N. 227 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 settembre 2014
Ordinanza del 10 settembre 2014 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Ni. F. e N.M. . Reati e pene - Recidiva - Delitti indicati all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. - Obbligatorieta' dell'aumento della pena per la recidiva - Violazione del principio di ragionevolezza - Identita' di trattamento di situazioni diverse - Violazione del principio di proporzionalita' della pena. - Codice penale, art. 99, comma quinto. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.52 del 17-12-2014 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Quinta Sezione penale Composta dagli Ill.mi sigg.ri Magistrati: Dott. Alfredo Maria Lombardi - Presidente; Dott. Silvana De Berardinis - Consigliere; Dott. Grazia Lapalorcia - Consigliere; Dott. Angelo Caputo - Rel. Consigliere; Dott. Paolo Giovanni Demarchi Albengo - Consigliere; Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: F.N. n. il 1° gennaio 1954; M.N. n. il 18 luglio 1973; Avverso la sentenza n. 27/2012 Corte assise appello di Napoli, del 5 luglio 2013; Visti gli atti, la sentenza e il ricorso; Udita in pubblica udienza del 3 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angelo Caputo; Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione dott. C. Stabile, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza deliberata il 21 dicembre 2011, la Corte di assise di Napoli aveva dichiarato N.F. colpevole dei reati di cui all'art. 600 cod. pen. (per avere ridotto e mantenuto in stato di soggezione la minore E.M.S. conducendola dalla Romania a Napoli, approfittando del suo stato di inferiorita' psichica e di necessita', sottraendole la carta di identita', impedendole di uscire, se non accompagnata, e di' far rientro in Romania quando ne aveva fatto richiesta, costringendola a prostituirsi nei luoghi prescelti, indicandole le somme di denaro da chiedere ai clienti e impossessandosi delle stesse: capo A) e all'art. 600-bis, primo comma, cod. pen. (per avere - con la condotta descritta nel precedente capo di imputazione - indotto alla prostituzione e sfruttato la prostituzione della minore E.M.S.; capo B): applicate le circostanze attenuanti generiche, esclusa la contestata recidiva (non ravvisandosi un'attuale maggiore capacita' a delinquere del reo o una sua attuale accresciuta pericolosita' sociale) e ritenuta la continuazione tra i reati, il giudice di primo grado aveva condannato N.F. alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione. La Corte di assise di Napoli aveva inoltre dichiarato N.M. colpevole, in concorso con N.F. del reato di cui all'art. 600-bis, primo comma, cod. pen. e, applicate le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen., l'aveva condannata alla pena di giustizia, assolvendola dall'imputazione ex art. 600 cod. pen. per non aver commesso il fatto. Investita dell'appello degli imputati e di quello del P.G., la Corte di assise di appello di Napoli, con sentenza deliberata il 5 luglio 2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado - limitata la dichiarazione di responsabilita' di N.M. alla condotta di sfruttamento di cui all'art. 600-bis, primo comma, cod. pen. - ha, con riferimento alla posizione di N.F., accolto l'impugnazione del P.G. in ordine all'obbligatorieta' della recidiva (risultando l'imputato gravato da un precedente penale per il reato di rissa ex art. 588 cod. pen.), sicche', individuato come piu' grave il reato sub A) e ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti della recidiva e di cui all'art. 602-ter cod. pen., ha rideterminato la pena in otto anni e due mesi di reclusione (anni otto per il reato piu' grave, aumentata come sopra per la continuazione), confermando nei resto la sentenza di primo grado. In particolare, il giudice di appello, da una parte, ha dato atto della credibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, evidenziandone l'attendibilita' intrinseca e la coerenza con le risultanze emergenti dall'intervento della polizia giudiziaria nell'immediatezza del fatto (la presenza di indumenti e del telefonino della minore nella baracca in cui viveva con gli imputati, ma l'assenza dei suoi documenti e di somme di denaro, laddove la carta di identita' fu rinvenuta in altra baracca indicata da F.) e, dall'altra, ha sottolineato l'inverosimiglianza sia della versione difensiva, non ravvisandosi motivi che giustificassero l'ospitalita' a titolo gratuito della persona offesa, sia della prospettazione di F. in ordine al trasporto in Italia della ragazza. Altro dato significativo - nella ricostruzione della Corte di assise di appello di Napoli - e' rappresentato