N. 58 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 maggio 2015

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 29 maggio 2015 (della Regione Lombardia). 
 
Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario
  e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro
  all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o  di  trasformazione
  in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia  -
  Denunciata  previsione  di  una   disciplina   statale   contenente
  disposizioni di dettaglio in materia di casse di  risparmio,  casse
  rurali, aziende di credito a carattere regionale  rientrante  nella
  competenza  legislativa  concorrente  -  Mancanza   di   forme   di
  concertazione con le Regioni. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. 
- Costituzione, art. 117 , comma terzo. 
Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario
  e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro
  all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o  di  trasformazione
  in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia  -
  Denunciata   violazione   dei   canoni   di   proporzionalita'    e
  ragionevolezza  con  riferimento   all'esercizio   della   potesta'
  legislativa esclusiva statale  nelle  materie  relative  a  moneta,
  tutela del credito e mercati finanziari, tutela della concorrenza e
  sistema valutario -  In  via  gradata,  denunciata  violazione  del
  principio  di  leale  collaborazione,  in  ragione   della   omessa
  considerazione  nel   procedimento   legislativo   de   quo   delle
  attribuzioni, prerogative e interessi regionali. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. 
- Costituzione, artt. 117, comma secondo, lett. e), 3, 5 e 120. 
Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario
  e gli investimenti - Banche popolari - Limite di 8 miliardi di euro
  all'attivo - Obbligo di riduzione dell'attivo o  di  trasformazione
  in Spa, in caso di superamento - Ricorso della Regione Lombardia  -
  Denunciata imposizione di forme  giuridiche  e  regole  tipicamente
  speculative  e  lucrative  -  Contrasto   con   il   riconoscimento
  costituzionale della funzione sociale della cooperazione -  Lesione
  della tutela del credito e del risparmio - Incidenza sulla liberta'
  contrattuale e di iniziativa economica - Violazione  del  principio
  di sussidiarieta' orizzontale. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. 
- Costituzione, art. 118, comma quarto, in combinato disposto con gli
  artt. 45 e 47, nonche' in combinato disposto con gli artt. 2, 18  e
  41. 
Banche e istituti di credito - Misure urgenti per il sistema bancario
  e gli investimenti  -  Banche  popolari  -  Ricorso  della  Regione
  Lombardia - Denunciata  introduzione  di  una  disciplina  organica
  mediante decreto-legge  -  Insussistenza  dei  presupposti  per  la
  decretazione di urgenza  -  Incidenza  sulla  sfera  di  competenza
  regionale nelle materie di legislazione concorrente. 
- Decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni,
  dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, art. 1. 
- Costituzione, artt. 77 e  117,  anche  in  combinato  disposto  con
  l'art. 3. 
(GU n.28 del 15-7-2015 )
    Ricorso della Regione Lombardia (C.F. 80050050154), con  sede  in
Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia,  n.  1,  in  persona  del
Presidente pro tempora, Roberto Maroni, rappresentata  e  difesa,  in
forza di procura a margine del  presente  atto  ed  in  virtu'  della
Deliberazione di Giunta regionale n. X/3565 del 14 maggio 2015  dagli
avv.ti  Piera  Pujatti  (PJTPRI62C51C722G)   e   Pio   Dario   Vivone
(VVNPDR58A28H981N) ed elettivamente domiciliato presso lo studio  del
Prof.  Avv.  Francesco  Saverio  Marini  del  foro   di   Roma   (CF.
MRNFNC73D28HSO1U;
pec:francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.orgfax.   06.36001570),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli,  48,  ha  eletto
domicilio, ricorrente; 
    Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  con  domicilio  in  Roma  (00186),  via  dei
Portoghesi, 12, resistente; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1
del DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema bancario
e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24  gennaio  2015,  n.  19  e
convertito con modificazioni  nella  legge  24  marzo  2015,  n.  33,
pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del  25  marzo  2015  -  Suppl.
Ordinario n. 15 
    1. Il DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti  per  il  sistema
bancario e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015,  n.
19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015,  n.  33,
pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del  25  marzo  2015  -  Suppl.
Ordinario n. 15, riforma il sistema  bancario  italiano,  prevedendo,
per quanto di interesse  per  il  presente  ricorso,  una  penetrante
modifica dell'assetto delle banche popolari. 
    2. L'art. 1, appunto, reca la rubrica «Banche popolari» e risulta
cosi' formulato: 
        «.  Al  testo  unico  delle  leggi  in  materia  bancaria   e
creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n.  385,
sono apportate le seguenti modificazioni: 
          a) all' art. 28,  dopo  il  comma  2-bis,  e'  aggiunto  il
seguente: 
«2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel
caso di recesso, anche a seguito di trasformazione  o  di  esclusione
del socio, e' limitato secondo quanto previsto dalla Banca  d'Italia,
anche in deroga a norme di  legge,  laddove  cio'  e'  necessario  ad
assicurare la computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza
di qualita' primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d'Italia
puo' limitare  il  diritto  al  rimborso  degli  altri  strumenti  di
capitale emessi.»; 
          b) alt art. 29: 
1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: 
    «2-bis.  L'attivo  della  banca  popolare  non  puo'  superare  8
miliardi di euro. Se la banca e' capogruppo di un gruppo bancario, il
limite e' determinato a livello consolidato. 
