N. 58 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 maggio 2015
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 29 maggio 2015 (della Regione Lombardia). Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o di trasformazione in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata previsione di una disciplina statale contenente disposizioni di dettaglio in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale rientrante nella competenza legislativa concorrente - Mancanza di forme di concertazione con le Regioni. - Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. - Costituzione, art. 117 , comma terzo. Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o di trasformazione in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata violazione dei canoni di proporzionalita' e ragionevolezza con riferimento all'esercizio della potesta' legislativa esclusiva statale nelle materie relative a moneta, tutela del credito e mercati finanziari, tutela della concorrenza e sistema valutario - In via gradata, denunciata violazione del principio di leale collaborazione, in ragione della omessa considerazione nel procedimento legislativo de quo delle attribuzioni, prerogative e interessi regionali. - Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. - Costituzione, artt. 117, comma secondo, lett. e), 3, 5 e 120. Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o di trasformazione in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata imposizione di forme giuridiche e regole tipicamente speculative e lucrative - Contrasto con il riconoscimento costituzionale della funzione sociale della cooperazione - Lesione della tutela del credito e del risparmio - Incidenza sulla liberta' contrattuale e di iniziativa economica - Violazione del principio di sussidiarieta' orizzontale. - Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. - Costituzione, art. 118, comma quarto, in combinato disposto con gli artt. 45 e 47, nonche' in combinato disposto con gli artt. 2, 18 e 41. Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti - Banche popolari - Ricorso della Regione Lombardia - Denunciata introduzione di una disciplina organica mediante decreto-legge - Insussistenza dei presupposti per la decretazione di urgenza - Incidenza sulla sfera di competenza regionale nelle materie di legislazione concorrente. - Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. - Costituzione, artt. 77 e 117, anche in combinato disposto con l'art. 3.(GU n.28 del 15-7-2015 )
Ricorso della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con sede in Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del Presidente pro tempora, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della Deliberazione di Giunta regionale n. X/3565 del 14 maggio 2015 dagli avv.ti Piera Pujatti (PJTPRI62C51C722G) e Pio Dario Vivone (VVNPDR58A28H981N) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del Prof. Avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma (CF. MRNFNC73D28HSO1U; pec:francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.orgfax. 06.36001570), presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto domicilio, ricorrente; Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei Portoghesi, 12, resistente; Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015, n. 19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015, n. 33, pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 - Suppl. Ordinario n. 15 1. Il DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015, n. 19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015, n. 33, pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 - Suppl. Ordinario n. 15, riforma il sistema bancario italiano, prevedendo, per quanto di interesse per il presente ricorso, una penetrante modifica dell'assetto delle banche popolari. 2. L'art. 1, appunto, reca la rubrica «Banche popolari» e risulta cosi' formulato: «. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all' art. 28, dopo il comma 2-bis, e' aggiunto il seguente: «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, e' limitato secondo quanto previsto dalla Banca d'Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove cio' e' necessario ad assicurare la computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualita' primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d'Italia puo' limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.»; b) alt art. 29: 1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: «2-bis. L'attivo della banca popolare non puo' superare 8 miliardi di euro. Se la banca e' capogruppo di un gruppo bancario, il limite e' determinato a livello consolidato. 2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis, l'organo di amministrazione convoca l'assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l'attivo non e' stato ridotto al di sotto della soglia ne' e' stata deliberata la trasformazione in societa' per azioni ai sensi dell'art. 31 o la liquidazione, la Banca d'Italia, tenuto conto delle circostanze e dell'entita' del superamento, puo' adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell'art. 78, o i provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I, o proporre alla Banca centrale europea la revoca dell'autorizzazione all'attivita' bancaria e al Ministro dell'economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d'Italia dal presente decreto legislativo. 2-quater. La Banca d'Italia detta disposizioni di attuazione del presente articolo.»; 2) il comma 3 e' abrogato; c) l'art. 31 e' sostituito dal seguente: «Art. 31 (Trasformazioni e fusioni). - 1. Le trasformazioni di banche popolari in societa' per azioni o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino societa' per azioni le relative modifiche statutarie nonche' le diverse determinazioni di cui all'art. 29, comma 2-ter, sono deliberate: a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purche' all'assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all'assemblea. 