N. 243 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 2014
Ordinanza del 10 giugno 2014 del G.I.P. del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di P.M.. Processo penale - Misure cautelari - Imputato tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso o che intenda sottoporsi a un programma terapeutico - Applicazione o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari o in struttura privata autorizzata - Inapplicabilita' della misura alternativa quando si procede per il delitto di cui all'art. 74 del d.P.R n. 309 del 1990 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) per come richiamato dall'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 - Mancata previsione della salvezza dell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - Lesione del diritto alla salute - Ingiustificata discriminazione rispetto ai tossicodipendenti imputati di altri reati - Parita' di trattamento tra fattispecie delittuose diverse - Violazione del principio di non colpevolezza - Violazione del principio di inviolabilita' della liberta' personale. - Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, art. 89, comma 4. - Costituzione, artt. 3 e 32.(GU n.2 del 14-1-2015 )
TRIBUNALE DI CATANZARO SEZIONE GIP/GUP ORDINANZA DI REMISSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE Il Giudice per le indagini preliminari, dott. Giuseppe Perri; Letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe; Esaminata la richiesta avanzata nell'interesse di P.M., in atti compiutamente generalizzato, di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari presso una Comunita' terapeutica, ai sensi dell'art. 89, comma 2, D.P.R. D. 309/90; Acquisito il parete contrario del P.M.; Osservato che l'attuale istante e' sottoposto la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziato dei reati ex artt. 73, 74, D.P.R. n. 309/90, 56 e 629 c.p. (capi B1, B5 e B6 del libello accusatorio); Ritenuto di dover sollevare e propone innanzi la Corte costituzionale, per tutti i motivi che verranno a breve esplicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, D.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui nel prevedere che le disposizioni di cui i commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, D.P.R. n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; Osserva e Rivela 1. Occorre innanzitutto rilevare come, nel caso di specie, il ricorrente abbia documentato la sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma in esame per la concessione della misura domiciliare, presso una Comunita' terapeutica per tossicodipendenti, sicche', non ricorrendo esigenze cautelati di eccezionale rilevanza, l'istanza difensiva andrebbe raccolta se non ostasse a tale accoglimento uno dei titoli di reato contestati all'indagato (art. 74, D.P.R. n. 309/90), rientrante tra quelli previsti dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, cui la norma impugnata fa rinvio per escludere l'applicabilita' dei commi 1 e 2 del medesimo art. 89 e dunque la concedibilita' della misura richiesta. Non appare superflu evidenziare l'ambito di operativita' della norma in esame. A tutela dal diritto alla salute dei tossicodipendente (o alcoldipendente), si consente al soggetto sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, per il quale non si rileva alcuna attenuazione delle esigenze cautelari idonea a fondare la sostituzione della massima misura coercitiva con quella degli arresti domiciliari (magari proprio presso una comunita' terapeutica) ex art. 299 c.p.p e rispetto al qualeil regime inframurario rimane quindi quello piu' proporzionato e capace di far fronte in modo adeguato ai pericula libertatis sussistenti, di essere nonostante tutto ristretto - senza piantonamento - presso una comunita' terapeutica, al fine di proseguire o cominciare un programma di disintossicazione, con l'unico limite che non vi siano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Al riguardo, occorre sottolineare, ad ulteriore conferma della rilevanza nella fattispecie che occupa della prospettanda questione di legittimita' costituzionale, che, nel caso di specie, se per un verso non ricorrono come detto esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, per altro verso non sussiste alcuna attenuazione delle, esigenze cautelati che, in punto di adeguatezza e proporzionalita' della misura, hanno legittimato e giustificato l'originaria applicazione del regime carcerario, quindi non vi sono gli estremi allo stato per sostituire la misura inframuraria in atto ex art. 299 e.p.p., operando una modificazione dello status libertatis sul piano di una prognosi di minore pericolosita' soggettiva. Diverso ambito di operativita' ha ovviamente, oltre all'art. 299, anche l'art. 275, comma 4-bis, c.p.p., che consente detta modifica in senso meno afflittivo del regime detentivo solo e soltanto in caso di accelarata incompatibilita' delle condizioni di salute del cautelato con lo stato carcerario - anche questa, ipotesi che non ricorre nella fattispecie che occupa -, atteso che, viceversa, la norma impugnata intende favorire la disintossicazione del detenuto a prescindere se la sua dipendenza da droghe o alcol consenta o meno il proseguimento della sua permanenza in un istituto penitenziario. 