N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2014

Ordinanza del 18 novembre 2014 del Tribunale di Roma nei procedimenti
civili riuniti promossi da Vita Silvana contro Miraglia Marco. 
 
Locazione  di  immobili  urbani  -  Contratti  di  locazione  ad  uso
  abitativo registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto
  legislativo 14 marzo 2011, n. 23 - Previsione di salvezza, fino  al
  31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici
  sorti sulla base di essi - Denunciata finalita' di prorogare,  sino
  alla data predetta, l'applicazione  delle  disposizioni  dichiarate
  costituzionalmente  illegittime  dalla  Corte  costituzionale   con
  sentenza n.  50  del  2014  -  Protrazione  della  regolamentazione
  stabilita  da  tali  disposizioni  per  i  rapporti  di   locazione
  tardivamente registrati - Elusione del giudicato  costituzionale  -
  Irragionevole transitorieta' della previsione in esame - Violazione
  del principio di eguaglianza, per  disparita'  di  trattamento  tra
  contratti di locazione registrati tardivamente entro o dopo la data
  di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza  succitata  -
  Violazione del "principio dell'intangibilita'  del  c.d.  giudicato
  formale di incostituzionalita'". 
- Decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con  modificazioni,
  dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, art. 5, comma 1-ter. 
- Costituzione, artt. 3, 136 e 137, comma terzo. 
(GU n.20 del 20-5-2015 )
 
                     TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA 
                        Sezione Sesta Civile 
 
    Il  tribunale,  in  persona  del  giudice   dott.ssa   Alessandra
Imposimato,  sciogliendo  la  riserva  assunta  all'udienza  del   18
settembre 2014, con termine  per  note  illustrative  scaduto  il  10
ottobre 2014, visti gli atti e  i  documenti  allegati  ai  fascicoli
delle  cause  riunite  iscritte  al  n.  49464/2012  r.g.  ed  al  n.
81642/2012 r.g., aventi rispettivamente ad  oggetto  «intimazione  di
licenza  per  finita  locazione»  ed  «intimazione  di  sfratto   per
morosita'», e pendenti tra Vita Silvana (parte  attrice)  e  Miraglia
Marco (parte convenuta) 
 
                               Osserva 
 
    1.  Sussistono  le   condizioni   per   rimettere,   alla   Corte
costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 5 comma  1-ter
del D.L. n. 47 del 28 marzo 2014, come convertito - con modificazioni
-  dalla  L.  n.  80  del  23  maggio  2014,   apparendo   essa   non
manifestamente infondata, nonche' rilevante  ai  fini  del  decidere.
Cio' per quanto di seguito esposto. 
    2. Con atto di citazione notificato in data 9  febbraio  2012  la
sig.ra Vita Silvana intimava, a Miraglia Marco,  licenza  per  finita
locazione dall'immobile in Roma via Colli  della  Farnesina  n.  144,
piano 2°, interno 9, alla scadenza del 31 dicembre 2012, o  a  quella
diversa data ritenuta di giustizia. 
    A motivo della domanda,  assumeva  di  avere  stipulato,  con  il
convenuto, un contratto di locazione abitativa per la durata  di  due
anni a decorrere dal 1° gennaio 2005, con  facolta'  di  rinnovo  per
altri dodici mesi; evidenziava che tale  contratto  era  peraltro  da
ricondurre ex lege alla durata di  quattro  anni  +  quattro  dal  1°
gennaio 2005 (ex comb. disp. artt. 2 comma 1 e 13  L.  n.  431/1998),
non essendo  stato  concluso  rispettando  le  prescrizioni  dettate,
dall'art. 5 L. n. 431/1998, per i contratti transitori; esponeva che,
con raccomandata ricevuta il 13  luglio  2011,  aveva  comunicato  al
conduttore la  disdetta  del  contratto  per  la  (seconda)  scadenza
(quadriennale) del 31 dicembre 2012; concludeva affermando  di  avere
interesse a premunirsi di un titolo giudiziale, in  caso  di  mancato
spontaneo rilascio dell'immobile alla scadenza prevista, da parte del
conduttore. 
    Il convenuto si costituiva all'udienza di convalida, ed  eccepiva
che il rapporto locativo in essere tra le parti  non  fosse  regolato
dal contratto indicato dalla parte attrice. 
    Evidenziava in particolare che  il  contratto  dedotto  a  titolo
della domanda, concluso in data 21  dicembre  2004,  fosse  stato  in
realta' «superato» da altri due  contratti  «gemelli»  stipulati,  lo
stesso giorno (23 settembre 2006), entrambi per la durata di due anni
a decorrere dal 1° gennaio 2007, in realta' da ricondurre alla durata
legale minima dei contratti  a  canone  libero,  di  quattro  anni  +
quattro (artt. 2 comma 1 e 13 L. n. 431/1998), tutti e  due  relativi
allo stesso immobile (gia' in detenzione al convenuto in forza di  un
precedente contratto), difformi tra loro  solo  nell'indicazione  del
canone dovuto dal conduttore, ma identici quanto a tutto il  restante
programma negoziale; di questi due contratti  l'uno,  tempestivamente
registrato in data 1° febbraio 2007, indicava il canone di € 1.500,00
mensili; l'altro, non registrato, riportava il canone di €  1.700,00;
la sottoscrizione di due contratti di  locazione  difformi  tra  loro
esclusivamente quanto alla misura del canone  mensile  sarebbe  stata
intesa, secondo prospettazione del convenuto, sia a dissimulare parte
del canone, in realta' pari alla sommatoria dei  canoni  indicati  in
ciascuno dei due  documenti  (totali  €  3.200,00  mensili),  essendo
denunciato al  Fisco  solo  il  contratto  concluso  per  €  1.500,00
mensili,   sia   a   lasciare   traccia   documentale    dell'accordo
simulatorio/integrativo raggiunto tra le parti  per  la  quota  di  €
1.700,00 mensili, che il conduttore avrebbe continuato a versare  «in
nero». 