2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto dall'art. 28, comma 2-ter. 3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»; d) all art. 150-bis: 1) al comma 1, le parole: "banche popolari e alle" sono soppresse; 2) il comma 2 e' sostituito dal seguente: "2. Alle banche popolari non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349, secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525, primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma, 2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma, 2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e secondo comma, 2545-bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies, 2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies, 2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies.»; 3) il comma 2-bis e' sostituito dal seguente: «2-bis. In deroga a quanto previsto dall'art. 2539, primo comma, del codice civile, gli statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, questo numero non e' inferiore a 10 e non e' superiore a 20.»; 2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche popolari autorizzate al momento dell'entrata in vigore del presente decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell'art. 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d'Italia ai sensi del medesimo art. 29. 2-bis. Gli statuti delle societa' per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari di cui al comma 2 o da una fusione cui partecipino una o piu' banche popolari di cui al medesimo comma 2 possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nessun soggetto avente diritto al voto puo' esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facolta' di prevedere limiti piu' elevati. A tal fine, si considerano i voti espressi in relazione ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite societa' controllate, societa' fiduciarie o interposta persona e quelli espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito, a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni; le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall'art. 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. In caso di violazione delle disposizioni del presente comma, la deliberazione assembleare eventualmente assunta e' impugnabile ai sensi dell'art. 2377 del codice civile, se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione. Le azioni per le quali non puo' essere esercitato il diritto di voto non sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea» 3. In sostanza, la novella legislativa attua una penetrante riforma della disciplina delle banche popolari, portando cosi' a snaturare la loro attuale configurazione e funzione. Le banche popolari hanno rappresentato sino ad oggi lo schema tipico del credito cooperativo, finalizzato - proprio grazie al peculiare sistema di voto e delle maggioranze - allo svolgimento di attivita' bancaria con carattere mutualistico. Attivita' che, come e' noto e meglio si dira' oltre, si colloca tradizionalmente nel contesto geografico delle comunita' locali a beneficio di famiglie, PMI e consumatori. 4. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso, la Regione Lombardia, come in atti rappresentata e difesa, impugna il DL n. 3/2015, convertito in L n. 33/2015 e in particolare l'art. 1, in quanto lesivo delle proprie attribuzioni e comunque del proprio interesse, costituzionalmente garantito, alla partecipazione al procedimento finalizzato all'approvazione di una legislazione che incide grandemente su ambiti di propria spettanza e sugli interessi della comunita' amministrata e del territorio regionale. Diritto Prima di esporre i singoli motivi di gravame, appare opportuno formulare brevi cenni sulla storia e la peculiarita' dell'istituzione bancaria oggetto dell'avversata riforma prendendo spunto dal documento redatto da Assopopolari (doc. n. 2) Le banche popolari nascono nella seconda meta' del XIX secolo in Lombardia - con la fondazione della prima Banca Popolare a Lodi nel 1864 - sul modello della Volksbank tedesca, introdotto in Italia da Luigi Luzzatti e successivamente si rafforzano con la fondazione della Banca Popolare di Milano nel 1865 e la Banca Popolare di Sondrio nel 1871. Grazie al caratteristico assetto cooperativo e alla particolare attenzione rivolta al territorio ed in particolare alla piccola imprenditoria e alle famiglie, le banche popolari conoscono, fin dal momento della loro costituzione, un successo immediato, conquistando nell'arco di pochi anni un quarto del mercato creditizio italiano. Le banche popolari hanno superato difficolta' e congiunture economiche negative per 150 anni, compresa la crisi finanziaria del 2008 causata da operazioni sui derivati da parte di operatori finanziari internazionali e di banche S.p.A. Anche in questo frangente infatti le banche popolari sono riuscite a resistere e a garantire la loro opera e missione di banche territoriali, finalizzate alla raccolta del risparmio, da destinare principalmente al credito verso le famiglie e le imprese, specie medio piccole, del medesimo territorio. Attualmente sono 70 le banche popolari in Italia e piu' di 1 milione di soci, con piu' di 12 milioni di clienti; danno lavoro a 81.700 dipendenti (dati al 30 giugno 2014), hanno un totale attivo complessivo di 450 miliardi di euro, provviste per 425 miliardi di euro, impieghi per 385 miliardi di euro; hanno 9.300 sportelli in Italia al servizio di PMI e famiglie per una percentuale del 28 per cento del sistema bancario italiano cosi' suddivisa: 25,3 per cento per provviste, 24,6 per cento per impieghi e ben il 29,3 per cento per sportelli. Per quanto riguarda la presenza e le attivita' delle banche popolari in Lombardia, esse sono ancora piu' incidenti, in percentuale, rispetto al quadro italiano: i crediti ricoprono il 35 per cento del totale delle quote di mercato in Lombardia e ben il 43 per cento della quota di mercato relativa ai crediti alle PMI. I depositi coprono il 34 per cento del totale. E infine gli sportelli delle banche popolari in Lombardia, che sono 2.531 su un totale di 6.100, coprono il 41 per cento del totale. Le banche popolari distribuiscono utili al territorio in misura considerevole per lodevoli finalita' di carattere socio-sanitario, scientifico e culturale: donazioni a strutture sanitarie pubbliche e private, contributi alla ricerca medico scientifica, interventi per la difesa e il recupero del patrimonio artistico; interventi di interesse