2. Va osservato come nel sistema delle misure cautelati personali siano rinvenibili numerosi correttivi alla disciplina generale circa la scelta della misura da applicare, allorche' la persona da sottoporre ad una di esse versi in determinate condizioni o qualita' personali: da un lato, a norma dell'art. 275, commi 4 e ss., del codice di proceduta penale, sono richieste esigenze cautelati di eccezionale rilevanza per disporre la custodia in carcere di una donna incinta o madre di prole di eta' non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre qualora la madre sia deceduta assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, o ultrasettantenne o, ancora, che si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi che non consentano le cure necessarie in stato di detenzione; dall'altro, l'art. 286 dello stesso codice stabilisce la custodia in luogo di cura, anziche' in carcere, nell'ipotesi di infermita' totale o parziale di mente. A ben vedere, in tali casi, le finalita' cautelari della custodia carceraria risultano cedevoli di fronte a situazioni soggettive peculiari, reputate dal legislatore prevalenti indipendentemente dal titolo di reato in ordine al quale si procede (compreso addirittura quello di cui all'art. 416-bis c.p.), con l'unico limite rimesso esclusivamente alla valutazione del caso concreto da parte del giudice - comune a quello previsto dalla norma impugnata - della sussistenza di esigenze, cautelari di eccezionale rilevanza. Raffrontando tale disciplina con la norma impugnata che regola il sistema delle misure cautelari personali quanto agli imputati tossicodipendenti (o alcoldipendenti), quest'ultima deve essere censurata, sia sotto il profilo della irragionevole ridotta protezione del diritto alla salute dei tossicodipendente rispetto agli altri casi ricordati (incompatibilita' carceraria e infermita' di mente) in aperta violazione dell'art. 32 Cost., sia soprattutto e in special modo sotto il profilo della ingiustificata discriminazione (art. 3 Cost,) che essa determinerebbe tra tossicodipendenti imputati del delitto ex art. 74, D.P.R. n. 309/90, e tossicodipendenti imputati di reati diversi, per i quali ultimi trova piena applicazione il sistema delineato nei commi" l e 2 del citato art. 89 ed e' dunque privilegiata la misura alternativa salvo che vi siano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Non puo' infatti dubitarsi del fatto che, mentre il limite della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lascia comunque al giudice la possibilita' di valutare gli elementi specifici che in relazione al caso concreto consentono, o meno l'operativita' della normativa in parola, il carattere ostativo del titolo di reato costituisce viceversa una vera e propria presunzione assoluta prevista dal legislatore che evidentemente ha ritenuto a priori irragionevolmente che per determinate ipotesi criminose ricorrano "presuntivamente" sempre e comunque esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; presunzione insuperabile, anche allorquando siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto dai quali risulti, che invece non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. 3. Del resto, quanto alla figura criminosa che interessa, il delitto di cui all'art. 74, D.P.R n. 309 del 1990, e' una figura speciale del delitto di associazione per delinquere (di cui all'art. 416 c.p., per il quale non e' prevista alcuna preclusione rispetto alla normativa in esame) che si differenzia da questo solo per la specificita' del programma criminoso, costituito dalla commissione di piu' delitti tra quelli previsti dall'art. 73 del medesimo decreto. Le caratteristiche strutturali della fattispecie criminosa non divergono, per il resto, da quelle del reato associativo comune. Per costante giurisprudenza di legittimita', infatti, i suoi elementi essenziali sono costituiti dal carattere indeterminato del programma criminoso e dalla