N. 37 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 novembre 2014

Ordinanza  del  6  novembre  2014  della  Corte  dei  conti  -   Sez.
giurisdizionale per la  Regione  Calabria  sul  ricorso  proposto  da
Natale Domenico contro INPS quale successore ex lege dell'INPDAP. 
 
Previdenza - Provvedimenti di liquidazione definitiva del trattamento
  di quiescenza - Rettifica in ogni momento da  parte  degli  enti  o
  fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso  in
  sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione
  - Mancata previsione - Ingiustificato trattamento privilegiato  dei
  pensionati del settore  pubblico  rispetto  a  quelli  del  settore
  privato - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento
  della pubblica amministrazione. 
- Legge 3 maggio 1967, n. 315, art. 26; decreto del Presidente  della
  Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, artt. 204 e 205. 
- Costituzione, artt. 3 e 97. 
(GU n.12 del 25-3-2015 )
 
                          LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria 
 
 
                      IL GIUDICE DELLE PENSIONI 
                        Cons. Rossella Scerbo 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza n. 301/2014 sul ricorso, con
contestuale istanza di sospensiva, iscritto al n. 20316 del  registro
di segreteria proposto il 15 maggio  2014  da  Natale  Domenico  (CF:
NTLDNC39M16H501), nato a Roma  il  16  agosto  1939  rappresentato  e
difeso         dall'avv.         Eleonora         Natale         (pec
eleonora.natale@avvocaticatanzaro.legalmail.it);  avverso   la   nota
provvedimento dell'Inps - Gestione ex Inpdap n. Cz  012014787315  del
18 aprile 2014; contro l'Inps - gestione ex Inpdap,  rappresentato  e
difeso       dagli       avv.ti       Giacinto       Greco       (pec
avv.giacinto.greco@postacert.inps.gov.it)   e    Francesco    Muscari
Tomaioli (pec avv.francesco.muscaritomaioli@postacert.inps.gov.it); 
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  29   settembre   2014,   con
l'assistenza del segretario  signora  Gaetanina  Manna,  il  relatore
consigliere Rossella Scerbo, l'avv. Eleonora Natale e l'avv. Giacinto
Greco; 
    Visti ed esaminati gli atti ed i documenti di causa; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Il ricorso e' diretto avverso il provvedimento di  riliquidazione
della pensione (determina n. Cz 012014787315 del 18 aprile 2014)  con
cui l'Inps - gestione ex  Inpdap  aveva  rideterminato  in  peius  il
trattamento pensionistico e disposto il recupero di  euro  278.771,62
corrispondente a quanto (asseritamente) percepito  indebitamente  sul
trattamento  di  quiescenza,  gia'  liquidato  in  via  definitiva  a
decorrere dall'1° settembre 2004 con determina n. CZ 012004000782 del
2 dicembre 2004. 
    Il ricorrente ha denunciato l'illegittimita' del provvedimento di
riliquidazione di cui ha chiesto  la  disapplicazione  sostenendo  la
conformita' a legge di quello modificato con il quale, ai fini  della
determinazione della retribuzione contributiva, era  stato  applicato
il criterio della  media  ponderata  dell'ultimo  quinquennio,  e  ha
chiesto il ripristino del trattamento  pensionistico  precedentemente
goduto. 
    Sotto  un  secondo  profilo,  ha  denunciato  la  violazione  del
principio di irrevocabilita' ed immodificabilita'  del  provvedimento
definitivo oltre il termine triennale ex art 205,  T.U.  29  dicembre
1973, n. 1092, ampiamente superato  nella  fattispecie  risalendo  il
primo provvedimento al 2004. 
    Ha invocato, comunque, l'irripetibilita'  dell'indebito  ex  art.
206 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092. 
    Con memoria del 25 maggio 2014 l'Inps - gestione ex Ipdap  si  e'
costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto del ricorso. 
    Nel merito ha ampiamente motivato  in  ordine  alle  ragioni  che
hanno giustificato il ricalcolo in  peius  della  pensione  (da  euro
58.523,82 a. 1. ad euro 43.205,63 a. 1.) sostenendo che solo in  sede
di riliquidazione era stato possibile riscontrarne l'esistenza. 
