N. 113 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 febbraio 2015
Ordinanza del 5 febbraio 2015 del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di A.F.. Reati e pene - Produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope - Fatto di lieve entita' - Trattamento sanzionatorio - Mancata distinzione tra fatti di lieve entita' aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I dell'art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990 e fatti di lieve entita' aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella II del medesimo articolo - Violazione del principio di ragionevolezza - Violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale, a fronte della permanente diversificazione per il reato piu' grave - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena. - D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, come sostituito dall'art. 1, comma 24-ter, lett. a), del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo. Reati e pene - Produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope - Fatto di lieve entita' - Trattamento sanzionatorio - Mancata previsione di limiti di pena detentiva differenziati e conformi ai parametri di cui all'art. 4 della decisione quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 25 ottobre 2004 (Decisione quadro del Consiglio riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti), e all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Inosservanza degli obblighi internazionali. - D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, come sostituito dall'art. 1, comma 24-ter, lett. a), del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79. - Costituzione, art. 117, primo comma; decisione quadro 2004/757/Gai del Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004; Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., art. 49, paragrafo 3.(GU n.24 del 17-6-2015 )
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI REGGIO CALABRIA Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, composto dai sigg.: dott. Roberto Di Bella, presidente; dott. Francesca Di Landro, giudice; dott. Demetrio Ventura, giudice onorario; dott. G.M. Patrizia Surace, giudice onorario; Nel processo penale n. 85/11 R.G.T.M. (184/10 R.G.N.R.) contro A. F., nato a... il..., imputato del reato p.e.p. dagli artt. 81, 110, 73 D.P.R. 309/90, accertato in data 7 luglio 2010 in ..., ha emesso la seguente Ordinanza In sede di discussione del processo penale n. 85/11 RGTM contro A. F., minore d'eta' al momento del fatto, imputato per il reato p.e.p. dagli artt. 81, 110, 73 commi 1 e 1 bis, D.P.R. 309/90 (perche' in concorso con A. S. e A. S. con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, coltivava n. 14 piante di sostanza stupefacente tipo marijuana, n. 1 pianta di marijuana e deteneva in un sacchetto di cellophane grammi netti 358,900 di marijuana, che avuto riguardo al quantitativo e alle modalita' di confezionamento appare destinata allo spaccio. Accertato in... data 7 luglio 2010), il Pubblico Ministero sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, approvata in conversione del D.L. 20 marzo 2004, n. 36, per sospetto contrasto con gli artt. 3 e 27 Costituzione, nella parte in cui non prevede - cosi' come nel comma primo e quarto comma della medesima disposizione - un'adeguata differenziazione del trattamento sanzionatorio - sia nel minimo che nel massimo edittale - per sostanze stupefacenti appartenenti alle differenti tabelle (I e II) di cui all'art. 14, del D.P.R. 309/90. Analoga conclusione formulava il difensore dell'imputato, assumendo che le pene indifferenziate previste dall'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla novella del 16 maggio 2014 n. 79, oltre che eccessivamente afflittive in relazione alla tipologia di sostanze stupefacenti contestata, potrebbero precludere al suo assistito - nella ritenuta affermazione di colpevolezza - la concessione di alcuni benefici previsti in favore degli imputati minorenni e, nel dettaglio, la sospensione condizionale della pena, l'applicazione di sanzioni sostitutive ex art. 30 del medesimo D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 e il perdono giudiziale, ancorati dal legislatore a determinati parametri, tra i quali spicca quello oggettivo (e preclusivo) dell'entita' della pena detentiva (anni tre per la sospensione condizionale, anni due per l'applicazione di una sanzione sostitutiva e anni due per il perdono giudiziale). Secondo il difensore, inoltre, la cornice edittale indifferenziata prevista dalla nuova normativa risulterebbe pure in contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., per mancata attuazione dell'art. 4 della Decisione Quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea l. 335/11 (11 novembre 2004), tuttora in vigore per effetto degli artt. 9 e 10, Protocollo n. 36 al Trattato di Lisbona, che chiede ai legislatori nazionali: 1) "pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive", che siano differenziate per gli stupefacenti piu' dannosi per la salute; 2) con riferimento ai reati minori in materia (categoria in cui puo' essere inquadrato il delitto oggetto del presente processo), pene detentive massime che devono avere una durata compresa tra almeno 1 e 3 anni. Il legale dell'imputato deduceva, infine, che la vincolativita' della decisione quadro potrebbe comportare l'insorgenza in capo allo Stato, inadempiente rispetto agli obblighi internazionali, di una responsabilita' nei confronti del cittadino danneggiato dalla violazione del diritto comunitario (CGUE,05.03.1996, C-46, Brasserie du oeucher Sa): situazione concretizzabile nel caso in argomento, nel caso di una condanna ad una pena detentiva sproporzionata o (oggettivamente) preclusiva dei benefici sopra indicati, che viceversa - con l'applicazione obbligatoria della diminuente della minore eta' ex art. 98 c.p. e nella ricorrenza degli altri presupposti di legge - sarebbero automatici, la' dove fosse rispettato dal legislatore il limite di pena detentiva massima (anni tre ) indicato dalla decisione quadro menzionata. Rilevanza della questione Cio' premesso, per un corretto inquadramento dei termini della questione, occorre esaminare le vicissitudini normative subite dall'art. 73, del D.P.R. 309/90, per poi valutare se lo stesso - nella nuova formulazione - possa trovare applicazione nel caso che occupa. La norma di cui all'art. 73 comma V, D.P.R, 309/90, nelle more del presente processo, e' stata piu' volte interessata da interventi del legislatore. La prima