    Il convenuto aggiungeva che,  una  volta  entrato  in  vigore  il
d.lgs.vo n. 23  del  14  marzo  2011  («Disposizioni  in  materia  di
federalismo Fiscale Municipale»), e decorso il termine di «moratoria»
assegnato, dall'art. 3 [«cedolare secca sugli affitti»] comma 10, del
ridetto decreto legislativo (per evitare  l'applicazione  del  regime
sanzionatorio di cui ai commi 8 e 9  del  medesimo  art.  3,  su  cui
infra), aveva provveduto motu proprio a registrare, presso  l'Agenzia
delle Entrate, anche il contratto riportante l'indicazione del canone
di € 1.700,00 mensili talche', all'esito di tale denunzia, avutasi il
22 dicembre 2011, il contratto di locazione (stipulato per  effettivi
€ 3.200,00 mensili, ma registrato tempestivamente per la  sola  quota
parte di € 1.500,00),  avrebbe acquisito la durata legale di  quattro
anni +  quattro  dalla  data  della  registrazione,  e  quindi  prima
scadenza al 22 dicembre 2015, cio' ai  sensi  dell'art.  3  combinato
disposto commi 8 e 9 lett. a)  del  d.lgs.vo  n.  23/2011.  Per  tali
ragioni il convenuto chiedeva respingersi la domanda dell'attore, con
il favore delle spese della lite. 
    A fronte di  tale  ricostruzione  dei  fatti,  la  parte  attrice
assumeva che il contratto sottoscritto per il canone  di  €  1.700,00
non avrebbe avuto la  funzione  di  lasciare  traccia  del  patto  di
dissimulazione di parte del canone, ma avrebbe documentato un'ipotesi
negoziale rimasta «lettera morta», non rispondente all'accordo  delle
parti, ne' mai portato in esecuzione; l'attore  ammetteva,  peraltro,
che  il  rapporto  inter  partes   traesse   titolo   dal   documento
contrattuale sottoscritto per il  canone  di  €  1.500,00  mensili  e
tempestivamente registrato,  e  chiedeva  pertanto  al  tribunale  di
accertare la (ventura) cessazione di tale contratto, stipulato per la
durata di  quattro  anni  a  decorrere  dal  1°  gennaio  2007,  alla
(seconda) scadenza del 31 dicembre 2014. 
    3. Premesso quanto sopra, il tribunale e'  chiamato  a  stabilire
quando cessera' il rapporto locativo inter  partes,  che  secondo  le
diverse tesi trarrebbe titolo vuoi dal contratto riportante il canone
di € 1.500,00 mensili (all. 5  alla  comparsa  di  risposta  Miraglia
Marco nella lite n. 15333/2012 r.g., ora n.  49464/2012  r.g.),  vuoi
dalla combinatoria dei contratti «gemelli» riportanti rispettivamente
il canone di € 1.500,00 mensili (all. 5 cit.),  ed  il  canone  di  €
1.700,00 mensili (all. 6 alla comparsa di risposta Miraglia Marco nel
giudizio n. 15333/2012 r.g., ora n. 49464/2012 r.g.). 
    Come gia' detto l'attore sostiene che l'unico  contratto  tuttora
vigente sia quello stipulato al canone di € 1.500,00 mensili, per  la
durata di quattro anni a decorrere dal 1° gennaio  2007,  che  veniva
tempestivamente registrato in data 1° febbraio 2007, come fatto  fede
dal timbro apposto, dall'Agenzia delle Entrate, riportante il  numero
di protocollo e data di registrazione (v. all. 5 cit.). 
    Il convenuto assume che, secondo il  programma  negoziale  voluto
dalle parti, il canone effettivo dovuto a decorrere  dal  1°  gennaio
2007 sarebbe stato di € 3.200,00 mensili, superiore a quello indicato
nel  contratto  tempestivamente  denunziato  al  Fisco  (€   1.500,00
mensili); pertanto,  per  effetto  della  tardiva  registrazione  del
contratto integrativo del contratto gia' registrato (all. 6 cit.), il
conduttore  avrebbe  diritto  di   beneficiare   delle   disposizioni
eterointegrative di cui all'art. 3 commi 8 e 9, i  cui  effetti  sono
stati oggi perpetuati sino alla data 31 dicembre  2015,  dall'art.  5
comma 1-ter D.L. n. 47/2014, convertito con modificazioni  in  L.  n.
80/2014. 
    4. Non v'e' dubbio che la questione che il tribunale  ritiene  di
demandare allo scrutinio della Corte costituzionale sia rilevante  ai
fini del decidere. 
    Va infatti premesso che: 
        l'art. 3 del d.lgs.vo  n.  23/2011,  pubblicato  in  Gazzetta
Ufficiale n. 67 del  23  marzo  2011,  introduttivo  di  un  sistema,
alternativo al regime ordinario vigente, di  tassazione  del  reddito
ritratto dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo (c.d.
cedolare  secca  sugli  affitti),  al  comma  8  cosi'   testualmente
prescriveva: 
        «8.  Ai  contratti  di  locazione  degli  immobili   ad   uso
abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i  presupposti,  non
sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la
seguente disciplina: 
          a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a
decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; 
          b) al rinnovo si applica la disciplina di cui  all'art.  2,
comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; 
          c) a decorrere  dalla  registrazione  il  canone  annuo  di
locazione  e'  fissato  in  misura  pari  al  triplo  della   rendita
catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al  75  per
cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al  consumo  per  le
famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone
inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». 