dalla registrazione dei dati estrinseci delle comunicazioni relative all'utenza in uso alla minore, dalla quale emerge che nei periodo di interesse (settembre 2010 - febbraio 2011) su tale utenza giunsero numerose chiamate (circa seicento) proprio dall'utenza intestata a F. esclusivamente in orario serale (tra le ore 19,00 e 01,00), mentre e' risultato davvero esiguo il numero delle chiamate in altri momenti della giornata, il che conferma ulteriormente quanto dichiarato dalla persona offesa in ordine alle funzioni di controllo esercitate su di lei dall'imputato, smentendo, allo stesso tempo, gli intenti munifici prospettati da quest'ultimo. La Corte di assise di appello - ribadita la configurabilita' del concorso formale dei due reati ascritti all'imputato gia' ritenuta dal primo giudice - ha poi motivato in ordine alla sussistenza, nel caso di specie, dello stato di soggezione della persona offesa connesso allo stato di inferiorita' psichica e di necessita' in cui la minore versava, richiamando, al riguardo, molteplici circostanze: la persona offesa era minorenne, non parlava e non capiva l'italiano, non aveva risorse economiche ne' dimora, non era in condizione di mettersi in contatto con i propri famigliari e si era di conseguenza trovata in una condizione di totale solitudine, ostaggio del sostegno materiale dell'imputato. Per altro verso, lo stato di soggezione e' dimostrato, nel percorso motivazionale della sentenza impugnata, dall'approntamento di un rigido controllo sui movimenti della ragazza, confermato dalle risultanze di cui ai tabulati telefonici - sopra richiamate - e realizzato mantenendola priva di denaro, non lasciandola mai sola, sottraendola ad ogni contatto con terzi diversi dai clienti. 2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di assise di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di N.F. e di N.M., il difensore avv. G. Iacobelli. 2.1. Il ricorso denuncia, in primo luogo, vizi di motivazione: la sentenza impugnata, secondo il ricorrente, ha omesso di motivare in ordine agli elementi che, contraddicendo la tesi accusatoria, dimostrano la totale liberta' e autonomia di vita e di gestione della minore, le cui scelte in ordine all'ingresso e alla permanenza in Italia e all'esercizio della prostituzione sono stati improntate alla piu' completa autodeterminazione; mentre la difesa aveva chiesto un nuovo esame della teste, per verificare come le sue dichiarazioni fossero prive di credibilita' logica, la Corte di assise di appello - osserva ancora il ricorrente - non ha motivato in ordine alla prova dell'effettiva riduzione o mantenimento in stato di soggezione della minore. 2.2. Con esclusivo riferimento alla posizione di N.F., il ricorso censura, in secondo luogo, il ritenuto concorso dei reati contestati, in quanto il quid pluris del reato di riduzione in schiavitu' e' assorbito dal reato di sfruttamento della prostituzione o, al contrario, la condotta del reato di cui all'art. 600-bis cod. pen, assorbe quella del reato di cui all'art. 600 cod. pen. 2.3. In terzo luogo, il ricorso denuncia l'erroneita' della sentenza impugnata, laddove, in parziale accoglimento del ricorso del P.G., ha aumentato la pena irrogata all'imputato F., non essendo condivisibile il giudizio di obbligatorieta' di applicazione della recidiva, in quanto il potere di applicazione o meno della stessa deve ritenersi facoltativo; qualora la tesi difensiva non dovesse essere condivisa, il ricorso eccepisce l'illegittimita' costituzionale degli artt. 99 e 69 cod. pen., dell'art. 407, comma 2, cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 111 Cost. Considerato in diritto 1. E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, cod. pen. in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 2. La questione e' rilevante, in quanto, nella fattispecie concreta, sussistono, alla luce del consolidati orientamenti giurisprudenziali di seguito esaminati, i presupposti per l'applicazione della recidiva obbligatoria di cui alla norma censurata. In premessa, rileva il Collegio che, all'esito della delibazione delle censure del ricorrente richiamate sub 2.1. del Ritenuto in fatto, delibazione svolta alla luce della motivazione della sentenza della Corte di assise di appello sopra sinteticamente ripercorsa e sufficiente ai fini dello scrutinio della rilevanza della questione - dovendosi escludere la necessita' di un'anticipazione del giudizio circa le doglianze attinenti alla dichiarazione di responsabilita' dell'imputato in ordine ai reati per i quali si procede (cfr., in analoga fattispecie, Corte costituzionale, sentenza n. 78 del 2002) -, viene in rilievo l'esame del motivo relativo all'applicazione