    Da qui la legittimita' del provvedimento  di  revoca  ex  art  26
della legge 3 maggio 1967, n. 315 secondo  cui  la  sua  adozione  e'
ammissibile entro il termine di dieci anni "quando siano acquisiti ad
iniziativa delle parti o d'ufficio documenti che non abbiano  formato
oggetto di esame in sede di adozione  del  provvedimento  ed  abbiano
rilevanza sulla determinazione del  riscatto  o  del  trattamento  di
quiescenza". 
    Con ordinanza n. 208/2014 del 25 giugno 2014  e'  stato  disposto
l'accoglimento dell'istanza cautelare di sospensione del recupero dei
ratei pensionistici indebiti. 
    Con memoria del 4 settembre 2014, l'Inps nel riportarsi  a  tutte
le argomentazioni contenute nella  memoria  costitutiva,  ha  chiesto
alla Sezione  di  voler  ritenere  la  rilevanza  e  non  manifestata
infondatezza della questione di costituzionalita' degli artt.  204  e
205 del DPR n. 1092/1973 e dell'art 26 della  legge  n.  315/1967  in
riferimento agli artt. 3, 81 e 97 Cost, nella parte in  cui  limitano
la possibilita' di modifica o revoca della pensione definitiva a  una
serie tassativa di ipotesi fissando dei  termini  temporali  ritenuti
decadenziali con l'effetto del consolidamento per  il  futuro  di  un
trattamento pensionistico errato, in  contrasto  con  quanto  sancito
dall'art 52 della legge n. 88/1989 per le pensioni a carico  dell'AGO
e delle gestioni obbligatorie sostitutive. 
    Con sentenza non definitiva del questo giudice  ha  rigettato  il
ricorso in ordine alla  domanda  di  declaratoria  della  correttezza
della  applicazione  del  criterio  della  media  ponderata  e  della
conseguente quantificazione del trattamento pensionistico  effettuata
con il provvedimento modificato, ha  confermato  la  sospensione  del
recupero disposta in sede cautelare e ha  riservato  all'esito  della
definizione del giudizio costituzionale la decisione  definitiva  sul
ripristino   del   trattamento   precedentemente    goduto    nonche'
sull'irripetibilita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1)  La  questione  oggetto  del  giudizio  a  quo   concerne   la
legittimita' di un provvedimento di riliquidazione della pensione con
il  quale  il  trattamento  di  quiescenza,  gia'  liquidato  in  via
definitiva, e' stato modificato in peius, con  conseguente  emersione
di un indebito corrispondente ai maggiori importi percepiti. 
    L'illegittimita' del provvedimento  impugnato  e'  stata  dedotta
sotto  il  triplice  profilo,   riflettente   tre   diversi   livelli
decisionali, della: 
        a) correttezza del ricalcolo  del  trattamento  pensionistico
con l'applicazione del criterio della media ponderata; 
        b) insussistenza dei presupposti di fatto e  di  diritto  che
legittimano l'esercizio del potere di modifica; 
        c)  sussistenza   dei   presupposti   per   l'irripetibilita'
dell'indebito. 
    Con sentenza  non  definitiva  n.  2014  del  questo  giudice  ha
rigettato  la  domanda  di  declaratoria  della   correttezza   della
quantificazione  operata  con  il  provvedimento  modificato  ed   ha
riservato la definitiva pronuncia in  ordine  al  ripristino,  previa
disapplicazione  del  provvedimento  di  modifica,  del   trattamento
precedentemente fruito all'esito della definizione  del  giudizio  di
legittimita'    costituzionale,    rilevante    anche     ai     fini
dell'individuazione del titolo della irripetibilita'. 
    2) Il provvedimento  di  reformatio  in  peius  appare,  infatti,
adottato al di fuori dei casi consentiti dalla normativa vigente  per
le  pensioni  degli  iscritti  alle  gestioni   previdenziali   delle
amministrazioni pubbliche, che  circoscrive,  sia  sotto  il  profilo
temporale che dei vizi emendabili il potere di modifica, in tal  modo
presentando dei  profili  di  significativa  differenzazione  con  la
disciplina del settore delle pensioni degli iscritti all'A.G.O. o  ad
alle gestioni sostitutive, la cui razionalita' appare  meritevole  di
essere sottoposta al vaglio di conformita' costituzionale. 
