N. 66 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 dicembre 2014

Ordinanza  del  15  dicembre  2014  del  Tribunale  di   Teramo   nel
procedimento penale a carico di Pulcini Stefano. 
 
Reati e pene - Reato di omesso versamento di ritenute  certificate  -
  Mancata previsione, con riferimento ai fatti commessi  fino  al  17
  settembre 2011, di una soglia di punibilita' di euro  103.291,38  -
  Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per  il  reato
  di omesso versamento IVA, a seguito della sentenza n. 80  del  2014
  della Corte costituzionale. 
- Decreto legislativo 10 marzo 2000, n.  74,  art.  10-bis,  inserito
  dall'art. 1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.17 del 29-4-2015 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI TERAMO 
                           Sezione Penale 
                              ordinanza 
                   Ex art. 23, L.11.3.1953, n. 87 
 
    Il Tribunale monocratico, nel procedimento di  cui  in  epigrafe,
nei confronti di Pulcini Stefano in atti generalizzato; 
    Vista  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis, decreto legislativo n. 74/2000, sollevata in via  preliminare
dalla difesa dell'imputato, e letta la memoria difensiva  allegata  a
sostegno; 
    Sentito il P.M. che si e' rimesso; 
 
                            O s s e r v a 
 
    Rilevanza della questione. 
    La difesa  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis, d.lgs. n. 74/2000 per contrasto con l'art.  3  Cost.  per  il
trattamento ingiustificatamente deteriore riservato alle condotte ivi
punite rispetto a quello previsto, fino al 17 settembre 2011,  per  i
piu' gravi reati di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. cit.  e  rispetto  a
quello previsto, sempre nel medesimo periodo temporale, per il  reato
di cui all'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/2000 (cosi'  come  risultante  a
seguito della sentenza della Corte cost. n. 80 del 2014). 
    Ritiene dunque che l'art. 10-bis, decreto legislativo citato deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui,
con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011,  punisce
l'omesso versamento da parte del sostituto d'imposta  delle  ritenute
certificate rilasciate ai  sostituiti,  per  importi  superiori,  per
ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38. 
    La  questione  e'  rilevante  perche'   nel   presente   processo
l'imputato e' stato citato in giudizio per rispondere  del  reato  di
cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 «per aver  omesso  di  versare
entro il termine previsto per la dichiarazione annuale  di  sostituto
d'imposta le ritenute risultanti dalle certificazioni  rilasciate  ai
sostituiti per l'anno 2010 per un ammontare  di  euro  60.108,00.  In
Bonavigo (VR) il 22 agosto 2011». 
    Dunque se la  questione  di  costituzionalita',  che  di  seguito
verra' illustrata, venisse accolta l'imputato dovrebbe essere assolto
perche' il fatto contestatogli  non  costituirebbe  piu'  reato.  Non
sussistono del resto ragioni per un proscioglimento immediato ex art.
129 c.p.p. 
    Non manifesta infondatezza della questione. 
    Per illustrare la  non  manifesta  infondatezza  della  questione
occorre prendere le mosse della sentenza della  Corte  costituzionale
n. 80 dell'8 aprile 2014, che ha dichiarato, per violazione dell'art.
3 Cost., l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-ter del  d.lgs.
n. 74/2000, nella parte in cui, con  riferimento  ai  fatti  commessi
sino al 17 settembre  2011,  punisce  l'omesso  versamento  dell'IVA,
dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per  importi  non
superiori, per ciascun periodo d'imposta, ad 103.291,38. 
    Nella sentenza la Corte evidenzia innanzitutto che la  previsione
punitiva di cui all'art 10-ter cit. «protegge l'interesse  del  fisco
alla riscossione dell'imposta cosi' come autoliquidata  dallo  stesso
contribuente», in quanto presupposto della sua applicazione e' che il
soggetto di imposta abbia presentato la  dichiarazione  annuale  IVA,
dalla quale risulti un saldo debitorio superiore a 50.000 euro, senza
che sia seguito il pagamento, entro il termine previsto, della  somma
ivi indicata come dovuta. 
    A fronte  di  cio'  la  Corte  rileva  un  evidente  «difetto  di
coordinamento» tra la soglia di punibilita' del reato de quo e quelle
relative ai reati di cui agli artt. 4 e 5, d.lgs. cit.  (prima  delle
modifiche legislative intervenute nel settembre  2011),  «foriero  di
sperequazioni   sanzionatorie   che,   per    la    loro    manifesta
irragionevolezza,    rendono    censurabile     l'esercizio     della
discrezionalita'  pure  spettante  al  legislatore  in   materia   di
configurazione delle fattispecie astratte di reato». 