della norma sospettata di illegittimita' costituzionale. Al medesimo esito conduce la delibazione delle censure richiamate sub 2.2. del Ritenuto in fatto, a proposito delle quali, peraltro, deve osservarsi, che entrambi i reati per i quali si procede (artt. 600 e 600-bis, primo comma, cod. pen.) sono inclusi nel «catalogo» di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. (precisamente, ai numero 7-bis), sicche' qualsiasi soluzione in ordine alla doglianza del ricorrente comporterebbe la conferma della condanna intervenuta nei gradi di merito per - almeno - uno dei due delitti «espressivi» della recidiva obbligatoria, il che, come si vedra', e' sufficiente ad integrare il presupposto applicativo della norma censurata. Allo scopo di dar conto del giudizio di rilevanza della questione, e', dunque, necessario mettere in evidenza gli approdi giurisprudenziali in ordine alla natura obbligatoria della recidiva ex art. 99, quinto comma, cod. pen., ai suoi rapporti con le diverse figure di recidiva prese in considerazione dai commi precedenti del medesimo articolo e ai presupposti della stessa recidiva obbligatoria. 2.1. Del tutto pacifica e' la natura obbligatoria della recidiva ex art. 99, quinto comma, cod. pen., gia' evocata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 192 del 2007 (che aveva indicato nella figura in esame «l'unica previsione espressa di obbligatorieta' della recidiva») e poi confermata dal successivo consolidamento della ricostruzione della disciplina introdotta dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005, incentrata sulla «contrapposizione» tra le diverse figure di recidiva delineate dai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen. e quella, appunto, obbligatoria prevista dal quinto comma (cfr., ex plurimis, Sez. U, n. 35738 del 27 maggio 2010 - dep. 5 ottobre 2010, P.G., Calibe' e altro). La formulazione della norma («... l'aumento della pena per la recidiva e' obbligatorio ...») rende impraticabili letture della stessa orientate ad escludere il carattere obbligatorio della figura di recidiva in esame, posto che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenze n. 232 del 2013; n. 78 del 2012). 2.2. La giurisprudenza di legittimita' ha poi affrontato il quesito se a ciascuna delle forme di recidiva (semplice, monoaggravata, pluriaggravata, reiterata) corrisponda una figura di recidiva obbligatoria. Superando precedenti incertezze, il quesito ha trovato risposta affermativa, come sostenuto dalle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 20798 del 24 febbraio 2011 - dep. 24 maggio 2011, P.G. in proc. Indelicato), secondo cui «l'incipit della norma ("se si tratta di uno dei delitti indicati all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.") e la sua stessa collocazione rendono evidente che la previsione contenuta nel quinto comma dell'art. 99 cod. pen. affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa, disciplinate dai primi quattro commi, altrettante forme di recidiva obbligatoria, sottoposte, di regola, al medesimi aumenti di pena previsti per le corrispondenti ipotesi di recidiva facoltativa, salvo che per il caso previsto per la recidiva obbligatoria monoaggravata, per la quale l'aumento di pena spazia da un terzo alla meta' (art. 99, commi secondo e quinto, cod. pen.), mentre la corrispondente ipotesi di recidiva facoltativa prevede un aumento fino alla meta'», sicche' «la funzione del quinto comma e' quella di prefigurare, in rapporto a ciascuna delle forme di recidiva facoltativa in precedenza disciplinate, altrettante ipotesi di recidiva obbligatoria». Ricollegandosi a un indirizzo gia' affermato dalla giurisprudenza di legittimita' (Sez. 1, n. 46875 del 12 novembre 2009 - dep. 9 dicembre 2009, Moussaid e altri, Rv. 246254), la tesi autorevolmente sostenuta dalle Sezioni unite ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza di legittimita', che ha sottolineato come il comma quinto dell'art. 99 cod. pen., non individui una nuova forma di recidiva ma una particolare qualificazione delle ipotesi di cui ai quattro precedenti commi, avendo l'unica funzione di superare la facoltativita' che le connota (Sez. 5, n. 48655 del 15 novembre 2012 - dep. 14 dicembre 2012, Amato, Rv. 254560). La tesi in esame, del resto, trova un solido riscontro normativa nel secondo comma dell'art. 62-bis cod. pen. anch'esso novellato dalla legge n. 251 del 2005 - la cui disciplina e' riferita ai «casi previsti dall'articolo 99, quarto comma, In relazione ai delitti previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di' procedura penale ...»: come e' stato rilevato in dottrina, l'ipotesi presa in considerazione dal secondo comma