    2.1) L'art 26 della legge 3 maggio 1967, n. 315 stabilisce che "I
provvedimenti concernenti le domande di riscatto di servizi o periodi
ai fini del trattamento di quiescenza e quelle  di  liquidazione  del
trattamento stesso, adottati dai competenti organi deliberanti  degli
Istituti di previdenza e resi esecutivi  con  decreto  del  direttore
generale degli Istituti medesimi, possono d'ufficio o a domanda degli
interessati essere revocati o  modificati  dagli  organi  deliberanti
predetti entro il termine di novanta giorni decorrente dalla data  di
comunicazione del decreto agli interessati. La revoca o  modifica  e'
ammessa, entro il termine di tre anni dalla data predetta, quando: 
        a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso  di  tener
conto di elementi risultanti dalla documentazione acquisita; 
        b) vi sia stato errore materiale  nel  computo  del  servizio
ovvero nella determinazione del contributo di riscatto o dell'importo
del trattamento di quiescenza; oppure, entro il termine di dieci anni
dalla data stessa, quando 
        c) siano acquisiti, ad iniziativa delle  parti  o  d'ufficio,
documenti che non  abbiano  formato  oggetto  di  esame  in  sede  di
adozione del provvedimento e abbiano rilevanza  sulla  determinazione
del riscatto o del trattamento di quiescenza; 
        d)  il  provvedimento  sia  stato  adottato  sopra  documenti
falsi". 
    2.2) Tale disciplina e' sostanzialmente sovrapponibile  a  quella
sancita dall'art. 204 del DPR 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo  cui
"La revoca o la modifica di cui all'articolo  precedente  puo'  avere
luogo quando: 
        a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di  tenere
conto di elementi risultanti dagli atti; 
        b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel  calcolo
del contributo di riscatto, nel calcolo  della  pensione,  assegno  o
indennita' o nell'applicazione  delle  tabelle  che  stabiliscono  le
aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennita'; 
        c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del
provvedimento; 
        d) il provvedimento sia stato  emesso  in  base  a  documenti
riconosciuti o dichiarati falsi". 
    L'art. 205 del medesimo testo unico dispone che "La revoca  o  la
modifica sono effettuati d'ufficio o a domanda dell'interessato.  Nei
casi previsti nelle lettere a) e b) dell'art. 204 il provvedimento e'
revocato o modificato d'ufficio non oltre  il  termine  di  tre  anni
dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui
alle lettere c) e d) di detto articolo  il  termine  e'  di  sessanta
giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi  o  dalla  notizia  della
riconosciuta  o  dichiarata  falsita'  dei  documenti.   La   domanda
dell'interessato deve essere presentata, a pena di decadenza, entro i
termini stabiliti dal  comma  precedente;  nei  casi  previsti  nelle
lettere a) e b) dell'art. 204 il termine decorre dalla data in cui il
provvedimento e' stato comunicato all'interessato". 
    Tale   disciplina   e',   peraltro,   espressamente    dichiarata
applicabile nei confronti degli ex iscritti alle casse  previdenziali
gia' amministrate dal Ministero del tesoro dall'art. 8 della legge  8
agosto 1986, n. 538. (Modalita' di liquidazione  del  trattamento  di
quiescenza a favore degli iscritti alle casse pensioni degli istituti
di previdenza. Semplificazione di procedure in materia  di  pagamento
degli stipendi ai dipendenti dello Stato)  che  cosi'  recita  :"  Il
provvedimento definitivo relativo al trattamento di  quiescenza  puo'
essere revocato o  modificato  dall'ufficio  che  lo  ha  emesso.  Si
applicano le disposizioni contenute negli articoli 204, 205, 206, 207
e 208 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 e nell'art. 3 della  legge
7 agosto 1985, n. 428. Per i casi previsti dai punti c  e  d  dell'ad
204 sopra citato, resta  fermo  il  termine  di  dieci  anni  di  cui
all'art. 26 della legge 3 maggio 1967, n. 315". 