    Pare chiaro a chi scrive l'intento del legislatore  di  «colmare»
il vuoto normativo  lasciato  dall'art.  1  comma  346  della  L.  n.
311/2004, a tenore del quale: 
        «I contratti  di  locazione,  o  che  comunque  costituiscono
diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero  di  loro
porzioni,  comunque  stipulati,  sono  nulli   se,   ricorrendone   i
presupposti, non sono registrati». 
    Nell'interpretazione ed applicazione data,  dalla  giurisprudenza
di merito, della norma da ultimo riportata (art. 1 comma  346  L.  n.
311/2004) sta infatti buona parte delle ragioni della  nascita  delle
disposizioni sanzionatorie contenute  nell'art.  3  del  d.lgs.vo  n.
23/2011, che e' oggetto di esame. 
    Cio' in quanto: 
        l'art. 1  comma  346  L.  n.  311/2004,  tutt'oggi  operante,
collega la nullita' del  contratto  esclusivamente  alla  sua  omessa
registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui  il  contratto
sia registrato oltre il termine (trenta giorni) prescritto  dall'art.
17  DPR  n.  131/1986  (di  approvazione  del  «Testo   Unico   delle
disposizioni concernenti l'imposta di registro»); 
        in assenza di esplicita sanzione di nullita' per il  caso  di
registrazione tardiva, i giudici di merito, e tra essi  il  tribunale
di  Roma,  avevano  argomentato  (ubi  lex  tacuit,  noluit)  che  il
contratto comunque registrato (presto o tardi)  fosse  in  ogni  caso
esente da nullita', e quindi valido, efficace e  vincolante,  e  cio'
anche in applicazione del principio generale contenuto  nell'art.  10
comma 3 dello Statuto dei Diritti del Contribuente; 
        il giudice civile  aveva  quindi  relegato  la  registrazione
tardiva del contratto nell'ambito di una «violazione di  disposizioni
di rilievo esclusivamente tributario», di per se' inidonea a produrre
la nullita' del contratto; 
        d'altronde il giudice civile, ricordando che la convalida del
contratto affetto da nullita' (art. 1423 c.c.), nei casi  in  cui  e'
ammessa dalla legge, ha tipicamente effetto retroattivo (si  veda  ad
es. Cass. n. 6773.2013), e cio' perche'  altrimenti  l'efficacia  del
negozio sarebbe imputabile  non  alla  volonta'  del  disponente,  ma
esclusivamente al negozio di convalida, non aveva avuto difficolta' a
qualificare la fattispecie disciplinata dall'art. 1 comma 346  L.  n.
311/2004 in termini di «nullita' sanabile retroattivamente», ed aveva
posto un'analogia, o meglio una  similitudine  con  l'istituto  della
condizione sospensiva di efficacia del contratto; per queste  ragioni
la   registrazione   e'    stata    qualificata,    dai    tribunali,
alternativamente in  termini  di  fattispecie  sanante,  con  effetto
retroattivo, la nullita' del contratto, ed  in  termini  di  condicio
iuris di efficacia del contratto che, laddove avverata, e'  in  grado
di attribuire efficacia e vincolativita' all'accordo  negoziale,  con
effetto retroattivo (art. 1360 c.c.). 
    Sennonche' tale interpretazione, e cioe' l'applicazione dell'art.
1 comma 346 cit., come invalsa nella giurisprudenza di merito non  ha
evidentemente soddisfatto le ragioni  dell'Erario.  Lo  Stato  voleva
poter  usufruire  immediatamente  sia  del  gettito   derivante   dal
versamento  della  tassa  di  registro,  sia  del  reddito  tassabile
ritratto dalla locazione abitativa. 
    Per tali ragioni veniva cosi' introdotta, all'art. 3 comma 8  del
d.lgs.vo n. 23/2011, una norma che, per la  prima  volta,  sanzionava
esplicitamente (e duramente) la tardiva registrazione  del  contratto
di locazione abitativa (cioe' la registrazione  effettuata  oltre  il
termine di trenta giorni dalla conclusione del contratto,  prescritto
dal DPR n. 131/1986) mediante la manipolazione e l'etero-integrazione
degli aspetti principali del suo contenuto, quali la durata,  nonche'
l'entita' del canone dovuto dal conduttore. 
    L'intento di «completare» la prescrizione dell'art. 1  comma  346
L. n. 311/2004 (infatti richiamata nel  testo  dell'art.  3  cit.  al
comma 9) veniva realizzato mediante una disposizione «premiale»  che,
a beneficio dei  conduttori  che  avessero  denunciato  al  fisco  il
contratto non  tempestivamente  registrato  dal  locatore,  integrava
d'autorita'  (artt.  1339,  1419  c.c.)  il  contratto  con  clausole
particolarmente   favorevoli   all'inquilino,   che   gli   avrebbero
assicurato una considerevole stabilita' del rapporto locativo (4 +  4
anni dalla  data  della  registrazione),  praticamente  a  nummo  uno
(canone annuo pari al triplo della rendita catastale). 
    D'altronde,  il  legislatore  della  cedolare  secca  ha   inteso
equiparare, sotto il profilo  sanzionatorio,  ai  contratti  che  non
fossero  tempestivamente  registrati  anche  gli  accordi  intesi   a
dissimulare tutto o parte del canone (e in ogni caso  ad  evadere  il
Fisco), e cio' ha fatto con il comma 9 dell'art. 3  del  d.lgs.vo  n.
23/2011. 
    A tenore di tale disposizione, 
    «9. Le disposizioni di cui all'art. 1, comma 346, della legge  30
dicembre 2004, n. 311,  ed  al  comma  8  del  presente  articolo  si
applicano anche ai casi in cui: 
        a) nel contratto di locazione registrato sia  stato  indicato
un importo inferiore a quello effettivo; 
        b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio». 
