogazione delle sanzioni, in materie di rilevanza europea, quale quella in esame, debbano rispettare il principio di proporzionalita' (si veda Corte di giustizia UE, sez. I, 9 febbraio 2012, n. 210, in causa C-210/10; cfr. anche Corte cost. n. 313 del 1990). L'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011, non assicurando il rispetto del principio di proporzionalita', si pone, pertanto, in contrasto anche con il parametro costituzionale sopra indicato. 9) Il giudizio di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 43 del d.lgs. n. 23 del 2011 impone la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di costituzionalita'.
P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando: a) solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/ CE e 2003/ 30/CE), in riferimento agli articoli 3, 25, 76 e 117, primo comma (in relazione, quest'ultimo, anche all'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) della Costituzione; b) sospende il giudizio e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; c) dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio di ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Spese al definitivo. Luciano Barra Caracciolo, Presidente; Gabriella De Michele, Consigliere; Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere; Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore; Bernhard Lageder, Consigliere. Il Presidente: Caracciolo L'estensore: Vigotti Depositata in segreteria il 9 luglio 2014.