dell'art. 62-bis cod. pen. e' quella della recidiva obbligatoria (rilievo, questo, sottolineato anche dalla sentenza n. 183 del 2011 della Corte costituzionale), sicche' se la disciplina dettata dall'art. 99, quinto comma, cod. pen. si riferisse non a tutte le figure di recidiva, ma sola a quella reiterata, l'articolato riferimento operato dal secondo comma dell'art. 62-bis cod. pen. non troverebbe giustificazione, in quanto sarebbe stato sufficiente li mero richiamo, appunto, all'art. 99, quinto comma, cod. pen. Nel caso di specie, la qualificazione come obbligatoria della recidiva semplice applicata all'imputato e', dunque, in linea con l'orientamento accreditatosi nella giurisprudenza di legittimita'. 2.3. Il problema interpretativo connesso al quesito se, ai fini della configurabilita' della recidiva obbligatoria ex art. 99, quinto comma, cod. pen., il reato ricompreso nei catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. debba essere quello oggetto della precedente condanna ovvero il nuovo delitto in relazione al quale deve applicarsi la recidiva obbligatoria ovvero indifferentemente l'uno o l'altro o entrambi (problema interpretativo il cui mancato esame ha determinato alcune declaratorie di inammissibilita' di questioni aventi ad oggetto la norma in esame: cfr., ad esempio, l'ordinanza n. 171 del 2009) ha trovato anch'esso risposta nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita'. La tesi secondo cui la recidiva, semplice, reiterata o infraquinquennale, e' obbligatoria, in forza della previsione dell'art. 99, comma quinto, cod. pen., nel caso in cui il soggetto commetta un nuovo delitto incluso fra quelli indicati dall'art. 407, comma secondo, lett. a), cod. proc. pen., non rilevando se il delitto per il quale vi e' stata precedente condanna rientri o meno nell'elencazione di cui al menzionato art. 407 (Sez. 1, n. 46875 del 12 novembre 2009 - dep. 9 dicembre 2009, Moussaid e altri, Rv. 246254; conforme, ex plurimis, Sez. 1, n. 36218 del 23 settembre 2010 - dep. 11 ottobre 2010, Pisanello e altri, Rv. 248289) ha ricevuto conferma ad opera delle Sezioni unite di questa Corte; secondo Sez. U, n. 20798 del 24 febbraio 2011 - dep. 24 maggio 2011, P.G. in proc. Indelicato «l'applicabilita' della previsione contenuta nel quinto comma dell'art. 99 cod. pen. solo qualora il nuovo reato sia riconducibile all'elenco dell'art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.» trova fondamento in vari argomenti: «l'Interpretazione sistematica del quinto comma alla luce di quelli precedenti, che fondano la sussistenza della recidiva sulla commissione di un "nuovo" o di "altro" delitto (cfr. in particolare commi primo, secondo e quarto), rende evidente che il legislatore ha voluto attribuire rilievo alla circostanza che il nuovo delitto sia ricompreso nell'elenco di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. D'altronde, la circostanza che solo nel caso della recidiva specifica il legislatore abbia espressamente attribuito rilievo anche alla omogeneita' tra il reato oggetto della previa condanna e quello successivamente posto in essere e' ulteriormente indicativa del fatto che, nelle altre ipotesi, tale profilo e' irrilevante. Tale lettura e' confortata, inoltre, dal rinvio contenuto nell'art. 99, comma quinto, cod. pen., ai «casi indicati al secondo comma», contenente a sua volta l'espresso riferimento alla commissione di un «nuovo delitto non colposo» (cfr. nn. 1, 2, 3 dell'art. 99, comma secondo, cod. pen.)». Il consolidato indirizzo confermato dalle Sezioni unite di questa Corte rende ragione, anche sotto questo profilo, della qualificazione come obbligatoria della recidiva applicata nel caso di specie all'imputato, posto che, come si e' anticipato, entrambi i reati per i quali e' intervenuta condanna sono ricompresi nel «catalogo» di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. 3. La questione di' legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, cod. pen. non e' manifestamente infondata in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della manifesta irragionevolezza della norma censurata e dell'identita' di trattamento di situazioni diverse cui essa da' luogo, e all'art. 27, terzo comma, Cost. 3.1. I vari problemi interpretativi sorti a seguito della sostituzione, ad opera dell'art. 4 della legge n. 251 del 2005, dell'art. 99 cod. pen. (nella versione, a sua volta, frutto della sostituzione operata dall'art. 9 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220) hanno consentito di mettere a fuoco - oltre alla natura facoltativa delle figure di recidiva di cui ai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen. a fronte dalla connotazione obbligatoria