    Le disposizioni - di effetto particolarmente deflagrante  per  la
platea dei destinatari - in questione  venivano  peraltro  completate
dal comma 10 dello stesso art. 3, che cosi' testualmente recitava: 
        «10. La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si  applica  ove
la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto». 
    In breve il legislatore del d.lgs.vo n.  23/2011  assegnava  erga
omnes un termine di «moratoria» (scaduto il 6 giugno 2011, e cioe' al
sessantesimo giorno successivo all'entrata in  vigore  del  d.lgs.vo,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2011, con la vacatio
di quindici giorni di cui all'art. 73 Cost.) per portare alla luce  i
rapporti di locazione (abitativa) che fossero in  tutto  o  in  parte
«sommersi». 
    Proprio dall'assegnazione di un termine cosiffatto, e dal  tenore
testuale dell'art. 3 comma  10  del  d.lgs.vo  n.  23/2011,  che  non
avrebbe avuto senso alcuno laddove le nuove disposizioni in  tema  di
canone  sanzionatorio  e  di  durata   legale   dei   contratti   non
tempestivamente  registrati,  fossero  state  applicabili  solo  agli
accordi locativi  stipulati  successivamente  alla  loro  entrata  in
vigore,  la  giurisprudenza  (anche  del  tribunale)  aveva   desunto
l'immediata applicabilita' delle disposizioni sanzionatorie di cui ai
commi 8 e 9  dell'articolo,  anche  ai  contratti  in  corso,  che  -
validamente stipulati per iscritto - non fossero stati ancora oggetto
di registrazione all'Agenzia delle Entrate. 
    Pertanto, le disposizioni di cui all'art.  3  comma  8  e  9  del
d.lgs.vo n. 23/2011, per effetto dell'art.  5  comma  1-ter  D.L.  n.
47/2014 (convertito con modificazioni nella L. n. 80/2014) si pongono
quale regola iuris da  applicare  alla  fattispecie  prospettata  dal
convenuto,  come  -  ad  avviso  di  chi  scrive  -  sufficientemente
avvalorata dall'istruttoria documentale ed orale acquisita  in  corso
di causa. 
    5.  Invero  la  difesa  Miraglia  ha  prodotto  in  giudizio  due
scritture (a causa locativa), sottoscritte da entrambe le parti,  con
riferimento allo stesso immobile (in Roma via Colli  della  Farnesina
n. 144), infine per la stessa durata e decorrenza (2 anni  a  partire
dal 1° gennaio 2007, con facolta'  di  proroga  di  ulteriori  dodici
mesi),  difformi  tra  loro  esclusivamente  per   la   clausola   di
determinazione della misura del cartone (v.  la  clausola  n.  4  dei
contratti all. 5 e 6 al fascicolo Miraglia nella lite  n.  15333/2012
r.g.);  di  questi  contratti,  indubbiamente  solo  uno   -   quello
riportante il canone inferiore - veniva tempestivamente denunziato al
Fisco, e portato a registrazione all'Agenzia  delle  Entrate  (v.  il
timbro di protocollo serie 3 n. 44792 del 26 febbraio 2007, in  calce
al contratto all. 5); l'altro - riportante il canone  maggiore  di  €
1.700,00 - veniva registrato dal conduttore solo in data 22  dicembre
2011 (v. il timbro di protocollo serie 3 n.  25056  -  Agenzia  delle
Entrate Ufficio Roma 1 a margine del testo del documento contrattuale
all. 6), quindi  tardivamente  agli  effetti  dell'art.  3  comma  10
d.lgs.vo n. 23/2011, si' da rendersi applicabili e da  dovere  essere
applicate, alla fattispecie, le  clausole  legali  -  in  materia  di
durata contrattuale - di cui all'art. 3 combinato disposto commi 8  e
9 lett. a), del d.lgs.vo n. 23/2011. 
    Infatti, la tesi giuridica dell'attore - secondo cui il «secondo»
contratto  riportante  il  canone  superiore  di  €   1.700,00,   non
tempestivamente registrato, sarebbe rimasto  «lettera  morta»  e  non
espressivo del reale accordo delle parti - non solo  non  ha  trovato
alcun conforto  nell'istruttoria  esperita  in  corso  di  causa,  ma
risulta smentita dalla  prova  orale  raccolta  in  giudizio  (v.  la
testimonianza di Cantatore Silvia), a tenore della  quale  il  canone
effettivo (agli effetti del combinato disposto commi 8 e 9  lett.  d)
dell'art. 3 del d.lgs.vo n. 23/2011) e pagato dal conduttore  dal  1°
gennaio 2007 fosse pari ad € 3.200,00. 
    In  ogni  caso,  a  fronte  della  produzione  di  un   documento
riportante un contratto di locazione  abitativa,  sottoscritto  anche
dall'attrice (con firma non  disconosciuta),  che  indica  un  canone
superiore  a   quello   stabilito   nel   contratto   tempestivamente
registrato, incombeva all'attrice di  dare  prova  della  simulazione
assoluta di tale accordo (che' tanto si e' eccepito in  giudizio,  in
ultima analisi), e tale onere non  puo'  dirsi  evaso  all'esito  del
processo. 
