N. 235 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 luglio 2014

Ordinanza del 29 luglio 2014 del Tribunale di Rieti nel  procedimento
penale a carico di Ricci Marco ed altri. 
 
Edilizia - Reati edilizi - Lottizzazione  abusiva  -  Confisca  (c.d.
  confisca urbanistica) - Interpretazione della Corte  EDU  (sentenza
  29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) - Esclusione  che  la  confisca
  dei terreni abusivamente  lottizzati  e  delle  opere  abusivamente
  costruite  possa  applicarsi   nel   caso   di   dichiarazione   di
  prescrizione del reato anche qualora la responsabilita' penale  sia
  stata accertata in tutti i  suoi  elementi  -  Lesione  dei  valori
  costituzionali  oggettivamente  fondamentali  quali  il  paesaggio,
  l'ambiente, la vita e la salute,  cui  riconoscere  prevalenza  nel
  bilanciamento  con  il  diritto  di  proprieta'  -  Violazione  del
  principio di legalita' - Incompatibilita' con la funzione sociale e
  l'utilita' sociale  cui  la  proprieta'  e  l'iniziativa  economica
  privata sono asserviti - Mancata considerazione  del  bilanciamento
  che deve essere operato qualora siano in  gioco  opposti  interessi
  costituzionali protetti anche quando gli uni trovino  tutela  nella
  CEDU e gli altri nella Costituzione italiana. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, art.
  44, comma 2. 
- Costituzione, artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42 e  117,  primo  comma,  in
  relazione all'art. 7 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
(GU n.54 del 31-12-2014 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO di RIETI 
                           Sezione penale 
 
    Il Tribunale, in composizione collegiale, nella persona di: 
        dott. Francesco Oddi Presidente; 
        dott. Enrica Ciocca Giudice relatore; 
        dott. Ilaria Auricchio Giudice; 
nella camera di' consiglio del  30  maggio  2014  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza. 
    Nel procedimento penale di I grado iscritto al n. 60/2012 R.G.  a
carico di: 
        1) Ricci Marco; 
        2) Giorgi Carlo; 
        3) Manti Gaetano; 
        4) Tomei Emanuele; 
        5) Estero Roberto; 
        6) Tomei Gabriele Maria; 
        7) Galiffo Francesco Paolo; 
        8) Fontana Maurizio; 
        9) Torelli Elio; 
        10) Torelli Guido; 
        11) Valentini Gianfilippo; 
        12) Grande Adelaide; 
        13) Umbertini Michela; 
        14) Pignocchi Roberto; 
    Imputati  Ricci  Marco,  Giorgi  Carlo,  Manti  Gaetano,   Estero
Roberto, Tomei Emanuele, Tomei Gabriele Maria, Galiffo Paolo, Fontana
Maurizio: 
    A) del reato p. e. p.  dagli  artt.  110  c.p.  44  lett.  c)  in
relazione all'art. 30 D.P.R. n. 380/01, per avere,  in  concorso  tra
loro, nelle rispettive qualita' di: 
        1) Ricci Marco responsabile dell'Ufficio tecnico  del  Comune
di Toffia, firmatario delle concessioni edilizie n. 17/00, n.  5/2000
rilasciate in data 10 aprile 2000 alla societa'  «Terre  Sabine  Spa»
amministrata da Manti  Gaetano,  nonche'  dei  seguenti  permessi  di
costruire: n. 21/06 emesso in data 18 ottobre 2006 in  variante  alla
concessione  edilizia  n.  17/00   a   favore   di   Tomei   Emanuele
(amministratore della T.B. Immobiliare); n. 22/06 rilasciato a Estero
Roberto (amministratore della T.B. Immobiliare); 
        2) Giorgi Carlo, direttore e progettista dei lavori  relativi
alla realizzazione dei fabbricati oggetto delle concessioni  edilizie
n. 17/2000, 5/2000, 21/06 e 22/06, nonche' direttore  dei  lavori  in
relazione ai permessi di costruire n. 17/07, 18/07, 19/07 e 20/07; 
        3) Manti Gaetano, amministratore unico della societa'  «Terre
Sabine s.p.a» (poi denominata Il Mio castello Spa),  committente  dei
lavori e titolare della concessione  edilizia  n.  5/2000  avente  ad
oggetto la costruzione  di  un  fabbricato  bifamiliare  sul  terreno
contrassegnato al foglio l  particella  n.  242  del  NCU  comune  di
Toffia; della concessione edilizia n. 17/2000 avente  ad  oggetto  la
realizzazione di un edificio bifamiliare sul terreno distino  al  NCT
al foglio 1 particelle n. 7, 8, 164, 253, 254; 
        4)  Tomei  Emanuele,  amministratore   della   societa'   «TB
immobiliare» fino  alla  data  dell'11  ottobre  2006,  titolare  del
permesso di costruire n. 21/06, variante alla concessione edilizia n.
17/00 relativa al fabbricato contraddistinto al foglio  1  particella
n. 296 (Gia' 164); 
        5) Estero Roberto, amministratore unico  della  societa'  «TB
immobiliare costruzione srl» a partire  dalla  data  dell'11  ottobre
2006, titolare della concessione edilizia n. 22/06 avente ad  oggetto
la realizzazione di un fabbricato bifamiliare sul terreno distinto al
NCT al foglio 1 particelle 5/7/,10/165/254, 313; 
        6)   Tomei   Gabriele   Maria,   proprietario   dei   terreni
contraddistinti al foglio 1 particelle n. 5, 7, 165, 254, 313 del NCU
del comune di Toffia, oggetto del  permesso  di  costruire  n.  22/06
rilasciato alla societa' «TB immobiliare costruzione srl»; 
        7) Galiffo Francesco Paolo, proprietario di fatto dei terreni
contraddistinti al foglio l particella n. 296, formalmente  intestati
alla societa' «TB immobiliare costruzione S.r.l.»; 
        8)  Fontana   Maurizio,   titolare   della   omonimia   ditta
individuale, esecutore dei  lavori  per  conto  di  Manti  Gaetano  e
Torelli Elio, 
realizzato  in  Toffia   localita'   Colle   Civetta,   sui   terreni
sopraindicati, una lottizzazione abusiva a scopo edilizio,  negoziale
e materiale, con frazionamenti di lotti, compravendite,  edificazione
di fabbricati, che hanno comportato la trasformazione urbanistica  ed
edilizia dei terreni stessi, in violazione delle  prescrizioni  dello
strumento urbanistico vigente e comunque in violazione di  legge,  in
particolare della legge regionale n. 38 del 22  dicembre  1999,  come
modificata dalle leggi regionali n. 4/02 e 8/03. 
    Fatti  commessi  in  Toffia  fino  al  5  giugno  2008  (data  di
esecuzione del sequestro preventivo). 
    B) del reato p. e. p. dagli artt. 110  c.p.  e  44  lett.  B)  in
relazione all'art. 10 D.P.R. n. 380/01, per  avere  in  concorso  tra
loro, nelle qualita' sopra indicate, edificato, in mancanza di validi
permessi di costruire, le seguenti opere: 
        un fabbricato bifamiliare sul terreno distino al foglio 1 del
NCU del Comune di Toffia particelle 7/8/164/253/254/296; 
        un fabbricato bifamiliare distinto al foglio numero l NCT del
comune di Toffia, particelle 242 e 294; 
        due immobili bifamiliari sul terreno  distinto  al  foglio  1
particelle 5, 7, 10, 165, 254. 
    Fatti  commessi  in  Toffia  fino  al  5  giugno  2008  (data  di
esecuzione del sequestro preventivo). 
    Ricci Marco, Giorgi Carlo, Torelli Elio, Torelli Guido, Valentini
Gianfilippo, Grande Adelaide, Umbertini Michela, Pignocchi Antonio: 
    C) del reato p e  p.  dagli  artt.  110  c.p.,  44  lett.  c)  in
relazione all'art. 30 D.P.R. n. 380/01, per avere,  in  concorso  tra
loro, predisposto la trasformazione  urbanistica  dei  terreni  sotto
indicati in localita' Colle Civetta, attraverso la  presentazione  di
progetti, la suddivisione in  lotti,  il  rilascio  dei  permessi  di
costruire a soggetti  non  legittimati,  al  fine  di  realizzare  la
edificazione  di  immobili,  non  compatibile  con  la   destinazione
agricola dell'area, in concorso tra loro e nelle rispettive  qualita'
di: 
        Ricci Marco responsabile dell'Ufficio tecnico del  Comune  di
Toffia, firmatario dei permessi di costruire rilasciati  in  data  27
febbraio 2007, nn. 17/07, 18/07, 19/07, 20/07; 
        Torelli Elio, titolare del permesso di costruire  n.  17/2007
avente ad oggetto la realizzazione di un casale con annesso  agricolo
sui terreni contraddistinti al foglio n. 1 particelle n. 21, 22,  49,
97, 166; 
        Torelli Guido, titolare del permesso di  costruire  n.  18/07
avente ad oggetto la realizzazione di un casale con annesso  agricolo
sui terreni contraddistinti al foglio n. 1 particelle n. 20, 12,  22,
49, 57, 97; 
        Valentini Gianfilippo, titolare del permesso di costruire  n.