collettivo quali la partecipazione alla realizzazione, ripristino, ampliamento di infrastrutture di pubblica utilita' come ospedali, universita', strade e altri; contributi per manifestazioni e avvenimenti, sponsorizzazioni sportive e di altri eventi sociali, culturali, artistici; iniziative legate alla tradizione dei territori di insediamento quali feste patronali e religiose; altri interventi come borse di studio ed altri riconoscimenti ai giovani meritevoli, contributi all'associazionismo sociale e culturale, contributi alla ricerca ed alla formazione in campi diversi. L'ammontare di tali interventi e' di 140 milioni di euro in Italia, dei quali ben 85 milioni sono destinati ad attivita' e opere in Lombardia e rappresentano quindi per il territorio regionale una risorsa insostituibile anche per materie, quali la sanita', che sono di competenza regionale. Il Consiglio dei ministri ha deliberato il decreto-legge del 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti) che stabilisce tra l'altro che le banche popolari che rientrano nel parametro dell'attivo superiore agli 8 miliardi di euro dovranno abbandonare il principio del «voto capitano» e dovranno trasformarsi in S.p.A.. Con la l. 33/2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 marzo 2015 (SO n. 15, G.U. 25 marzo 2015, n. 70), il Parlamento ha convertito in legge il d.l. 3/2015, dettando una disciplina che puo' essere applicata da questi istituti per un periodo transitorio, in ordine a limitazioni del diritto di voto, permettendo di superare temporaneamente l'articolo piu' contestato, quello relativo al «voto capitano» e garantendo quindi al Governo di chiudere con l'operazione di riforma, calata dall'alto, delle banche popolari. Le principali banche popolari presenti in Lombardia sono: UBI, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese. Tanto esposto a meri fini di inquadramento, si procede all'esposizione dei motivi di ricorso. 1) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, terzo comma Cost.: per violazione della competenza legislativa regionale concorrente in materia di casse di risparmio, casse ruralii aziende di credito a carattere regionale. La competenza regionale concorrente in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale e' stata, come noto, individuata solo dalla novella del 2001 (L Cost n. 3/2001). La novella e' intervenuta dopo che, il Dlgs 385/93 ha introdotto nel nostro ordinamento creditizio il modello della cd banca universale a quegli stessi fini ora posti a base dal governo del DL 3/15: limitare la frammentazione dei regimi giuridici a favore della formazione di societa' per azioni o societa' cooperative per azioni. La riforma costituzionale del 2001, invece, ha attribuito ex novo alle regioni ordinarie la competenza legislativa relativa alle casse di risparmio, rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario agrario a carattere regionale. In verita' il nostro ordinamento conosceva gia' la competenza delle regioni, ma a statuto speciale, in materia di aziende di credito a carattere regionale. Non solo, ma il DPR n. 616/77 aveva affidato anche alle regioni a statuto ordinario alcune funzioni amministrative in materia di agevolazioni per l'accesso al credito e disciplina dei rapporti con gli istituti di credito. La novella del 2001 interviene ad armonizzare le competenze fra le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario, anche in ossequio ad un richiamo di codesta Ecc.ma Corte (Corte Cost. n. 525/1990). Tra l'altro quest'ultima sentenza individua la ripartizione di competenza per le - all'epoca sole - autonomie speciali, «in base alla quale, mentre la competenza dell'ente autonomo si esercita nella pienezza della sua consistenza costituzionale soltanto nei confronti degli istituti crediti aventi carattere regionale, al contrario, rispetto agli altri istituti, le competenze si esprimono in atti di collaborazione (essenzialmente in pareri) rispetto all'esercizio di attribuzioni che spettano allo Stato in quanto in esse domina l'interesse nazionale»: La medesima sentenza delimita il concetto di istituto di credito di interesse regionale, in assenza di norme legislative o statutarie definitorie, secondo un criterio meramente e rigorosamente spaziale, ritenendoli naturalmente delimitati dai confini dell'interesse regionale o provinciale sotteso alle competenze legislative e amministrative delle stesse e, dunque, in via di principio, con i limiti del rispettivo territorio. Le competenze regionali vengono rese omogenee, sotto il profilo in esame, dilla L Cost. n. 3/2001, che introduce, fra le materie di legislazione concorrente, «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale». Le difficolta' interpretative concernenti i limiti entro i quali un'attivita' creditizia possa ritenersi di carattere regionale sono state affrontate dalla L. n. 171/2006 «Ricognizione dei principi fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale». L'art. 2 della L n. 171/06 definisce le Banche a carattere regionale. In particolare, sono indici della «regionalita'» di una banca: l'ubicazione della sede e delle succursali nel territorio della stessa regione (pur se una limitata presenza in altre regioni non esclude il carattere regionale); la localizzazione regionale della sua operativita'; ove la banca appartenga ad un gruppo bancario, la circostanza che anche le altre componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale in base ai precedenti indicatori. In sostanza, dopo la L. n. 171/06, l'esercizio di operativita' al di fuori del territorio regionale non fa venir meno la regionalita', che si connota per l'operativita' dell'istituto prevalentemente nel territorio di una stessa regione. Le disposizioni della novella legislativa statale non sono relative a «moneta, tutela del credito e mercati finanziari; tutela della concorrenza, sistema valutario», materie rientranti nella potesta' esclusiva dello Stato; ma costituiscono la disciplina di banche di interesse regionale, dunque rientranti nella potesta' concorrente della regione. La gran parte delle banche popolari, oggetto della disciplina, infatti (Ubi, Banco Popolare, Bpm, Bper, Creval, Popolare di Sondrio, Banca Etruria, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Bari) si