N. 244 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 gennaio 2014

Ordinanza dell'11 gennaio 2014 del G.I.P. del Tribunale di  Catanzaro
nel procedimento penale a carico di P.V.. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure -
  Obbligatorieta'  della  custodia  cautelare   in   carcere   quando
  sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto  di
  cui all'art. 416-bis cod. pen., con riferimento ai casi di concorso
  esterno in associazione di tipo mafioso, salvo che siano  acquisiti
  elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari  -
  Mancata  previsione  della  salvezza  dell'ipotesi  in  cui   siano
  acquisiti elementi specifici, in relazione al  caso  concreto,  dai
  quali risulti che le esigenze cautelari possono essere  soddisfatte
  con altre misure - Ingiustificata parificazione della posizione del
  partecipe alla associazione  mafiosa  con  quella  del  concorrente
  esterno  -  Irragionevole  assoggettamento  a  un  medesimo  regime
  cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai paradigmi
  punitivi considerati - Contrasto con i principi  di  inviolabilita'
  della liberta' personale e di non colpevolezza sino  alla  sentenza
  di condanna definitiva. 
- Codice di procedura penale, art.  275,  comma  3,  come  modificato
  dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio  2009,  n.  11,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38. 
- Costituzione, artt. 3, 13 e 27. 
(GU n.2 del 14-1-2015 )
 
                       TRIBUNALE DI CATANZARO 
           Sezione del Giudice per le indagini preliminari 
 
    Il G.I.P. dott. Pietro Scuteri nel procediniento sopra  rubricato
a carico, tra gli altri, di P. V., nato a ...,  attualmente  detenuto
presso la casa circondariale di Vibo Valentia, difeso dall'avv. Paolo
Mascaro del foro di Lamezia Terme,  imputato  del  delitto  p.  e  p.
dall'art. 110,  416-bis  del  c.p.  «perche'  assumeva  il  ruolo  di
concorrente esterno della struttura  organizzativa  dell'associazione
criminale di stampo mafioso denominata cosca G. di N. L. T.» (capo  7
dell'ordinanza di custodia cautelare del 15 luglio 2013); 
    Rilevato che con istanza ex art. 299 c.p.p., depositata in data 8
gennaio 2014, la difesa  dell'imputato  ha  chiesto  la  sostituzione
della massima misura cautelare di rigore  con  quella  degli  arresti
domiciliari; 
    Acquisito il parere favorevole del P.M. in data 9 gennaio 2014; 
    Rilevato che il titolo  del  reato  per  il  quale  l'istante  e'
cautelato, seppur concretamente  configurato  nelle  forme  del  c.d.
«concorso esterno» ex artt. 110, 416-bis del c.p., ai sensi dell'art.
275 comma 3 del c.p.p. non consente l'applicazione di misura  diversa
rispetto alla custodia cautelare in carcere; 
    Ritenuto che, nel caso di specie,  in  cui,  peraltro,  l'istante
chiede esclusivamente la sostituzione  della  misura  della  custodia
cautelare  in  carcere  con  quella  degli  arresti  domiciliari,  la
presunzione legislativa di sussistenza delle esigenze  cautelari  non
puo' ritenersi superata con riferimento all'art. 274, lett. c) c.p.p.