19/07 avente ad oggetto la realizzazione di  un  casale  con  annesso
agricolo sui terreni contraddistinti al foglio n. 1 particelle n. 22,
49, 50, 51, 166; 
        Grande Adelaide, titolare del permesso di costruire n.  20/07
avente ad oggetto la realizzazione di un casale con annesso  agricolo
sui terreni contraddistinti al foglio n. 1, particelle 20, 21, 22; 
        Umbertini  Michela,   ingegnere   firmataria   dei   progetti
assentiti con i permessi di costruire n. 17/07, 18/07, 19/07, 20/07; 
        Pignocchi Antonio, progettista delle opere  assentite  con  i
permessi di costruire sopraindicati nn. 17, 18, 19, 20 del 2007; 
        Giorgi Carlo quale direttore dei lavori. 
    In Toffia, il 27 febbraio 2007 (data di rilascio dei permessi  di
costruire). 
    Tutti: 
        D) del reato p. e p. dagli  artt.  81  cpv.,  110,  323  c.p,
perche' in concorso  tra  loro,  con  piu'  azioni  esecutive  di  un
medesimo disegno  criminoso  ed  tempi  diversi,  Ricci  Marco  quale
responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Toffia rilasciava  in
violazione delle norme del Piano Regolatore Generale  e  della  legge
regionale n. 38/1999 (come modificata dalle LL.RR. n. 4/02 e 8/03)  i
seguenti permessi di costruire: 17/00, 5/2000 in data 10 aprile  2000
alla societa' «Terre Sabine spa» amministrata da  Manti  Gaetano,  n.
21/06  in  data  18  ottobre  2006  a  favore   di   Tomei   Emanuele
(amministratore della TB immobiliare);  n.  22/06  a  Estero  Roberto
(amministratore della TB Immobiliare); n. 17/07 a  Torelli  Elio;  n.
18/07 a Torelli Guido; n. 19/07  a  Valentini  Gianfilippo;  20/07  a
Grande Adelaide  in  data  27  febbaio  2007,  cosi  intenzionalmente
procurando ai proprietari , costruttori, committenti e progettisti un
ingiusto vantaggio patrimoniale. 
    In Toffia nel periodo compreso tra il 10  aprile  2000  e  il  27
febbraio 2007. 
    Ricci Marco, Manti Gaetano, Giorgi Carlo: 
        E) del reato p. e p. dagli artt. 110, 479 c.p. perche'  Ricci
Marco quale responsabile dell'ufficio tecnico del comune  di  Toffia,
attestava falsamente nelle proroghe  dei  permessi  di  costruire  n.
17/2000 e 5/2000, rilasciate a favore  di  Manti  Gaetano  «visto  la
domanda presentata in data 10 aprile 2003/ n. 1052, per  ottenere  la
proroga del termine stabilito per l'esecuzione delle opere concesse»;
domanda di proroga, giammai presentata da  Manti  Gaetano  e  giammai
protocollata,  riferendosi  il  protocollo  2003/1052  ad   una   DIA
presentata dal Manti per la  variante  alla  concessione  n.  5/2000,
cosi' rilasciando la  proroga  alla  concessione  edilizia  in  epoca
successiva alla termine di scadenza dell'atto amministrativo. 
    Concorrendo Manti e Giorgi quali istigatori e beneficiari  ultimi
della condotta. 
    In Toffia in data 3 ottobre 2005. 
    Individuate le persone offese in: 
        Comune  di  Toffia  in  persona  del  Sindaco  pro   tempore,
costituito parte civile; 
        Regione Lazio in persona del Presidente pro tempore. 
    Sentite le parti e valutata la richiesta del P.M.  di  sospendere
il giudizio in attesa  della  pronuncia  della  Corte  costituzionale
sulla ordinanza di remissione della Corte di cassazione n. 20636/2014
del 20 maggio 2014; 
    All'esito  della  camera  di  consiglio  del  30   maggio   2014,
pronunciando   sulla   prospettata   questione   di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 44, comma 2, del D.P.R. 6  giugno  2001,  n.
380, come interpretato dalla Corte E.D.U. nella sentenza  21  ottobre
2013 Varvara c. Italia; 
    tenuto conto che le stesse difese degli imputati nel corso  della
discussione hanno invocato l'applicazione  di  tale  pronuncia  della
Corte E.D.U. nel presente giudizio; 
    esaminati gli atti e documenti di causa, 
    Premesso in fatto che: 
        Con decreto del 3 ottobre 2011 il  G.U.P.  del  Tribunale  di
Rieti rinvio' a giudizio Ricci Marco, Giorgi  Carlo,  Manti  Gaetano,
Tornei Emanuele,  Estero  Roberto,  Tornei  Gabriele  Maria,  Califfo
Francesco Paolo,  Fontana  Maurizio,  Torelli  Elio,  Torelli  Guido,
Valentini Gianfilippo, Grande Adelaide, Ubertini Michela e Pignocchi.
Roberto per rispondere del reato  di  abuso  d'ufficio  (capo  D)  in
relazione al rilascio, da parte del Comune di Toffia, dei permessi di
costruire n. 17/00 e 5/2000 in data  10  aprile  2000  alla  societa'
«Terre Sabine spa» amministrata da Manti  Gaetano,  del  permesso  di
costruire  n.  21/06  in  data  18  ottobre  2006  a  Tomei  Emanuele
(amministratore  della  TB  Immobiliare),  nonche'  dei  permessi  di
costruire n. 22/06 (a Estero Roberto), n. 17/07 (a Torelli Elio),  n.
18/07 (a Torelli Guido), n. 19/07 (a Valentini Gianfilippo), n. 20/07
(a Grande Adelaide), tutti in data 27 febbraio 2007, sul  presupposto
della  loro  illegittimita',  cosi'  intenzionalmente  procurando   a
proprietari,  costruttori,  committenti  e  progettisti  un  ingiusto
vantaggio patrimoniale. 
    Ricci Marco, Giorgi Carlo, Manti Gaetano, Estero  Roberto,  Tomei
Emanuele, Tomei  Gabriele  Maria,  Galiffo  Paolo,  Fontana  Maurizio
venivano rinviati a  giudizio  per  rispondere  anche  del  reato  di
lottizzazione  abusiva  e  di  abuso  edilizio,  relativamente   alla
realizzazione di: un fabbricato bifamiliare sul  terreno  distino  al
foglio 1 del N.C.T. del Comune di Toffia, particelle 7, 8, 164,  253,
254 e 296; un fabbricato bifamiliare distinto al foglio numero 1  NCT
del Comune di Toffia, particelle 242 e 294; due immobili  bifamiliari
sul terreno distinto al foglio 1 particelle 5,  7,  10,  165  e  254.
Inoltre, Ricci Marco, Giorgi  Carlo,  Torelli  Elio,  Torelli  Guido,
Valentini Gianfilippo, Grande Adelaide, Umbertini Michela,  Pignocchi
Antonio  erano  citati  a  giudizio  per  rispondere  del  reato   di
lottizzazione  abusiva  per  avere  predisposto   la   trasformazione
urbanistica di terreni in localita' Colle Civetta di cui al capo  C),
attraverso la presentazione di progetti, la suddivisione in lotti, il
rilascio dei permessi di costruire a  soggetti  non  legittimati,  al
fine di realizzare l'edificazione di immobili, non compatibile con la
destinazione agricola dell'area, in concorso tra loro. 
    Da ultimo Ricci Marco, Manti  Gaetano  e  Giorgi  Carlo  venivano
rinviati a giudizio per rispondere del reato di falso  ideologico  in
atto pubblico commesso  in  data  3  ottobre  2005  in  relazione  al
rilascio di una proroga dei permessi di costruire n. 5 e 17/2000. 
 
                       Considerato in diritto 
 
1. La rilevanza della questione. 
    Sussiste certamente la  rilevanza  della  questione  prospettata,
atteso che le norme in esame, delle quali  si  chiede  il  vaglio  di
costituzionalita', costituiscono l'immediato paradigma  normativo  di
riferimento per la decisione dei reati contestati ai capi A) e C). 
    Invero, la contravvenzione di lottizzazione  abusiva  (mista,  in
quanto sia negoziale sia materiale), e' contestata come commessa  «in
epoca fino al 5 giugno 2008» (capo A) ed «in data 27  febbraio  2007»
(capo C), data  dell'avvenuto  rilascio  dei  permessi  di  costruire
indicati nel capo di imputazione. 
    Da tali date sono decorsi piu' dei 5 anni previsti quale  termine
massimo per la maturazione della prescrizione. 
    Infatti, avendo il reato di lottizzazione  natura  permanente  ed
essendo inquadrabile  nei  reati  progressivi  nell'evento,  esso  si
perfeziona, facendo cosi' cessare la permanenza,  con  il  compimento
degli atti che lo integrano (divisione del fondo, vendita dei  lotti,
realizzazione di opere di  urbanizzazione),  indipendentemente  dalla
costruzione, nei singoli lotti, degli edifici progettati (Cass. pen.,
sez. 3, 30 maggio 1984, n. 8398) oppure,  in  caso  di  lottizzazione
materiale, con  l'esaurimento  della  attivita'  edificatoria  (Cass.
pen., sez. 3, 25 maggio 1998, n. 7640) oppure ancora con il sequestro
preventivo delle opere abusive realizzate, sempre  che  il  sequestro
non sia seguito da ulteriori atti negoziali (es. stipula di contratti
preliminari o di compravendita) (Cass. pen., sez. 3, 25 febbraio 2004
n. 15289). E nel caso  in  esame  risulta  dal  materiale  probatorio
acquisito il compimento  di  tali  atti,  idonei  a  far  cessare  la
permanenza.  Ricorre  astrattamente  anche  nel  caso  di  specie  la
fattispecie lottizzatoria, atteso che la  Suprema  Corte,  a  Sezioni
Unite, ha chiarito che  la  lottizzazione  abusiva  e'  un  reato  «a
consumazione alternativa» in quanto realizzabile sia quando manca  un
provvedimento autorizzatorio sia quando quest'ultimo sussista, ma sia
contrario alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass.  pen.,
S.U., 28 novembre 2001 n. 5515). 