    2.3) La disciplina  in  rassegna,  nel  suo  complesso  connotata
dall'esistenza di limiti temporali, stabiliti a  pena  di  decadenza,
all'esercizio del potere di revoca e modifica nonche' dall'esclusione
di alcuni vizi, appare nettamente differenziata da quella dettata per
le pensioni  a  carico  dell'A.G.O.  e  delle  gestioni  sostitutive,
conformata ai principi opposti  della  modificabilita'  senza  limiti
temporali  e   di   vizi,   salva   in   entrambi   gli   ordinamenti
l'irripetibilita' degli importi indebitamente percepiti in assenza di
dolo. 
    Invece l'art. 52 della legge n. 88/1989 dispone: "Le  pensioni  a
carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la
vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti,  delle  gestioni
obbligatorie sostitutive o,  comunque,  integrative  della  medesima,
della gestione speciale  minatori,  delle  gestioni  speciali  per  i
commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni
nonche' la pensione sociale, di cui all'art. 26 della legge 30 aprile
1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o
fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi  natura  commesso  in
sede di erogazione o riliquidazione della prestazione". 
    Il potere di  rettifica  puo'  essere  esercitato,  cioe',  senza
limiti di tempo e con riguardo a qualsiasi tipo di  errore,  compreso
quello di diritto, "intendendosi  provvedimento  modificato  nel  suo
significato piu' ampio, comprensivo dell'ipotesi di provvedimenti  di
revoca o di annullamento, totale o parziale (ex plurimis sez.  Lavoro
sen 21 marzo 1992, n. 3563; sez. Lavoro 12 gennaio 1991, n. 828). 
    3) La questione e' rilevante nel presente giudizio: e',  infatti,
trascorso un periodo superiore tre anni dalla determina  con  cui  la
pensione definitiva e' stata calcolata sulla base di una retribuzione
contributiva sbagliata, a  causa  dell'errore  di  fatto  in  cui  e'
incorsa l'amministrazione previdenziale nel ritenere  la  sussistenza
del presupposto per l'applicazione del criterio della media ponderata
delle   retribuzioni   dell'ultimo   quinquennio;    conseguentemente
l'applicazione al caso concreto dell'art. 26 della legge n. 315/1967,
nell'interpretazione sopraindicata coerente con il dato letterale  e,
comunque, costantemente adottata dalla giurisprudenza,  comporterebbe
l'accoglimento   integrale   del   ricorso   con   declaratoria    di
illegittimita'  del  provvedimento  di   modifica,   ripristino   del
trattamento   pensionistico   percepito   ex   ante   e   conseguente
irrepetibilita' di quanto gia' percepito, per carenza del presupposto
dell'indebito e  non  in  virtu'  dell'irripetibilita'  dell'indebito
previdenziale. 
    4) La questione non e', ad avviso del giudicante,  manifestamente
infondata per le ragioni che seguono, riconducibili al contrasto  con
il principio di  uguaglianza  e  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione,  non  apparendo  la  diversita'  di  disciplina   in
rassegna fornita di adeguata giustificazione. 
    4.1) Non ignora questo giudice come, in linea  di  principio,  la
coesistenza di una  pluralita'  di  regimi  previdenziali  aventi  la
medesima finalita' di tutela ma caratterizzati  da  discipline  anche
significativamente diverse, non contrasti, secondo la  giurisprudenza
costituzionale (Corte costituzionale n. 3 aprile 1984, n. 91) con  il
principio di uguaglianza sempre che  sia  possibile  individuare  una
razionale giustificazione, in relazione alle  intrinseche  differenze
sostanziali tra ordinamenti  non  completamente  comparabili  tra  di
loro, restando affidata al legislatore, nell'esercizio del suo potere
discrezionale,  il  compito  di  omogeneizzazione  della  disciplina,
auspicabile soprattutto dopo la c.d. "privatizzazione"  del  pubblico
impiego. 
    4.2) Ma e' proprio sulla persistenza delle intrinseche differenze
tra i due ordinamenti pensionistici  che  occorre  interrogarsi  alla
luce dell'evoluzione legislativa piu' recente. 