essendo,  a  parere  dello  scrivente,  ancora  attuali  le  esigenze
cautelari di cui all'art.  274  c.p.p  (come  ravvisate  in  sede  di
applicazione  della  misura  cautelare)  le  quali   possono   essere
correttamente  dedotte:  1)  dalle  modalita'  dei  fatti   e   dalla
personalita' dell'agente che in esse si  manifesta,  con  particolare
riferimento al reato di cui all'art. 416-bis c.p.  (elemento  di  per
se'  idoneo  a  determinare  un  apprezzamento  parimenti  utile  per
ritenere la sussistenza del  concreto  pericolo  di  reiterazione  di
reati della stessa specie, alla luce delle modalita' del  fatto);  2)
dalla condotta criminosa sintomatica di uno stile di vita che di  per
se'  impone  una  prognosi  infausta  concretante  le   esigenze   di
prevenzione; 
    Ritenuto altresi'  che  nel  caso  in  esame  si  evidenzia,  con
particolare rilevanza, la illegittimita' costituzionale  della  norma
citata (art. 275 comma 3 c.p.p.) con riferimento non alla presunzione
di  sussistenza  delle  esigenze  cautelari,  bensi'  al  divieto  di
applicazione di diverse misure che possano garantire le esigenze; 
 
                          Osserva e rileva 
 
    1. Non appare manifestamente infondata  -  con  riferimento  agli
artt. 3, 13 e 27 della Costituzione - la questione di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 275 del codice  di  procedura  penale  nella
parte in cui esclude al terzo comma la facolta'  per  il  giudice  di
applicare, con riferimento alle ipotesi  di  cui  agli  artt.  110  e
416-bis c.p. qualificabili quali «concorso esterno»  in  associazione
per  delinquere  di  stampo  mafioso,  una  misura   cautelare   meno
afflittiva  della  custodia  in  carcere,   apparendo   irragionevole
impedire in linea generale - sia pure per un  reato  grave  quale  la
fattispecie di «concorso esterno» ma che in  concreto  puo'  assumere
diverse connotazioni e gradazioni -, che il giudice possa valutare il
caso di merito e applicare, ove adeguata a  tutelare  le  sussistenti
esigenze cautelari, una misura diversa da quella di massimo rigore. 
    In particolare ritiene lo scrivente che trattasi di  questione  -
oltre che rilevante nel caso di specie essendo stata avanzata ex art.
299 c.p.p. istanza di sostituzione della misura cautelare  carceraria
con  quella  degli  arresti  domiciliari  da  indagato  in   custodia
cautelare per il reato di cui artt. 110  e  416-bis  c.p.  in  quanto
gravemente indiziato  di  concorso  esterno  nella  associazione  per
delinquere di stampo mafioso - non  manifestamente  infondata,  avuto
riguardo, in  particolare:  1)  all'evoluzione  della  giurisprudenza
costituzionale in relazione alla portata  della  presunzione  di  cui
all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., essendo  intervenute  plurime
pronunce di declaratoria  di  parziale  incostituzionalita'  di  tale
norma; 2) in relazione alla concreta fattispecie in  contestazione  e
cio' in considerazione della intrinseca  differenza  della  posizione
del partecipe all'associazione per delinquere di stampo mafioso (art.
416-bis c.p.) rispetto a quella del c.d. «concorrente esterno» (artt.
110 e 416-bis c.p.). 
    2. Quanto al primo profilo occorre rilevare,  innanzitutto,  come
peraltro puntualmente evidenziato nella ordinanza delle Sezioni Unite
n.  34473  del  2012,  che  con   una   pluralita'   di   interventi,
susseguentisi  in  un  arco  temporale  assai  contenuto,  la   Corte
costituzionale  ha   recentemente   ridisegnato   i   confini   della
presunzione in materia cautelare di cui all'art. 275 c.p.p.,  il  cui
ambito applicativo era stato ampliato, ben  oltre  il  settore  della
criminalita' mafiosa, al decreto-legge n. 11  del  2009,  convertito,
con modifiche, con legge n. 38 del 2009. 
    In primis con la sentenza n. 265 del 2010 e' stata dichiarata  la
illegittimita' costituzionale dell'art.  275,  comma  3,  cod.  proc.
pen., nella parte in cui ha  esteso  la  presunzione  di  adeguatezza
della  custodia  carceraria,  senza  possibilita'  di  apprezzare  in
concreto  l'adeguatezza  di  altra  e  meno  afflittiva  misura,  nei
procedimenti per i reati di cui all'art. 609-bis comma 1 e 609-quater
c.p.. 
    Nello specifico i giudici della Corte  costituzionale  dopo  aver
ricordato che  nel  criterio  di  adeguatezza  trova  espressione  il
principio del «minore sacrificio necessario» e che  il  ricorso  alla
custodia carceraria deve essere  residuale  ed  eccezionale  (extrema
ratio), hanno chiarito come tratto saliente del sistema cautelare sia
proprio l'assenza di automatismi e presunzioni. 
    Rispetto a tale  regola  generale,  la  deroga  costituita  dalle
presunzioni di sussistenza delle esigenze cautelari e di  adeguatezza
della misura carceraria per i delitti di mafia in senso  stretto,  ha
superato il vaglio della Corte costituzionale e della  Corte  Europea
dei diritti  dell'uomo,  avendo  entrambe  le  Corti  valorizzato  le
peculiarita'  di  tali  delitti,  la  cui  connotazione   strutturale
astratta,  come  reati  associativi  e   dunque   permanenti,   rende
ragionevoli le presunzioni, e specificamente  quella  di  adeguatezza
della custodia carceraria, misura ritenuta  maggiormente  idonea  per
soddisfare l'esigenza di neutralizzazione  del  periculum  libertatis
«connesso  al  verosimile  protrarsi  dei  contatti  tra  imputato  e
associazione». 