    L'individuazione delle ipotesi in cui e'  applicabile  l'art.  44
comma 2 D.P.R. n.  380/2001  e'  rilevante  ai  fini  della  presente
decisione in quanto l'epoca di consumazione dei reati  e  la  mancata
rinuncia da parte degli imputati alla  prescrizione  rende  altamente
probabile che all'esito del giudizio -  senza  che  cio'  valga  come
anticipazione della soluzione di merito, non demandabile  al  momento
di  questa  pronuncia  -  si  debba   dichiarare   l'improcedibilita'
dell'azione penale per intervenuta estinzione del reato. 
    Per consolidato indirizzo della Suprema Corte, in presenza di una
causa estintiva del reato, il Giudice penale e' chiamato a verificare
la presenza di circostanze di evidenza  non  contestabile  in  ordine
alla innocenza dell'imputato,  per  assenza  totale  di  prova  della
colpevolezza o per la prova positiva della sua innocenza,  in  quanto
il proscioglimento nel merito prevale sulla pronuncia in rito, mentre
in caso di prova insufficiente o contraddittoria  (che  richiede  una
valutazione comparativa tra piu' risultanze) prevale la pronuncia  di
improcedibilita' (Cass. Pen. Sez. U. 28 maggio 2009 n. 35490). 
    Nel caso all'esame del Collegio il  complesso  dei  documenti  in
atti, in particolare le pratiche edilizie in sequestro, con  relativi
titoli di proprieta' degli immobili oggetto dei capi di  imputazione,
gli esiti delle intercettazioni, sulle quali e' stata svolta perizia,
le dichiarazioni dei testi escussi nel corso  della  istruttoria,  le
risultanze della consulenza del  P.M.  (pur  con  le  precisazioni  e
rettifiche effettuate nel corso del dibattimento), non consentono, al
momento, di avere l'evidenza della innocenza degli imputati. 
    Risulta per tale ragione indispensabile ai fini  della  decisione
la verifica della legittimita' costituzionale dell'art.  44  comma  2
D.P.R. n. 380/2001  che  prevede  che  «la  sentenza  definitiva  del
giudice penale che accerta che vi  e'  stata  lottizzazione  abusiva,
dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere
abusivamente costruite. Per effetto della  confisca  i  terreni  sono
acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui
territorio e' avvenuta la lottizzazione. La  sentenza  definitiva  e'
titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari.». 
2. La non manifesta infondatezza della questione. 
    Appare opportuna una pur succinta  illustrazione  dello  sviluppo
interpretativo  delle  norme  che  hanno  disciplinato  la   confisca
disposta a seguito di sentenza per reato di lottizzazione, secondo la
lettura data dalla Suprema Corte, dalla Corte E.D.U.  e  dalla  Corte
costituzionale, per far comprendere come  sia  ineludibile  un  nuovo
vaglio di legittimita' della interpretazione  dell'art.  44  comma  2
D.P.R. n. 380/2001 offerta dalla Corte E.D.U. cosi' da illustrare  le
ragioni  che  inducono  il  Collegio  a  ritenere  la  questione  non
manifestamente infondata. 
    2.1. Art. 44 comma 2 D.P.R.  n.  380/2001  nella  interpretazione
della Corte di cassazione 
    L'art. 44 comma 2 del D.P.R. n. 380/2001 prevede, come detto, che
la confisca segue ad una «sentenza definitiva del giudice penale  che
accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva». 
    Tale  norma  e'  rubricata  espressamente  «sanzioni  penali»,  a
differenza del  precedente  art.  19  della  legge  n.  47/1985,  che
disciplinava la «Confisca dei terreni» (in modo analogo  all'attuale)
in una norma distinta da quella  (art.  20)  relativa  alle  sanzioni
penali, nell'ambito di un capo volto  a  disciplinare  le  «norme  in
materia di controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia.  Sanzioni
amministrative e penali». 
    In termini di qualificazione della confisca di  cui  all'art.  19
legge n. 47/1985, dopo un primo iniziale e remoto  indirizzo  che  vi
ravvedeva una sanzione penale, la Suprema Corte  di  cassazione,  con
condivisibile e costante orientamento successivo (a partire  gia'  da
Cass. pen., sez. 3, 12 novembre  1990,  Licastro),  ha  costantemente
qualificato la confisca come  sanzione  amministrativa  obbligatoria,
non gia' una misura di sicurezza, applicata  dal  Giudice  penale  in
supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di  acquisizione  dei
terreni lottizzati al patrimonio disponibile del comune (Cass.  pen.,
sez. 3, 7 luglio 2004, n. 38728). 
    Tale  sanzione  amministrativa  secondo  la  Suprema   Corte   e'
applicabile  anche  indipendentemente  dalla   sussistenza   di   una
pronuncia di condanna, in base al solo accertamento della sussistenza
degli estremi della lottizzazione abusiva (ex  pluribus  Cass.  pen.,
sez. 3, 21 novembre 2007, n. 9982, Cass.  pen.,  sez.  3,  30  aprile
2009, n. 21188, Cass. pen., sez. 3, 4 febbraio 2013 n. 17066)  ed  e'
revocabile in caso di regolarizzazione amministrativa ex  post  della
lottizzazione (Cass. pen.,  14  dicembre  2000  n.  12999,  Cass.  21
gennaio 2002, n. 1966, Venuti). 
    Tale orientamento della Suprema  Corte  e'  rimasto  invariato  e
confermato anche dopo l'introduzione del D.P.R. n. 380/2001 ed  anche
a seguito delle pronunce della Corte E.D.U. del 30 agosto 2007 e  del
20 gennaio 2009 nel caso Sud Fondi s.r.l. e. Italia (Cass. pen., sez.
3, 13 luglio 2009, n. 39078). 
    2.2. Sentenza C.E.D.U. Sud Fondi c. Italia 
    Con la prima decisione del 30 agosto  2007  la  Corte  E.D.U.  ha
dichiarato ammissibile il  ricorso  proposto  contro  l'Italia  sulla
annosa e complessa vicenda c.d. «Punta Perotti» (definita, quanto  al
giudizio penale, dalla Cassazione  con  sent.  29  gennaio  2001,  n.
11716) ed ha qualificato la  confisca  prevista  dall'art.  19  della
legge n. 47/1985, come sanzione penale, in quanto ha ritenuto che non
tenda alla riparazione  pecuniaria  di  un  danno,  ma  a  punire  il
responsabile per  impedire  la  reiterazione  di  trasgressioni  alle
prescrizioni stabilite dalla legge. Ne consegue  che  trattandosi  di
una  pena,  la  sua  applicazione  al  di   fuori   di   ipotesi   di
responsabilita' penale incorrerebbe nella infrazione all'art. 7 della
CEDU. 
    Con la seconda decisione del 20 gennaio 2009 la Corte E.D.U., nel
pronunciarsi nel merito della vicenda ha ritenuto violati dall'Italia
l'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e  l'art.  1
comma 1 del Protocollo. 
    Si ricorda che l'art. 7 della Convenzione stabilisce  che  «1.  -
Nessuno puo' essere condannato per una azione od omissione  che,  nel
momento in cui e' stata commessa, non  costituiva  reato  secondo  il
diritto interno o internazionale. Parimenti non puo' essere  inflitta
una pena piu' grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in
cui il reato e'  stato  commesso.  2.  -  Il  presente  articolo  non
ostacolera' il giudizio e la condanna di  una  persona  colpevole  di
un'azione od omissione che, al momento  in  cui  e'  stata  commessa,
costituiva  un  crimine  secondo  i  principi  generali  di   diritto
riconosciuti dalle nazioni civili», mentre l'art. 1 del Protocollo n.
1 recita: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei
suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua  proprieta'  se  non
per causa di pubblica utilita'  e  nelle  condizioni  previste  dalla
legge  e  dai  principi  generali  del  diritto  internazionale.   Le
disposizioni precedenti non  portano  pregiudizio  al  diritto  degli
Stati di porre in vigore le leggi da  essi  ritenute  necessarie  per
disciplinare l'uso dei beni in modo conforme  all'interesse  generale
(...)». 
    Il ricorso alla Corte E.D.U. derivava dalla pronuncia di confisca
che era stata adottata dalla Suprema Corte di  cassazione  nonostante
una pronuncia di assoluzione degli imputati per difetto  di  elemento
soggettivo del reato, in quanto incorsi in un errore scusabile  nella
interpretazione della legge penale in particolare  perche'  la  legge
regionale applicabile, unita alla legge nazionale, era «oscura e  mal
formulata» e la relativa giurisprudenza contraddittoria. 
    La Corte E.D.U. ha  ritenuto  che  l'art.  7  della  Convenzione,
inderogabile anche in tempo di guerra o di  altro  pericolo  pubblico
(art. 15 Convenzione) garantisce  una  protezione  contro  le  azioni
penali,  condanne  e  sanzioni   arbitrarie,   vieta   l'analogia   e
l'applicazione  estensiva  della  norma  penale  ai  fatti  che   non
costituivano reato e richiede di definire chiaramente i  reati  e  le
pene, in termini di accessibilita' e prevedibilita'. 