    Apparendo  adeguatamente  dimostrato  in  giudizio  il  patto  di
dissimulazione, al Fisco, di parte del canone, il tribunale  dovrebbe
conseguentemente  affermare  che  il  rapporto  inter  partes  sia  a
tutt'oggi eterointegrato dalle clausole  legali  di  cui  all'art.  3
comma 8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011 (in materia di durata legale e di
canone «sanzionatorio» dovuto dal conduttore), giacche'  gli  effetti
di quelle disposizioni sono stati perpetuati dall'art. 5 comma  1-ter
del D.L. n. 47/2014, sino al 31 dicembre 2015;  peraltro,  ad  avviso
del tribunale sussistono  consistenti  perplessita'  in  merito  alla
conformita' a costituzione della disposizione di cui all'art. 5 comma
1-ter D.L. n. 47/2014, si' da rendersi necessario rimettere gli  atti
alla Corte costituzionale, ai sensi degli artt. 134 e  137  Cost.,  1
della legge cast. 9 febbraio 1948 n. 1, e 23  della  legge  11  marzo
1953, n. 87, per quanto di seguito esposto. 
    6. E' noto che  la  Corte  costituzionale,  con  la  sentenza  n.
50/2014, depositata in data 14 marzo  2014,  pubblicata  in  Gazzetta
Ufficciale del 19 marzo 2014, ha acclarato l'illegittimita' dei commi
8 e 9 dell'art. 3  d.lgs.vo  n.  23/2011,  per  «eccesso  di  delega»
(violazione dell'art. 76 Cost.), in particolare  rilevando  che  tali
disposizioni, intese alla lotta all'evasione  fiscale,  esorbitassero
sia gli obbiettivi che i criteri della delega conferita, al  governo,
con la legge n. 42/2009. 
    La Corte ha ritenuto di chiarire in motivazione: 
        «Il tema della lotta all'evasione fiscale, che costituisce un
chiaro obiettivo dell'intervento  normativo  in  discorso,  non  puo'
essere configurato anche come criterio per l'esercizio della  delega:
il quale, per definizione, deve indicare  lo  specifico  oggetto  sul
quale interviene il legislatore delegato, entro  i  previsti  limiti.
Ne' il riferimento alle «forme premiali» anzidette puo' ritenersi  in
alcun modo correlabile con il  singolare  meccanismo  «sanzionatorio»
oggetto di censura. 
    Del resto - e come puntualmente messo in evidenza dai  giudici  a
quibus - nella citata legge di  delegazione  si  formula  un  preciso
enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio  e
criterio direttivo generale, secondo il quale - nel richiamare  (art.
2, comma 2, lettera c), «razionalita' e coerenza dei singoli  tributi
e del sistema tributario nel  suo  complesso»  (compresi,  dunque,  i
profili di carattere sanzionatorio  ed  i  «rimedi»  tecnici  tesi  a
portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione)
- espressamente prescrive di procedere all'esercizio della delega nel
«rispetto  dei  principi  sanciti  dallo  statuto  dei  diritti   del
contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». Statuto  che,
a sua volta, come ricordato, prevede, all'art.  10  comma  3,  ultimo
periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente
tributario non possono essere causa di nullita' del  contratto»:  con
l'ovvia conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine
per  la  registrazione  di  un  contratto  di  locazione   non   puo'
legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una  novazione  -
per factum principis - quanto a canone e a durata. 
    Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione
del  contribuente,  parimenti  prescritti   dal   predetto   statuto,
risultano nella specie totalmente negletti,  operando  la  denunciata
«sostituzione» contrattuale in via automatica, solo a  seguito  della
mancata tempestiva registrazione del contratto». 
    Cio' posto, il tribunale ricorda a se' stesso che, secondo l'art.
136 Cost., 
    «Quando la Corte dichiara la illegittimita' costituzionale di una
norma di legge o di atto avente forza di legge,  la  norma  cessa  di
avere  efficacia  dal  giorno  successivo  alla  pubblicazione  della
decisione». 
    E'  pacifico  che  le  sentenze  d'incostituzionalita',   poiche'
accertano un vizio originario che affligge la norma in contrasto  con
la Costituzione, espungono tale norma  dall'ordinamento  con  effetto
retroattivo e sono immediatamente applicabili ai rapporti pendenti ed
ai giudizi in corso, con l'eccezione derivante dal  giudicato  (artt.
324 c.p.c. e 2909 c.c.) e dei rapporti «esauriti». 
    Si tratta di principio consolidato. 
    Possono  richiamarsi,   tra   le   tante,   le   sentenze   Corte
costituzionale n. 73/1963 [secondo cui «la norma contenuta  nell'art.
136 della Costituzione, sulla quale poggia il  contenuto  pratico  di
tutto il sistema delle garanzie costituzionali, toglie immediatamente
ogni  efficacia  (dal  giorno  successivo  alla  pubblicazione  della
decisione) alla norma dichiarata illegittima; della quale,  pertanto,
non e' consentito al legislatore ordinario di prolungare la vita sino
all'entrata in vigore della nuova legge»]; ovvero la  sentenza  Cass.
n. 10783.2014 [nella cui  motivazione  si  legge:  «Orbene,  come  la
giurisprudenza di legittimita' ha chiarito proprio a proposito  degli
effetti della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 274 c.c.,
(v. Cass. n. 15981/2006), le pronunce  di  accoglimento  del  giudice
delle  leggi  -  dichiarative  di  illegittimita'  costituzionale   -
eliminano la norma con effetto ex tunc, con la conseguenza che questa
non  e'  piu'  applicabile  prescindendo  dalla  circostanza  che  la
fattispecie  sia  sorta  in  epoca  anteriore   o   successiva   alla
pubblicazione    della    pronuncia,     perche'     l'illegittimita'
costituzionale ha  per  presupposto  l'invalidita'  originaria  della
legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o  processuale
- per contrasto con il precetto costituzionale. 