    La Corte costituzionale, quindi, con la decisione  in  argomento,
ha tratto la conclusione dell'impossibilita' di estendere  una  ratio
siffatta, calibrata sui delitti di mafia in senso stretto, ad  ambiti
criminosi per i quali vale una regola di  esperienza  diversa,  ossia
che essi possono proporre esigenze cautelari suscettibili  di  essere
soddisfatte con misure  alternative  alla  custodia  in  carcere.  Si
tratta di delitti che,  per  quanto  odiosi,  sono  spesso  meramente
individuali e tali da non postulare esigenze affrontabili rigidamente
con la massima misura. 
    Con argomentazioni del tutto simili, il Giudice delle leggi,  con
la sentenza  n.  164  del  2011,  ha  successivamente  dichiarato  la
incostituzionalita' dell'art. 275, comma 3 c.p.p., nella parte in cui
non consente di apprezzare, nei procedimenti per il  delitto  di  cui
all'art. 575 c.p., l'esistenza di elementi  specifici  dai  quali  in
concreto risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte
con misure meno gravose della  custodia  in  carcere.  Nonostante  la
gravita' del reato - ha osservato la Corte - il delitto  di  omicidio
non  implica  e  non  presuppone  necessariamente   un   vincolo   di
appartenenza permanente  a  un  sodalizio  criminoso  con  accentuate
caratteristiche di pericolosita', perche' puo' essere, e sovente  e',
un fatto meramente individuale. 
    Il Giudice delle leggi con la sentenza n. 331  del  2010  ha  poi
fatto  venir  meno  la  presunzione  assoluta  di  adeguatezza  della
custodia   carceraria   anche   in   riferimento   ai   delitti    di
favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, di  cui  all'art.  12,
comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998. 
    Sulla scia di queste pronunce  e'  intervenuta  ancora  la  Corte
costituzionale con la sentenza n. 231 del 2011 con la quale e'  stata
dichiarata la illegittimita' dell'art. 275, comma 3,  del  codice  di
rito, nella parte concernente - il riferimento ai procedimenti per il
delitto di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990. 
    Anche per tale delitto la  presunzione  assoluta  di  adeguatezza
della sola custodia carceraria e' stata considerata non rispondente a
un dato di esperienza  generalizzato,  ricollegabile  alla  struttura
stessa e alle connotazioni criminologiche della figura criminosa, pur
se essa presuppone uno stabile vincolo di appartenenza a un sodalizio
criminoso. 
    Con  tale  sentenza  e'  stato  precisato  che  il   delitto   di
associazione finalizzata  al  traffico  di  sostanze  stupefacenti  o
psicotrope si concretizza  in  una  forma  speciale  del  delitto  di
associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura  dei
reati-fine, che non  postula  necessariamente  la  creazione  di  una
struttura complessa e gerarchicamente ordinata,  essendo  sufficiente
una  qualunque  organizzazione,  anche  rudimentale,   di   attivita'
personali e di mezzi economici, benche' semplici ed elementari. Detta
figura criminosa, ha osservato ancora la  Corte  costituzionale,  «si
presta, pertanto, a qualificare  penalmente  fatti  e  situazioni  in
concreto  i   piu'   diversi   ed   eterogenei:   da   un   sodalizio
transnazionale, forte di una articolata  organizzazione,  di  ingenti
risorse finanziarie e rigidamente  strutturato,  al  piccolo  gruppo,
talora persino ristretto ad un ambito familiare operante  in  un'area
limitata e con i piu' modesti e semplici  mezzi»,  per  cui  «non  e'
possibile  enucleare  una   regola   di   esperienza,   ricollegabile
ragionevolmente a tutte le connotazioni criminoloiche  del  fenomeno,
secondo cui la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idoneo a
fronteggiare le esigenze cautelari» atteso che «in  un  significativo
numero di  casi,  al  contrario,  queste  ultime  potrebbero  trovare
risposta in misure diverse e meno afflittive, che valgano comunque ad
assicurare la separazione dell'indiziato dal contesto  delinquenziale
e ad impedire la reiterazione del recito». 