connotano per la regionalita'. Fra quelle sopra indicate la Banca Popolare di Milano e la Banca Popolare di Sondrio hanno la gran parte delle filiali in Lombardia ed operano prevalentemente in territorio lombardo oltre ad avere la sede, rispettivamente, a Milano e a Sondrio. E cio' a tacere del gruppo UBI, del quale fanno parte la Banca della Valle Camonica, la Banca Popolare di Bergamo, il Banco di Brescia, la Banca Popolare Commercio e Industria. Trattasi di istituti di credito aventi un fortissimo radicamento regionale come puo' evincersi da una semplice ricerca online: La Banca popolare di Milano (con sede in Milano) su 641 filiali ne ha 396 in Lombardia; La Banca Popolare di Sondrio (con sede in Sondrio) su 327 filiali ne ha 250 in Lombardia; La Banca Popolare Commercio e Industria (con sede in Milano) su 210 filiali ne ha 158 in Lombardia; La Banca della Valle Camonica (con sede in Breno) su 66 filiali ne ha 66 in Lombardia. L'interpretazione dell'esatto riparto di competenze tra Stato e Regioni, cosi' come emerge dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, si serve di alcuni strumenti tra i quali, soprattutto, quello che discerne tra i vari livelli di interesse, nazionale o regionale. Si veda, a tale proposito, la pronuncia della Corte Cost. n. 14/04. Orbene in considerazione di quanto sopra e in considerazione dell'esistenza di un ambito legislativo regionale in materia di istituti di credito di interesse regionale, non si puo' non rilevare come il legislatore statale abbia previsto una disciplina che semplicemente dimentica l'esistenza delle regioni, non sottoponendone l'applicazione alla benche' minima forma di concertazione con le regioni medesime, senza neppure una ricognizione circa il carattere regionale di alcune di essi. Si consideri che il comma 1 lettera b), n. 1 della norma impugnata, dopo aver previsto la riduzione dell'attivo della banca popolare entro il limite degli otto miliardi di euro ovvero la trasformazione in societa' per azioni, prevede che le disposizioni di attuazione saranno dettate dalla Banca d'Italia. Ne' e' prevista, in alcuna parte della norma, alcuna forma di concertazione con le regioni. La norma prevede delle disposizioni di dettaglio, stabilendo il limite di attivo ovvero la trasformazione giuridica dell'istituto; in pratica, il regime cooperativo e' totalmente cancellato. E' pur vero che le banche popolari potranno fissare un tetto del 5% del diritto di voto in assemblea - con cio' mantenendo quel principio democratico di rappresentanza che ne costituisce una delle caratteristiche e che comportava che nessun socio potesse detenere piu' dell'1 per cento del capitale - ma cio' potra' essere solo per i prossimi ventiquattro mesi (comma 2-bis). Inoltre non prevede alcuna concertazione con le regioni circa le disposizioni di attuazione. Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 1 del DL n. 3/2015, convertito in legge n. 33/2015, venga dichiarato incostituzionale per contrasto con l'art 117, comma 3, Cost. 2) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo comma, Cost. lett. E), e dell'art. 3 Cost. per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli att. 5 e 120 Costituzione. Col primo motivo si e' sostenuto che la disciplina delle banche popolari, aziende di credito a carattere regionale, non compete allo Stato in via esclusiva. Il carattere regionale degli istituti bancari deve desumersi, secondo l'insegnamento di codesta Ecc.ma Corte da due elementi: l'ubicazione territoriale e la natura degli interessi perseguiti (sentenze nn. 525/90 e 1147 e 1141/1988). Peraltro dobbiamo notare come l'ubicazione territoriale ha nel tempo visto diminuire la sua rilevanza per effetto dell'erogazione dei servizi bancari con modalita' telematiche. Resta dunque il secondo criterio declinato dalla giurisprudenza costituzionale nello svolgimento dell'attivita' creditizia prevalentemente nei confronti di una specifica comunita' territoriale, venendosi cosi' a determinare un legame, non solo di fatto, tra l'attivita' bancaria e le attribuzioni e i fini istituzionali delle regioni (cfr Corte Cost. nn. 50 e 58 del 1958). E questo e' certamente il caso che ci occupa, ove solo si consideri l'attivita' della Banca Popolare di Milano, di Sondrio etc. Ne consegue che, anche a prescindere dalla pur sussistente lesione di competenze proprie delle regioni, in ogni caso la competenza statale in subiecta materia abbia chiara natura trasversale, incidendo sulla competenza regionale in materia di «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale». Lo Stato, dunque, avrebbe dovuto non solo attenersi ai canoni di proporzionalita' e ragionevolezza (del tutto violati: per quale ragione, ad es. si e' fissato il limite di 8 miliardi di conservazione dell'attuale status giuridico?), ma anche garantire alle regioni, in sede di formazione del decreto o almeno in sede di conversione, una utile partecipazione al procedimento. In via gradata, nel caso in cui non si dovesse aderire a tale prospettazione, si sottopone al vaglio di codesta Ecc.ma Corte la violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., in ragione della omessa considerazione nel procedimento legislativo de quo delle attribuzioni, prerogative e interessi regionali. Il vigente art. 118 Cost., di impronta federalista, opera un riparto delle competenze ispirato dal principio di sussidiarieta', in forza del quale le funzioni amministrative vengono assegnate agli enti direttamente e immediatamente esponenziali degli interessi e delle idealita' delle comunita' insediate su un determinato territorio. Per poter operare concretamente tale principio deve declinarsi sia in senso orizzontale - concorso di enti e soggetti equi ordinati - sia verticalmente, con riguardo ad enti e soggetti operanti a livelli differenti di potesta' e responsabilita' e l'operativita' da moduli concertativi quali le intese e gli accordi. La concertazione non e' finalizzata solo a prevenire possibili controversie amministrative, ma anche e forse soprattutto, a costruire interventi, anche legislativi, nel massimo grado efficaci in quanto adeguati alle specifiche esigenze rilevate. La cooperazione non e', ai sensi dell'art. 120 