modifica e' intervenuta con il D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, comma 1, lett. a), convertito senza modifiche sul punto, dalla l. 21 febbraio 2014 n. 10, che ha trasformato quella che - per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione - era una circostanza attenuante ad effetto speciale, in un'ipotesi autonoma di reato. Con quella prima novella, ex D.L. n. 146 del 2013, che ha mantenuto indistinta la sanzione penale per i fatti di lieve entita' che riguardassero le c.d. droghe leggere e quelle c.d. pesanti, il massimo edittale previgente era abbassato per le pene detentive (da uno a sei anni a uno e cinque anni di reclusione), restando identica la sanzione pecuniaria. E' intervenuto poi il D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito in l. 16 maggio 2014, n. 79, che ha fatto seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014, che, per le droghe leggere e per i fatti fino al 23 dicembre 2013, aveva gia' comportato la reviviscenza dell'art. 73, comma V di cui alla legge c.d. Iervolino - Vassalli, ripristinando e aggiornando le tabelle differenziate per i diversi tipi di sostanze stupefacenti o psicotrope. Infine, con la l. 16 maggio 2014, n. 79 (approvata in conversione del D.L. 20 marzo 2014 n. 36), la pena per il fatto di lieve entita' gia' prevista per le c.d. droghe leggere dalla legge c.d. Iervolino - Vassalli (pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329), e' stata adottata, indifferentemente, per tutti i fatti di lieve entita', indipendentemente dalla collocazione dello stupefacente nell'una o nell'altra tabella. Cio' premesso, occorre verificare - secondo i criteri dettati dall'art. 2, comma quarto, c.p. - se la legge risultante dalla novella del 16 maggio 2014 n. 79, di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, e' applicabile alla vicenda in oggetto o, viceversa, se sia piu' favorevole per l'imputato quella previgente. Come anticipato, l'abrogazione per la declaratoria di incostituzionalita' degli artt. 4 bis 4 vicies ter del D.L. 272 del 30 dicembre 2005, convertito nella legge 49 del 21 febbraio 2006, intervenuta con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014, ha determinato una reviviscenza delle norme anteriormente vigenti e, dunque, in primo luogo - ai fini che occupano - dell'integrale testo dell'art. 73 del DPR 309/90, cosi' modificato dal DPR 5 giugno 1993 n. 171, attuativo il referendum tenutosi il 18 aprile 1993. La Consulta, infatti, dichiarando l'incostituzionalita' dei due articoli del citato D.L. 272/2005 (e, di conseguenza della l. 49/2006) in relazione all'art. 77 comma secondo, Cost., ha ordinato testualmente di rimuovere "le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309". Pertanto, il fatto ascritto all'imputato, essendo del 2010, potrebbe essere disciplinato sia dall'art. 73 comma V, cosi' modificato dal DPR 5 giugno 1993 n. 171 attuativo il referendum tenutosi il 18 aprile 1993, che dalla nuova disposizione introdotta dalla legge 16 maggio 2014 n. 79 (norme piu' favorevoli sotto il profilo dell'entita' della pena rispetto alla l. n. 10 del 2014 e al D.L. 20 marzo 2014, avendo ridotto le pene detentive previste da uno a cinque anni a sei mesi fino a quattro anni). Dal punto di vista intertemporale, il nuovo quinto comma si applichera' ai processi pendenti per fatti commessi dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 146/2013 e dunque a partire dal 24 dicembre 2013, trattandosi di lex mitior sopravvenuta piu' favorevole ai sensi di cui all'art. 2, comma 4 c.p. Quanto ai processi ancora pendenti per fatti precedenti al 24 dicembre 2013, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge Fini-Giovanardi fa si' che debba ritenersi come mai abrogata - e, quindi, legge del tempo in cui i fatti sono stati commessi - la disciplina di cui al quinto comma dell'art. 73 t.u. nella versione originaria (c.d. Iervolino-Vassalli), che prevedeva la pena della reclusione da uno a sei anni per i fatti concernenti le c.d. droghe pesanti e quella della reclusione da sei mesi a quattro anni per le droghe "leggere". La nuova disciplina e' dunque, rispetto a quest'ultima, senz'altro piu' favorevole per quanto riguarda i fatti aventi ad oggetto le droghe pesanti, e dovra' essere applicata ai sensi dell'art. 2, comma 4 c.p., in quanto lex mitior sopravvenuta rispetto a quella in vigore al momento del fatto; mentre rispetto ai fatti aventi ad oggetto le c.d. droghe leggere, si dovra' stabilire caso per caso quale sia la disciplina piu' favorevole, in relazione alla natura meramente circostanziale del comma quinto nella sua versione "Iervolino-Vassalli" e alla sua mutata natura di fattispecie autonoma nella versione oggi vigente. Tanto premesso, deve osservarsi che, a parita' di pena (reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329), la nuova disciplina risultante dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, da interpretarsi alla luce della modifica strutturale apportata all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90 dall'art. 2 del recente D.L. 23 dicembre 2013, convertito nella l. 10 del 21 febbraio 2014, appare complessivamente piu' favorevole e da ritenersi applicabile anche per i fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina. Come anticipato, la grande novita' che connota l'art. 2 del recente D.L. 23 dicembre 2013, convertito nella l. 10 del 21 febbraio 2014, consiste nella modifica strutturale e sostanziale dell'istituto della lieve entita' di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90. Esso da circostanza attenuante ad effetto speciale e', infatti, divenuto reato autonomo. Ne consegue che, nella valutazione comparata delle leggi, il maggiore favore della nuova disposizione dell'art. 73 comma V, quale risultante dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, deriva dal rilievo che la norma e' sottratta al giudizio di comparazione delle circostanze di cui all'art. 69 c.p. e, pertanto, appare quella in concreto piu' favorevole. Il novum normativo, peraltro, con la radicale modifica del fatto di lieve entita' in autonoma fattispecie di reato, ha effetti ulteriori perche' da tale trasformazione deriva l'inapplicabilita' della disciplina dell'art. 69, comma 4, c.p. anche alle altre circostanze attenuanti (in primis, quelle generiche) che fossero ravvisate nella fattispecie concreta. Ne deriva il dispiegarsi, con massima autonomia, del potere discrezionale del giudice. Aggiungasi, a conforto della superiore proposizione, che la diminuzione