    Sulla falsariga della pronuncia da ultimo citata, con la sentenza
n. 110 del 2012, la Corte costituzionale, e' intervenuta  ancora  una
volta    con    una    ulteriore    (parziale)    declaratoria     di
incostituzionalita' dell'art. 275,  comma  3  c.p.p.,  con  specifico
riferimento alla fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen. realizzata
allo scopo di commettere i delitti previsti dagli  artt.  473  e  474
dello stesso codice, facendo cosi' venir meno la presunzione assoluta
di adeguatezza della custodia in carcere per tale reato associativo. 
    Nel riprendere le argomentazioni delle  precedenti  pronunce,  la
Corte ha significativamente precisato che per la fattispecie presa in
esame puo' dirsi che mancano  quelle  connotazioni  normative  (forza
intimidatrice del vincolo associativo e condizione di assoggettamento
ed omerta') proprie dell'associazione di tipo mafioso e in  grado  di
fornire una congrua base  statistica  alla  presunzione  assoluta  di
adeguatezza. 
    Da ultimo con la sentenza n. 57 del 2013 la Corte  costituzionale
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3,
secondo periodo, del codice di procedura penale, nella parte in cui -
nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza  in
ordine ai delitti  commessi  avvalendosi  delle  condizioni  previste
dall'art. 416-bis del codice  penale  ovvero  al  fine  di  agevolare
l'attivita' delle associazioni previste  dallo  stesso  articolo,  e'
applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti
elementi dai quali risulti che non sussistono  esigenze  cautelari  -
non fa salva, altresi', l'ipotesi in  cui  siano  acquisiti  elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. 
    Nel corpo della motivazione, i giudici  delle  leggi,  dopo  aver
ribadito che «le presunzioni  assolute,  specie  quando  limitano  un
diritto  fondamentale  della  persona,  violano   il   principio   di
eguaglianza,  se  sono  arbitrarie  e  irrazionali,  cioe'   se   non
rispondono  a  dati  di  esperienza  generalizzati,  riassunti  nella
formula dell'id quod plerumque accidit» -ampliando  ulteriormente  il
novero delle fattispecie rispetto alle quali la presunzione  assoluta
di adeguatezza della custodia cautelare in carcere risulta  priva  di
un  fondamento  giustificativo  costituzionalmente  valido   fino   a
ricomprendere anche «fattispecie collocate in  un  contesto  mafioso»
quali quelle aggravate dall'art. 7 legge n. 203/91- ha  statuito  che
il  «semplice  impiego  del  cosiddetto   "metodo   mafioso"   o   la
finalizzazione   della   condotta   criminosa   all'agevolazione   di
un'associazione mafiosa non  sono  necessariamente  equiparabili,  ai
fini   della   presunzione   in   questione,   alla    partecipazione
all'associazione, ed e' a questa partecipazione che e'  collegato  il
dato  empirico,  ripetutamente  constatato,  della  inidoneita'   del
processo, e delle stesse misure cautelari,  a  recidere,  il  vincolo
associativo e a far venir meno la connessa  attivita'  collaborativa,
sicche',  una  volta   riconosciuta   la   perdurante   pericolosita'
dell'indagato o dell'imputato del delitto previsto dall'art.  416-bis
cod. pen., e' legittimo presumere che solo la custodia in carcere sia
idonea a contrastarla efficacemente». 
    In particolare  appare  significativo  ai  fini  della  questione
oggetto della presente ordinanza il dato che nella sentenza citata la
Corte costituzionale,  anche  attraverso  il  richiamo  alla  propria
precedente decisione n. 450 del 1995, evidenzi come  la  ratio  della
presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare  in  carcere
per l'associazione di tipo mafioso si basa  sulla  constatazione  che
«dalla struttura stessa della fattispecie e  dalle  sue  connotazioni
criminologiche - connesse  alla  circostanza  che  l'appartenenza  ad
associazioni di tipo mafioso implica  un'adesione  permanente  ad  un
sodalizio criminoso di  norma  fortemente  radicato  nel  territorio,
caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali  e  dotato
di particolare forza intimidatrice - deriva,  nella  generalita'  dei
casi concreti ad essa riferibili e secondo una regola  di  esperienza
sufficientemente  condivisa,  una   esigenza   cautelare   alla   cui
soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in carcere». 