    Come e' noto "l'armonizzazione  degli  ordinamenti  pensionistici
nel rispetto della pluralita' degli organismi assicurativi"  (art  1,
legge 8 agosto 1995, n. 335) ha rappresentato uno degli obiettivi  di
fondo   perseguiti   dalla   riforma   del   sistema   pensionistico,
obbligatorio e complementare  per  quanto  riguarda  i  requisiti  di
accesso e di decorrenza del trattamento pensionistico e per quello di
calcolo, sia pure attraverso un processo graduale, in  parte  tuttora
in corso. 
    In questo processo  omogenizzante  ha  trovato  la  sua  naturale
collocazione  la  soppressione  dell'Inpdap,  ordinatore  primario  e
secondario di spesa per tutto il settore pubblico,  le  cui  funzioni
sono state trasferite all"Inps, che e' succeduto in tutti i  rapporti
attivi e passivi (decreto-legge 6 dicembre 2011  conv.  in  legge  24
dicembre 2011, n. 214), istituto che svolgeva  le  medesime  funzioni
nel settore delle pensioni  erogate  a  carico  dell'A.G.O.  e  delle
gestioni sostitutive e speciali (commercianti,  artigiani,  minatori,
coltivatori diretti, mezzadri e coloni). 
    4.3)  Ma  cio'  che  rileva  al  fine  che  qui  occupa  e'   che
l'evidenziata disparita' di disciplina non trova  giustificazione  in
una   situazione   di   fatto   intrinsecamente   ed   oggettivamente
differenziata. 
    Non  ignora  questo  giudice  che  sia  possibile  ravvisare   la
violazione  dell'art.  3  Cost.  quando  situazioni   sostanzialmente
identiche siano disciplinate  in  modo  ingiustificatamente  diverso,
mentre non si manifesta tale  contrasto  quando  alla  diversita'  di
disciplina corrispondano  situazioni  non  sostanzialmente  identiche
essendo  insindacabile  in  tali   casi   la   discrezionalita'   del
legislatore. 
    Stante l'incontestata ed  incontestabile  identita'  di  funzione
retributiva cui assolvano le pensioni "pubbliche" e quelle "private",
occorre partire dalle ragioni che storicamente hanno giustificato  la
differenzazione, al fine di verificarne la persistenza. 
    La peculiare disciplina in materia di revoca e  modifica  di  cui
all'art. 204, T.U. n. 1092/73 e 26, legge n. 315/1967 e' stata  anche
di  recente  (Corte  costituzionale  sen  10  giugno  2014,  n.  208)
ricondotta alle modalita'  del  procedimento  di  liquidazione  delle
pensioni pubbliche, che si snoda attraverso due fasi, la  provvisoria
e la definitiva; la modificabilita' piena del trattamento provvisorio
fino  all'emanazione  del  definitivo  garantisce   una   valutazione
ponderata di tutti gli elementi  di  fatto  e  di  diritto  entro  un
congruo lasso temporale con il  conseguente  affidamento  dell'avente
diritto  nella   correttezza   della   liquidazione   definitivamente
effettuata (Corte costituzionale n. 208 del 10 giugno 2014). 
    Vi e' pero' da considerare che la distinzione  tra  le  due  fasi
della liquidazione provvisoria e di quella  definitiva  ancorche'  in
linea di principio tuttora esistente e' stata  ribaltata,  nel  senso
che la regola e'  costituita  dalla  liquidazione  immediata  in  via
definitiva da parte dell'Inps, e solo occasionalmente e  per  periodi
limitati in via provvisoria. 
    L'art. 3, comma 1 del D.L. 28 marzo 1997, n. 74, conv.  in  legge
28 maggio 1997, n. 140, prevede che il trattamento di quiescenza  dei
dipendenti delle amministrazione pubbliche (di cui all'art. 1,  comma
2 e 2, comma 4 e 5  del  d.lgs.  n.  29/1993)  e'  liquidato  in  via
definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio, "in
ogni caso entro la predetta  data"  l'ente  erogatore  provvede  alla
corresponsione di un trattamento provvisorio nella misura minima  del
90%". 
    Nella fattispecie oggetto del giudizio a  quo  il  dipendente  e'
cessato dal servizio con  decorrenza  dal  1°  settembre  2004  e  la
pensione definitiva e' stata liquidata con determina del  2  dicembre
2004. 