    Pertanto non e' possibile distinguere tra  applicazione  diretta,
cioe' riferita ad atti formati successivamente alla norma  dichiarata
illegittima, e applicazione indiretta, cioe' riferita ad atti formati
prima  della  pubblicazione  della  pronuncia  d'incostituzionalita',
perche' anche in tale  ultimo  caso  il  giudice  non  puo'  ritenere
legittima un'attivita' svoltasi  in  conformita'  di  una  norma  poi
dichiarata incostituzionale. Infatti in materia vige il principio che
gli effetti dell'incostituzionalita' non si estendono ai rapporti  (e
solo a quelli)  ormai  esauriti  in  modo  definitivo,  per  avvenuta
formazione del giudicato o per essersi verificato  altro  evento  cui
l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero
per  essersi  verificate  preclusioni  processuali  o   decadenze   e
prescrizioni  non  direttamente  investite,  nei   loro   presupposti
normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita' (tra le tante, Cass.
n.  9329/2010,  n.  113/2004,  n.  13839/2002)»]  la  pronuncia   del
Consiglio  di  Stato  n.  4583.2012   [«le   pronunce   della   Corte
costituzionale.. determinano il venir meno in via  retroattiva  della
norma  censurata,  poiche'  operano  la  ricognizione  di  un   vizio
originario ed intrinseco della  norma  stessa,  la  cui  eliminazione
dall'ordinamento non e' assimilabile a quella disposta per effetto di
abrogazione  in  virtu'  di  altra  norma  sopravvenuta»];  Cass.  n.
10958.2010:  [«le  sentenze  di  accoglimento  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale pronunciate  dalla  Corte  costituzionale
hanno  effetto  retroattivo,  con  l'unico  limite  delle  situazioni
consolidate  per  essersi  il   relativo   rapporto   definitivamente
esaurito, potendosi, in proposito, legittimamente ritenere «esauriti»
i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato, ovvero
sia decorso il termine prescrizionale o decadenziale  previsto  dalla
legge»]; 
    Cass. n. 27264.2008: [«le sentenze della Corte costituzionale con
le quali sia stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di  una
norma hanno effetto retroattivo ed incidono, pertanto,  su  tutte  le
situazioni giuridiche non  esaurite.  Ne  consegue  che  le  suddette
sentenze producono i propri effetti su tutti i  giudizi  in  corso  e
possono essere fatte valere per la  prima  volta  anche  in  sede  di
legittimita'»]. 
    Pertanto, all'indomani della sentenza Corte Cast. n. 50/2014,  il
tribunale,    preso    atto    della    sopravvenuta     declaratoria
d'incostituzionalita' delle disposizioni contenute nell'art. 3  commi
8 e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, non avrebbe giammai potuto considerare
il contratto inter partes regolato, quanto a canone e  durata,  dalle
norme ritenute non conformi a Costituzione (perche'  improduttive  di
effetti),  ed  avrebbe  dovuto  -  al  contrario   -   tenere   conto
esclusivamente del programma  negoziale  voluto  e  concordato  dalle
parti,  come  consacrato  e  trasfuso   nelle   scritture   «gemelle»
sottoscritte il 26 settembre 2006, aventi (entrambi)  decorrenza  dal
1° gennaio 2007, entrambi portate (presto o tardi) alla registrazione
(cosi' accertando la decorrenza del rapporto dal 1° gennaio  2007,  e
la data di seconda scadenza quadriennale al 31 dicembre 2014). 
    7.  Peraltro,  sempre  in  pendenza  del  presente  giudizio,  e'
sopravvenuto l'art. 5 comma 1-ter  del  D.  L.  n.  47/2014  (recante
«Misure urgenti per  l'emergenza  abitativa,  per  il  mercato  delle
costruzioni e per l'EXPO  2015»),  convertito  con  modificazioni  in
legge n. 80/2014, pubblicata in Gazzetta  Ufficiale  n.  121  del  27
maggio 2014 ed entrata in vigore il giorno successivo a quello  della
sua pubblicazione. 
    L'art. 5 del DL cit., recante la rubrica  «Lotta  all'occupazione
abusiva di immobili. 
    Salvaguardia  degli  effetti  di  disposizioni  in   materia   di
contratti di locazione», al comma 1-ter (come  aggiunto  in  sede  di
conversione), recita oggi testualmente: 
        «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre  2015,  gli
effetti prodottisi e  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base  dei
contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e  9,
del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23». 
    La norma in questione pare intesa - come fatto palese  sia  dalla
sua formulazione letterale, che dalla relazione accompagnatoria  -  a
salvaguardare («sono fatti salvi»), e quindi a procrastinare sino  al
31  dicembre  2015,  gli  effetti  giuridici  gia'   prodotti   dalla
registrazione di contratti  di  locazione  abitativa  (o  di  accordi
dissimulatori di tutto o parte del canone di locazione abitativa) che
non fossero stati tempestivamente  registrati  secondo  il  combinato
delle disposizioni di cui al  DPR  n.  131/1986  (testo  unico  delle
disposizioni sull'imposta di registro) ed all'art.  3  commi  8  e  9
d.lgs.vo n. 23/2011, ed in  particolare  a  prorogare  l'applicazione
delle disposizioni ora menzionate (art. 3 comma 8 e 9 del d.lgs.vo n.
23/2011), benche' dichiarate incostituzionali ed improduttive di ogni
effetto. 
    Da qui, la necessita' di ritenere il rapporto inter partes ancora
regolato  (sino  al  31  dicembre  2015)  dalle   disposizioni   gia'
dichiarate incostituzionali, con quanto ne  consegue  in  termini  di
individuazione della data  di  decorrenza  della  durata  legale  del
rapporto (quattro anni a decorrere dalla data di registrazione), e di
individuazione della sua scadenza. 