    3. Cio' posto, secondo lo scrivente, le ragioni che sostengono il
giudizio  di  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
costituzionalita'  in  esame,  si  sostanziano,   oltre   che   negli
argomenti,  appena   richiamati,   che   la   stessa   giurisprudenza
costituzionale ha nel tempo utilizzato per eliminare  la  presunzione
assoluta di adeguatezza  della  custodia  cautelare  in  carcere  per
alcuni tipi di reato (da ultimo per  i  delitti  aggravati  ai  sensi
dell'art. 7 del decreto-legge  n.  152  del  1991),  soprattutto  nel
rilievo che anche le ipotesi di  «concorso  esterno  in  associazione
mafiosa» ex artt. 110 e 416-bis c.p. potrebbero in concreto,  per  le
loro caratteristiche e per le intrinseche differenze che tale  figura
assume rispetto a quella del  partecipe  concorrente,  non  postulare
necessariamente esigenze cautelari affrontabili esclusivamente con la
custodia in carcere. 
    Onde chiarire il fondamento di tale asserzione, appare  opportuno
ricordare,  in  generale,  quelli   che   sono   gli   elementi   che
caratterizzano, sotto il  profilo  oggettivo  e  soggettivo,  sia  la
condotta di partecipazione di cui all'art. 416-bis  c.p.  sia  quella
del c.d. «concorso esterno» nel reato di cui agli artt. 110 e 416-bis
c.p. 
    A partire dal notissimo pronunciamento della Corte di  Cassazione
a  Sezioni  Unite  (c.d.  sentenza  MANNINO)  la  giurisprudenza   di
legittimita' e di merito e' oramai  concorde  nell'affermare  che  e'
partecipe   colui   che,   «risultando   inserito   stabilmente    ed
organicamente nella struttura  organizzativa  dell'associazione,  non
solo e', ma fa parte della (meglio ancora prende parte) alla  stessa,
locuzione questa da  intendersi  non  in  senso  statico,  come  mera
acquisizione di uno status, bensi' in senso  dinamico  e  funzionale,
con riferimento all'effettivo ruolo  in  cui  si'  e'  immessi  e  ai
compiti  che  si  e'  chiamati  a  svolgere  perche'   l'associazione
raggiunga i suoi scopi, restando  a  disposizione  per  le  attivita'
organizzate dalla medesima». 
    Siffatta configurazione della condotta partecipativa trova  piena
conferma nella giurisprudenza  piu'  recente  secondo  la  quale  «la
condotta di partecipazione ad una associazione mafiosa e'  riferibile
a  colui  che  si  trova  in  un  rapporto  di  stabile  e   organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del  sodalizio  tale  da
implicare piu' che uno status di appartenenza  un  ruolo  dinamico  e
funzionale in esplicazione del quale l'interessato  prende  parte  al
fenomeno associativo  rimanendo  a  disposiizione  dell'ente  per  il
perseguimento dei suoi fini criminosi» (Cassazione penale  sezione  V
sentenza 24 gennaio 2013 n. 3823). 
    Sul  piano  della  prova  della  sussistenza  della  condotta  di
partecipazione, i Supremi Giudici, sin dalla sentenza Mannino,  hanno
precisato che rilevano a tal fine «tutti gli indicatori fattuali  dai
quali, sulla base  di  attendibili  regole  di  esperienza  attinenti
propriamente al fenomeno della criminalita' di stampo mafioso,  possa
logicamente   inferirsi   il   nucleo   essenziale   della   condotta
partecipativa e cioe' la stabile  compenetrazione  del  soggetto  nel
tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di  indizi
gravi e precisi  (tra  i  quali  le  prassi  giurisprudenziali  hanno
individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse  fasi
di osservazione e prova, l'affiliazione rituale, l'investitura  della
qualifica di uomo di onore, la commissione di delitti scopo, oltre  a
molteplici, variegati, e pero' significativi factia concludentia) dai
quali sia lecito dedurre,  senza  alcun  automatismo  probatorio,  la
sicura dimostrazione della costante permanenza  del  vincolo  nonche'
della duratura e sempre  utilizzabile  messa  ci  disposizione  della
persona per ogni attivita'  del  sodalizio  criminoso,  con  puntuale
riferimento peraltro allo  specifico  periodo  temporale  considerato
nella imputazione». 