    Dal momento che nel caso Sud Fondi la base  giuridica  del  reato
non  rispondeva   ai   criteri   di   chiarezza,   accessibilita'   e
prevedibilita', era impossibile prevedere che sarebbe stata  inflitta
una sanzione. 
    La Corte E.D.U. in ordine all'art. 7  osservava  che  "A  livello
interno la definizione di  «amministrativa»  (paragrafi  65-66)  data
alla confisca  controversa  permette  di  sottrarre  la  sanzione  in
questione ai principi costituzionali che regolano la materia  penale.
L'articolo 27/1 della Costituzione prevede  che  la  «responsabilita'
penale e' personale» e  l'interpretazione  giurisprudenziale  che  ne
viene data precisa che  un  elemento  morale  e'  sempre  necessario.
Inoltre l'articolo 27/3 della  Costituzione  («Le  pene  ....  devono
tendere  alla  rieducazione   del   condannato»)   si   applicherebbe
difficilmente  a  una  persona  condannata  senza  che  possa  essere
chiamata in causa la sua responsabilita' penale. 
    116.  Per  quanto  riguarda  la  Convenzione,  l'articolo  7  non
menziona espressamente il  legame  morale  esistente  tra  l'elemento
materiale del reato e la persona che ne viene  considerata  l'autore.
Tuttavia, la logica della pena  e  della  punizione,  cosi'  come  la
nozione di «guilty» (nella  versione  inglese)  e  la  corrispondente
nozione di «persona colpevole» (nella versione  francese)  vanno  nel
senso di una interpretazione dell'articolo 7 che esige,  per  punire,
un legame di natura intellettuale (coscienza e volonta') che permetta
di rilevare un elemento di responsabilita' nella condotta dell'autore
materiale  del  reato.  In  caso  contrario,  la  pena  non   sarebbe
giustificata. Sarebbe del resto incoerente, da una parte, esigere una
base legale accessibile e prevedibile e, dall'altra,  permettere  che
si consideri una persona come «colpevole» e «punirla» quando essa non
era in grado di conoscere la legge  penale,  a  causa  di  un  errore
insormontabile che non puo' assolutamente essere imputato a  colui  o
colei che ne e' vittima." 
    Quanto alla prospettata violazione dell'art. 1 del protocollo  n.
1 la Corte ha ritenuto che: «la confisca dei terreni e degli  edifici
controversi di cui le ricorrenti erano proprietarie ha costituito una
ingerenza nel godimento del loro diritto al rispetto dei beni. Non si
puo'  che  concludere  che  l'articolo  1  del  Protocollo  n.  1  e'
applicabile. Resta da stabilire se questa  situazione  rientra  nelle
previsioni della prima o della seconda norma di tale disposizione. 
    126.  L'articolo  1  del  Protocollo  n.  1  contiene  tre  norme
distinte: «la prima, che si esprime nella prima frase del primo comma
e riveste un carattere generale, enuncia il  principio  del  rispetto
della proprieta'; la seconda, contenuta  nella  seconda  frase  dello
stesso comma, riguarda la privazione della proprieta' e la  sottopone
ad alcune condizioni; per quanto riguarda  la  terza,  contenuta  nel
secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere, tra  l'altro,  di
regolamentare l'uso dei  beni  conformemente  all'interesse  generale
(...)  Le  ricorrenti  si  sono  chiaramente  espresse  sulla   norma
applicabile, chiedendo alla Corte di  esaminare  la  causa  sotto  il
profilo della «privazione dei beni». 
    Dopo aver distinto il caso in esame  da  precedenti  pronunce  ed
illustrato le posizioni delle ricorrenti e del Governo  italiano  sul
punto, la Corte ha osservato: "che l'articolo 1 del Protocollo  n.  1
esige, anzitutto  e  soprattutto,  che  un'ingerenza  della  pubblica
autorita' nel godimento del diritto al rispetto di beni  sia  legale:
la seconda frase del primo  comma  di  tale  articolo  autorizza  una
privazione  di  proprieta'  solo  «nelle  condizioni  previste  dalla
legge»;  il  secondo  comma  riconosce  agli  Stati  il  diritto   di
regolamentare l'uso dei beni facendo entrare in vigore delle «leggi».
Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali  di
una societa' democratica, e' inerente  a  tutti  gli  articoli  della
Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, §  58,  CEDU  1999
II; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 50, Raccolta  1996  III).  Ne
consegue che la necessita' di stabilire se  sia  stato  mantenuto  un
giusto equilibrio  tra  le  esigenze  dell'interesse  generale  della
comunita'  e  gli   imperativi   della   salvaguardia   dei   diritti
fondamentali  dell'individuo  (Sporrong  e  Lönnroth  c.  Svezia,  23
settembre 1982, § 69, serie A n. 52;  Ex-re  di  Grecia  e  altri  c.
Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEDU 2000  XII)  puo'  farsi  sentire
solo quando e' risultato che l'ingerenza in questione  ha  rispettato
il principio della legalita' e non era arbitraria. 
    137. La Corte ha appena constatato che il reato rispetto al quale
la confisca e' stata inflitta alle ricorrenti non aveva  alcuna  base
legale ai sensi della Convenzione e che  la  sanzione  inflitta  alle
stesse era arbitraria (paragrafi 114 e 118 supra). Questa conclusione
la porta ad affermare che l'ingerenza nel  diritto  al  rispetto  dei
beni delle ricorrenti era arbitrario e che  vi  e'  stata  violazione
dell'articolo 1 del Protocollo n. 1". 
    La Corte E.D.U. ha ritenuto violato anche il "giusto  equilibrio"
menzionato in quanto nel caso in esame la buona fede e  l'assenza  di
responsabilita' delle ricorrenti non avevano  potuto  svolgere  alcun
ruolo e le procedure applicabili non permettevano di tenere conto del
grado di colpa o imprudenza delle ricorrenti ne' del rapporto tra  la
condotta tenuta ed il reato. 
    Inoltre la Corte valutava che «la portata della confisca (85%  di
terreni non edificati), in assenza di un qualsiasi indennizzo, non si
giustifica rispetto allo scopo  annunciato,  ossia  mettere  i  lotti
interessati  in  una  situazione   di   conformita'   rispetto   alle
disposizioni  urbanistiche.  Sarebbe  stato  ampiamente   sufficiente
prevedere  la  demolizione   delle   opere   incompatibili   con   le
disposizioni  pertinenti  e  dichiarare  inefficace  il  progetto  di
lottizzazione» e riteneva paradossale far diventare proprietario  dei
beni confiscati lo stesso Comune che aveva accordato  i  permessi  di
costruire illegittimi. 
    2.3  Le  pronunce  della  Corte  di  cassazione  successive  alla
sentenza C.E.D.U. Sud Fondi c. Italia. 
    La Suprema Corte nelle  pronunce  successive  alle  due  sentenze
della Corte E.D.U. ora menzionate ha  confermato  sia  la  natura  di
sanzione amministrativa della confisca pronunciata ai sensi dell'art.
44 comma 2 del D.P.R. n. 380/2001 sia la possibilita' di disporre  la
confisca in  assenza  di  una  pronuncia  di  condanna,  in  caso  di
accertata sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del  reato
di lottizzazione abusiva. 
    Sotto il primo profilo la Suprema Corte ha rilevato, infatti, che
la natura "di sanzione penale che la confisca  ha  per  la  Corte  di
Strasburgo  e'  essenzialmente  collegata  alle  disposizioni   della
Convenzione Europea ed e' rilevante ai soli fini del  rispetto  delle
relative disposizioni, (tra cui l'art. 7), ma non esclude che per  il
diritto interno la  qualificazione  sia  diversa,  analogamente  alle
sanzioni amministrative depenalizzate (ed in generale  alle  sanzioni
amministrative disciplinate dalla legge 24 novembre  1981,  n.  689),
che la Corte Europea considera aventi  natura  penale,  ai  fini  del
rispetto  delle  garanzie  previste  dagli  artt.   6   e   7   della
Convenzione". (Cass. Pen. Sez. 3 30 aprile 2009, n. 21188). 
    Come condivisibilmente osservato dalla Corte di legittimita': "Le
nozioni di "reato" (infraction; criminal offence) di cui  all'art.  7
della CEDU e di "materia penale" (matiere penale;  criminal  offence)
di cui al precedente art. 6 risultano oggetto di valutazione autonoma
da parte degli organi della Convenzione, al fine di poter prescindere
(attraverso  l'utilizzazione  di  parametri  sostanziali  capaci   di
cogliere l'intima essenza  dell'illecito)  dalle  peculiarita'  delle
legislazioni degli Stati membri, si' da escludere una  frammentazione
su scala nazionale dei termini e dei concetti utilizzati  all'interno
della Convenzione. L'ambito applicativo dell'art.  7  della  CEDU  si
estende ben al di la' degli illeciti  e  delle  Sanzioni  qualificati
come "penali" in base al diritto interno, finendo  per  ricomprendere
tutte le norme e tutte le misure considerate "intrinsecamente penali"
in base alla  concezione  autonomista  accolta  dalla  giurisprudenza
della Corte di Strasburgo, lasciando comunque  alla  discrezionalita'
degli  Stati  membri  la  soluzione  del   problema   relativo   alla
individuazione delle fonti penali legittime e concentrando la propria
attenzione sugli aspetti sostanziali della legge e sulle garanzie che
da essi derivano." (Cass. pen., sez. 3, 13 luglio 2009 n. 39078). 