rivestita dalla disciplina di cui al quinto comma del medesimo articolo (vd. supra, par. 2.1.) - la fisionomia dell'istituto, attraverso non solo la piena consapevolezza della sua natura circostanziale (e delle conseguenze derivanti da detto inquadramento), ma anche l'individuazione del suo fondamento e - in stretta connessione con essa - dei criteri applicativi della recidiva facoltativa. A questo proposito, in una feconda progressione «in parallelo» della giurisprudenza costituzionale e di quella di legittimita', si e' fatto riferimento alla piu' accentuata colpevolezza e alla maggiore pericolosita' del reo (Corte cost., sentenza n. 192 del 2007): alla stregua dei criteri in tema di recidiva facoltativa, pertanto, l'aumento di pena per il fatto per il quale si procede puo' essere disposto «solo allorche' il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo» (Corte cost., ordinanza n. 409 del 2007; conf., ex plurimis, ordinanze nn. 33 del 2008, 90 del 2008, 193 del 2008). In linea con l'impostazione adottata dal Giudice delle leggi, le Sezioni unite di questa Corte hanno sottolineato, da una parte, che «il giudizio sulla recidiva non riguarda l'astratta pericolosita' del soggetto o un suo status personale svincolato dai fatto reato» e, dall'altra, che il riconoscimento e l'applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, invece, «la valutazione della gravita' dell'illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva - sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale - quale aspetto della colpevolezza e della capacita' di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell'ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo - in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. - sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo» (Sez. U, n. 20798 del 24 febbraio 2011 - dep. 24 maggio 2011, P.G. in proc. Indelicato). Il richiamo, operato dalle Sezioni unite, ad una necessaria «relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso» giova a mettere in luce, fin d'ora, l'ineludibile riferimento - gia' univocamente emergente dalle richiamate pronunce della Corte costituzionale - ad un accertamento nel caso concreto dell'applicabilita' della recidiva facoltativa in base ai criteri richiamati e in linea con lo stesso fondamento dell'istituto: infatti, nelle ipotesi previste dai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen., compito del giudice e' quello di «verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosita', tenendo conto [...] della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualita' dei comportamenti, del margine di offensivita' delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneita' esistente fra loro, dell'eventuale occasionalita' della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali» (Sez. U, n. 35738 del 27 maggio 2010 - dep. 5 ottobre 2010, P.G., Celibe' e altro). I criteri indicati dalle Sezioni unite riflettono le condizioni «sostanziali» per l'applicazione della circostanza aggravante, fungendo cosi' da strumento necessario ad assicurare che, nel caso concreto, l'applicazione della recidiva sia coerente con il suo fondamento, ossia, con la riconoscibilita', nella ricaduta nel delitto, di una piu' accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo. Viene qui in chiaro rilievo la netta e irreversibile discontinuita' tra la fisionomia della recidiva assunta a seguito dei vari interventi novellatori e della convergente elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale e della Corte di cassazione e quella delineata nell'impostazione originaria del codice penale, un'impostazione, quest'ultima, al lume della quale «la recidiva (definita dal piu' autorevole studioso di quegli anni come una questione di "diritto" e non di "fatto") comportava inderogabilmente e automaticamente un effetto di aggravamento della pena (salva la ipotesi della "recidiva facoltativa" di cui all'art. 100 cod. pen., poi abrogato), tanto che questo era strettamente conseguente alla relativa iscrizione nel cesellario giudiziale e alla formale contestazione» (Sez. U, n. 5859 del 27 ottobre 2011 - dep. 15 febbraio 2012, Marciano'), 3.2. L'accertamento, nel caso concreto, della significativita' del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo e', invece, estraneo alla disciplina della recidiva obbligatoria dettata dalla norma qui censurata: l'art. 99, quinto comma, cod. pen., infatti, «preclude al giudice l'accertamento della concreta significativita' del nuovo episodio delittuoso - in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. - "sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo"» (Corte cost., sentenza n. 