Cost., una mera possibilita', una facolta', bensi' un vero e proprio obbligo che giustifica e legittima un'organizzazione pluralistica dello Stato, qual e' quello italiano. Uno dei «luoghi» deputati alla ricerca di intese ed accordi e' la Conferenza unificata Stato-regioni e Autonomie locali, in specie di quegli (accordi) finalizzati all'armonizzazione delle finalita' della programmazione statale, di cui la politica creditizia e del risparmio e' parte non insignificante, con quella regionale e degli enti locali. Necessita' di un raccordo nel caso di specie reso palese dalla ridondanza della introdotta disciplina a regime su attribuzioni e interessi locali e regionali. Nella sentenza 22/2012 (p.3.1 del Considerato in diritto) la Corte costituzionale ha, sulla base di una giurisprudenza costante «ritenuto ammissibili le questioni di legittimita' costituzionale prospettate da una regione, nell'ambito di un giudizio principale, in riferimento a parametri diversi da quelli, contenuti nel titolo V della parte seconda della Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo stato e le regioni, quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione». Ora, non pare dubitabile che la disciplina impugnata incida in modo notevole su plurime attribuzioni regionali: a. sia in materie (valorizzazione beni culturali e ambientali e organizzazione attivita' culturali, sostegno dell'innovazione per i' settori produttivi, welfare, etc.) nelle quali il sostegno economico e promozionale delle banche popolari e' stato ed e' notevole e legato proprio a quella vocazione localistica che la riforma stravolge; b. sia in materie (armonizzazione bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, aziende di credito a carattere regionale) che hanno piu' diretta connessione sull'attivita' creditizia legata al territorio, alla promozione del risparmio da parte delle famiglie, al sostegno delle PMI e dunque e complessivamente all'economia reale di una regione. La scelta dello Stato di imporre, di fatto, un modello unico di sistema bancario, contrasta con la storia e la realta' plurale del sistema bancario italiano e lombardo in particolare, dove il modello mutualistico, prevalente o meno, rilascia cospicue quote dei propri profitti a favore di investimenti sui territori di insediamento, come giustamente osservato dai rappresentanti della federazione italiana bancari assicurativi nel corso della audizione alla camera dei deputati: le banche popolari erogano il 66% del credito alla piccola e media impresa e, anche dopo la crisi globale del 2008, hanno garantito il credito a famiglie e piccole imprese (+15%), mentre le banche spa retrocedevano (-4,9%) (doc.4). Il rischio, denunziato nel corso di quella audizione, che "speculatori e operatori stranieri si impossessino di una parte rilevante del sistema bancario, riducendone la vocazione al sostegno delle economie locali», non puo' che preoccupare un ente, come la Regione Lombardia, che ha la responsabilita' di governo su un territorio in cui fortissima e' la presenza delle PMI e delle famiglie produttrici. "il modello di credito cooperativo e' incardinato in tali comunita', raccoglie e reinveste in esse, opera in prevalenza coi soci, predilige conseguentemente rapporti stabili fondati sulla conoscenza reciproca e la continuita'...". 3) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 118, quarto comma Cost in combinato disposto con gli artt 45 e 47 Cost., nonche' in combinato disposto con gli artt 2, 18 e 41 Cost. per violazione del principio di sussidiarieta' orizzontale Il vigente art 118 Cost. opera un riparto delle competenze ispirato al principio di sussidiarieta', in base al quale le funzioni amministrative vengono assegnate agli enti direttamente e immediatamente esponenziali degli interessi e anche idealita' delle comunita' insediate su un determinato territorio. Il IV comma dell'art. 118 definisce la cd sussidiarieta' orizzontale, attribuendo funzioni promozionali non solo allo Stato, ma anche alle Regioni e agli Enti locali. Tutti i predetti enti sono pertanto legittimati ad operare per l'attuazione delle attivita' di interesse generale; e nel contempo a non impedire il dispiegarsi delle attivita' di sostegno da parte degli enti diversi dallo Stato. In virtu' di tale principio il Legislatore non potrebbe sottrarre attivita' di interesse generale agli enti individuati dalla Costituzione, in particolare dall'art. 118, IV comma, Cost. «L'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati per lo svolgimento di attivita' di interesse generale», si svolge dunque, ai sensi del citato art 118, IV comma, in base al principio di sussidiarieta'. Fra le attivita' di interesse generale tutelate dalla Costituzione vi e' la cooperazione, riconosciuta dall'art 45 Cost. come attivita' di carattere sociale. Si noti che l'art. 45 afferma che la «Repubblica» favorisce la cooperazione; il che significa che tutti i livelli istituzionali sono chiamati a realizzare la previsione costituzionale. Ugualmente, come si vedra' in seguito, dispone l'art. 47 Cost. per il risparmio. Dunque la cooperazione mutualistica, l'accesso al credito popolare, le forme di organizzazione di piccoli risparmiatori e delle PMI sono attivita' appartenenti anche e soprattutto alla sfera dello spontaneismo sociale, esplicabili sotto le guarentigie incrociate di molteplici liberta' costituzionali (di associazione, di iniziativa economica, contrattuale) e tutte espressive del fondamentale spirito solidaristico che permea l'intera Carta costituzionale e, segnatamente, l'art. 118, comma 4, che consacra il principio della sussidiarieta' orizzontale. La Carta, dunque, conferma l'incomprimibile diritto di autoorganizzazione dei singoli e della societa' civile per lo svolgimento di attivita' di interesse generale, e pone espressamente in capo a tutti gli enti costitutivi della Repubblica il compito di promuovere siffatte iniziative. Le banche popolari italiane sono delle societa' cooperative e sono enti creditizi, destinatarie di specifica legislazione che ne ha confermato (cfr L n. 385/1993, nonche' il d.lgs. n. 6/03 e 310/04) la natura cooperativa e mutualistica (oltre che l'assoggettamento ad una gestione di mercato e trasparente). La cancellazione