    Sotto il secondo profilo, pur  in  assenza  di  una  sentenza  di
condanna, anche in presenza di una  causa  estintiva  del  reato,  la
Corte ha ritenuto che sia possibile dispone la confisca all'esito del
compiuto  accertamento  della  sussistenza  di  tutti  gli   elementi
costitutivi del reato di lottizzazione, oggettivo  e  soggettivo,  in
particolare devono ricorrere almeno profili di colpa (per  impudenza,
negligenza o difetto di vigilanza) del soggetto sul quale  la  misura
incide (Cass. 39078/09 cit.). 
    Cio' consente, secondo la Corte di legittimita', di non ravvisare
alcun contrasto tra il  disposto  dell'art.  44  comma  2  D.P.R.  n.
380/2001  e  il  principio  generale  formulato  nell'art.  7   della
Convenzione dei Diritti dell'Uomo, per cui  non  sussiste  violazione
dell'art. 117 Cost. 
    A fondamento di' tale  soluzione  si  individua  una  scelta  che
eccezionalmente fa il legislatore «per motivi di  politica  criminale
relativi alla salvaguardia di valori che ritiene preminenti, quali la
tutela della salute pubblica, dell'ambiente,  del  territorio,  della
lotta  alla  criminalita'  organizzata,  tiene  in  vita,  nonostante
l'estinzione  del  reato,   una   delle   conseguenze   sanzionatorie
conseguenti al reato.» (Cass. pen. 21188/2009). 
    Sulla base di tale interpretazione, costituzionalmente  orientata
e  rispettosa  della  pronuncia  della  Corte  E.D.U.  la  Corte   di
Cassazione non ha  accolto  le  plurime  questioni  di  legittimita'.
costituzionale prospettate ritenendo: 
        a) manifestamente infondata la questione di costituzionalita'
dell'art. 19 legge n. 47/1085 (poi trasposto nell'art. 44  D.P.R.  n.
380/2001) alla luce della  ricostruzione  effettuata  della  norma  e
della sua interpretazione (Cass. pen. 21188/09 cit.) sia in quanto la
confisca conserva la sua natura sanzionatoria, perche' legata  ad  un
fatto storico prescritto ma storicamente  esistente,  sia  in  quanto
applicato da un organo che esercita  la  giurisdizione  penale  Cass.
pen., sez. 3, 25 marzo 2009 n. 20243); 
        b) irrilevante la questione di costituzionalita' dell'art. 44
D.P.R. n. 380/2001 in  relazione  agli  artt.  27,  41  e  117  Cost.
rispetto  ai  terzi  acquirenti  dei  quali  non  risulta   in   modo
incontrovertibile la qualita' di terzi di  buona  fede  (Cass.  pen.,
sez. 3, 21 ottobre 2009 n. 48924); 
    2.4 Le pronunce della  Corte  costituzionale  dopo  la  pronuncia
della Corte E.D.U. Sud Fondi c. Italia 
    Con ordinanza del 9  aprile  2008  la  Corte  d'Appello  di  Bari
sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 comma
2 D.P.R. n. 380/2001 in relazione agli artt. 3, 25 comma 2 e 27 comma
1 "nella parte in cui  impone  al  giudice  penale,  in  presenza  di
accertata lottizzazione abusiva, di disporre la confisca dei  terreni
e  delle  opere  abusivamente  costruite,  anche  a  prescindere  dal
giudizio di responsabilita' e nei confronti di  persone  estranee  ai
fatti". 
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 239 del 16  luglio  2009
dichiarava inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
sollevata, ritenendo la questione risolvibile in via interpretativa. 
    La Corte ha richiamato  sul  punto  l'opera  interpretativa  gia'
effettuata dalla Suprema  Corte,  ricordando  che  solo  in  caso  di
incompatibilita'  tra  norma  interna  e  disposizione  convenzionale
interposta (anche come interpretata dalla Corte di Strasburgo) e solo
in  caso  di  mancata  possibilita'   di   risolvere   la   questione
interpretando  la  norma  interna  compatibilmente   con   la   norma
internazionale, vada sollevata questione in  relazione  al  parametro
dell'art. 117 Cost. 
    La Corte costituzionale ha incidentalmente ricordato  il  proprio
indirizzo (sent. n. 85  del  2008)  in  ordine  alla  sussistenza  di
sentenze  di  proscioglimento  che  "pur  non  applicando  una   pena
comportano,  in  diverse   forme   e   gradazioni,   un   sostanziale
riconoscimento  della  responsabilita'   dell'imputato   o   la   sua
attribuibilita' all'imputato". 
    2.5 La sentenza Corte E.D.U. Varvara c. Italia 
    Con sentenza del 21 ottobre 2013, definitiva il 25 marzo 2014  (a
seguito del rigetto della richiesta di rinvio alla Grande  Camera  da
parte del Governo Italiano)  la  Corte  E.D.U.  si  e'  ulteriormente
pronunciata sulla questione della confisca disposta a seguito di' una
sentenza  di  prescrizione,  superando  peraltro  i   confini   della
precedente sentenza sul caso Sud Fondi c. Italia. 
    Vincenzo Varvara adiva la  Corte  E.D.U.  il  23  marzo  2009  in
quanto, imputato in procedimento penale per lottizzazione abusiva, in
data 11 giugno 2008 la Corte di  cassazione  aveva  respinto  il  suo
ricorso, cosi' divenendo definitiva la sentenza della Corte d'appello
di Bari che aveva dichiarato non luogo a procedere per estinzione del
reato, ma che aveva disposto nel contempo la confisca dei  terreni  e
delle opere costruite sugli stessi. 
    La  Corte  E.D.U.,  ripercorsa  la   vicenda   amministrativa   e
giudiziale del ricorrente, riportati tutti i principi  generali  gia'
tenuti  in  considerazione  nella  sentenza  Sud  Fondi  c.   Italia,
affrontando il caso concreto  rilevava  che  la  confisca  era  stata
disposta nonostante l'estinzione del reato e la  conseguente  assenza
di una sentenza di condanna. 
    Tale decisione, secondo la Corte contrastava con  i  principi  di
diritto interno per i  quali  non  si  puo'  punire  un  imputato  in
mancanza di una condanna e  con  i  principi  della  Convenzione,  in
quanto l'articolo 7 esplicita il principio di legalita'  nel  diritto
penale. 
    La Corte E.D.U. ha osservato che: "Dato che nessuno  puo'  essere
riconosciuto colpevole di un reato che non sia previsto dalla  legge,
e che nessuno puo' subire una pena che non sia prevista dalla  legge,
una  prima  conseguenza  e'  ovviamente  il  divieto  per  i  giudici
nazionali di interpretare  in  modo  estensivo  la  legge  a  scapito
dell'imputato, altrimenti quest'ultimo potrebbe essere punito per  un
comportamento non previsto come reato"  e  altra  conseguenza  e'  il
divieto di condanna  se  il  reato  e'  stato  commesso  da  un'altra
persona. 
    Ha aggiunto poi che: "70. Certo,  gli  Stati  contraenti  restano
liberi, in linea  di  principio,  di  reprimere  penalmente  un  atto
compiuto fuori dall'esercizio normale di  uno  dei  diritti  tutelati
dalla Convenzione e, quindi, di definire gli elementi costitutivi  di
questo reato: essi  possono,  in  particolare,  sempre  in  linea  di
principio e ad alcune condizioni, rendere punibile un fatto materiale
o oggettivo considerato di per se', che derivi o meno da  un  intento
criminale o da una negligenza; le rispettive legislazioni ne  offrono
degli esempi (Salabiaku c. Francia, 7 ottobre 1988, Serie A n. 141, §
27). Lo stesso principio e' stato affermato in  Janosevic  c.  Svezia
(n. 34619/97, 23 luglio 2002, § 68) in cui la Corte ha  aggiunto  che
«la mancanza di elementi  soggettivi  non  priva  necessariamente  un
reato della sua natura penale;  in  realta',  le  legislazioni  degli
Stati  contraenti  offrono  esempi  di  reati  basati  unicamente  su
elementi oggettivi». L'articolo  7  della  Convenzione  non  richiede
espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra
l'elemento materiale del reato  e  la  persona  che  ne  e'  ritenuta
l'autore. Tra l'altro, la Corte ha recentemente concluso per  la  non
violazione dell'articolo 7 in un caso in cui era stata  inflitta  una
multa a una parte ricorrente che aveva commesso un reato senza dolo o
colpa (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU  2006  III).
L'accertamento di responsabilita' era  sufficiente  per  giustificare
l'applicazione della sanzione." 
    71. La logica della «pena» e della «punizione», e la  nozione  di
«guilty» (nella versione inglese)  e  la  corrispondente  nozione  di
«persona colpevole» (nella versione francese), depongono a favore  di
un'interpretazione  dell'articolo  7  che  esige,  per  punire,   una
dichiarazione di responsabilita' da parte dei giudici nazionali, .che
possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo
autore. In mancanza di cio', la  punizione  non  avrebbe  senso  (Sud
Fondi e altri, sopra  citata,  §  116).  Sarebbe  infatti  incoerente
esigere, da una parte, una base legale accessibile  e  prevedibile  e
permettere, dall'altra,  una  punizione  quando,  come  nel  caso  di
specie, la persona interessata non e' stata condannata. 