della pena edittale operata dalla l. 16 maggio 2014 n. 79 ha effetti ancora piu' significativi nel processo penale minorile. La riduzione della pena per il reato autonomo di cui all'art. 73 comma V, D.P.R. 309/90, introdotta dalla l. 16 maggio 2014 n. 79, neutralizza la valenza operativa della modifica apportata all'art. 19, comma V, del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 dalla recente legge n. 10 del 2014, di conversione del decreto-legge n. 146 del 2013, la' dove si stabiliva che "la diminuente della minore eta' non opera per i delitti di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90". Ed invero, in ragione del nuovo limite edittale (abbassato a quattro anni) nei confronti del minorenne non sono piu' consentite misure cautelavi, anche diverse dalla custodia cautelare, che l'art. 19, comma IV, del D.P.R. circoscrive ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (circostanza da apprezzarsi anche nel presente processo, potendo - in ipotesi - ancora essere richiesta una misura cautelare nei confronti dell'imputato). In conclusione, puo' senz'altro affermarsi che la nuova disciplina prevista dalla l. 16 maggio 2014 n. 79 e' complessivamente piu' favorevole a quella previgente. Il giudizio espresso di maggior favore per l'imputato della nuova disciplina e', oltretutto, conforme alla recente giurisprudenza di legittimita', che, in un caso simile a quello oggetto del presente processo, annullava con rinvio la sentenza della Corte di Appello territoriale limitatamente al trattamento sanzionatorio, invitando il giudice di rinvio a rivalutare quest'ultimo, in ragione del nuovo minimo edittale previsto dalla l. 16 maggio 2014, n. 79, ritenuta piu' favorevole anche per i "fatti lievi" commessi prima del dicembre 2013 (cfr. Cass, sez. III, 12 giugno 2014, n. 27955, Gilberti, secondo cui "in tema di sostanze stupefacenti la fattispecie prevista dall'art. 73, comma V, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, cosi' come da ultimo modificata dall'art. 2 d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, costituisce un'ipotesi autonoma di reato, il cui regime sanzionatorio si rivela di maggior favore per il reo sia per le droghe pesanti sia per le droghe leggere"). Cio' stabilito, non vi e' dubbio che la questione di legittimita' costituzionale, cosi' come prospettata, ha indubbia rilevanza nel presente processo, che non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione del quesito sollevato. Puo' senz'altro affermarsi - alla luce degli accertamenti tecnici esperiti - che la natura della sostanza stupefacente (marijuana) contestata all'imputato minorenne A. F. rientra nella tabella n. II. Inoltre, pur senza anticipare il giudizio di merito, puo' concretamente ritenersi che la condotta delittuosa contestata sia inquadrabile - avuto riguardo ai "mezzi, alle modalita' o alle circostanze dell'azione ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze" - nell'ipotesi criminosa di cui all'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, sicche' il profilo dell'entita' della pena applicabile in relazione a tale fattispecie autonoma e' assolutamente rilevante. La rilevanza della questione si puo' apprezzare ancora sotto il profilo della violazione dell'art. 117 Cost., ovvero della sopravvenuta inosservanza da parte del legislatore dell'obbligo statale di adeguamento alle decisioni comunitarie e, come si esaminera' nel dettaglio piu' avanti, dell'art. 4 della Decisione Quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004, che vincola gli Stati membri a norme minime per la determinazione degli elementi costitutivi e delle sanzioni in materia di reati concernenti gli stupefacenti. In particolare, la questione di legittimita' costituzionale prospettata appare rilevante in quanto, ove lo Stato Italiano si adeguasse alla risoluzione internazionale indicata, la pena massima prevista per i reati minori in materia di stupefacenti non particolarmente pericolosi per la salute (come la marijuana) dovrebbe essere contenuta tra almeno uno e tre anni di reclusione e, comunque, dovrebbe essere differenziata da quella prevista per le sostanze piu' dannose. E' evidente, pertanto, che la previsione dell'art. 73, comma V, del D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla citata novella legislativa, non rispetti tale paramento, con diretta ripercussione sulle opzioni sanzionatorie da contemplare nel presente processo, che viceversa - ove rispondenti alla normativa internazionale - garantirebbero un massimo edittale per le sostanze stupefacenti meno dannose per la salute che, in ogni caso e nonostante l'esercizio del potere discrezionale del giudice, consentirebbe all'imputato di riportare - in caso di condanna - una pena detentiva comunque inferiore ai tre anni (in virtu' dell'obbligatorieta' dell'applicazione della diminuente della minore eta' ex art. 98 c.p.) e, quindi, una maggiore possibilita' - ricorrendone gli altri parametri di legge - di usufruire dei benefici previsti dalla legislazione minorile sopra indicati (sospensione condizionale della pena, applicazione di sanzione sostitutiva o perdono giudiziale). In ogni caso, la questione sarebbe rilevante - con dirette conseguenze sul piano delle opzioni sanzionatorie nel presente processo - anche qualora si intendesse la normativa internazionale vincolante solo nel limite minimo del massimo di pena detentiva (almeno un anno), nettamente superiore a quello (mesi sei) previsto dall'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90. Profilo di non manifesta infondatezza Prima questione: sospetto contrasto con gli artt. 3 e 27, III comma Costituzione. La disposizione censurata, ovvero l'art. 73, comma V nel testo risultante dalla legge 16 maggio 2014 n. 79 (che ha operato conversioni con modifiche dell'art. 1, comma 24, lett. a) del D.L. 20 marzo 2014, n, 36), si espone ad un sospetto di irragionevolezza nella parte in cui smonta la distinzione tra le droghe pesanti e le droghe leggere. Preliminarmente, e' d'obbligo ricordare ancora una volta che la sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale ha asportato dall'ordinamento gli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272/2005 (convertito poi con la l. 49/2006), e reintrodotto la classificazione delle sostanze stupefacenti, restituendo dignita' giuridica - oltre che scientifica - alla distinzione. Al punto 4.4. della sentenza citata la Consulta descrive l'operazione legislativa del 2006 come "un'innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello sanzionatorio, il fulcro della quale e' costituito dalla parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette «pesanti» e di quelli aventi ad oggetto le droghe della precedente disciplina, che.... coinvolgendo delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost.". Ne consegue che la differenziazione sanzionatoria per fatti connessi a "droghe pesanti" e "droghe leggere" ha, per l'effetto della citata sentenza n. 32, valenza costituzionale. Dunque, l'eliminazione della differenziazione praticata dall'art. 1, comma 24 ter, lett. a) del D.L. 36/2014, confermata dalla legge di conversione l. 16 maggio 2014 n. 79, risulta operazione di dubbia legittimita' costituzionale. Essa risulta a fortiori sospetta la' dove si consideri che il legislatore ha soppresso la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere solo per il fatto lieve, a fronte della permanente diversificazione per il reato piu' grave. Se, infatti, per le ipotesi di non lieve entita' vige un differente trattamento sanzionatorio per sostanze appartenenti a tabelle diverse, analoga proporzione non e' irragionevolmente rispettata per i fatti di lieve entita', puniti in modo indiscriminato con la stessa previsione, pur aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope appartenenti alle differenti tabelle di cui all'art. 14 del medesimo D.P.R. In sintesi, la non manifesta infondatezza della questione si ravvisa nell'evidente asimmetria punitiva tra le suddette norme penali. Alla irragionevolezza estrinseca deve aggiungersi l'ulteriore profilo per il quale l'equiparazione sanzionatoria interna nei fatti di lieve entita' (droghe pesanti/droghe leggere) si scontra, ulteriormente, con la disomogeneita' intrinseca del disvalore del reato (il fatto di lieve entita' commesso con droghe pesanti non puo' ritenersi parificabile al medesimo fatto compiuto con droghe leggere), stante il diverso spessore dell'interesse tutelato. Benche', quindi, appartenga alla discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e qualita' delle sanzioni penali, e' altrettanto vero che il vaglio di legittimita' costituzionale possa e debba estendersi alla verifica che tale discrezionalita' rispetti il limite della ragionevolezza (intrinseca ed estrinseca) e del correlato principio di proporzionalita'. Essi devono intendersi quali canoni di controllo sull'equilibrio interno tra disvalore del fatto e sanzione comminabile, rispondenti al fondamento costituzionale della rieducazione (art. 27, comma 3 Cost.), il cui valore - dotato di dignita' autonoma - appare confermato anche dal disposto di cui all'art. 49, comma 3 Carta dei Diritti Fondamentali U.E. Cio' premesso, la norma citata legittima un sospetto di contrasto con il principio di eguaglianza formale e sostanziale consacrato nell'art. 3 Cost., che comporta che siano trattate ugualmente situazioni eguali e diversamente situazioni diverse, con la conseguenza che ogni differenziazione, per essere giustificata, deve risultare ragionevole, cioe' razionalmente correlata al fine per cui si e' inteso stabilirla. Tale razionalita' non sembra potersi rintracciare nel vigente art. 73, del D.P.R. n. 309 del 1990, in quanto non si ravvisano argomenti plausibili della disomogeneita' interna della norma e, in particolare, a giustificazione del venire meno della rilevanza tributata a natura e tipologia della sostanza oggetto del reato allorquando si tratti di fatti di lieve entita'. Oltretutto, il profilo di dissonanza evidenziato appare ancora piu' evidente, la' dove si evidenzi che il d.l. n. 36 del 2014, convertito - con modificazioni - nella l. n. 79 del 2014, ha ripristinato un trattamento sanzionatorio differenziato, in ragione della sostanza stupefacente, anche rispetto agli illeciti amministrativi di cui all'art. 75, del D.P.R. n, 309/90. Aggiungasi, a conforto della superiore proposizione, che l'incipit "Salvo che il fatto non costituisca piu' grave reato" (che e' stato introdotto quale elemento qualificante la natura di reato autonomo in luogo di circostanza, come interpretato dalla Corte di Cassazione sez. III, sentenza n. 16029 del 17 aprile 2014, e Sez. VI sent. n, 14288 del 26 marzo 2014), appare indice sintomatico della intima sintonia ed analogia, sia fattuale che giuridica, che intercorre tra le fattispecie contemplate ai commi, 1, 4 e 5 dell'art. 73. Il comma V e' un reato minor, ma e' pur sempre (sia materialmente che formalmente) il medesimo reato descritto nei commi 1 e 4, dell'art. 73, perche' medesime sono le condotte materiali. Infine, altro argomento che merita di essere considerato si desume dal ripristino di una pluralita' di tabelle, all'interno delle quali collocare - separatamente - le singole sostanze. La circostanza che la cannabis sia inserita nella tabella II conferma, infatti, la differenza di tale sostanza da quelle inserite nella tabella I (per definizione droghe pesanti). La distinzione cosi' operata non risponde (ne' puo' rispondere) ad un mero canone formale, bensi' esso e' elemento di base e costitutivo delle previsioni sanzionatorie contenute nell'art. 73, comma 4, posto che ciascuna di tali disposizioni opera un preciso riferimento tabellare, l'una alla tabella I e l'altra alla tabella II. Il doppio binario venutosi a creare per la scelta legislativa non appare, quindi, affatto fondato e giustificato. In linea di continuita' con quanto sinora sostenuto non appare condivisibile l'orientamento giurisprudenziale (v., tra le altre, Corte di Cassazione n. 10514/14), secondo cui il trattamento sanzionatorio unitario previsto dalla riformulazione del comma V, dell'art. 73, D.P.R. 309/90, non solo risulterebbe compatibile - pur nella sua diversita' - con la complessiva struttura della norma incriminatrice in questione, ma, addirittura, non sarebbe ravvisabile irragionevolezza nell'oggettivo contrasto tra la norma in questione e il parametro costituzionale dell'art. 3 Costituzione. Sostiene, in proposito, il Collegio di legittimita' che il legislatore avrebbe, per nulla irragionevolmente, deciso di svalutare "il rilievo della natura della sostanza stupefacente tratta... a fronte di specifiche modalita' del fatto criminoso, tali da rivelarne la concreta ed obiettiva ridotta idoneita' offensiva....". Si tratta di una spiegazione che non convince perche' le modalita' del fatto cui al Corte di Cassazione opera riferimento - in realta' - gia' vengono utilizzate nella ratio della norma attenuatrice, come paradigma per definire il livello dell'entita' della condotta. La Corte finisce per sovrapporre