183 del 2011), una preclusione, questa, che deriva - come rilevato dalla stessa sentenza n. 183 del 2011 appena citata - da un automatismo basato su una presunzione. Attesa, evidentemente, l'identita' del fondamento della recidiva facoltativa e di quella obbligatoria, l'oggetto di detta presunzione coincide con le condizioni «sostanziali» per l'applicazione della circostanza aggravante, sicche' lo scrutinio di legittimita' costituzionale della norma censurata rinvia, in prima battuta, alla valutazione della ragionevolezza della presunzione assoluta di piu' accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' del reo delineata dal legislatore con riferimento ai delitti espressivi ricompresi nel «catalogo» di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.: si tratta, in altri termini, di valutare se i criteri in forza dei quali il giudice, nei casi di cui ai primi quattro commi dell'art. 99 cod. pen., accerta se in concreto la reiterazione del delitto sia espressione di piu' accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' possano legittimamente formare oggetto di una presunzione assoluta costruita normativamente esclusivamente sull'individuazione di determinati reati espressivi. 3.3. La risposta negativa al problema di legittimita' costituzionale enunciato si ricollega alla stessa configurazione della recidiva, ossia ai canoni della perpetuita' e della genericita' che la caratterizzano, e alle connotazioni intrinseche dei parametri applicativi della recidiva facoltativa oggetto della presunzione assoluta di cui al quinto comma dell'art. 99 cod. pen. Premesso, infatti, che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit», potendosi cogliere l'irragionevolezza della presunzione assoluta «tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (Corte cost., sentenza n. 139 del 2010), l'"agevole" possibilita' di ipotizzare casi in cui, a fronte della commissione, da parte di un soggetto gia' condannato per un delitto non colposo, di un nuovo delitto richiamato dal quinto comma dell'art. 99 cod. pen., la reiterazione del delitto non sia espressione di piu' accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' del reo, si ricollega alla preclusione della verifica della «relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso» (Sez. U, n. 20798 del 24 febbraio 2011 - dep. 24 maggio 2011, RG. in proc. Indelicato): il riferimento ad un determinato reato espressivo, (ovvero a una categoria o a un "elenco" di reati espressivi) e' in radice inidoneo a fornire alla presunzione in cui si sostanza la norma censurata dati di esperienza generalizzati in ordine alla sintomaticita' dei nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' dei reo (Corte cost., sentenza n. 183 del 2011), sintomaticita' il cui accertamento, come si e' visto, richiede la verifica in concreto di una serie di elementi (la natura dei reati, il tipo di devianza di cui sono il segno, la qualita' dei comportamenti, il margine di offensivita' delle condotte, la distanza temporale e li livello di omogeneita' esistente fra loro, l'eventuale occasionalita' della ricaduta e ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, nella sintesi offerta da Sez. U, n. 35738 del 27 maggio 2010 - dep. 5 ottobre 2010, P.G., Calibe' e altro) insuscettibili di trovare effettiva espressione nella mera indicazione del titolo del nuovo delitto commesso e, dunque, di formare oggetto della presunzione assoluta di cui alla norma censurata. Svincolata dall'accertamento in concreto sulla base dei criteri applicativi indicati e affidata alla sola indicazione del titolo del nuovo delitto, l'applicazione obbligatoria della recidiva viene privata di una base empirica adeguata a preservare il fondamento della circostanza aggravante (ossia l'attitudine della ricaduta nel delitto ad esprimere una piu' accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosita' del reo), risolvendosi in una presunzione assoluta - appunto - di piu' accentuata colpevolezza o di maggiore pericolosita' del tutto irragionevole. Esemplare, in questo senso, e' la fattispecie concreta oggetto del presente giudizio: pur erroneamente obliterando la disciplina di cui all'art. 99, quinto comma, cod. pen. applicabile al caso di specie, il giudice di primo grado aveva escluso, valutando in reciproca correlazione il delitto fondante (una rissa) e i delitti per i quali si procede, la sussistenza delle condizioni "sostanziali" dell'applicazione della recidiva, applicazione, invece, imposta dalla norma censurata. La manifesta irragionevolezza della norma sospettata di illegittimita' costituzionale trova ulteriore conferma nel criterio legislativo di individuazione dei reati espressivi