della forma cooperativa, con un colpo di spugna, portera' a cancellare, in pratica, l'istituto della cooperazione nel nostro sistema bancario o a limitarlo fortemente alle aziende creditizie con un capitale al di sotto di otto miliardi di euro. Siffatta scelta appare arbitraria e irrazionale, considerata anche l'eterogeneita' delle situazioni disciplinate dalla legge, ed e' in contrasto con il riconoscimento costituzionale della funzione sociale della cooperazione sancito dall'art 45. Non solo, ma la Costituzione, all'art. 47 prevede che la Repubblica, incoraggi e tuteli il risparmio e il credito. Anche sotto questo profilo il principio va messo in relazione con l'art. 118, IV comma, e con il principio di sussidiarieta'. Attraverso le banche popolari, come si e' detto fortemente radicate nel territorio regionale, le regioni e gli enti locali, in attuazione del citato principio di sussidiarieta' orizzontale, favoriscono iniziative dei cittadini per attivita' di interesse generale. Si e' detto nelle premesse come l'attivita' della banche popolari distribuisca utili al territorio in misura considerevole per finalita' di carattere socio-sanitario, scientifico e culturale. L'ammontare di tali interventi rappresenta per il territorio regionale una risorsa insostituibile per materie, quali la sanita', che sono di competenza regionale. Consentono cosi' alla regione e gli enti locali di attuare concrete politiche di attuazione degli artt. 45 e 47 Cost. Su questo contesto, virtuoso e radicato, lo Stato e' dunque intervenuto in modo unilaterale, irragionevole e sproporzionato, in un ambito, s'e' detto, la cui cura spetta a tutti gli enti costitutivi della Repubblica. Non solo. Tale intervento ha imposto l'impiego di schemi giuridici (quello squisitamente lucrativo delle societa' per azioni) ed ha eliminato i tratti essenziali della precedente disciplina (voto capitarlo, limiti alle quote detenibili da ogni socio, vocazione mutualistico-cooperativa dell'attivita', largo impiego di maggioranze qualificate), che consentivano di preservare sia la dimensione territoriale della banca popolare sia il suo diretto rapporto con la comunita' di riferimento. Si produce, cosi', un vero e proprio sradicamento degli enti creditizi interessati dalla nuova disciplina rispetto al proprio tradizionale contesto operativo e alla fitta rete di relazioni intessute col territorio, con la conseguenza di privare le Regioni e gli enti locali di un fondamentale motore di sviluppo economico e sociale. In totale violazione delle prescrizioni costituzionali, il legislatore nazionale ha imposto alle banche popolari - che ai sensi dei previgenti artt. 29 ss.T.U.B. e dell'art. 2545 cod.civ. hanno carattere mutualistico, ancorche' non necessariamente prevalente - l'assunzione di forme giuridiche e regole tipicamente speculative e lucrative. Ugualmente, attraverso la promozione di modelli e regole tipicamente speculative, lo Stato ha frustrato la finalita' di cui all'art. 47 Cost., cancellando le principali strutture mediante cui avviene «l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese». Infine, le norme impugnate conculcano i diritti di liberta', le iniziative solidaristiche e le legittime aspettative dei cittadini-investitori. Come e' evidente, infatti, l'intervento statale: i) incide sulla liberta' contrattuale e di iniziativa economica, le quali comprendono anche la liberta' di scegliere il modello organizzativo attraverso cui svolgere l'impresa economica; ii) frustra gli scopi solidaristici dei soggetti che si erano associati per perseguire legittime finalita' mutualistiche, obbligandoli a trasformare natura e finalita' dell'ente collettivo cui hanno dotato vita o partecipano; iii) lede il legittimo affidamento dell'ampia platea dei piccoli soci che contraddistinguono l'azionariato diffuso delle banche popolari, i quali hanno inteso sottoscrivere le azioni di una banca cooperativa fidando nella peculiare stabilita' e garanzia della situazione giuridica del socio. La riforma del Testo Unico Bancario in tal modo limita l'iniziativa economica privata e contraddice anche il secondo comma del citato art. 41, nella parte in cui vuole l'iniziativa economica privata soggetta ai fini sociali: la novella legislativa, infatti, non solo non va nella direzione di dirigere l'iniziativa economica ai fini sociali, ma, anzi, si obbligano praticamente le banche cooperative, che hanno per statuto e tradizione proprio i fini sociali, a diventare societa' di capitale con fini prevalentemente di profitto. Le disposizioni impugnate si riverberano necessariamente sulla competenza regionale in merito alla possibilita' di favorire quelle iniziative economiche di interesse generale da parte dei cittadini, in ossequio al principio di sussidiarieta' consacrato dall'art. 118, IV comma, Cost. Per tutti i motivi sopraesposti si chiede a codesta Ecc.ma Corte di voler dichiarare illegittime le norme impugnate per contrasto con gli artt. 2, 18, 41, 45, 47 e 118, comma 4, della Costituzione 4) Illegittimita' costituzionale della legge 33/2015, di conversione del DL n. 3/2015. per violazione degli artt. 77 e 117 Cost., anche in combinato disposto con l'art. 3 Cost., per l'insussistenza dei presupposti per la decretazione di urgenza, causativa di una invasione della sfera di attribuzioni costituzionalmente riservata alle regioni. Il preambolo del DL 24 gennaio 2015, n. 3 recita: «Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di avviare il processo di adeguamento al sistema bancario agli indirizzi europei per renderlo competitivo ed elevare il livello di tutela dei consumatori e di favorire lo sviluppo dell'economia del paese, promovendo una maggior patrimonializzazione delle imprese italiane ed il concorso delle piccole e medie imprese nei processi di innovazione del sistema produttivo». Se, ora, gli indirizzi europei di cui si fa gratuita menzione si fossero effettivamente sostanziati in atti vincolanti, in termini di recepimento o causativi di obblighi di disapplicazione di norme interne incompatibili, l'urgenza generante la necessita' di intervenire mediante decretazione si sarebbe potuta capire. Niente di tutto cio' e' pero' evidenziato nell'atto, e neppure era evocabile. Gli indirizzi