    L'Inps - gestione ex Inpdap, provvede, dunque, alla  liquidazione
in via definitiva delle pensioni sia private che di tutto il  settore
pubblico in base - per quanto riguarda le pensioni degli ex  iscritti
alle ex Casse previdenziali amministrate dal Ministero del  tesoro  -
all'art 4 del d.lgs.  30  giugno  1994,  n.  479,  che  ha  istituito
l'Inpdap e disposto contestualmente la  soppressione  delle  predette
casse (CPDEL, CPS.CPI, CPUG)  e,  per  quanto  riguarda  le  pensioni
statali (CTPS)  in  seguito  al  definitivo  superamento  della  fase
transitoria (2005 per le amministrazioni civili  e  2010  per  quelle
militari), durante  la  quale  la  liquidazione  dei  trattamenti  di
quiescenza era rimasta affidata sulla base di  una  convenzione  alle
amministrazioni in precedenza competenti. 
    D'altra  parte  anche  nell'ordinamento  pensionistico  "privato"
sussiste la distinzione tra provvedimento provvisorio  e  definitivo,
laddove solo per secondo si  pone  il  problema  della  ripetibilita'
dell'indebito. 
    Di provvedimento definitivo gia' parlava l'art. 80  del  R.D.  28
agosto 1924, n. 13422 (abrogato  implicitamente  dall'art.  52  della
legge n. 88/1989), tale intendendo il  provvedimento  a  un  anno  di
distanza dalla comunicazione all'interessato.  La  nozione  e'  stata
ripresa  dall'art.  13  della   legge   n.   412/1991   che   ammette
l'irripetibilita' in presenza di una serie di condizioni tra  cui  la
definitivita' del provvedimento. 
    4.4.) Sotto un altro  profilo  il  procedimento  di  liquidazione
delle pensioni pubbliche non presenta piu' quelle caratteristiche  di
particolare "affidabilita'" che nel caratterizzarlo rispetto a quello
delle private, ne giustificherebbe la differenziata disciplina. 
    Si intende fare riferimento al controllo esercitato  dalla  Corte
dei conti sulle pensioni statali dapprima in via preventiva (art. 23,
R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e 3, n. 8, legge 14 gennaio 1994, n 20),
poi in via successiva (art. 166 della legge n. 312/1980, ormai venuto
meno  con  il  superamento  della  predetta  fase  transitoria  e  il
definitivo accollo dell'onere pensionistico  a  carico  del  bilancio
Inps (Sezione centrale  controllo  di  legittimita'  sugli  atti  del
Governo n. 1/2011 e n. 2/2011). 
    Il rilievo e' di  non  poco  momento  ove  si  consideri  che  la
modificabilita' "condizionata" riguarda solo le pensioni  definitive,
vigendo per quelle provvisorie la regola opposta della modifica  sino
all'emanazione del provvedimento definitivo (art. 162, DPR n. 1092/73
e art. 6, decreto-legge n. 702/1978, conv. in legge n. 3/1979) e  che
il concetto di definitivo e'  legislativamente  legato  al  controllo
della Corte dei conti, stabilendosi che il termine di  decadenza  per
l'esercizio del potere  di  modifica  decorra  dalla  "registrazione"
(art. 205 cit.) e che "l'art. 206 si intende applicabile nel caso  in
cui il provvedimento definitivo di concessione  o  di  riliquidazione
della pensione, venga  modificato  con  altro  provvedimento  formale
soggetto a registrazione". (art. 3 della legge 7 agosto 1985, n. 428,
in sede di interpretazione autentica). 
    5)  Ne',  ad  avviso  del  remittente,  la  modificabilita',  per
qualsiasi ragione e senza limiti di tempo delle  pensioni  pubbliche,
al pari di quelle private,  andrebbe  a  confliggere  con  la  tutela
dell'affidamento, quale, ancorche'  non  espressamente  previsto  nei
trattati  europei  e  nella  Costituzione,  canone  fondamentale  nel
rapporto autorita'  -  liberta',  "parte  dell'ordinamento  giuridico
comunitario "(CGCE causa C-12/1977 del 13 maggio 1978  /Topefer)  nei
termini in cui  e'  recepito  nella  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia   della   Comunita'   europea   e   della   stessa    Corte
costituzionale. 