quei parametri che - espressamente previsti dal comma V - costituiscono l'elemento essenziale che qualifica e differenzia tale disposizione di legge rispetto alla previsione ordinaria dei commi 1 e 4, dell'art. 73 (in quanto distinguono il grado di particolare allarme e di specifica pericolosita' - soggettiva - che condotte tassativamente individuate suscitano intrinsecamente), con quella che, invece, appare una ratio filosofica fondamentale del legislatore del 1990 e che attiene ad una forma di pericolosita' distinta e totalmente autonoma rispetto alla precedente esaminata, perche' essa, invece, di natura oggettiva, siccome correlata con la tipologia dello stupefacente. Neppure il successivo richiamo al potere discrezionale del Giudice - che si ricollega ad una presunta pluralita' di soluzioni sanzionatorie, la cui ampiezza appare tale da consentirne, con un soddisfacente grado di duttilita', l'agevole adattamento al singolo episodio di vita in concreto sottoposto al suo esame - pare conclusione accettabile. La quantificazione della pena, nel rispetto del principio di rieducazione, presuppone (o meglio deve presupporre) una proporzione tra disvalore del fatto e quantita' di sanzione con il fine di non pregiudicare, gia' nella determinazione della commisurazione edittale, il conseguimento dello scopo special preventivo della pena. In tal senso una dosimetria sanzionatoria indistinta, che non tenga conto della diversita' del disvalore sotteso, non puo' giustificarsi alla luce del potere discrezionale previsto agli artt. 132 e 133 c.p.p., allor'quando esso si tramuti in un rimedio all'indeterminatezza normativa per un recupero indiretto di tassativita'. Come ha osservato la Consulta nella pronuncia 285/1991, il rapporto tra il principio di riserva di legge e quello dell'individuazione della pena, strettamente correlato all'eguaglianza sostanziale, deve tradursi in un'adeguata articolazione dei trattamenti sanzionatori. Mediante la determinazione legislativa dei limiti edittali della pena viene assegnato al giudice il compito di 'proporzionare' la sanzione concreta non gia' al giudizio di disvalore sul fatto previsto dalla legge come reato, ma alla scala di graduazione individuata dal minimo e dal massimo edittali. Nel caso di specie, viceversa, il giudice andrebbe ben oltre il suo compito di concretizzazione sanzionatoria, con la conseguenza di un'illegittima sostituzione alla valutazione del legislatore e con violazione sostanziale del principio di riserva di legge. In altri termini, la risoluzione del problema della coerenza intrinseca di una norma complessa, quale appare l'art. 73 - vera architrave della disciplina penale degli stupefacenti - non puo' essere lasciato alla discrezionalita' del giudice, in sede di commisurazione della pena, essendo riservato al legislatore il compito di indicare i limiti sanzionatori per le varie fattispecie criminose che veicolano disvalori diversi, secondo il principio di legalita' consacrato dagli artt. 25 Cost. e 1 c.p. Parallelamente, questo giudice ritiene che la norma richiamata sia in potenziale contrasto con il principio sancito dall'art. 27, terzo comma, Cost., da ritenersi intimamente connesso con quello di cui all'art. 3 Cost., sul rilievo che la previsione di una sanzione unica e non proporzionata non rispecchi pienamente la diversita' di offesa del fatto incriminato, con cio' impedendo in capo al condannato, ancor piu' se minorenne, l'adeguata percezione del disvalore del fatto compiuto, con correlata violazione della finalita' rieducativa della pena. In altri termini, una sanzione penale rispetta il principio di rieducazione previsto dall'art. 27, comma terzo Cost., adempiendo, nel contempo, alla funzione di difesa sociale e di tutela delle posizioni individuali - la' dove si traduca in una valutazione nella quale si trattino diversamente situazioni differenti, ovvero quando il quantum di pena in relazione a condotte il cui disvalore del fatto (piu' o meno intenso in relazione alla tipologia di sostanza stupefacente, benche' di lieve entita') e valore dell'interesse protetto (danno maggiore o minore dipendente dalla specificita' della sostanza, nonostante la lieve entita') siano ab imis tipizzati, distinti e, quindi, coerenti con l'esigenza di risocializzazione dell'autore in applicazione dell'art. 27, comma 3, Cost. Come sopra anticipato, nonostante appartenga alla discrezionalita' del legislatore la determinazione della quantita' e qualita' delle sanzioni penali, e' altrettanto vero che il vaglio di legittimita' costituzionale possa e debba estendersi alla verifica che tale discrezionalita' rispetti il limite della ragionevolezza (intrinseca ed estrinseca) e del correlato principio di proporzionalita'. Essi devono intendersi quali canoni di controllo sull'equilibrio interno tra disvalore del fatto e sanzione comminabile, rispondenti al fondamento costituzionale della rieducazione (art. 27, comma 3 Cost.), il cui valore - dotato di dignita' autonoma - appare confermato anche dal disposto di cui all'art. 49, comma 3 Carta dei Diritti Fondamentali U.E. In conclusione, la pena prevista dall'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, oltre che nettamente sproporzionata rispetto a quella distinta prevista per la pena ordinaria dalla medesima disposizione per le ipotesi contemplanti droghe di tabelle diverse, appare in conflitto con i correlati principi di uguaglianza e proporzionalita', previsti dagli articoli 3 e 27 Costituzione, secondo cui la pena deve essere adeguata al fatto e funzionale alla rieducazione del reo. Nel caso de quo, la lesione del principio rieducativo indicato in danno dell'imputato potrebbe derivare - nonostante l'esercizio del potere discrezionale del giudice (che, in ogni caso, non puo' sconfinare nell'arbitrio e puo', comunque, essere soggetto a condizionamenti diversi in relazione ai contesti ambientali in cui si esercita la giurisdizione) - dall'entita' indiscriminata e sproporzionata del paradigma edittale previsto dall'art. 73 comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla novella del 16 maggio 2014 n. 79. Oltretutto, le sanzioni previste da tale norma non sono in linea con i parametri comunitari (condivisi) in materia - cosi come meglio si esporra' piu' avanti - e potrebbero precludere oggettivamente all'imputato - nonostante l'esercizio del potere discrezionale del giudice - alcuni benefici, come la sospensione condizionale della pena, il perdono giudiziale e l'applicazione di sanzioni sostitutive ex art. 30 