europei in materia si svolgono, anzi, nel senso opposto a quello assunto dal governo, vale a dire nel senso della salvaguardia e promozione della struttura pluralista del mercato bancario. A titolo di esempio si menzionano: a. la Risoluzione del Parlamento europeo del 5 giugno 2008 («la struttura pluralista del mercato bancario europeo... permette agli istituti finanziari di assumere varie forme giuridiche in funzione dei loro obiettivi commerciali, rappresenta una grande risorsa per l'economia sociale di mercato europea»); b. la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull'economia sociale; c. la Risoluzione del Parlamento europeo sulla crisi finanziaria del 2010 («essenziale che l'Unione europea tenga conto, nel definire nuove norme, della necessita' di mantenere e sviluppare la diversita' strutturale del suo settore finanziario... l'economia europea necessiti di una solida rete di banche regionali e locali, come le casse di risparmio e le banche cooperative...Rileva [il Parlamento] che la pluralita' si e' dimostrata utile nella crisi finanziaria ed ha apportato stabilita', e che l'uniformita' puo' condurre ad una fragilita' sistemica»). d. La Risoluzione del Parlamento europeo del 3 luglio 2013, che incita gli stati membri a favorire le imprese cooperative, anche al fine di incoraggiare il credito di relazione. Trattasi, dunque e in realta', di una libera e non ponderata iniziativa del Governo che finisce per incidere in un settore strategico nazionale (non a caso il T.U.B. fu definito dalla Corte Costituzionale nel 2004 legge di «grande riforma economico sociale») con un'azione che avrebbe dovuto consentire una seria ponderazione degli interessi istituzionali coinvolti, ad iniziare da quelli pertinenti all'azione di governo delle comunita' locali, e ai risparmiatori, del tutto pretermesse, realizzandosi quel vulnus descritto dalla Corte costituzionale nella sentenza 22/2012: «l'approvazione di una nuova disciplina a "regime", attraverso la corsia accelerata della legge di conversione, pregiudicherebbe la possibilita' per le regioni di rappresentare le proprie esigenze nel procedimento legislativo». Col DL impugnato, poi convertito, insomma si introduce una normativa a «regime» del tutto slegata da contingenze particolari, non potendo certo considerarsi una contingenza tale da determinare uno stato di necessita', il generico rinvio a supposti «indirizzi» europei o alla tutela dei consumatori e della economia generale, evocazione che assume un palese carattere programmatico e di principio. Peraltro gli scopi enunziati dal governo a giustificazione del suo intervento d'urgenza sono connessi a problematiche di cui si dibatte da decenni e che dunque si sarebbero ben potute affrontare con la via della legge ordinaria. Senza dire che l'intero decreto e' caratterizzato da disposizioni non auto applicative, bensi' necessitanti di interventi futuri, peraltro in assenza di termini e con «trasferimenti» di poteri integrativi a soggetti estranei al potere legislativo: ad es. l'art. 1, comma 1, lettera a) «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o esclusione del socio, e' limitato secondo quanto previsto dalla Banca d'Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove cio' e' necessario ad assicurare la computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualita' primaria della banca». Una vera e propria delega in bianco, derogatoria peraltro della legge, che concretizza un abnorme caso di delegificazione operata con decreto legge, una vera e propria contraddizione in termini. Contraddizioni e limiti, peraltro, puntualmente rilevate dalla commissione Affari Costituzionali della Camera in sede di esame della legge di conversione (seduta del 4 marzo 2015): «trattandosi di una disciplina organica che incide, con effetti differiti nel tempo, sulla natura degli enti (banche popolari) non limitandosi a correggere alcune gravi e puntuali distorsioni, la fonte del decreto-legge in cui e' contenuta non appare la piu' ragionevole e coerente con la natura stessa della decretazione d'urgenza cosi' come configurata dall'art. 77 della Cost.». Forti dubbi, inoltre, possono nutrirsi anche riguardo al rispetto del canone di omogeneita' delle disposizioni contenute nel DL poi convertito (cfr. Corte costituzionale 171/2007 e 22/2012) rinvenendosi nel testo le norme piu' disparate (dal sostegno alle PMI innovative al trasferimento dei servizi a pagamento, dal prestito indiretto per investitori istituzionali esteri alla riforma, appunto delle banche popolari). La «evidente mancanza» dei presupposti di necessita' ed urgenza consente il relativo sindacato nonostante l'avvenuta conversione in legge del decreto (Corte Cost. n. 341/2003, 299/2004 e 272/2005), secondo i principi contenuti nella sentenza della Corte Cost. n. 171/2007, e a salvaguardia della legittimita' della disciplina delle fonti, in quanto tesa anche alla tutela dei valori e dei diritti fondamentali. L'affermazione della sindacabilita', in concreto, di tale ricorrenza (dei presupposti di contingenza) e' stata poi dalla Corte estesa dal caso di assenza di omogeneita' delle disposizioni a quello di assenza (in quanto solo apoditticamente affermato nel preambolo, con una mera clausola di stile) dei presupposti di necessita' ed urgenza. Con la sentenza n. 128/2008 (relativa all'esproprio del teatro Petruzzelli di Bari), la Corte ha addirittura accertato direttamente l'insussistenza della contingenza alla stregua delle finalita' indicate nella norma. E tanto con riferimento a tutti i parametri tradizionalmente utilizzati dalla Corte per un tale scrutinio (preambolo, relazione governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione, contesto normativo). Nel nostro caso, la relazione accompagnatoria apporta argomenti spesso non condivisibili nel merito, in ogni caso nulla che dimostri la contingenza legittimante l'intervento straordinario. a. Anzitutto non e' corretto sostenere - come ha anche sostenuto il direttore generale della Banca d'Italia nella sua audizione alla Camera dei Deputati - che le banche popolari abbiano solo forma ma non la sostanza della cooperativa e che dunque sarebbero incompatibili col regime comunitario. Sul tema era stata aperta un'apposita