    Cosi'  delineati  i  confini  della  condotta  partecipativa,  la
distinzione fra la figura dell'«intraneus» e quella del  «concorrente
esterno» appare, in astratto, agevolmente tracciabile. 
    Al proposito sempre  i  Supremi  Giudici  di  legittimita'  hanno
precisato che il concorso esterno (sanzionato a norma  del  combinato
disposto degli artt. 110, 416-bis c.p.) sussiste in capo alla persona
che, priva dell'«affectio societatis» (ossia della consapevolezza del
soggetto di inserirsi in una  associazione  vietata  condividendo  lo
scopo del raggiungimento dei fini della  stessa:  ex  plurimis  Cass.
679/ 1991 RV 186683, Cass. 4805/ 1992 RV 192648; Cass. 32904/2004  RV
229488) e non inserita nella struttura organizzativa  del  sodalizio,
fornisca un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario,
a carattere indifferentemente  occasionale  e  continuativo,  purche'
detto contributo abbia un'effettiva rilevanza causale ai  fini  della
conservazione e del rafforzamento dell'associazione e l'agente se  ne
rappresenti,  nella  forma  del  dolo  diretto,  l'utilita'  per   la
realizzazione anche parziale del programma criminoso. 
    Nella sentenza c.d. Mannino si  e'  anche  puntualizzato  che  la
prova del concorso  esterno  nel  reato  associativo  deve  avere  ad
oggetto gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, con la
conseguenza che esulano dall'ipotesi in  esame  situazioni  quali  la
«contiguita' compiacente", o la "vicinanza" o la "disponibilita'" nei
riguardi del sodalizio o di suoi esponenti, anche di  spicco,  quando
non siano accompagnate da positive attivita'  che,  in  base  ad  una
verifica ex post, abbiano fornito uno o piu' contributi  suscettibili
di produrre un oggettivo apporto di rafforzamento o di consolidamento
dell'associazione o quanto meno di un suo particolare settore. 
    Non e' sufficiente, quindi, neppure ai fini del concorso esterno,
la  mera   disponibilita'   a   fornire   il   contributo   richiesto
dall'associazione, ma  occorre  l'effettivita'  di  tale  contributo,
cioe' l'attivazione del soggetto nel senso indicatogli dal  sodalizio
criminoso: SSUU 22327/ 2003 Carnevale- Cass 24469/2009 RV 244382  che
ha confermato che «in tema di associazione di tipo  mafioso  la  mera
frequentazione di  soggetti  affiliati  al  sodalizio  criminale  per
motivi di parentela, amicizia o rapporti di affari ovvero la presenza
di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e
in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di  per
se'  sintomatici  dell'appartenenza   mafiosa   ma   possono   essere
utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell'art.  192  c.p.p.
comma 3 quando risultino  qualificati  da  abituale  o  significativa
reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante». 
    In conclusione puo', quindi, affermarsi  che  la  differenza  fra
«intraneus» e quella dell'«extraneus concorrente esterno» consiste: 
        sotto il profilo  oggettivo  nel  fatto  che  il  concorrente
esterno, benche' fornisca un contributo che abbia  rilevanza  causale
ai fini della conservazione o  del  rafforzamento  dell'associazione,
non sia inserito nella struttura criminale, 
        sotto il profilo soggettivo  nel  fatto  che  il  concorrente
esterno - differentemente da quello  interno  il  cui  dolo  consiste
nella  coscienza  e  volonta'   di   partecipare   attivamente   alla
realizzazione dell'accordo e quindi del programma delittuoso in  modo
stabile e permanente - sia privo dell'affectio societatis. 
    Al  fine,  allora  di  fornire  ulteriori,  chiari  elementi   di
distinzione, appare opportuno  ricordare  che  l'art.  416-bis  c.p.,
incriminando «chiunque partecipi all'associazione», indipendentemente
dalle modalita' attraverso le quali il reo sia entrato a  fare  parte
dell'organizzazione,  e'  un  reato  «a  forma  libera»,  che   cioe'
volutamente non tipizza le modalita' di manifestazione della condotta
associativa. Da cio' discende che  l'ingresso  nell'associazione  non
sempre  avviene  in  conseguenza  di   atti   formali   o   cerimonie
sacramentali, anzi la mancanza  di  tali  riti  non  esclude  che  un
soggetto possa, di fatto, contribuire con  il  suo  comportamento  ai
fini dell'associazione,  attraverso  l'esplicazione,  perdurante  nel
tempo; di uno specifico ruolo, dinamico e funzionale, da  cui  derivi
un costante, effettivo e concreto apporto  -  di  qualsiasi  forma  e
contenuto - destinato  alla  conservazione  o  al  rafforzamento  del
gruppo. 