    In  primo  luogo,  aderendo  alla  prospettazione  seguita  dalla
giurisprudenza maggioritaria, va considerato che il  principio  della
tutela dell'affidamento non  puo'  essere  utilizzato  come  criterio
autonomo ma ricondotto  ai  principi  di  uguaglianza,  certezza  del
diritto e legalita'. 
    In particolare per quanto riguarda i rapporti  di  durata,  quale
indubbiamente e' quello  pensionistico,  la  Corte  di  giustizia  ha
circoscritto  la  tutela  dell'affidamento,  nella  declinazione   di
certezza  del  diritto,  nei  limiti  degli  effetti  giuridici  gia'
prodotti che non debbono essere incisi dall'atto sopravvenuto, ma  lo
ha escluso per quelli futuri non ancora prodotti.(CGCE n 373/1993). 
    Nella stessa direttiva la Corte costituzionale (sen. 12  dicembre
1985,  n.  349)  chiamata  a  pronunciarsi  sulla   legittimita'   di
interventi normativi  volti  a  introdurre  modifiche  in  peius  dei
trattamenti pensionistici con effetto retroattivo  ha  affermato  che
"nel nostro sistema costituzionale non e' interdetto  al  legislatore
di emanare  disposizioni  le  quali  modifichino  sfavorevolmente  la
disciplina dei rapporti di durata,  anche  se  il  loro  oggetto  sia
costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora  si  tratti
di disposizioni retroattive, il limite costituzionale  della  materia
penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni pero',  al
pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in  un
regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere  sulle  situazioni
sostanziali poste in essere da  leggi  precedenti,  frustrando  cosi'
anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto.  In  particolare   non   potrebbe   dirsi   consentita   una
modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata  del
rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo  stato
di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in  misura
notevole e in maniera  definitiva  un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita'". 
    Seguendo la stessa logica deve essere consentita la  modifica  di
un trattamento erroneamente calcolato a vantaggio (e specularmente  a
svantaggio)  del  pensionato,  salva  l'irripetibilita'   dei   ratei
percepiti in buona fede. 
    La necessita' di contemperare la tutela dell'affidamento con  gli
altri valori costituzionali e', del  resto,  implicitamente  espressa
anche dalla norma - art 21-nonies, legge n. 241/1990 come  modificato
dalla legge n. 15/2003 che (recependo i  principi  affermati  in  via
giurisprudenziale) subordina l'esercizio del potere  di  annullamento
del  provvedimento  illegittimo   alla   sussistenza   dell'interesse
pubblico. 
    Fermo restando che l'irripetibilita', salvo l'ipotesi  del  dolo,
dei ratei pensionistici indebitamente percepiti, prevista in entrambi
i settori (art 52, legge n 88/1989 come  interpretato  dall'art.  13,
legge 1991, n. 412; art. 206. T.U. n. 1092/73 e 8, legge  n.  428/89)
nell'ampio  spettro  risultante  dall'applicazione  giurisprudenziale
costituente   diritto   vivente,   integra    una    idonea    tutela
dell'affidamento del pensionato, che sostanzialmente non si  atteggia
diversamente a seconda che si tratti di un ex lavoratore  pubblico  o
privato. 
    6) D'altronde il principio  di  uguaglianza  "e'  colorito  dalle
disposizioni costituzionali operanti nel settore in cui il  principio
e' invocato e la violazione del medesimo e' lamentata". 
    Orbene non e' dubbio che la tutela apprestata dagli artt. 36 e 38
Cost. riguardino sia i lavoratori pubblici che privati, per cui  tali
norme  non  potrebbero  essere  utilmente  invocati   al   fine   di'
giustificare il mantenimento  di  una  disciplina  differenziata  tra
pensionati. 