    72.  Nella  presente  causa,  la  sanzione  penale  inflitta   al
ricorrente, quando il reato era estinto e la sua responsabilita'  non
era stata accertata con una sentenza di  condanna,  contrasta  con  i
principi di legalita' penale appena esposti dalla Corte  e  che  sono
parte integrante del principio di legalita' che  l'articolo  7  della
Convenzione impone di rispettare.  La  sanzione  controversa  non  e'
quindi  prevista  dalla  legge  ai  sensi   dell'articolo   7   della
Convenzione ed e' arbitraria." 
    Anche  nella  sentenza  Varvara  e'   affrontata   la   questione
dell'osservanza dell'articolo 1 del Protocollo 1. 
    "84. La Corte rammenta che  l'articolo  1  del  Protocollo  n.  1
esige, prima di tutto e soprattutto, che una ingerenza dell'autorita'
pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni  sia  legale:
la seconda frase del primo comma di  questo  articolo  autorizza  una
privazione della proprieta' soltanto «nelle condizioni previste dalla
legge»;  il  secondo  comma  riconosce  agli  Stati  il  diritto   di
regolamentare, l'uso dei  beni  mettendo  in  vigore  delle  «leggi».
Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali  di
una societa' democratica, e' intrinseco in tutti gli  articoli  della
Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, §  58,  CEDU  1999
II; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996; § 50,  Recueil  1996  III).  Ne
consegue che la necessita' di verificare che sia stato  mantenuto  un
giusto equilibrio  tra  le  esigenze  dell'interesse  generale  della
comunita'  e  gli   imperativi   della   salvaguardia   dei   diritti
fondamentali  dell'individuo  (Sporrong  e  Lönnroth  c.  Svezia,  23
settembre 1982, § 69, serie A n. 52;  Ex-re  di  Grecia  e  altri  c.
Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEDU 2000  XII)  puo'  farsi  sentire
soltanto se risulta che l'ingerenza contestata  abbia  rispettato  il
principio di legalita' e non fosse arbitraria. 
    85. La Corte ha appena constatato che il reato  in  relazione  al
quale e' stata ordinata la confisca dei beni del ricorrente  non  era
previsto dalla legge nel senso dell'articolo 7 della  Convenzione  ed
era arbitrario (paragrafi 72-73 sopra). Questa conclusione la  induce
a dichiarare che l'ingerenza nel diritto al  rispetto  dei  beni  del
ricorrente era contraria al principio di legalita' ed era  arbitraria
e che vi e' stata violazione dell'articolo 1  del  Protocollo  n.  1.
Questa conclusione esonera la Corte dal verificare se  vi  sia  stata
rottura del giusto equilibrio." 
    Va menzionato che alla  sentenza  e'  stata  allegata  l'opinione
separata del Giudice Pinto de Albuquerque, che non  ha  condiviso  la
pronuncia quanto  alla  violazione  dell'art.  7  della  Convenzione,
mentre ha condiviso la constatazione di violazione  dell'art.  1  del
Protocollo 1 e le ulteriori statuizioni. 
    La diversa valutazione muove dalla  analisi  dell'istituto  della
confisca, utilizzato come misura di lotta alle piu'  gravi  forme  di
criminalita', ad esempio in materia di traffico di  stupefacenti,  di
terrorismo,  di  criminalita'   transnazionale   organizzata   e   di
corruzione. 
    All'esito  dell'esame  delle   disposizioni   delle   Convenzioni
internazionali in materia il Giudice evidenzia che:  "E'  inevitabile
concludere, in merito alla prassi costante e quasi  universale  degli
Stati e dell'opinio iuris sopra citata; che  esiste  oggi  una  norma
consuetudinaria internazionale in materia di confisca di strumenti  e
proventi di reato, che comprende le sei seguenti tipologie:  confisca
degli strumenti utilizzati nel momento in cui e' commesso il reato  o
destinati a quest'ultimo, confisca dei proventi  di  reato,  confisca
del loro valore equivalente,  confisca  dei  proventi  trasformati  o
uniti ad altri beni, confisca degli introiti e degli  altri  vantaggi
indiretti  e  protezione  del  terzo  di  buona  lede.  L'obbligo  di
confiscare strumenti e proventi di reato, secondo le ampie  modalita'
descritte, riguarda il numero piu'  elevato  possibile  di  reati  e,
almeno,  quelli   creati   conformemente   alle   convenzioni   sopra
menzionate.  Questa  norma  universale  in  materia  di  confisca  di
strumenti e proventi di reato costituisce una  soglia  minima  e  gli
Stati hanno la facolta'  di  andare  oltre  nella  loro  legislazione
interna." 
    Oltre a sottolineare la giurisprudenza definita  "contraddittoria
ed incoerente" della Corte E.D.U. in materia di confisca,  dovuta  ad
un approccio  casistico,  spesso  basato  su  profili  secondari,  il
Giudice  Pinto  de  Albuquerque  dichiara  di  non   condividere   la
classificazione della confisca in questione tra  le  pene,  in  primo
luogo dal momento che "la confisca  si  prefigge  di  contrastare  la
speculazione immobiliare non rispettosa dell'assetto  territoriale  e
della tutela ambientale, il suo carattere preventivo e' evidente.  La
sua presunta natura «repressiva» e «punitiva» non lo e'  altrettanto.
Per giustificare questo scopo  «punitivo»  non  e'  sufficiente  fare
affidamento sulle percentuali dei terreni non edificati confiscati  e
ancor meno sulla  superficie  dei  terreni  confiscati.  La  gravita'
concreta di una sanzione penale non puo' che  confermarne  la  natura
penale, ma non puo' sostituirla. La natura  «penale»  della  confisca
non puo' dipendere dalla  sua  gravita'  concreta.  Piuttosto  e'  il
regime  legale  della  confisca,  come  stabilito   dalla   legge   e
interpretato e applicato dalla giurisprudenza, a dover condurre a una
conclusione sulla sua natura. Per evitare la frode  delle  etichette,
cosi' ricorrente in questo campo, occorre richiamare  alla  mente  la
saggezza di Celso: scire leges non hoc est: l'erba earum tenere,  sed
vim ac potestatem (conoscere le leggi  non  e'  tenerne  a  mente  le
parole, ma lo  spirito  e  la  forza).  Questo  scopo  «punitivo»  e'
contraddetto dal fatto che i beni confiscati in virtu'  dell'articolo
19 della legge n. 47 del 1985 sono acquisiti non al patrimonio  dello
Stato, come nel caso della confisca penale prevista dall'articolo 240
del codice penale, ma degli enti locali e  la  confisca  puo'  essere
revocata  se  l'amministrazione  regolarizza   ex   post   facto   la
lottizzazione. Nel diritto penale moderno, una pena non  puo'  essere
revocata da un atto retroattivo  dell'amministrazione.  Il  principio
della separazione dei poteri lo vieterebbe. Se l'amministrazione puo'
sanare la lottizzazione successivamente ad una decisione  giudiziaria
definitiva di confisca e revocare questa misura,  occorre  concludere
che il giudice penale che emette questa  decisione  non  ha  l'ultima
parola per quanto riguarda la legalita' della lottizzazione. Cosi' la
confisca disciplinata dall'articolo 19 della legge n. 47 del 1985  e'
precisamente  una  misura  provvisoria   e   conservativa   volta   a
fronteggiare il pericolo di una speculazione immobiliare non conforme
alle  prescrizioni  legali  e  amministrative  fino  a  che  l'organo
competente  dell'amministrazione  non  decida  definitivamente  sulla
legalita' della lottizzazione. 
    Ha dunque concluso ritenendo che: "la confisca per  lottizzazione
abusiva e' di natura amministrativa  e  non  dipende  dalla  verifica
dell'esistenza delle condizioni oggettive (actus reus)  e  soggettive
(mens  rea)  di  applicazione  delle  «pene»  alla  data  dei  fatti,
nonostante siano pronunciate da un tribunale penale all'esito  di  un
procedimento penale. La nozione costituzionale di  «funzione  sociale
della proprieta'» non e' estranea al modo in  cui  e'  articolata  la
confisca amministrativa. Cosi, dal punto di vista della  Convenzione,
la confisca per lottizzazione abusiva puo'  essere  considerata  come
una  «violazione»  del  diritto   di   proprieta'   «necessaria   per
regolamentare l'uso dei beni conformemente  all'interesse  generale»,
la cui legittimita' deve essere  valutata  dal  punto  di  vista  dei
criteri della legalita' e della proporzionalita' dell'articolo 1  del
Protocollo n. l, ma certamente non come una  «pena»  sottoposta  alle
condizioni dell'articolo 7 della Convenzione". 
    2.6 La  posizione  della  Corte  di  cassazione  all'esito  della
sentenza Varvara 
    La Suprema Corte ha ritenuto che alla luce della sentenza Varvara
non sia possibile  confermare  il  precedente  indirizzo  assunto  in
merito alla confisca in materia di lottizzazione gia'  riportato,  in
quanto la Corte E.D.U. non richiede piu'  solo  un  accertamento  dei
profili di responsabilita', ma una sentenza di condanna, per cui  con
sentenza/ordinanza  n.   20636/2014   ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 44 comma 2 D.P.R. n.  380/2001.
come interpretato dalla  Corte  E.D.U.  in  quanto  contrastante  con
principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale quali  la
tutela del paesaggio,  dell'ambiente,  della  vita  e  della  salute,
concludendo per la contrarieta' di tale interpretazione agli artt. 2,
9, 32, 41, 42 e, ovviamente, 117 Cost. 