    Ed invero l'art.  5,  d.lgs.  cit.  inizialmente  puniva  con  la
reclusione da 1 a 3 anni l'omessa presentazione  della  dichiarazione
annuale dei redditi o IVA, al fine di evadere dette  imposte,  quando
l'imposta evasa fosse  superiore,  con  riferimento  a  talune  delle
singole imposte, ad € 77.468,53. 
    L'art. 4, d.lgs. cit. a sua volta puniva, sempre ab origine,  con
la medesima pena dell'art. 5, la presentazione di  una  dichiarazione
dei redditi o IVA infedele,  al  fine  di  evasione  fiscale,  quando
l'imposta evasa fosse superiore ad € 103.291,38. 
    Cio' comportava, secondo il giudizio della Corte, una conseguenza
palesemente illogica, nel caso in cui l'IVA dovuta  dal  contribuente
si situasse nell'intervallo tra la soglia  di  punibilita'  dell'art.
10-ter da un lato e quelle degli artt. 4 e 5 dall'altro,  poiche'  ne
conseguiva  un  trattamento  deteriore  per  chi  aveva  regolarmente
presentato una  fedele  dichiarazione  IVA  senza  versare  l'imposta
dovuta e autoliquidata, rispetto a chi non aveva  neanche  presentato
la dichiarazione o l'aveva  presentata  inveritiera,  senza  comunque
versare l'imposta. 
    Ed infatti, con riguardo all'art. 5 cit., nel caso in  cui  l'IVA
dovuta dal contribuente eccedesse i 50.000 euro ma non  i  77.468,53,
«veniva trattato in modo deteriore chi avesse presentato regolarmente
la dichiarazione IVA, senza versare l'imposta dovuta, rispetto a  chi
non avesse presentato la dichiarazione, evadendo del pari  l'imposta.
Nel primo caso il contribuente avrebbe dovuto rispondere del reato di
omesso versamento IVA, stante il superamento della soglia, mentre nel
secondo sarebbe rimasto esente da pena, non  risultando  superata  la
soglia». 
    E parimenti, nel confronto con l'art. 4 cit.,  nel  caso  in  cui
l'IVA da versare si collocasse tra i  50.000  e  i  103.291,38  euro,
«fruiva di un miglior trattamento il contribuente che presentasse una
dichiarazione inveritiera (non punibile per mancato superamento della
soglia), rispetto al contribuente che esponesse invece fedelmente  la
propria  situazione  in  dichiarazione,  salvo  poi  a  non   versare
l'imposta di cui si era riconosciuto debitore». 
    La Corte osservava  quindi  che  «la  lesione  del  principio  di
uguaglianza  ...  e'  resa   manifesta   dal   fatto   che   l'omessa
dichiarazione e  la  dichiarazione  infedele  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del fisco, rispetto all'omesso versamento dell'IVA: e  cio'
nella  stessa  considerazione  del  legislatore,  come   emerge   dal
raffronto delle rispettive pene edittali». 
    Il  sistema  sopra  delineato  rivelava  dunque  un'irragionevole
disparita' di trattamento, stabilendo  un  trattamento  sanzionatorio
meno favorevole per condotte  «trasparenti»,  in  cui  l'inadempienza
tributaria e' resa palese dallo stesso contribuente ed immediatamente
percepibile per il Fisco, quindi  meno  lesive  degli  interessi  del
fisco stesso rispetto a condotte piu' insidiose (come quelle  di  cui
agli artt. 4 e 5 cit.) poiche' idonee  ad  ostacolare  l'accertamento
dell'evasione. 
    Ed invero,  plausibilmente  proprio  per  far  venire  meno  tale
incongruenza, con d.l. n. 138/2011 (conv. in legge 14 settembre 2011,
n.  148)  il  legislatore  e'  intervenuto  riducendo  la  soglia  di
punibilita' dei reati di  omessa  dichiarazione  e  di  dichiarazione
infedele, rispettivamente  ad  30.000  (importo  inferiore  a  quello
dell'art. 10-ter) e ad e 50.000 (importo uguale  a  quello  dell'art.
10-ter). «In tal modo», osserva  la  Corte  «la  distonia  e'  venuta
meno». 
    Tali modifiche tuttavia, essendo  di  segno  sfavorevole  al  reo
(all'abbassamento delle soglie corrisponde, infatti,  un  ampliamento
dell'area di rilevanza penale), risultano applicabili ai  soli  fatti
successivi alla data di entrata in vigore  della  relativa  legge  di
conversione (17 settembre 2011). 
    Ne  conseguiva  che  per  i  fatti  precedenti,  la  lesione  del
principio di uguaglianza continuava a sussistere. Da qui la pronuncia
di  incostituzionalita'  dell'art.  10-ter,  d.lgs.  cit.,  che,  per
rimuovere  la  suddetta  disuguaglianza,  con  riferimento  ai  fatti
anteriori al 17 settembre 2011, ha elevato la soglia  di  punibilita'
del reato de qua, allineandola  alla  piu'  alta  fra  le  soglie  di
punibilita' delle violazioni in rapporto alle  quali  si  manifestava
l'irragionevole disparita' di trattamento, ossia quella relativa alla
dichiarazione infedele. 