    7) Per le medesime ragioni e'  ravvisabile  anche  la  violazione
dell'art. 97 della Costituzione, norma la cui  garanzia,  secondo  la
giurisprudenza  del  giudice  della  leggi  si  combina  con   quella
dell'art.  3  "implicando  lo   svolgimento   di   un   giudizio   di
ragionevolezza sulla legge censurata, nel senso che la violazione del
giudizio di ragionevolezza e' da ritenersi integrata dal tenore della
disposizione impugnata, nella misura in cui  riserva  una  disciplina
irragionevolmente e  arbitrariamente  favorevole  ai  pensionati  del
settore pubblico rispetto a quello privato". 
    Differenziata disciplina che, irragionevolmente, sottrae all'ente
previdenziale pubblico, in un momento di gravi difficolta' economiche
- finanziarie, di ricorrenti timori per la sostenibilita' del sistema
previdenziale e,  infine  in  una  prospettiva  futura  di  crescente
compressione dell'entita' delle prestazioni previdenziali  a  parita'
di contributi versati, la possibilita' di impedire il protrarsi,  per
un periodo di  tempo  indeterminato,  di  un  nocumento  patrimoniale
corrispondente  all'erogazione  di   un   trattamento   pensionistico
erroneamente calcolato. 
    Il tutto senza che nell'ambito di una  previsione  generale,  non
discriminante  in  relazione  all'entita'   dell'indebito   e/o   del
trattamento  pensionistico  correttamente  determinato,  la   lesione
dell'interesse  pubblico   trovi   un'adeguata   giustificazione   in
situazioni  economiche  e  sociali  del  pensionato  specificatamente
individuate e  non  apoditticamente  assunte  a  denominatore  comune
dell'intera categoria, comprendente anche soggetti titolari di  laute
ed eventualmente plurime pensioni. 
    8) Conclusivamente, pur considerata l'autonomia  istituzionale  e
finanziaria delle singole gestioni  ma  tenuto  conto  dell'identita'
della   funzione   retributiva,   del   processo    legislativo    di
omogeneizzazione  delle  pensioni  e,   soprattutto,   l'assenza   di
oggettive differenziazioni tra le situazione giuridiche regolate, sia
sotto il profilo della procedura seguita che sotto quello dei  valori
costituzionali  tutelati,  la  rilevata  diversita'  di   trattamento
giuridico e' da ritenere in contrasto con i principi  di  uguaglianza
ex art. 3 Cost.  e  di  buon  andamento  dell'azione  della  Pubblica
Amministrazione ex art 97 Cost. 
    Pertanto l'art 26 della legge 30  giugno  1967,  n.  315  e,  per
conseguenza, gli art 204 e 205 del DPR 29  dicembre  1973,  n.  1092,
nella parte in cui limitano la revoca e modifica del  trattamento  di
quiescenza liquidato in via definitiva ai soli casi ivi contemplati e
nei termini temporali indicati, integrano una violazione dei precetti
di cui agli  artt.  3  e  97  Cost.  per  contrasto  con  la  diversa
disciplina recata dall'art. 52 della legge 1988, n. 89  che,  invece,
consente la rettifica in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice  delle  pensioni  -  Sezione  giurisdizionale  per  la
regione Calabria; 
    Sospesa la definitiva pronuncia; 
    Visti gli artt. 134 Cost., 1, legge Cost. 9 febbraio 948, n. 1  e
23, comma 2, 3 e 4 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 3  maggio  1967,
n. 315, nonche' degli artt. 204 e 205 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.
1092, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui non
prevedono  che  i  provvedimenti  di  liquidazione   definitiva   del
trattamento di quiescenza possano essere "rettificati in ogni momento
dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di  qualsiasi  natura
commesso in sede di attribuzione, erogazione o  riliquidazione  della
prestazione"; 
    Ordina che a cura della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  nonche'  alle
parti in causa e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica; 
    Dispone l'immediata trasmissione a cura della  segreteria,  della
presente ordinanza alla Corte costituzionale, insieme con gli atti  e
la prova delle notificazioni e  delle  comunicazioni,  e  dispone  la
sospensione del  giudizio  sino  alla  comunicazione  dell'esito  del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 
 
    Data in Catanzaro in esito alla pubblica udienza del 29 settembre
2014. 
 
                      Il giudice delle pensioni 
                           Rossella Scerbo 
 
    Depositata in segreteria il 6 novembre 2014 
 
                  Il responsabile della cancelleria 
                           Gaetanina Manno