N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 luglio 2014
Ordinanza del 16 luglio 2014 del Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di Grasso Enrico. Reati e pene - Reato di omesso versamento di ritenute certificate - Fatti commessi sino al 17 settembre 2011 - Previsione di una soglia di punibilita' (50.000 euro) inferiore alla soglia di punibilita' (103.291,38 euro) prevista, a seguito della sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale, per il reato di omesso versamento IVA, con riferimento ai fatti commessi nello stesso periodo - Violazione del principio di uguaglianza. - Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis, inserito dall'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. - Costituzione, art. 3.(GU n.13 del 1-4-2015 )
TRIBUNALE DI LECCE Seconda Sezione Penale Ordinanza ex art. 23 legge cost. n. 87/1953 Il Giudice monocratico del Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Penale, letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, a carico di: Grasso Enrico, nato a Galatone il 2/7/1943, ivi residente in Contrada Toffo (domicilio dichiarato), libero, gia' contumace, difeso di fiducia dall'Avv. Luigi Rella del foro di Lecce, oggi sostituito per delega dall'Avv. Andrea Starace, imputato del reato di cui all'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 perche', in qualita' di rappresentante legale della societa' Stima S.r.l. con sede legale in Galatone, nella dichiarazione modello 770 semplificato 2007 presentata per l'anno d'imposta 2006, ometteva di versare (entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale 1/10/2007) ritenute operate per un ammontare di € 88.939, e quindi superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta; reato commesso in Calatone il 24 settembre 2007. Osserva Nel corso dell'odierna udienza il difensore del Grasso ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., con riferimento alla norma incriminatrice in contestazione (art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000), nella parte in cui individua in € 50.000 la soglia al di sopra della quale l'omesso versamento delle ritenute certificate assume rilevanza penale; si tratta, invero, di soglia irragionevolmente piu' bassa rispetto alle analoghe fattispecie incriminatrici di cui agli articoli 4, 5 e 10-ter del medesimo decreto. 1. - In fatto. Secondo quanto accertato dal verbalizzante escusso nel corso del dibattimento, all'epoca dei fatti in servizio presso l'Agenzia delle Entrate di Gallipoli, e secondo quanto cristallizzato nella documentazione in atti, l'odierno imputato Enrico Grasso, nella sua qualita' di amministratore unico e legale rappresentante della Stima S.r.l. corrente in Galatone, omise di versare all'Erario le ritenute operate nell'anno di imposta 2006, per un importo pari ad € 88.939. Il dato e' agevolmente ricavabile dai quadri ST e SX della dichiarazione mod. 770/2007 per l'anno 2006, presentata in via telematica il 24 settembre 2007, nei quali si elencano le ritenute operate dal Grasso ma non versate all'Erario, con indicazione dei relativi codici (codice 9361, relativo all'addizionale Irpef enti locali; codice 9080, relativo alle ritenute sui redditi da lavoro autonomo; codice 9050, relativo alle ritenute operate su retribuzioni e pensioni; codice 9061, relativo alle ritenute operate sulle indennita' di cessazione di rapporto di lavoro; codice 9053, relativo alle ritenute operate sulle indennita' e i compensi corrisposte da terzi a prestatori di lavoro dipendente; ecc.). 2. - La rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione. E' noto che la norma incriminatrice in contestazione - l'art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 - e' stata introdotta dall'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Trattasi di fattispecie che per l'appunto sanziona con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta. Quanto alla struttura del reato in contestazione, si osserva che il datore di lavoro, nella sua funzione di sostituto d'imposta, e' tenuto a corrispondere all'Erario le somme in relazione alle quali ha operato la ritenuta, e non puo' quindi liberarsi dal debito omettendo di accantonare le somme da ritenere da retribuzioni, indennita', compensi ed altro, neppure al fine di consegnarle direttamente al lavoratore: il meccanismo creato dalla legge consiste nell'affidare al datore di lavoro il compito di detrarre l'importo dell'imposta dalle somme erogate a titolo di retribuzione, indennita', compensi, ecc., e di corrisponderlo all'Erario quale sostituto del soggetto obbligato. Ne