    Premesso tutto  cio'  si  ritiene  che,  per  ragioni  del  tutto
analoghe, la lesione del principio di uguaglianza, sancito  dall'art.
3 Cost., sussista anche con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 
    10-bis, d.lgs. cit., sia nel raffronto con i reati  di  cui  agli
artt. 4 e 5, d.lgs.  cit.  nella  formulazione  previgente,  sia  nel
raffronto col reato di cui all'art. 10-ter, d.lgs. cit.,  cosi'  come
risultante a seguito della citata sentenza della Corte  cost.  n.  80
del 2014. 
    L'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/00  (introdotto  dall'art.  1,  comma
414, legge 30 dicembre 2004, n. 311) punisce con la reclusione  da  6
mesi  a  2  anni,  l'omesso  versamento  di  ritenute  effettuate   e
certificate, entro il termine previsto  per  la  presentazione  della
dichiarazione  annuale  di  sostituto  d'imposta,  per  un  ammontare
superiore ad € 50.000 per ciascun periodo d'imposta. 
    L'art. 10-ter, d.lgs. n. 74/00  (inserito  nel  medesimo  decreto
dall'art. 35, comma 7, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. nella  legge
4 agosto 2006, n. 248), in relazione al reato  tributario  di  omesso
versamento  IVA,  richiama  testualmente  la  disposizione  dell'art.
10-bis applicando la stessa soglia di punibilita'  (50.000  euro)  ed
uguale trattamento sanzionatorio al contribuente  che  non  versi  il
debito IVA, dovuto in base alla  dichiarazione  annuale  regolarmente
presentata, entro il termine per il versamento dell'acconto  relativo
al periodo d'imposta successivo. 
    Come  evidenziato  anche  dalla  S.  C,  a  sezioni  unite,   «la
fattispecie di cui all'art. 10-ter e' modellata esattamente su quella
di cui all'art. 10-bis prevedendo la stessa pena, la stessa soglia di
punibilita' e un  momento  consumativo  del  reato  collegato  ad  un
termine di adempimento ben determinato» e quindi il comportamento del
soggetto  che  non  versa  l'IVA  e'  del   tutto   «assimilato   dal
legislatore, sotto il profilo sanzionatorio, a quello  del  sostituto
d'imposta che non versa le ritenute risultanti  dalla  certificazione
rilasciata ai sostituiti» (v. Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2013, n.
37424). 
    Le due fattispecie hanno eguale struttura.  Entrambi  sono  reati
omissivi propri, istantanei e  di  mera  condotta,  con  uguale  bene
giuridico  -  l'interesse  dell'Erario  alla  corretta  e  tempestiva
riscossione  delle  somme  dovute  dal   contribuente,   cosi'   come
autoliquidate o certificate dal medesimo  -  ed  entrambi  richiedono
l'elemento soggettivo del dolo  generico,  diversamente  dalle  altre
fattispecie criminose considerate nel  d.lgs.  n.  74/2000,  tra  cui
l'omessa dichiarazione ex art. 5 e la dichiarazione infedele ex  art.
4 che richiedono il dolo specifico del fine di evadere le imposte. 
    Non pare dubbio dunque che i reati di omessa dichiarazione  (art.
5) e  di  dichiarazione  infedele  (art.  4)  costituiscono  illeciti
incontestabilmente piu' gravi, sul piano dell'attitudine lesiva degli
interessi del fisco, non solo rispetto all'omesso versamento dell'IVA
ma anche rispetto all'omesso versamento  delle  ritenute  certificate
dei sostituti d'imposta, e cio' anche  «nella  stessa  considerazione
del legislatore, come emerge  dal  raffronto  delle  rispettive  pene
edittali». 
    Anche nell'ipotesi dell'art. 10-bis, d.lgs. cit. la condotta  del
contribuente e' in qualche modo  trasparente  (qui  la  somma  dovuta
all'Ereario non e' autoliquidata  in  dichiarazione,  come  nel  caso
dell'IVA, ma  comunque  e'  certificata,  e  quindi  dichiarata,  dal
sostituto  d'imposta  ai  soggetti  sostituiti  e  dunque  facilmente
accertabile dal fisco) e di certo meno  lesiva  degli  interessi  del
fisco rispetto alle condotte piu' insidiose  (perche'  fraudolente  o
occulte) previste negli artt. 4 e 5 cit., per  cui  e'  irragionevole
che, per i fatti commessi fino al 17 settembre 2011, sia operante per
il reato ex art. 10-bis, d.lgs. cit. una soglia di  punibilita'  piu'
bassa rispetto agli altri due reati. 