procedura di infrazione da parte della Commissione europea che pero' - come ricordato dal Presidente dell'associazione banche popolari nel corso dell'audizione alla camera dei deputati il 19 febbraio 2015 - ne ha disposto l'archiviazione, attestando: che le banche popolari sono cooperative de jure e de facto; che la loro disciplina e' compatibile col trattato UE; che le banche popolari sono legittima espressione di quella forma di liberta' di impresa che consiste nella liberta' di scegliere liberamente i modelli tra quelli ammessi dall'ordinamento; che non sussiste incompatibilita' tra la forma giuridica di societa' cooperativa e la dimensione rilevante o la quotazione in borsa. Parimenti e conseguentemente incondivisibile e' l'affermazione, contenuta nella relazione accompagnatoria, per la quale le banche popolari non sarebbero tutelate dall'art. 45 Cost., al contrario delle banche di credito cooperativo (a mutualita' prevalente). Tale distinzione in realta' opera solo ai fini fiscali, avendo entrambe le categorie di enti medesima funzione sociale (l'impresa mutualistica). Le banche popolari, e' stato sempre ricordato nella menzionata audizione, sono tutte regolate da statuti che indirizzano l'attivita' a favore delle economie locali, «nell'ambito di un disegno di incentivazione e sviluppo delle economie individuali dei soci che ha gia' in se' i caratteri della mutualita'». Le banche popolari destinano mediamente il 5% dell'utile netto a finalita' sociali, spesso coincidenti con azioni rientranti nelle attribuzioni regionali (ad es. il welfare). b. Altra ragione di supposta urgenza e', nella relazione, rinvenuta nella non rispondenza della disciplina delle banche popolari nel «mutato quadro europeo» alle esigenze di finanziamento e adeguata patrimonializzazione delle banche. In disparte la non comprensione delle ragioni di contingenza, l'assunto e' errato in fatto, in quanto, come esposto dall'associazione nel corso dell'audizione, tutte le banche popolari sottoposte agli Asset Quality Review e agli stress test sono risultate adeguatamente patrimonializzate (poco importa se in limine o meno), con eccedenze che variano da un minimo di 30 milioni ad un massimo di 1.750 milioni di euro. La dimostrazione della funzionalita' del modello e' attestata da alcuni semplici dati: tra il 2008 e il 2014 le banche popolari hanno erogato alle PMI finanziamenti per 250 miliardi di euro; nello stesso periodo le risorse impiegate sono aumentate del 15%, durante il credit crunh (2011-2013) l'erogazione di credito e' aumentata del 15,4% e negli anni della crisi hanno offerto alle comunita' locali circa 1 miliardo di euro. Con cio' non si vuol minimamente sostenere che le banche popolari non possano e debbano essere riformate e la loro disciplina adeguata alle nuove esigenze, ma cio' deve avvenire con strumenti legislativi adeguati, che assicurino il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti, ad iniziare dalle regioni. Con la decretazione d'urgenza e la scorciatoia della legge di conversione una tale auto riforma e' stata impedita, per favorire, oggettivamente, mediante le trasformazioni (delle banche popolari piu' capitalizzate in Spa) logiche puramente lucrative che avvantaggiano solo i grandi investitori sui mercati internazionali. Non a caso ben 163 economisti ed accademici hanno sentito la necessita' ed il dovere di intervenire pubblicamente (sui maggiori quotidiani) con un Appello, per segnalare come il governo si stesse muovendo in direzione contraria alla letteratura bancaria, che non identifica alcuna correlazione tra rischiosita' di una banca e voto capitario, essendo la maggiore o minore rischiosita' legata ad altri fattori, quali la volatilita' degli utili, la diversificazione del portafogli crediti etc. Nei Paesi europei dove e' piu' significativa la presenza di banche cooperative (Olanda, Finlandia, Austria, Germania e Francia) l'abolizione del voto capitario, effetto della riforma avversata col presente ricorso, non e' neppure ipotizzato. Non esiste, concludono gli esperti, un modello di banca superiore ad un altro, ma «il principio di biodiversita' stabilisce pero' che il sistema finanziario, come ogni ecosistema, ha bisogno di modelli diversi che assolvono diverse funzioni, lasciando decidere al mercato quale sistema debba essere piu' o meno diffuso». In conclusione, sul punto, si puo' ritenere che ne' il contesto normativo, interno e comunitario, ne' la relazione accompagnatoria al disegno di legge di conversione del DL, ne' tantomeno il preambolo dello stesso provvedimento di urgenza, rendono minimamente evidenti le ragioni di intervenire con la misura straordinaria della decretazione d'urgenza. L'atto adottato, con la procedura d'urgenza e la speciale scorciatoia della legge di conversione, incide su varie materie di attribuzione regionale, dal welfare alla cultura allo sport, in ragione del forte sostegno alle relative politiche concesso dalle banche popolari in forza della propria mission cooperativa, nonche' sul destino delle aziende di credito a carattere regionale, nel cui alveo non e' irragionevole, come detto, ricondurre le banche popolari, stante il fortissimo legame tra tali enti e lo specifico territorio, che ha storicamente favorito, in particolare in Lombardia, la crescita delle comunita' di riferimento, dalla P.M.I. alle famiglie. Quello che qui si fa valere non e' un qualsiasi vizio costituzionale, bensi' un vizio che incide grandemente sulla salvaguardia della legittimita' della disciplina delle fonti, con ridondanza sulle attribuzioni costituzionalmente attribuite alle regioni e, ancor prima, con incidenza diretta sulla competenza concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost..
P. Q. M. Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti» pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015, n. 19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015, n. 33, pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 - Suppl. Ordinario n. 15, per violazione degli articoli 117, primo, secondo e terzo comma, 3, 5, 120, 77, 118, quarto comma, 2, 18, 41, 45, 47, della Costituzione, sotto i profili e per le ragioni suesposte. Milano, 20 maggio 2015 Avv. Piera Pujatti Avv. Pio Dario Vivone