    7.1  Orbene  questo  tribunale   dubita   della   conformita'   a
costituzione  dell'art.  5  comma  1-ter  D.L.  n.  47/2014,  ed   in
particolare  della  conformita'   all'art.   136   Cost.,   potendosi
sospettare l'elusione del giudicato di cui alla sentenza Corte  Cost.
n. 50/2014, cio' a lume degli  arresti  della  Corte  costituzionale,
appresso ricordati. 
    Infatti l'art. 5 comma 1-ter del D. L. n. 47/2014,  se  pure  non
riproduce le norme  gia'  considerate  illegittime,  ne  comporta  la
(parziale) sopravvivenza alla declaratoria d'incostituzionalita', si'
da  renderle  ancora  operanti  e  tali  da  conformare  gli  aspetti
essenziali di  qualsiasi  contratto  di  locazione  abitativa  (quale
quello   dedotto   in   controversia),   che    non    fosse    stato
«tempestivamente» registrato nel vigore dell'art. 3 del  d.lgs.vo  n.
23/2011, bensi' denunziato solo dopo  lo  spirare  vuoi  del  termine
indicato dal DPR n. 131/1986 (art. 17), vuoi del termine di moratoria
attribuito, erga omnes, dall'art. 3 comma 10 del d.lgs.vo n.  23/2011
(sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto  sul  federalismo
fiscale). 
    In altri termini, in applicazione dell'art. 5 comma 1-ter D.L. n.
47/2014, il contratto che fosse gia' regolato o innovato, per  factum
principis, dalle disposizioni sanzionatorie di cui all'art. 3 commi 8
e 9 d.lgs.vo n. 23/2011 (in materia di  canone  e  durata),  dovrebbe
ritenersi a tutt'oggi disciplinato dalle stesse disposizioni, e  cio'
fino al 31 dicembre 2015, benche' queste siano  state  giudicate  non
conformi a Costituzione. 
    In materia di elusione o violazione del giudicato  costituzionale
(art. 136 Cost.) la Corte costituzionale ha avuto in  piu'  occasioni
modo di affermare (cosi' ad esempio Corte Cost. n. 326.2010) «perche'
vi sia violazione del giudicato costituzionale e' necessario che  una
norma sopravvenuta ripristini o preservi  l'efficacia  di  una  norma
gia'  dichiarata  incostituzionale»;  ancora,  merita  ricordare   la
sentenza Corte Cost. n.  73/2013:  «il  giudicato  costituzionale  e'
violato  non  solo  quando  il  legislatore  emana  una   norma   che
costituisce una mera riproduzione  di  quella  gia'  ritenuta  lesiva
della Costituzione, ma anche  laddove  la  nuova  disciplina  miri  a
perseguire  e   raggiungere,   «anche   se   indirettamente»,   esiti
corrispondenti»; Corte Cost., sentenza n. 262/2009: «per aversi  tale
lesione e' necessario che una norma ripristini o preservi l'efficacia
di una norma gia' dichiarata incostituzionale». 
    Nella sentenza Corte  costituzionale  n.  49/1970,  si  legge  in
motivazione: 
        «La   declaratoria    di    illegittimita'    costituzionale,
determinando la cessazione di  efficacia  delle  norme  che  ne  sono
oggetto, impedisce, invece, dopo la pubblicazione della sentenza, che
le norme stesse siano comunque applicabili anche ad oggetti ai  quali
sarebbero state applicabili alla stregua dei  comuni  principi  sulla
successione delle leggi nel tempo. Altro e', infatti, il mutamento di
disciplina attuato per motivi di opportunita'  politica,  liberamente
valutata dal legislatore, altro l'accertamento, ad opera  dell'organo
a cio' competente, della illegittimita' costituzionale di  una  certa
disciplina legislativa: in questa seconda ipotesi, a  differenza  che
nella prima, e' perfettamente logico  che  sia  vietato  a  tutti,  a
cominciare  dagli  organi  giurisdizionali,  di  assumere  le   norme
dichiarate incostituzionali a canoni di valutazione  di  qualsivoglia
fatto  o  rapporto,  pur  se  venuto  in  essere  anteriormente  alla
pronuncia della Corte. L'obbligatorieta' delle decisioni della Corte,
cui si richiama in particolare l'ordinanza del tribunale di  Ferrara,
si esplica a partire dal giorno successivo alla  loro  pubblicazione,
come  stabilito  dall'art.  136  della  Costituzione,  nel  senso   -
precisamente  -  che  da  quella  data  nessun  giudice   puo'   fare
applicazione  delle  norme   dichiarate   illegittime,   nessun'altra
autorita' puo' darvi esecuzione o assumerle comunque a base di propri
atti, e nessun privato potrebbe avvalersene, perche'  gli  atti  e  i
comportamenti che pretendessero trovare in quelle la  propria  regola
sarebbero privi di fondamento legale.  Si  spiega  cosi'  come  anche
questioni di legittimita' costituzionale di norme abrogate  da  leggi
ordinarie frattanto sopravvenute possano  essere  rilevanti,  e  come
tali avere ingresso alla Corte, qualora si tratti di norme di cui  si
dovrebbe fare ancora applicazione in  base  ai  principi  di  diritto
intertemporale». 
    E merita aggiungere  che  la  transitorieta'  della  disposizione
dell'art. 5 comma 1-ter del D.L. n. 47/2014,  e  la  sua  programmata
applicazione sino alla  data  del  31  dicembre  2015,  non  parrebbe
dissipare i dubbi di costituzionalita'  qui  esposti,  non  apparendo
conforme a ragionevolezza (art. 3 Cost.) tale scelta legislativa, per
quanto obbiettivamente e funzionalmente non intesa  a  colmare  vuoti
normativi in ipotesi lasciati dalla sentenza n.  50/2014;  invero  il
contratto  di  locazione  abitativa  che  fosse  stato   tardivamente
registrato nella vigenza dell'art. 3 commi 8  e  9  del  d.lgs.vo  n.