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (previsti in favore dei minorenni con l'obiettivo di non interromperne i processi educativi in corso e favorirne la rapida fuoriuscita dal circuito penale), ancorati dal legislatore a determinati parametri indefettibili, tra quali spicca l'entita' della pena. Seconda questione: sospetto contrasto con l'art. 117, primo comma, Costituzione in riferimento alla decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 25 ottobre 2004 e all'art. 49, 3° paragrafo, Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE. La stessa disposizione e', ad avviso di questo giudice, attraversata da un altro profilo di sospetta incostituzionalita', intimamente connesso a quelli prima esaminati, oltretutto non nuovo poiche' gia' sollevato rispetto agli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 272/2005. Puo' prospettarsi, ancora una volta, la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. per mancata attuazione dell'art. 4 della Decisione Quadro 2004/757/GAI (tutt'ora in vigore per effetto degli artt. 9 e 10 Protocollo n. 36 al Trattato di Lisbona) che chiede ai legislatori nazionali "pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive", indicando in modo specifico, fin dalla formulazione del considerando n. 5, la direzione della proporzionalita'. Preliminarmente, non si puo' tacere che la Corte costituzionale in un passo della sentenza gia' menzionata, numero 32/2014, ha ribadito la necessita' di ritornare alla normativa precedente in virtu' degli obblighi di criminalizzazione comunitari rintracciati proprio nella decisione quadro 2004/757/GAI, dettante norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti e precursori, che consentano l'attuazione di una comune strategia, a livello dell'Unione Europea, intesa a combattere tale traffico. Pertanto, e' la stessa Consulta a riconoscere alla decisione-quadro lo status di parametro interposto di costituzionalita'. Le disposizioni ivi previste costituiscono esempio di parametro di costituzionalita' in quanto al legislatore nazionale e' richiesta una produzione legislativa conforme alle disposizioni contenute nel testo della decisione quadro ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost., Detto parametro si definisce interposto in quanto riproduce uno strumento normativo sovra nazionale (fonte - fatto), recuperato nella vincolativita' attraverso l'art. 117, primo comma Cost. ("La potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali"). Le disposizioni raccolte nella decisione quadro sono, atteso il chiaro tenore dell'art. 34, comma 2, lett. b) Trattato dell'Unione Europea (versione antecedente al 1° dicembre 2009), vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorita' nazionali in merito alla forma e ai mezzi, pur essendo prive di efficacia diretta. La vincolativita' delle statuizioni della decisione quadro (in specie della decisione quadro 2004/757/GAI) si manifesta in piu' direzioni. Anzitutto, si prevede in capo alle Autorita' Giudiziarie l'obbligo di interpretare il diritto interno in modo conforme, quando sia reso possibile dal tenore letterale delle disposizioni nazionali (CGUE, 16.6.2005, C-105, Pupino). Inoltre, per risolvere antinomie non componibili nell'interpretazione, la disposizione comunitaria quando e' priva di effetto diretto (quale e' sempre la decisione quadro Gai per espressa volonta' dell'art. 34 TUE ante Lisbona) integra il disposto dell'art. 117, 1 comma, Cost., inserendosi nel discorso costituzionale al pari di parametro interposto. La vincolativita' della decisione quadro, inoltre, comporta l'insorgenza in capo allo Stato, che sia rimasto inadempiente rispetto agli obblighi comunitari, di una responsabilita' nei confronti del cittadino danneggiato dalla violazione del diritto comunitario (CGUE, 05.03.1996, C-46, Brasserie du oeucher Sa). Tanto premesso in ordine generale, le disposizioni della decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 25 ottobre 2004, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea l. 335/11 (11 novembre 2004), prevedono pene differenziate per gli stupefacenti piu' dannosi per la salute. L'art. 4 della decisione quadro raccomanda di prevedere un "trattamento sanzionatorio differenziato per i vari tipi di droga" (1. Ciascuno Stato membro provvede affinche' i reati di cui agli articoli 2 e 3 siano soggetti a pene detentive effettive, proporzionate e dissuasive. 2. Ciascuno Stato membro provvede affinche' i reati di cui all'art. 2 siano soggetti a pene detentive della durata massima compresa tra almeno 1 e 3 anni. 3. Ciascuno Stato membro provvede affinche' i reati di cui all'art. 2, paragrafo lettere a), b) e c) siano soggetti a pena detentiva della durata massima compresa fra almeno 5 e 10 anni in presenza di ciascuna delle seguenti circostanze: a) il reato implica grandi quantitativi di stupefacenti; b) il reato o implica la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute, oppure ha determinato gravi danni alla salute di piu' persone.). Cio' premesso, e' evidente che la legge del 16 maggio 2014 n. 79, di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, nei termini in cui ha modificato l'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, prevedendo pene detentive variabili - per qualunque sostanza stupefacente - tra mesi sei e anni quattro di reclusione, violi l'art. 4 della decisione UE 757/GAI/2004, che per i reati minori in tema di stupefacenti (categoria in cui puo' essere inquadrato il reato oggetto del presente processo indica una durata massima compresa tra almeno 1 e 3 anni. La violazione e' apprezzabile sia sotto il profilo dei limiti massimi di pena detentiva, sia - qualora l'avverbio "almeno" dovesse ritenersi applicabile solo al primo termine edittale - in riferimento ai limiti minimi dei massimi di pena detentiva (almeno anni uno per la decisione quadro, mesi sei per l'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90). La violazione della normativa comunitaria, di contro, e' poi apprezzabile anche con riferimento alla disciplina dettata per le fattispecie criminose che riguardano le sostanze stupefacenti piu' dannose per la salute, per le quali la decisione-quadro indicata - stabilendo ancora una volta la necessita' di un differente trattamento sanzionatorio suggerisce che siano soggette a pene detentive della durata massima compresa almeno tra 5 e 10 anni, Di contro, l'art. 73 comma V nei termini risultanti dalla legge del 16 maggio 2014 n. 79 (di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36) prevede