della recidiva obbligatoria, criterio incentrato sul catalogo di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., che contiene «un elenco di reati ritenuti dal legislatore, a vari fini, di particolare gravita' e allarme sociale» (Corte cost., sentenza n. 192 del 2007): invero, una valutazione di gravita' e allarme sociale di determinati reati effettuata in relazione ad istituti processuali (quali la durata delle indagini preliminari ovvero la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare) e' priva di correlazione con l'accertamento della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni applicative della recidiva. Piu' in generale, ne' la gravita' del nuovo delitto (rispetto alla quale, peraltro, deve osservarsi che nel "catalogo" cui rinvia la norma censurata non sono ricomprese molteplici figure delittuose di gravita' - quanto alla comminatoria edittale - maggiore o uguale rispetto a quella di delitti invece richiamati dall'art. 407, comma 2, lett. a, cod. proc. pen.), ne' l'allarme sociale ad esso associabile (valorizzato, invece, da Sez. 2, n. 6950 del 9 febbraio 2011 - dep. 23 febbraio 2011, Blanco e altro, Rv. 249458, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, cod. pen., pur riconoscendo nella norma i connotati di «un "automatismo sanzionatorio" correlato ad una presunzione iuris et de iure di pericolosita' sociale») sono in alcun modo indicativi di una relazione qualificata tra precedenti del reo e il nuovo delitto idonea ad offrire un congruo fondamento giustificativo al giudizio di piu' accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' in cui si sostanzia (deve sostanziarsi) l'applicazione della recidiva. Del resto, l'argomentare sviluppato dalle richiamate sentenze delle Sezioni unite al fine di' corroborare la tesi della facoltativita' della recidiva fuori dell'ipotesi disciplinata dal quinto comma dell'art. 99 cod. pen. conferma l'impostazione qui seguita: l'interpretazione contrastata dalle Sezioni unite, infatti, «finisce per configurare una sorta di presunzione assoluta di pericolosita' sociale del recidivo reiterato ed un conseguente duplice automatismo punitivo indiscriminato - dunque foriero di possibili diseguaglianze - nell'an e nel quantum (previsto in misura fissa), operante sia nei casi in cui la ricaduta nel reato si manifesti quale indice di particolare disvalore della condotta, di indifferenza dei suo autore alla memoria delle precedenti condanne e, in definitiva, verso l'ordinamento, di specifica inclinazione a delinquere dell'agente, sia nei casi in cui, al di la' del dato meramente oggettivo della ripetizione dei delitto, il nuovo episodio non appaia "concretamente significativo - in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 c.p. - sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo" (Corte cost., n. 192/2007)» (Sez. U, n. 35738 del 27 maggio 2010 - dep. 5 ottobre 2010, P.G., Calibe' e altro). Ribadita l'identita' del fondamento della recidiva indipendentemente dal regime di facoltativita' o di obbligatorieta' della relativa disciplina ed esclusa, alla luce delle considerazioni svolte, l'idoneita' della mera indicazione legislativa di reati ritenuti di particolare gravita' e allarme sociale ad esprimere, secondo la logica della presunzione, la concreta significativita' del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza o della maggiore pericolosita' del reo, il ripudio, imposto dalla giustificazione costituzionale dell'istituto, di «qualsiasi automatismo, ossia dell'instaurazione presuntiva di una relazione qualificata tra status della persona e reato commesso» (Sez. U, n. 20798 del 24 febbraio 2011 - dep. 24 maggio 2011, P.G. in proc. Indelicato) rende ragione - anche - della prospettata questione di legittimita' costituzionale (diversamente da quanto ritenuto da Sez. 2, n. 8076 del 21 novembre 2012 - dep. 20 febbraio 2013, Consolo, Rv. 254535, che, richiamando l'argomentare delle Sezioni unite - teso, come si e' detto, a confermare in chiave sistematica la facoltativita' della recidiva nelle ipotesi considerate -, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma in esame). 