permanenza della struttura, senza che occorra un accordo consacrato in manifestazioni di formale adesione ne' un'organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di specifiche cariche e compiti: essendo sufficiente, al contrario, una qualunque forma organizzativa, anche rudimentale, deducibile dalla predisposizione di mezzi, pure semplici, per il perseguimento del fine comune. Ma cio' che piu' importa in questa sede e' che, per come statuito di dalla condivisibile giurisprudenza costituzionale del Giudice delle leggi trattasi di una fattispecie aperta idonea ad abbracciare fenomeni criminali fortemente eterogenei tra loro, che spaziano dal grande sodalizio internazionale con struttura impreditoriale, che controlla tanto la produzione che l'immissione sul mercato di ingetissimi quantitativi da piu' svariati stupefacenti fino ad arrivare al gruppo attivo in ambito puramente locale e con organizzazione del tutto rudimentale, spesso limitata all'impiego estemporaneo di vetture e cellulari. La giurisprudenza di legittimita' ha, d'altra parte, ravvisato l'ipotesi criminosa in questione anche nel vincolo che accomuna, in maniera durevole, il fornitore della droga e coloro che la ricevono per rivenderla "al minuto", non ritenendo di ostacolo alla configurabilita' del rapporto associativo la diversita' degli scopi personali e la differente utilita' che i singoli si propongono di ricavare. Risultano, quindi, evidenti le differenze strutturali tra il delitto in esame e quello ex art. 416-bis c.p. Il delitto previsto dall'art. 74, D.P.R. n. 309 del 1990, infatti, non e' necessariamente connotato da un forte radicamento nel territorio dell'associazione, da fitti collegamenti personali e da una particolare forza intimidatrice. Difettano, soprattutto, le peculiarita' "storiche e sociologiche", prima ancora che giuridiche, dell'associazione mafiosa, consistenti nell'adesione degli associati, senza possibilita' di recesso, ad un sistema illegale parallelo a quello dello Stato, consolidato nel tempo e preesistente, nella sua struttura essenziale, rispetto ai singoli fenomeni associativi: sistema che, attraverso attivita' criminose che coinvolgono i piu' diversi settori della vita pubblica e privata, mira ad interferire con le istituzioni per assicurarsi "potere e stabilita'". Caratteristiche, queste, che rendono possibile enucleare una regola di esperienza in base alla quale, per chi aderisce ad un'associazione mafiosa, e' ragionevole presumere in via assoluta che ricorrono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza tali da escludere l'applicabilita' del citato art. 89. Analoga generalizzazione, per converso, e' impraticabile in rapporto al delitto previsto dall'art. 74, D.P.R. n. 309 del 1990, il cui paradigma copre situazioni, come detto, che incidono in misura sensibilmente differenziata sul bene protetto dell'ordine pubblico e che, sotto il profilo cautelare, possono essere fronteggiate anche con misure diverse da quella carceraria, come quella prevista dal gravato art. 89, sempre laddove siano acquisiti elementi specifici in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La norma censurata, ma soprattutto la menzionata presunzione assoluta imposta dal legislatore con riferimento al delitto che interessa, non puo' trovare fondamento neanche nella natura dei reati-scopo dell'associazione e nella tutela particolarmente rigorosa accordata dal legislatore al bene della salute pubblica nei confronti del fenomeno dello spaccio di stupefacenti. Del resto, come gia' rimarcato da plurime sentenze della Corte Costituzionale tra cui, nn. 265/10 e 231/11), la gravita' astratta del reato, desunta dalla misura della pena o dalla natura dell'interesse tutelato, non puo' legittimare, una preclusione alla verifica giudiziale del grado delle esigenze cautelari (se eccezionalmente rilevanti o meno) e l'individuazione di misura idonea a fronteggiarle, rilevando solo ai fini della commisurazione della sanzione penale. 