che anche i reati minori concernenti le sostanze piu' dannose per la salute siano puniti - analogamente a quelli relativi alle sostanze stupefacenti meno dannose - con pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329, ovvero con una pena detentiva irrispettosa dei minimi dei massimi edittali, cui la decisione Quadro assoggetta le condotte ivi stigmatizzate (ovvero minimo 5 anni), laddove queste implichino la fornitura degli stupefacenti piu' dannosi per la salute (ovvero le cc.dd. droghe pesanti). Nel caso di specie, pertanto, potrebbe ravvisarsi un'ipotesi di inadempimento statale di un obbligo sovranazionale, connotato da un grado di determinatezza tale da rendere l'antinomia eventualmente riscontrata censurabile da parte della Corte costituzionale. Ma vi e' di piu'. Per completezza di esposizione; non appare superfluo procedere - anche per i profili di stretta connessione con le questioni sopra analizzate - ad un'analisi piu' approfondita del punto n. 5 delle considerazioni preliminari della decisione 2004/757/GAI. Tale norma - vero fulcro legislativo - costituisce, infatti, passo di carattere generale e, comunque, necessariamente propedeutico alla disamina dell'impianto normativo propriamente detto, il quale traduce, al successivo art. 4, in termini specifici l'indicazione generale. Il punto n. 5) delle premesse della decisione del Consiglio della UE afferma, infatti, che le sanzioni concernenti le condotte illecite in materia di stupefacenti, devono ispirarsi ai principi della "efficacia", "proporzionalita'" e "dissuasivita'". Tra questi canoni fondamentali, quello che piu' significativamente si pone in correlazione con le sanzioni previste dall'art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, appare quello della proporzionalita' della pena. Il criterio in parola risulta di specifica importanza tanto a livello di legislazione comunitaria, quanto sul piano del diritto interno italiano, posto che non e' affatto revocabile in dubbio il suo rango di natura costituzionale, desumibile dal combinato disposto dagli artt. 3 e 27, commi 1 e 3, Cost. Affinche' il criterio della proporzionalita' non rimanga pero' confinato al livello di una mera e semplice petizione di principio, di natura generica e astratta, il punto n. 5) della decisione del Consiglio dell'Unione Europea offre specifici e concreti canoni ermeneutici tendenzialmente fattuali, destinati a favorire l'individuazione dei limiti di pena: tra essi, riveste una peculiare importanza, "la natura degli stupefacenti oggetto di traffico". Appare dunque evidente che, in base ad una simile caratterizzazione dello scopo da raggiungere, il principio della proporzionalita' della pena si debba necessariamente coniugare con quelli della "offensivita'" e della "tassativita'". In particolare, la rilevanza del principio di "offensivita'" - allo scopo di identificare, in modo corretto e rispettoso dell'equazione tra fatto e sanzione concreta, la pena da prevedere in relazione ad una specifica ipotesi di reato - appare assoluta. Il principio di "offensivita'" diviene, quindi, al contempo presidio di "controllo delle scelte di politica criminale" e "criterio ermeneutico indirizzato al giudice" (ex plurimis, pronunce C. Cost. n. 263 del 2000 e n. 225 del 2008). Il concetto di "offensivita'", dunque, si pone come termometro del grado di antigiuridicita' del fatto o di un comportamento, ma - in pari tempo - anche quale parametro del tipo di riprovazione sociale di una condotta, o ancora, del livello di protezione e di tutela di un preciso bene giuridico. Coerentemente, l'esempio di proporzionalita' predisposto a livello comunitario offre risposte sanzionatale differenziate in relazione al diverso grado di offensivita' della condotta incriminata e, sotto un profilo meramente oggettivo, della tipologia di stupefacente valutata in relazione al danno alla salute che provoca. Se dunque il legame tra proporzionalita' e offensivita' risulta simbiotico e diretto nelle valutazioni operate dalla decisione 2004/757/GAI, lo stesso non pare, pero', affatto rispettato e declinato dalla struttura dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, cosi' venutosi a delineare dopo la riforma del 2014. L'omologazione sanzionatoria tra sostanze che gia', a costante parere della stessa comunita' scientifica internazionale, sono individuate come differenti tra loro, non solo per caratteristiche organolettiche, ma soprattutto, in relazione al tipo di conseguenze (psico-fisiche) che la loro assunzione produce, potrebbe determinare, in forza della sua disapplicazione, un notevole vulnus del ricordato principio di offensivita': e' indiscutibile dal punto di vista scientifico che la cannabis produce effetti psicotropi e sulla salute dell'assuntore neppure comparabili con quelli derivati dall'assunzione di cocaina, eroina o extasy, tanto per citarne alcune. La previsione normativa di una pena assolutamente identica (nel minimo edittale come nel massimo edittale), in relazione a precisi e dettagliati comportamenti aventi a oggetto sostanze che, seppur tutte classificate come illecite, esprimono una diversa, quanto evidente, capacita' di attentato alla salute di chi ne faccia uso, non appare affatto improntata a canoni di ragionevolezza o logicita' e, inoltre, risulta in netto contrasto la citata normativa comunitaria. Pertanto, atteso che la legislazione comunitaria riconosce l'esistenza di stupefacenti piu' dannosi per la salute prevedendo un trattamento punitivo differenziato, la reintrodotta equiparazione delle sanzioni per il fatto di lieve entita' e' sospetta di essere costituzionalmente illegittima, al punto tale da esporre lo Stato ad ipotesi di risarcimento del danno da parte del cittadino danneggiato dall'inadempimento comunitario. In altri termini, nell'adozione di una disposizione normativa che non corrisponde agli obiettivi denunciati in sede comunitaria, ne' alle indicazioni della Corte costituzionale che fa distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, deve ritenersi violato il principio di ragionevolezza nonche' l'impegno di leale cooperazione, che dovrebbe governare il rapporto tra gli Stati membri e l'Unione. Peraltro, la stessa violazione dell'art. 117 Cost. si propone - in punto di proporzionalita' - in relazione all'art. 49, 3 paragrafo, Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (adottata al Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2012), la' dove pretende che "Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato". L'inadempimento dello