consegue che il sostituto d'imposta - che deve adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all'Erario cosi' come adempie a quello di pagare le retribuzioni, di cui le ritenute stesse sono parte - non puo' ritenersi liberato dall'obbligo ne' assumendo di non essersi direttamente interessato della gestione della societa' (cfr. per tutte Cass. Pen., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 18100 e sez. III, 6 aprile 2006, n. 22919), ne' tanto meno allegando una contingente situazione di difficolta' economica della societa': per questo non possono avere alcuna rilevanza in questa sede le piu' o meno floride condizioni economiche della societa' al momento del commesso reato, atteso che secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimita' lo stato di dissesto dell'imprenditore non elimina il carattere di illiceita' penale dell'omesso versamento delle ritenute; quando l'imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, decida ad esempio di dare preferenza al pagamento dei fornitori ovvero degli emolumenti ai dipendenti, omettendo il versamento delle ritenute all'Erario, non puo' addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato. Appare dunque irrilevante la circostanza che qualche tempo dopo la commissione dei fatti per i quali e' oggi processo, la Stima S.r.l. sia stata dichiarata fallita, con sentenza del 13 marzo 2008 del Tribunale di Lecce (in proposito il liquidatore della societa', dottor Massimo Bellantone, ha riferito, all'udienza dell'11 giugno 2014, che la societa' era gia' virtualmente in liquidazione perche' insolvente gia' intorno agli anni 2005-2006; il Bellantone precisava altresi' che i bilanci degli esercizi 2006 e 2007 si erano chiusi con forti perdite). Ove, dunque, dovesse darsi applicazione alla norma cosi' come oggi delineata (con la soglia di rilevanza penale pari ad € 50.000), il Grasso dovrebbe essere chiamato a rispondere del reato a lui ascritto. Tuttavia, secondo quanto correttamente rilevato dal difensore del Grasso, il quadro normativo nel quale si inserisce l'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 e' irragionevolmente diatonico. Ed invero con sentenza n. 80 dell'8 aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad € 103.291,38. La Corte ha in particolare rilevato un evidente difetto di coordinamento tra la soglia di punibilita' inerente al delitto che interessa e quelle relative ai delitti in materia di dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (dichiarazione infedele e omessa dichiarazione): difetto di coordinamento foriero di sperequazioni sanzionatorie che, per la loro manifesta irragionevolezza, rendono censurabile l'esercizio della discrezionalita' pure spettante al legislatore in materia di configurazione delle fattispecie astratte di reato (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2012, n. 273 e n. 47 del 2010). Il difetto di coordinamento e' ravvisabile in quanto: il delitto di dichiarazione infedele cui all'art. 4 decreto legislativo n. 74/2000 (che punisce chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi), prevedeva originariamente una soglia pari ad € 103.291,38 (la condotta aveva dunque rilevanza penale solo se l'imposta evasa risultasse superiore alla somma appena indicata); il delitto di omessa dichiarazione cui all'art. 5 decreto legislativo n. 74/2000 (che punisce chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte), esso prevedeva originariamente una soglia pari ad € 77.468,53 (la condotta aveva dunque rilevanza penale solo se l'imposta evasa risultasse superiore alla somma appena indicata). Ebbene, pur essendo dette due ipotesi certamente piu' gravi rispetto a quelle previste dagli articoli 10-bis e 10-ter decreto legislativo n. 74/2000 (rileva infatti la Corte Costituzionale nella citata sentenza 80/2014 che il contribuente che, al fine di evadere l'IVA, presenta una dichiarazione infedele, tesa ad occultare la materia imponibile, o non presenta affatto la dichiarazione, tiene una condotta certamente piu' «insidiosa» per l' amministrazione finanziaria - in quanto idonea ad ostacolare l'accertamento dell'evasione e, nel secondo caso, a celare la stessa esistenza di un soggetto di imposta - rispetto a quella del contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, omette di versare l'imposta da lui stesso auto liquidata), l'assetto disegnato dal legislatore prevedeva per quelle due condotte soglie di rilevanza penale piu' basse rispetto a quelle previste dagli articoli 10-bis e 10-ter, pari ad € 50.000. Cio' comportava conseguenze palesemente illogiche: nel caso in cui l'imposta sul valore aggiunto dovuta dal contribuente fosse compresa nell'intervallo tra le due soglie di cui agli articoli 10-ter e 4 (fosse, cioe', superiore ad € 50.000, ma inferiore ad € 103.291,38), veniva ad essere trattato in modo deteriore il contribuente che avesse esposto fedelmente la propria situazione in dichiarazione, salvo poi a non versare l'imposta di cui si era riconosciuto debitore, rispetto al debitore che avesse presentato una dichiarazione inveritiera (nel primo caso, il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento dell'IVA, stante il superamento della relativa soglia di punibilita'; nel secondo sarebbe rimasto invece esente da pena, non risultando attinto il limite di rilevanza penale dell'infedele dichiarazione); nel caso in cui l'imposta sul valore aggiunto dovuta dal contribuente fosse compresa nell'intervallo tra le due soglie di cui agli articoli 10-ter e 5 (fosse, cioe', superiore ad € 50.000, ma inferiore ad € 77.468,53), veniva ad essere trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente la dichiarazione IVA, senza versare l'imposta dovuta in base ad essa, rispetto a chi non avesse affatto presentato la dichiarazione, evadendo del pari l'imposta (nel primo caso, il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di omesso versamento dell'IVA, stante il superamento della relativa soglia di punibilita'; nel secondo sarebbe rimasto invece esente da pena, non risultando attinto il limite di rilevanza penale dell'omessa dichiarazione). A queste palesi incongruita' il legislatore ha posto rimedio con l'art. 2, comma 36-vicies semel, introdotto in sede di conversione del d.l. n. 138/2011, che ha ridotto la soglia di punibilita' dell'omessa dichiarazione ad € 30.000, e quella della dichiarazione infedele ad € 50.000; la norma tuttavia - in quanto piu' sfavorevole - puo' evidentemente trovare applicazione solo per i fatti successivi all'entrata in vigore della legge di conversione (17 settembre 2011): il che lascia inalterata la situazione di irragionevole disparita' di trattamento in relazione ai fatti pregressi. Orbene, con riferimento al delitto di cui all'art. 10-ter la Corte Costituzionale ha rimosso detta incongruita' con la sentenza n. 80/2014, rilevando che al fine di rimuovere nella sua interezza la riscontrata duplice violazione del principio di eguaglianza e' necessario evidentemente allineare la soglia di punibilita' dell'omesso versamento dell'IVA - quanto ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 - alla piu' alta fra le soglie di punibilita' delle violazioni in rapporto alle quali si manifesta l'irragionevole disparita' di trattamento: quella, cioe', della dichiarazione infedele (euro 103.291,38): e dunque la norma incriminatrice e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima proprio in questi termini (nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad € 103.291,38). In relazione all'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 - la cui soglia di rilevanza penale e' rimasta immutata in € 50.000 - residua invece, per le condotte tenute fino al 17 settembre 2011, un assetto normativo chiaramente lesivo del principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 Cost. determinandosi, secondo quanto si e' fin qui illustrato, il paradossale risultato di riservare un trattamento meno favorevole a chi ha tenuto una condotta meno lesiva degli interessi del fisco. Deve da ultimo essere evidenziato che, ove la presente questione di legittimita' costituzionale venisse accolta, il Grasso dovrebbe essere assolto del reato a lui ascritto, essendogli contestato l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per l'anno di imposta 2006 per un ammontare pari ad € 88.939 (inferiore, dunque, ad € 103.291,38). Alla luce delle considerazioni su esposte appare pertanto rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000 in relazione all'art. 3 Cost.
P.Q.M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis decreto legislativo n. 74/2000, in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, dovute in base alla relativa dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad € 50.000 per ciascun periodo di imposta. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Dispone che la presente ordinanza sia notificata al sig. Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al sig. Presidente della Camera dei Deputati ed al sig. Presidente del Senato. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti. Cosi' deciso in Lecce all'udienza del 16 luglio 2014. Il giudice: dott. Michele Toriello