23/2011,    per    effetto    della     sopravvenuta     declaratoria
d'incostituzionalita'  di  quelle  norme,  troverebbe  gia'  la   sua
compiuta regolamentazione vuoi nelle clausole convenzionali,  vuoi  -
per l'aspetto tributario - nelle disposizioni del DPR n.  131/1986  e
dell'art. 1  comma  346  L.  n.  311/2004,  sopra  richiamata,  norma
quest'ultima nient'affatto coinvolta dalla sentenza  Corte  Cost.  n.
50/2014, si' da non essere posto in pericolo il principio di certezza
dei rapporti giuridici, ovvero altri principi di rango costituzionale
e sovraordinato a quelli posti a base della sentenza n. 50/2014. 
    7.2 I1 tribunale dubita, altresi', della conformita' dell'art.  5
comma 1-ter  D.L.  n.  47/2014  al  principio  di  eguaglianza  posto
dall'art. 3 Cost. 
    Invero per  effetto  di  quella  disposizione  delle  fattispecie
sostanzialmente identiche verrebbero ad essere diversamente regolate,
a  seconda  del  momento  in   cui   venutesi   (occasionalmente)   a
perfezionare: il contratto che fosse  stato  tardivamente  registrato
(agli effetti del DPR n. 131/1986) nella vigenza dell'art. 3 commi  8
e 9 del d.lgs.vo n. 23/2011, e fino alla  data  di  pubblicazione  in
Gazzetta Ufficiale della sentenza n. 50/2014 Corte  Cost.  (19  marzo
2014),  continuerebbe  ad  essere  regolato  ex   autorictate   dalle
disposizioni del ridetto art. 3 comma 8 del decreto  sul  federalismo
fiscale (sino al 31 dicembre 2015);  il  contratto  che  fosse  stato
tardivamente registrato (sempre agli effetti del DPR n.  131/1986)  a
partire  dal  20  marzo  2014,  giorno  successivo   alla   data   di
pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, della sentenza n. 50/2014 Corte
Cost.,  trarrebbe  altrove  la  sua  disciplina  e  quindi   dovrebbe
considerarsi a tutti gli  effetti  valido  ed  efficace  (secondo  la
prevalente giurisprudenza di merito), ovvero  radicalmente  nullo  ed
improduttivo di effetti (come sostenuto da  parte  minoritaria  della
giurisprudenza), e in ogni  caso  sarebbe  regolato  da  disposizioni
diverse da quelle gia' dichiarate incostituzionali nella  piu'  volte
nominata sentenza n. 50/2014. 
    7.3 Infine il tribunale ritiene che meriti di  esser  scrutinata,
dalla Corte Costituzionale, anche la conformita'  delle  disposizioni
di che trattasi, all'art. 137 comma  3  Cost.,  a  tenore  del  quale
«Contro le decisioni della Corte costituzionale non e' ammessa alcuna
impugnazione», e che enuncia  il  principio  dell'intangibilita'  del
c.d. giudicato formale di incostituzionalita'. 
    Invero,  come  e'  stato  acutamente  segnalato   da   autorevole
dottrina, che il tribunale condivide, «il citato art. 5  comma  1-ter
riveste un'efficacia ripristinatoria dell'art. 3, commi 8  e  9,  del
d.lgs.vo  14  marzo  2011,  n.  23,  travolto  dalla   decisione   di
accoglimento della Corte, predisponendo la sanatoria, sia pure per un
tempo limitato,  di  rapporti  locatizi  gia'  regolati  dalla  norma
dichiarata incostituzionale. La sentenza n. 50 del 2014  della  Corte
ha prodotto effetti che hanno gia' inciso sui contratti di  locazione
registrati ai sensi dell'art.  3,  d.lgs.vo  n.  23/2011,  ovvero  su
interessi, diritti ed obblighi  di  locatori  e  conduttori,  con  la
conseguenza  che  tali  effetti  hanno   acquisito   stabilita'   per
l'autorita' di cosa giudicata spettante  alla  sentenza  della  Corte
costituzionale, e non sono suscettibili, quindi, di essere rimossi  o
travolti da  atti  autoritativi  aventi  efficacia  retroattiva,  con
conseguente  vanificazione   degli   effetti   della   pronuncia   di
accoglimento della questione di legittimita' costituzionale». 
    8.  Conclusivamente  non  potendosi  prescindere,  in   sede   di
decisione della presente controversia, dall'applicazione dell'art.  5
comma 1-ter del D. L. n. 47/2014,  ed  apparendo  percio'  rilevante,
oltre che non manifestamente infondata, la questione  sopra  esposta,
si provvede come in dispositivo. 
 
                          Per Questi Motivi 
 
    Visti gli articoli 134  e  137  Cost.,  1  della  legge  cost.  9
febbraio 1948 n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 5 comma 1-ter del decreto-legge n. 47 del 28
marzo 2014, convertito con modificazioni in legge n. 80 del 23 maggio
2014, 
    laddove prevede «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre
2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla  base
dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e
9, del decreto legislativo 14 marzo  2011,  n.  23»,  per  violazione
degli artt. 3, 136 e 137 comma 3 della Costituzione; 
    Dispone che il presente provvedimento, a cura della  cancelleria,
sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche'  comunicato  al  Presidente  del  Senato   ed   al
Presidente della Camera dei Deputati e, all'esito, sia trasmesso alla
Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale, con  la  prova
delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni; 
    Dispone la sospensione del presente processo. 
        Roma, 18 novembre 2014 
 
                  Il giudice: Alessandra Imposimato