Stato Italiano alle statuizioni sopranazionali della decisione quadro 2004/757/GAI e' stato, peraltro, implicitamente ribadito dalla Commissione delle Comunita' Europee con relazione del 10 dicembre 2009 (Com/2009/669 definitivo). La Commissione, dopo avere premesso che alcuni Stati, tra cui l'Italia non hanno rispettato l'obbligo di comunicazione di cui all'art. 9, paragrafo 2 della decisione quadro, nell'analizzare le misure nazionali di attuazione ha segnalato che in molti Stati membri pene detentive massime stabilite per i reati ordinari (art. 4, par. 1) sono in realta' molto piu' elevate rispetto alla proposta della decisione quadro (1-3 anni), cosi' come avviene in Italia con la disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale. Il complesso delle condizioni riassunte ha indotto la Commissione a trarre la conclusione che l'attuazione della Decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio del 25 ottobre 2004 "non e' del tutto soddisfacente, non avendo molti Stati adeguato la legislazione vigente in funzione della decisione quadro...Senza contare che almeno sei Stati membri (tra cui l'Italia) non hanno trasmesso alcuna informazione, obbligatoria ai sensi dell'art. 9 della medesima decisione quadro". Per tali motivi la Commissione ha invitato gli Stati membri che non hanno adempiuto o abbiano adempiuto solo in parte agli obblighi di cui all'art. 9 della decisione quadro (1) a trasmettere quanto prima alla Commissione e al Segretario generale del Consiglio tutte le rispettive disposizioni di attuazione. Valutazioni conclusive Seguendo le direttrici delle sentenze "gemelle" n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale, non si puo' non riconoscere che, tra normativa interna di rango primario e la Costituzione, si e' "interposta" una decisione, attuativa di un trattato internazionale, che, pur non direttamente applicabile, crea obblighi del nostro paese, quale Stato contraente. Secondo l'indicazione proveniente dalle citate sentenze, tali obblighi, in primo luogo, impongono al giudice comune di "interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai testi delle norme. Qualora cio' non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale 'interposta', egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimita' costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma .... spettera' poi alla Corte .... accertare il contrasto e, in caso affermativo, verificare se le stesse norme .... garantiscono una tutela dei diritti fondamentali almeno equivalente al livello garantito dalla Costituzione italiana" (Corte Cost. 349/2007). Cio' premesso, e' indubbio che il contrasto tra l'attuale formulazione dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90 e la decisione quadro richiamata sia insanabile in via interpretativa (non potendo questo giudice intaccare - con un'esegesi adeguatrice che rischierebbe di sconfinare nell'arbitrio - i limiti minimi e massimi di pena detentiva previsti dalla disposizione e, comunque, dosare la sanzione in funzione delle differenze sostanze) e non puo' trovare rimedio nella disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice comune, essendo la norma dell'Unione Europea priva di efficacia diretta. E' peraltro indiscutibile che il legislatore italiano non abbia provveduto, in ottemperanza al dovere derivante dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, a conformare la normativa interna ai dettami di quella comunitaria sopra indicata, anche con riferimento ai parametri edittali. Il contrasto segnalato deve, pertanto, essere sottoposto alla verifica di costituzionalita' del giudice ad quem, che, in virtu' dei poteri derivanti ex art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87 potrebbe dichiarare anche l'illegittimita' derivata dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, nella parte relativa alla violazione dei minimi dei massimi edittali previsti per le droghe piu' dannose della salute di cui all'art. 4 della medesima decisione quadro. La declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla legge 16 maggio 2014 n. 79, nella parte in cui non prevede un regime sanzionatorio differenziato in relazione alla tipologia e classificazione tabellare della sostanza stupefacente, conformemente ai parametri anche edittali di cui all'art. 4 della Decisione Quadro 2004/757/Gai del Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004, appare l'unica soluzione idonea (e propedeutica) a garantire l'adeguamento del diritto interno agli obblighi comunitari assunti in materia, oltre che un trattamento sanzionatorio proporzionato in relazione a situazioni di differente offensivita' e allarme sociale, funzionale al principio di rieducazione della pena. (1) Articolo 9 Decisione quadro 2004/757/Gai del Consiglio del 25 ottobre 2004: 1. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie per conformarsi alle disposizioni della presente decisione quadro entro il 12 maggio 2006. 2 Gli Stati membri trasmettono al Segretario Generale del Consiglio e della Commissione, entro il termine di cui al paragrafo 1, il testo delle disposizioni inerenti al recepimento nella legislazione nazionale degli obblighi loro imposti dalla presente decisione quadro. La Commissione, entro il 12 maggio 2009, presenta al Parlamento Europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della decisione quadro
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 73, comma V, D.P.R. 309/90, nel testo risultante dalla legge 16 maggio 2014 n. 79, per contrasto con gli artt. 3, 27, III comma, e 117, I comma, della Costituzione nei termini in motivazione indicati e specificatamente nella parte in cui: 1) Non distingue - nel trattamento sanzionatorio tra fatti di lieve entita' aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I e fatti di lieve entita' aventi ad oggetto sostanze stupefacenti o psicotrope appartenenti alla differente tabella II dell'art. 14 del D.P.R. 309/90; 2) Non prevede dei limiti di pena detentiva differenziati e conformi ai parametri di cui all'art. 4 della Decisione Quadro 2004/757/Gai del Consiglio dell'Unione Europea del 25 ottobre 2004 e all'art. 49, 3° paragrafo, Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE. Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria in sede, l'ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' all'imputato e al Pubblico Ministero; Ordina che, a cura della cancelleria in sede, l'ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Reggio Calabria, 5 febbraio 2015 Il Presidente: Di Bella