4. Va infine ribadito - rispetto a quanto gia' detto riguardo all'ambito di operativita' della norma in esame - che, salvo a voler dare una lettura pleonastica dell'art. 89 D.P.R. n. 309/90, non rileva ai fini della presente questione di costituzionalita' se al tossicodipendente o l'alcoldipendente, cautelato per il reato di associazione finalizzata al narcotraffico, possano, in via astratta, essere applicate anche le normative di cui agli artt. 275 e 299 c.p.p. laddove consentono la sostituzione della misura inframuraria con quella domiciliare (anche presso una comunita' terapeutica) in caso di attenuazione delle esigenze cautelari (dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 231/11) o di incompatibilita' carceraria, dal momento che e' proprio allorquando non vi siano tali presupposti per disporre detta sostituzione - come nel caso di specie - che si rileva una discriminazione tra chi puo' usufruire del trattamento privilegiato previsto del piu' volte citato art. 89 e chi invece non puo' accedervi in forza di una presunzione assoluta ed insuperabile, nonostante risulti che nel caso concreto non ricorrono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Del resto, mutatis mutandis, le stesse ragioni sinora enunciate hanno fondato la sentenza della Consulta n. 231 del 22 luglio 2011 che ha censurato l'impossibilita' di superare in via probatoria una presunzione assoluta sul "grado" delle esigenze cautelari stabilita dal legislatore proprio per il reato associativo in questione viste le differenti modalita' con cui tale delitto puo' in concreto realizzarsi. Al riguardo, ritenere una normativa "sfavorevole" quale quella di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., che impone la custodia carceraria, e, in quanto tale (sfavorevole), ritenere costituzionalmente illegittima la sua applicabilita' in via presuntiva e assoluta per reati solo astrattamente gravi e di particolare allarme sociale (l'unica ipotesi residuale di applicazione di tale presunzione assoluta e' infatti quella di cui all'art. 416-bis c.p.)- e altra normativa viceversa "favorevole" -quale quella di cui all'art. 89, comma 4, D.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, che consente al detenuto bisognevole di seguire un programma terapeutico in comunita', e, in quanto tale (favorevole), ritenere invece costituzionalmente legittima la sua non applicabilita' in via presuntiva e assoluta per reati solo astrattamente gravi e di particolare allarme sociale-, i cui concetti opposti appaiono a dire il vero due facce della stessa mq. -posto che la previsione della mancata applicabilita' di una normativa "favorevole" a soggetto, per il quale in concreto non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, risulta discriminatoria e di fatto irragionevolmente "sfavorevole"- non appare ragione sufficiente per riconoscere in capo al legislatore una discrezionalita' che in violazione dell'art, 3. Cost. finisce con l'escludere da un regime cautelare di favore (o «privilegiato» individui che in concreto abbiano la medesima - o addirittura meno significativa pericolosita' soggettiva di altri che a detto regime invece possono accedere. 5. Per tutte le suesposte argomentazioni, ritiene l'adito giudice che la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, D.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui -nel prevedere che le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, D.P.R. n. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi ,specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, oltre che rilevante ai fini della decisione dell'interposta istanza, non sia manifestamente infondata e che, pertanto, vada sollevata e proposta romanzi la Corte costituzionale; dovendosi, per l'effetto, sospendere il presente procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle Leggi sulla questione medesima, ordinare la trasmissione degli atti alla stessa Corte costituzionale, nonche' disporre, a cura dell'ufficio di cancelleria, la notificazione del presente provvedimento al Pubblico Ministero, all'Indagato, ai Difensori, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica.
P.Q.M. Solleva e propone d'ufficio la rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89, comma 4, D.P.R. dei 9 ottobre 1990, n. 309, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui - nel prevedere che le disposizioni di cui ai commi e 2 dello stesso articolo non si applicano quando si procede per il delitto di cui all'art. 74, D.P.R. 309/90, per come richiamato dall'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 - non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautela di di eccezionale rilevanza. Sospende, per l'effetto, il presente procedimento per pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle Leggi sulla questione sollevata e proposta. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con sede presso il palazzo della Consulta in Roma. Dispone la notificazione del presente provvedimento al. Pubblico Ministero, all'Indagato, ai Difensori, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Manda alla Cancelleria per l'esecuzione di' tali adempimenti e di ogni altro di competenza. Catanzaro, 10 giugno 2014. Il Giudice: Perri