3.4. Ad avviso di questa Corte, in senso contrario alla prospettiva qui sostenuta non e' invocabile la sentenza n. 5 del 1977, con la quale fu dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 296 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (recante disposizioni legislative in materia doganale) sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. ed assumendo quale termine di comparazione il regime di discrezionalita' della recidiva introdotto dal citato d.l. n. 99 del 1974. Il rilievo si ricollega a due considerazioni. Per un verso, va osservato che all'epoca della pronuncia (di poco successiva alla riforma del 1974) era ben lungi dall'essersi consolidata la ricostruzione della fisionomia della recidiva cui, come si e' visto (supra, par. 3.1.), ha contribuito in modo decisivo l'evoluzione della giurisprudenza avviata dalla sentenza, n. 192 del 2007 della Corte costituzionale, un'evoluzione scandita, negli ultimi anni, da vari interventi delle Sezioni unite di questa Corte (il che conferma il recente processo di consolidamento, a fronte di precedenti oscillazioni giurisprudenziali): ora, e' proprio sulla fisionomia della recidiva delineata oggi dal diritto vivente che la qui prospettata questione di legittimita' costituzionale fa leva, censurando la presunzione assoluta di cui all'art. 99, quinto comma, cod. pen., che prevede l'obbligatoria applicazione della recidiva indipendentemente dall'accertamento in concreto e sulla base dei criteri individuati dalla giurisprudenza della sussistenza delle condizioni "sostanziali" per l'applicazione della circostanza aggravante. Per altro verso, deve rimarcarsi come la questione decisa dalla sentenza n. 5 del 1977 fosse articolata esclusivamente sotto il profilo della disparita' di trattamento in relazione al regime di facoltativita'/obbligatorieta' della recidiva, rispettivamente, nella disciplina codicistica e in quella ex art. 296 cit.: del tutto estraneo al thema decidendum allora affrontato dal Giudice delle leggi era il problema della "tenuta", In termini di ragionevolezza, della presunzione assoluta individuata, invece, nella norma oggi censurata. Al di la' della profonda diversita' strutturale, rispetto all'art. 99, quinto comma, cod. pen., dell'art. 296 d.P,R. n. 43 del 1973 (disciplinante una figura di recidiva non solo specifica, ma anche relativa al reato di contrabbando, caratterizzato, secondo la sentenza n. 5 del 1977, da «peculiari caratteristiche collegate con la lesione di primari interessi finanziari dello Stato»), la fisionomia attribuita dal diritto vivente alla recidiva, in uno con i termini della questione qui sollevata, esclude che il precedente indicato possa essere di ostacolo alla declaratoria di illegittimita' costituzionale prospettata dalla presente ordinanza. 3.5. La manifesta irragionevolezza della norma si accompagna alla violazione del principio di uguaglianza derivante dall'identico trattamento riservato, dall'art. 99, quinto comma, cod. pen., a situazioni diverse: infatti, ad identica riconducibilita' del nuovo delitto nel "catalogo" di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., ben possono corrispondere situazioni connotate, dal punto di vista delle condizioni "sostanziali" di applicazione della circostanza, da profonda diversita', avuto riguardo, ad esempio, al tipo di devianza di cui i reati sono sintomatici o all'eventuale occasionalita' della ricaduta (per riprendere solo alcuni tra i criteri applicativi individuati dalla piu' volte citata Sez. U, n. 35738 del 27 maggio 2010 - dep. 5 ottobre 2010, P.G., Calibe'). Precludendo l'accertamento della concreta significativita' del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo, la norma censurata da' luogo ad un'illegittima identita' di trattamento di situazioni diverse. L'irragionevolezza della disciplina della recidiva obbligatoria e l'ingiustificata identita' di trattamento ora prospettata danno corpo alla censura relativa all'art. 27, terzo comma, Cost., al quale la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 251 del 2012) - talora in combinazione con l'art. 3 Cost. (sentenza n. 68 del 2012) - riconduce il principio di proporzionalita' della pena, sul rilievo che una pena palesemente sproporzionata - e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato - vanifica, gia' a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalita' rieducativa (sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993): esito, questo, parimenti riconducibile alla preclusione dell'accertamento giurisdizionale della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni "sostanziali" legittimanti l'applicazione della recidiva. 4. Pertanto, deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, del codice penale in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, con le ulteriori statuizioni indicate in dispositivo; la minore eta' della persona offesa impone, in caso di diffusione della presente ordinanza, l'omissione delle generalita' e degli altri dati identificativi.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, del codice penale in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge. Cosi' deciso il 3 luglio 2014. Il Presidente: Lombardi Il consigliere estensore: Caputo