    Le   argomentazioni   della   Suprema   Corte   sono   pienamente
condivisibili e sono state approfondite in modo ampio  ed  esaustivo,
per cui verranno riproposte in modo sintetico nel prosieguo,  essendo
gia' state sottoposte all'esame della Corte adita. 
    Il percorso argomentativo della Suprema Corte e' stringente: 
        la  Carta   costituzionale   prevede   diritti   fondamentali
(altresi'  diritti  umani,  diritti   inviolabili,   costituzionali),
rispetto ai quali la proprieta' e l'iniziativa economica privata,  di
cui agli artt. 42 e 41 Cost. sono piegati per assolvere una  funzione
ed utilita' sociale: per la proprieta' privata si determinano i' modi
di acquisto, di godimento e i limiti "allo scopo  di  assicurarne  la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti" (art. 42 comma  2
Cost.); l'iniziativa  economica  privata  non  si  puo'  svolgere  in
contrasto con l'utilita' sociale o  in  modo  da  recare  danno  alla
sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana (art. 41 comma 2 Cost.)
e la legge determina i programmi  e  i  controlli  opportuni  perche'
l'attivita' economica pubblica e privata "possa essere indirizzata  e
coordinata ai fini sociali"; 
        l'art. 2 Cost. garantisce i  diritti  inviolabili  dell'uomo,
"sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge  la  sua
personalita'" ed in questo ambito vi rientra l'ambiente e  l'uso  del
territorio (sent. n. 210/1987  Corte  cost.)  con  la  necessita'  di
cercare un equilibrio  ed  un  contemperamento  tra  dignita'  umana,
paesaggio, cultura, iniziativa economica privata (sent.  n.  196/2004
Corte Cost. in materia di "condono"); 
        la proprieta' privata non rientra tra i  diritti  inviolabili
garantiti (e' inserita non  tra  i  principi  fondamentali  o  tra  i
diritti e doveri dei cittadini, ma nel titolo dedicato  ai  "rapporti
economici"), vi rientra solo quale "proprieta' personale", riferibile
al  soddisfacimento  dei  bisogni  primari  dell'uomo,   ad   esempio
l'abitazione (art. 47 Cost.); 
        la proprieta' privata non costituisce un  "valore  assoluto",
ma un diritto secondo previsione  di  legge,  che  puo'  comprimerla,
ridurla ad un "nucleo essenziale"; 
        nel caso di specie e' l'art. 44 D.P.R. n. 380/2001 e, dunque,
proprio la legge, a statuire in caso di  accertata  lottizzazione  il
sacrificio del diritto di proprieta', mentre  l'interpretazione  data
dalla Corte E.D.U. non consente una "confisca senza condanna", pur in
presenza della accertata sussistenza  degli  elementi  soggettivi  ed
oggettivi del reato, impone di considerare il diritto  di  proprieta'
inviolabile e la confisca  contraria  al  principio  di  legalita'  e
arbitraria, cosi' contravvenendo al disposto dell'art. 2 Cost. 
        l'art. 9 Cost. tutela il paesaggio e il patrimonio storico  e
artistico  della  Nazione  quale  principio   fondamentale,   risorsa
naturalistica  (morfologica,  estetica),  ma  anche  economica,   che
giustifica  il  sacrificio  della  proprieta'  privata  laddove   una
condotta illecita incide, anche in modo  rilevante  sull'assetto  del
territorio e sull'intero ambiente,  come  avviene  nelle  ipotesi  di
lottizzazione abusiva. L'esegesi  dell'art.  44  comma  2  D.P.R.  n.
380/2001 della Corte E.D.U. che limita l'operativita' della  confisca
e la ritiene arbitraria dove pronunciata in caso di  accertamento  di
lottizzazione senza condanna implica una prevalenza  del  diritto  di
proprieta'  rispetto  alla  tutela  del  territorio  e  paesaggio  in
contrasto con un valore fondamentale; 
        l'art. 32 Cost. tutela la salute  come  diritto  fondamentale
dell'individuo che, in senso estensivo ed in collegamento con  l'art.
9 Cost. implica la tutela di un ambiente salubre, da proteggere  come
"elemento determinativo della qualita' della vita" (Corte cost. sent.
nn. 210 e 641 del 1987); il diritto soggettivo ad un ambiente salubre
e' stato riconosciuto dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  anche
delle Sezioni Unite, come un  particolare  modo  di  atteggiarsi  del
diritto alla salute costituzionalmente garantito (Cass.,  S.U.,  5172
del 6 ottobre 1979);  l'interesse  fondamentale  della  persona  alla
difesa della salubrita' dell'ambiente e' stato valutato preminente  e
prevalente  anche  dalla  Corte  costituzionale   nel   confronto   e
contemperamento con altri "valori" dell'ordinamento quali la liberta'
economica ed il diritto  di  proprieta',  mentre  la  interpretazione
dell'art.  44  D.P.R.  n.  380/2001  data  dalla  Corte  E.D.U.   da'
prevalenza al diritto di proprieta' e impedisce l'applicazione  della
norma sanzionatoria in caso di  assenza  di  pronuncia  di  condanna,
anche se e' accertato un illecito  lottizzatorio,  che  la  normativa
urbanistica   mira   a   contrastare   mediante   la   pianificazione
territoriale, "i cui scopi sano a) promuovere  un  ordinato  sviluppo
del territorio, b) assicurare che i processi di trasformazione  siano
compatibili con la sicurezza e la tutela della  integrita'  fisica  e
con l'identita' culturale del territorio, c) migliorare  la  qualita'
della vita e la salubrita' degli insediamenti umani"; 
        gli artt. 41 e 42 Cost., come detto, tutelano la proprieta' e
la iniziativa economica privata, ma nell'ottica di assolvere  ad  una
funzione ed utilita' sociale;  in  materia  di  lottizzazione  e'  il
legislatore  a  ritenere  che  la  condotta  lottizzatoria  non   sia
compatibile con tale funzione sociale ed a  prevedere  il  sacrificio
dell'interesse del proprietario mediante l'ablazione coattiva di  cui
all'art. 44 D.P.R. n. 380/2001, mentre l'interpretazione  che  ne  ha
dato la Corte E.D.U. impedisce la piena operativita'  della  confisca
anche in caso di un accertamento degli elementi costitutivi del reato
di abusiva lottizzazione; 
        il concetto di urbanistica, come  accolto  anche  dalla  piu'
recente giurisprudenza del Consiglio di Stato non  e'  piu'  limitato
alla sola individuazione delle destinazioni delle zone del territorio
comunale  ed  alla  possibilita'  e  ai  limiti  edificatori,  ma  e'
funzionale alla realizzazione di  finalita'  economico-sociali  della
comunita'  locale,  nel  rispetto  e   nell'attuazione   dei   valori
costituzionalmente tutelati  dell'ambiente  e  del  paesaggio,  della
tutela della salubrita' dell'ambiente, per cui l'art.  117  Cost.  si
esprime in termini di "governo del territorio" che  ne  richiede  uno
sviluppo armonico. 
    La Suprema Corte ha concluso che  nel  caso  di  specie  non  sia
possibile fornire una interpretazione dell'art. 44 comma 2 D.P.R.  n.
380/2001 secondo le indicazioni  date  dalla  Corte  E.D.U.  che  sia
conforme  ai  principi  della   Carta   costituzionale,   in   quanto
contrastante con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42, 117 Cost. e che  non  e'
allo stato operativa la procedura di cui al  Protocollo  n.  16  alla
CEDU di sospensione del procedimento per un parere consultivo. 
    Dette  norme  della  Carta  costituzionale   impongono   che   il
paesaggio, l'ambiente, la vita  e  la  salute  siano  tutelati  quali
valori costituzionali oggettivamente  fondamentali,  cui  riconoscere
prevalenza nel bilanciamento con il diritta di proprieta', in  quanto
la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto  di  tale
bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in  gioco
opposti interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli  uni
trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana (v.
Corte cost. n. 264 del 2012). 
    La Corte ha, pertanto, ritenuto necessario sollevare la questione
di costituzionalita', richiamando le pronunce n. 348 e 349  del  2007
della Corte costituzionale e la relativa ricostruzione  dei  rapporti
tra Convenzione europea dei diritti dell'uomo - nella interpretazione
data dalla Corte di Strasburgo - , obblighi internazionali  derivanti
dall'art. 117 primo comma Cost.  e  ipotesi  di  ricorso  alla  Corte
costituzionale. 
    In particolare la Suprema Corte ha  correttamente  ricordato  che
la' dove non sia possibile una interpretazione di una  norma  interna
conforme alla norma internazionale  (come  interpretata  dalla  Corte
E.D,U.) va fatto ricorso alla Corte costituzionale in quanto la norma
CEDU nell'integrare l'art. 117 Cost. diviene oggetto di bilanciamento
nell'ambito di una valutazione sistemica. 
    2.7  I  profili  di  illegittimita'  ed  ulteriore   profilo   di
violazione della Costituzione 
    La ricostruzione della Cassazione sui profili di incompatibilita'
dell'art. 44 comma 2 D.P.R. n. 380/2001 come interpretato dalla Corte
E.D.U. con  i  principi  della  Carta  costituzionale  e'  del  tutto
condivisibile e viene fatta propria da questo Tribunale. 