    Proprio per tale ragione la Suprema Corte, da tempo, ha  chiarito
che  la  prova  dell'appartenenza,  come   intraneus   al   sodalizio
criminoso, puo' essere data  anche  attraverso  significativi  «facta
concludentia»  ove  questi  siano  idonei,  senza  alcun  automatismo
probatorio,  a  fornire  la  sicura  dimostrazione   della   costante
permanenza del vincolo. 
    Da quanto detto consegue, allora, che la condotta  del  partecipe
puo' assumere forme e contributi diversi e variabili proprio perche',
per raggiungere i fini propri  dell'associazione,  occorrono  diverse
competenze e diverse mansioni, ognuna delle quali e' suscettibile  di
contribuire, in modo sinergico, al raggiungimento del fine comune. 
    Del     pari,     anche      la      condotta      dell'extraneus
all'associazione/concorrente esterno puo' assumere connotati, forme e
contributi diversi traducendosi in concreto in una svariata  astratta
possibile pluralita' di condotte potenzialmente differenti  non  solo
quanto ai contenuti quanto  anche  rispetto  all'intensita'  ed  alla
durata del contributo causale offerto. 
    Alla  stregua  dei  principi  appena  esposti,  appare,   quindi,
evidente che essendo  ontologicamente  differente  la  posizione  del
partecipe rispetto a quella del concorrente esterno  -  soggetto  non
aderente in maniera permanente ad un sodalizio criminoso  ed  il  cui
contributo al  sodalizio  puo'  (come  spesso  accade)  essere  anche
temporalmente assai circoscritto se non addirittura occasionale -  la
scelta di equiparare  sotto  il  profilo  del  trattamento  cautelare
situazioni tra loro eterogenee e  suscettibili  di  proporre,  in  un
numero  non  marginale  di  casi,  esigenze  cautelari  adeguatamente
fronteggiabili  con  misure  diverse  e  meno  afflittive  di  quella
carceraria, risulta costituzionalmente non orientata. 
    In altre parole,  proprio  la  circostanza  che  in  concreto  il
contributo offerto all'associazione di stampo mafioso dal concorrente
eventuale esterno ex artt. 110 e 416-bis c.p.  -  soggetto  privo  di
affectio societatis ed il cui  rapporto  con  l'associazione  e'  non
connotato da stabilita' - puo'  assumere  i  contenuti  piu'  vari  e
tradursi in concreto in condotte che, per  quanto  gravi  ed  odiose,
siano  tali  da  presentare  disvalore  ed  intrinseca  pericolosita'
differente, rende la presunzione assoluta di adeguatezza  della  sola
custodia  carceraria  non  rispondente  a  un  dato   di   esperienza
generalizzato,   ricollegabile   alla   struttura   stessa   e   alle
connotazioni criminologiche della figura criminosa. 
    Alla luce di tali considerazioni deve, pertanto, concludersi  che
la norma censurata (art. 275 comma 3 c. p.p.)  e'  in  contrasto  con
l'art. 3 della Costituzione, per  l'ingiustificata  parificazione  di
figure criminose (il partecipe ed il  concorrente  esterno)  che  pur
riconducibili entrambe al paradigma dell'art. 416-bis c.p.  risultano
oggettivamente differenti  tra  loro,  senza  che  vi  siano  fondate
ragioni per impedire la piena individualizzazione  della  coercizione
cautelare. 
    Difatti, in un  numero  tutt'altro  che  marginale  di  casi,  le
esigenze cautelari per l'indagato di concorso esterno in associazione
mafiosa ex artt. 110 e 416-bis  c.p.  sono  suscettibili  di  trovare
idonea risposta anche in misure  diverse  da  quella  carceraria,  in
primis  quella   degli   arresti   domiciliari,   misura   coercitiva
custodiale, limitativa della liberta' di  movimento  dell'indagato  e
idonea ad impedire i collegamenti dell'indagato stesso con i contesto
di criminalita' cui risulta essere contiguo. 