    Dunque, le stesse ragioni di disuguaglianza che la Corte cost. ha
rilevato per le condotte  punite  ex  art.  10-ter,  d.lgs.  cit.  si
ritiene che  valgano  parimenti  per  le  condotte  punite  ai  sensi
dell'art. 10-bis, d.lgs. cit., non essendo sufficiente a giustificare
la disparita' di trattamento la circostanza che si tratta  di  debiti
fiscali di natura diversa (in un caso l'IVA e nell'altro le  ritenute
effettuate dai sostituti d'imposta), posto che  in  entrambi  i  casi
l'intresse tutelato e' quello dell'Erario  di  ricevere  nei  termini
previsti dalla legge gli importi dovuti dal soggetto d'imposta. 
    Ma profili di disuguaglianza e di disparita'  di  trattamento  si
rilevano anche ponendo a confronto direttamente l'art. 10-bis, d.lgs.
cit. con l'art. 10-ter, d.lgs. cit. cosi' come modificato dalla Corte
costituzionale. 
    Per quanto  gia'  detto  sopra,  il  legislatore  ha  chiaramente
considerato sullo stesso piano di  gravita'  le  due  fattispecie  di
reato e ha inteso punirle nello stesso  modo,  tanto  che,  oltre  ad
avere una stessa struttura, i due reati sono  puniti  con  la  stessa
pena e hanno (o meglio avevano in  origine)  la  medesima  soglia  di
punibilita'.  L'intervento  della  Corte  cost.,  che,  per  i  fatti
commessi fino al  17  settembre  2011,  ha  innalzato  la  soglia  di
punibilita' del reato ex art. 10-ter (per eliminare la disparita'  di
trattamento rispetto ai reati ex artt. 4 e 5, d.lgs. cit.), ha dunque
comportato un evidente disallineamento tra i  due  reati,  perche'  -
sempre limitatamente ai  fatti  commessi  entro  il  suddetto  limite
temporale - l'omesso versamento delle ritenute certificate e'  punito
gia'  se  si  supera  la  soglia  di  50.000  curo,  mentre  l'omesso
versamento dell'IVA dichiarata e' punita solo se si supera la soglia,
ben piu' rilevante, di 103.291,38 euro. 
    Vi e' dunque una irragionevole disparita' di trattamento, sebbene
temporalmente limitata, rispetto a condotte di reato che  sono  state
considerate invece dal legislatore del tutto assimilabili  sul  piano
della lesivita' degli interessi del fisco e che pertanto erano  state
parificate  in  tutti   gli   elementi,   compreso   il   trattamento
sanzionatorio. 
    L'irragionevolezza  dell'attuale  assetto  normativo  si   coglie
ulteriormente nel rilievo che,  per  le  condotte  successive  al  17
settembre 2011, i due reati - ex art.  10-bis  e  10-ter,  d.lgs.  n.
74/00 - tornano ad  essere  nuovamente  perfettamente  equivalenti  e
allineati (con la medesima soglia di punibilita' di 50.000 euro).  Il
che significa che il trattamento per chi  commette  fatti  rientranti
nelle due norme incriminatrici e' del tutto identico se  le  condotte
vengono realizzate successivamente al 17 settembre  2011,  mentre  il
trattamento di chi commette un fatto ex art. 10-bis e chi un fatto ex
art. 10-ter e' significativamente diverso se le condotte  sono  state
commesse fino al 17 settembre 2011. Ed e' evidente che  non  vi  sono
ragioni che giustifichino tale anomala e diseguale disciplina. 
    Solo un ulteriore intervento della  Corte  costituzionale  -  che
dichiari  l'illegittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  10-bis,
d.lgs. cit. nella parte in cui, con  riferimento  ai  fatti  commessi
fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute
risultanti dalla certificazione rilasciata ai  sostituiti  anche  per
importi non superiori ad euro 103.291,38 - puo' dunque ricondurre  ad
equita' il complessivo sistema  dei  reati  tributari  delineato  dal
d.lgs. n. 74/2000. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23,  legge
11 marzo 1953, n. 87, 159 c.p. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost.,  della
norma di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 nella parte  in  cui,
con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011,  punisce
l'omesso versamento delle ritenute  risultanti  dalla  certificazione
rilasciata ai sostituiti  per  importi  non  superiori,  per  ciascun
periodo di imposta, ad euro 103.291,38. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale sospendendo il giudizio in corso. 
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  l'ordinanza,  letta  in
pubblica  udienza  alla  presenza  delle  parti,  sia  notificata  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  al  Presidente
della  Camera  dei  deputati  e  al  Presidente  del   Senato   della
Repubblica. 
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti. 
        Teramo, 15 dicembre 2014 
 
                        Il Giudice: Biscardi