    E', infatti, palese che  la  Corte  E.D.U.  richiede,  per  poter
pronunciare  la  confisca  dei  terreni  lottizzati  e  delle   opere
realizzate, una sentenza di condanna che non e' prevista dall'art. 44
D.P.R. n. 380/2001 e valuta la tutela  della  proprieta'  individuale
preminente anche in caso di compiuto  accertamento  di  una  condotta
lottizzatoria, quando non sia possibile  una  pronuncia  di  condanna
dell'imputato. 
    In tal modo, pero', si  valuta  come  inviolabile  un  diritto  -
quello della proprieta' privata - che la Costituzione non pone tra  i
principi fondamentali ne' tra i diritti e doveri dei cittadini,  cosi
sacrificando i valori della  tutela  del  paesaggio  e  dell'ambiente
(art. 9 Cost.), quale diritto ad un ambiente salubre (art. 32 Cost.),
che costituiscono manifestazioni dei diritti inviolabili dell'uomo  e
che debbono essere garantiti - in sede di bilanciamento dei valori  -
anche con la previsione del sacrificio della proprieta'  privata  ove
non sia rispettata la sua funzionale sociale (artt. 41 e 42 Cost.). 
    La confisca in materia di  lottizzazione  mira  a  contrastare  i
fenomeni di speculazione immobiliare, l'edificazione  sul  territorio
in spregio all'assetto territoriale ed alla  tutela  ambientale,  con
funzione preventiva di tutela e rispetto ambientale e, dunque, di una
funzione sociale che travalica la  sanzione  della  singola  condotta
illecita lottizzatoria, mentre la natura repressiva  che  si  intende
attribuire sacrifica in modo ingiustificato il  diritto  alla  tutela
ambientale e del territorio, come gia' specificata, nei casi  in  cui
il fatto e' sussistente, ma il reato e' estinto per prescrizione. 
    Si ritiene, dunque, conformemente a quanto ritenuto  dalla  Corte
di cassazione, che  vada  sollevata  questione  di  costituzionalita'
dell'art. 44 comma 2 D.P.R. n. 380/2001  -  come  interpretato  dalla
Corte di Strasburgo - in relazione agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e  117
comma 1 Cost. per quanto sinora detto. 
    Si ritiene, peraltro,  che  l'interpretazione  data  dalla  Corte
E.D.U. contrasti altresi' con l'art. 25 comma 2 Cost.,  profilo  che,
invece, la Suprema Corte non ha ritenuto di sollevare. 
    L'art. 25 Cost. e' stato  richiamato  dalla  Corte  E.D.U.  nella
premessa della sentenza Varvara tra i "principi generali  di  diritto
penale", unitamente agli art. 27 Cost., all'art. l c.p., agli art. 42
c.p. ed all'art. 5 c.p. 
    La Corte E.D.U.  ha  poi  esaminato  l'istituto  della  confisca,
valutando l'art. 240 c.p.,  la  normativa  in  materia  di  dogane  e
contrabbando, per poi passare agli artt.  19  e  20  della  legge  n.
47/1985 e dell'art. 44 D.P.R. n. 380/2001 ed  ha  considerato,  nella
sua disamina, la interpretazione data nell'ordinamento italiano  alla
confisca,  prevista  in  materia  di  lottizzazione  abusiva,   quale
sanzione amministrativa. 
    Si e' gia' ricordato in precedenza  che  le  nozioni  di  "reato"
(infraction; criminal offence) di cui all'art.  7  della  CEDU  e  di
"materia penale"  (matiere  penale)  di  cui  al  precedente  art.  6
risultano pacificamente oggetto  di  valutazione  autonoma  da  parte
degli organi della Convenzione, al fine di  poter  prescindere  dalle
peculiarita' delle legislazioni degli Stati membri, si' da  escludere
una frammentazione dei termini e dei concetti utilizzati  all'interno
della Convenzione, utilizzando parametri sostanziali  di  valutazione
dell'illecito, della legge e delle garanzie che ne derivano. L'ambito
applicativo dell'art. 7 della CEDU, dunque, si estende ben al di  la'
degli illeciti e delle sanzioni qualificati come "penali" in base  al
diritto interno, tanto da ricomprendere tutte le  norme  e  tutte  le
misure considerate "intrinsecamente penali" in base  alla  concezione
autonomista accolta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 
    Pur riconoscendo la piena valenza di tali principi generali,  nel
caso di specie si deve osservare che la valutazione data dalla  Corte
E.D.U.  sconta  una  qualificazione  dell'istituto   della   confisca
difforme da quella sua propria, cosi' finendo per imporre ad essa una
sostanziale  natura  di  sanzione  penale  (neanche  una  misura   di
sicurezza patrimoniale) che non e' prevista dalla legge interna,  una
sanzione che si ritiene  soggetta  ai  principi  propri  del  diritto
penale, ivi compreso il suo diretto collegamento con una sentenza  di
condanna, cosi' attribuendo una funzione  repressiva  e  punitiva  in
luogo di una funzione propria dell'istituto, preventiva, conservativa
e di garanzia collettiva della integrita', salubrita' e rispetto  del
governo del territorio. 
    La circostanza non e'  di  breve  momento,  in  quanto  non  sono
rispettate le peculiarita' dell'istituto e  le  conseguenze  relative
(come giustamente considerato nel  parere  dissenziente  del  Giudice
Pinto de Albuquerque sopra richiamata): in primo luogo la confisca in
materia di lottizzazione non prevede l'acquisizione  dei  terreni  in
favore dello Stato, come accade usualmente in caso  di  confisca,  ma
del Comune, chiamato a  disciplinare  l'assetto  del  territorio;  in
secondo luogo detta confisca non e' applicabile, o se e'  stata  gia'
applicata e' considerata revocabile,  laddove  il  Comune  disciplini
diversamente  l'assetto  del  territorio,  cosi'  da  sanare   l'area
lottizzata e  da  valutare  non  contrario  all'interesse  collettivo
l'assetto posto in essere dal privato,  ma  la  possibilita'  di  non
applicazione della confisca o di tale  revoca  verrebbe  meno  se  si
ritenesse la confisca una sanzione penale che il Giudice penale  deve
necessariamente statuire in sede di condanna. 
    Non va, poi, sottaciuto che sussistono  nell'ordinamento  interno
ipotesi in cui la confisca dei beni provento di specifiche  attivita'
delittuose o gli strumenti utilizzati per commettere tali reati  sono
suscettibili di confisca anche quando il reato si  sia  estinto  (es.
art. 301 D.P.R. n. 43/1973 e ss.mm. in materia di contrabbando,  cfr.
Cass. pen., sez. 3, 21 settembre 2007, n. 38724), nell'ambito  di  un
piu' generale contesto di norme, anche internazionali, che utilizzano
la  confisca  per  fronteggiare  il  traffico  di  stupefacenti,   la
prevenzione di fenomeni terroristici (ed al relativo  finanziamento),
di lotta alla criminalita' organizzata, alle ipotesi di corruzione. 
    Non sembra possibile,  infine,  trascurare  lo  sviluppo  storico
della  norma  (identica  alla  precedente  gia'  intestata  "sanzioni
amministrative"), la interpretazione che ne e' stata data dai Giudici
nazionali con orientamento oramai consolidato,  nonche'  la  funzione
dell'istituto della confisca in materia di lottizzazione,  in  quanto
la ben diversa interpretazione fornita dalla Corte E.D.U. implica  la
applicazione  della  confisca   in   termini   sanzionatori   penali,
contrariamente  a  quanto   nelle   intenzioni   e   previsioni   del
legislatore, cosi comportando la violazione dell'art.  25  Cost.  che
prevede che nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge e
tale non si puo' intendere l'art. 44 comma 2 D.P.R. n.  380/2001  che
non ha introdotto una sanzione penale. 
    Per quanto sinora detto l'art. 44 D.P.R. n. 380/2001, se  e  come
interpretato dalla Corte di Strasburgo, non  risulta  rispettoso  dei
principi costituzionali, in quanto la necessaria  correlazione  posta
tra la confisca con una sentenza di condanna ed il richiesto rispetto
di tutti principi posti a salvaguardia della applicazione delle  pene
non  consente  piu'  una  interpretazione  della  norma  interna  che
garantisca il contemperamento tra  i  principi  della  C.E.D.U.  e  i
principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, che  risultano
di conseguenza violati. 
    Va,   pertanto,   sollevata   la   questione   di    legittimita'
costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117 primo comma  Cost.
(sentt. 348 e 349 del 2007) e degli artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42 Cost. 
    Il giudizio in corso dev'essere, conseguentemente,  sospeso  sino
all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale di Rieti, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87; 
    ritenuta la rilevanza e la non  manifesta  infondatezza,  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma  2,  del
D.P.R.  n.  380  del  2001,  come  interpretato  dalla  Corte  E.D.U.
(sentenza Varvara) nel senso che la confisca ivi  prevista  non  puo'
applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato  anche
qualora la responsabilita' penale sia stata accertata in tutti i suoi
elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42, 117, primo
comma, Cost. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero
nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri,  e  che  sia  anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
    rinvia sin da ora in prosecuzione il giudizio all'udienza del  26
febbraio 2015 ore 9.30. 
 
    Cosi' deciso in Rieti nella camera di  consiglio  del  30  maggio
2014. 
 
                         Il Presidente: Oddi 
 
 
                                          Il giudice relatore: Ciocca