    La medesima disposizione si pone, altresi', in contrasto  con  il
principio  di  inviolabilita'  della  liberta'   personale,   sancito
dall'art. 13,  primo  comma,  Costituzionale,  imponendo  il  massimo
sacrificio  di  tale  bene  primario  all'esito  di  un  giudizio  di
bilanciamento  non  corretto,  in  quanto  non   del   principio   di
ragionevolezza. 
    Essa lede, infine, la presunzione di non  colpevolezza,  prevista
dall'art. 27, secondo comma, della Costituzione, affidando al  regime
cautelare funzioni proprie della pena, la cui applicazione presuppone
invece un giudizio definitivo di responsabilita'. 
    Cio' che vulnera i parametri costituzionali richiamati non e'  la
presunzione in se', ma il suo carattere  assoluto,  che  implica  una
indiscriminata e totale  negazione  di  rilevanza  al  principio  del
«minore sacrificio necessario». 
    La previsione,  invece,  di  una  presunzione  solo  relativa  di
adeguatezza  della  custodia  carceraria  -  atta  a  realizzare  una
semplificazione del procedimento  probatorio,  suggerita  da  aspetti
ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile
da  elementi  di  segno  contrario  -  non   eccede   i   limiti   di
compatibilita'  costituzionale,  rimanendo   per   tale   verso   non
censurabile   l'apprezzamento   legislativo   circa   la    ordinaria
configurabilita' di esigenze cautelari nel grado piu' intenso. 
    Per tutte le suesposte argomentazioni, ritiene lo  scrivente  che
la prospettata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 275
comma 3 c.p.p.  -  in  riferimento  agli  artt.  3,  13  e  27  della
Costituzione, nella parte in cui nel prevedere che, quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine al  delitto  di  cui  all'art.
416-bis del codice penale, e'  applicata  la  custodia  cautelare  in
carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non
sussistono esigenze cautelari, non fa salva, con riferimento ai  casi
di «concorso esterno» in associazione mafiosa ex artt. 110 e  416-bis
del  codice  penale,  l'ipotesi  in  cui  siano  acquisiti   elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possono essere  soddisfatte  con  altre  misure  -
oltre che rilevante ai fini della decisione dell'interposta  istanza,
non sia manifestamente infondata e che, pertanto,  vada  sollevata  e
proposta innanzi la Corte costituzionale; dovendosi,  per  l'effetto,
sospendere   il   presente    procedimento    per    pregiudizialita'
costituzionale sino alla decisione  del  Giudice  delle  Leggi  sulla
questione medesima, ordinare la trasmissione degli atti  alla  stessa
Corte  costituzionale,  nonche'  porre,  a   cura   dell'ufficio   di
cancelleria, la notificazione del presente provvedimento al  Pubblico
Ministero, all'Imputato, al Difensore, al  Presidente  del  Consiglio
dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente
del Senato della Repubblica. 
 
                               P.Q.M. 
 
     Solleva e propone d'ufficio la rilevante  e  non  manifestamente
infondata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  275
comma 3 c.p.p. - in riferimento agli artt.  3,  13,  27  e  32  della
Costituzione -  nella  parte  in  cui  nel  prevedere   che,   quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di  cui
all'art.  416-bis  del  codice  penale,  e'  applicata  la   custodia
cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti  elementi  dai  quali
risulti che non sussistono esigenze  cautelari,  non  fa  salva,  con
riferimento ai casi di «concorso esterno» in associazione mafiosa  ex
artt. 110 e  416-bis  del  codice  penale,  l'ipotesi  in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelari  possono  essere  soddisfatte
con altre misure. 
    Sospende,   per   l'effetto,   il   presente   procedimento   per
pregiudizialita' costituzionale sino alla decisione del Giudice delle
Leggi sulla questione sollevata e proposta. 
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  con
sede presso il palazzo della Consulta in Roma. 
    Dispone la notificazione del presente provvedimento  al  Pubblico
Ministero, all'Imputato, al Difensore, al  Presidente  del  Consiglio
dei Ministri, al Presidente della Camera dei Deputati e al Presidente
del Senato della Repubblica. 
    Manda alla Cancelleria per l'esecuzione di tali adempimenti e  di
ogni altro di competenza. 
      Cosi' deciso in Catanzaro il 10 gennaio 2014. 
 
                         Il G.I.P.: Scuteri