    2-ter. In caso di superamento del limite di cui al  comma  2-bis,
l'organo di amministrazione convoca l'assemblea per le determinazioni
del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l'attivo non e'
stato ridotto al di sotto della soglia ne'  e'  stata  deliberata  la
trasformazione in societa' per azioni ai  sensi  dell'art.  31  o  la
liquidazione, la Banca d'Italia, tenuto  conto  delle  circostanze  e
dell'entita'  del  superamento,   puo'   adottare   il   divieto   di
intraprendere  nuove  operazioni  ai  sensi   dell'art.   78,   o   i
provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I,  o  proporre
alla   Banca   centrale   europea   la   revoca   dell'autorizzazione
all'attivita' bancaria e al Ministro dell'economia e delle finanze la
liquidazione  coatta  amministrativa.  Restano  fermi  i  poteri   di
intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d'Italia dal presente
decreto legislativo. 
    2-quater. La Banca d'Italia detta disposizioni di attuazione  del
presente articolo.»; 
2) il comma 3 e' abrogato; 
          c) l'art. 31 e' sostituito dal seguente: 
    «Art. 31 (Trasformazioni e fusioni). - 1.  Le  trasformazioni  di
banche popolari in societa' per azioni o le fusioni  a  cui  prendano
parte banche popolari e da  cui  risultino  societa'  per  azioni  le
relative modifiche statutarie nonche' le  diverse  determinazioni  di
cui all'art. 29, comma 2-ter, sono deliberate: 
        a) in prima convocazione, con la maggioranza  dei  due  terzi
dei voti espressi, purche' all'assemblea sia rappresentato almeno  un
decimo dei soci della banca; 
        b) in seconda convocazione, con la maggioranza di  due  terzi
dei voti espressi, qualunque  sia  il  numero  dei  soci  intervenuti
all'assemblea. 
    2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto  dall'art.  28,
comma 2-ter. 
    3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»; 
          d) all art. 150-bis: 
1) al comma 1, le parole: "banche popolari e alle" sono soppresse; 
2) il comma 2 e' sostituito dal seguente: "2.  Alle  banche  popolari
non si applicano le seguenti disposizioni del  codice  civile:  2349,
secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519,  secondo  comma,  2522,  2525,
primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo  e  terzo  comma,
2528, terzo e quarto comma, 2530, primo,  secondo,  terzo,  quarto  e
quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e  quarto  comma,
2540, secondo comma, 2542, secondo e  quarto  comma,  2543,  primo  e
secondo comma, 2545-bis,  2545-quater,  2545-quinquies,  2545-octies,
2545-decies,    2545-undecies,    terzo    comma,     2545-terdecies,
2545-quinquiesdecies,   2545-sexiesdecies,    2545-septiesdecies    e
2545-octiesdecies.»; 
3) il comma 2-bis e' sostituito dal seguente:  «2-bis.  In  deroga  a
quanto previsto dall'art. 2539, primo comma, del codice  civile,  gli
statuti delle  banche  popolari  determinano  il  numero  massimo  di
deleghe che possono essere conferite  ad  un  socio;  in  ogni  caso,
questo numero non e' inferiore a 10 e non e' superiore a 20.»; 
    2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le  banche
popolari autorizzate al momento dell'entrata in vigore  del  presente
decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell'art.  29,  commi
2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1°  settembre  1993,  n.  385,
introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata
in vigore  delle  disposizioni  di  attuazione  emanate  dalla  Banca
d'Italia ai sensi del medesimo art. 29. 
    2-bis. Gli statuti delle societa'  per  azioni  risultanti  dalla
trasformazione delle banche popolari di cui  al  comma  2  o  da  una
fusione cui partecipino una o piu' banche popolari di cui al medesimo
comma 2 possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto,
in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione  del  presente  decreto,  nessun
soggetto avente diritto al voto puo' esercitarlo,  ad  alcun  titolo,
per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento  del  capitale
sociale avente diritto al voto, salva la facolta' di prevedere limiti
piu' elevati. A tal fine, si considerano i voti espressi in relazione
ad azioni possedute direttamente e indirettamente,  tramite  societa'
controllate,  societa'  fiduciarie  o  interposta  persona  e  quelli
espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito,
a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni;  le
partecipazioni detenute da organismi di investimento  collettivo  del
risparmio, italiani o esteri, non sono  mai  computate  ai  fini  del
limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall'art. 23 del testo
unico di cui al decreto legislativo 1°  settembre  1993,  n.  385,  e
successive modificazioni. In caso di  violazione  delle  disposizioni
del  presente  comma,  la  deliberazione  assembleare   eventualmente
assunta e' impugnabile ai sensi dell'art. 2377 del codice civile,  se
la maggioranza richiesta  non  sarebbe  stata  raggiunta  senza  tale
violazione. Le azioni per le quali  non  puo'  essere  esercitato  il
diritto  di  voto  non  sono  computate  ai   fini   della   regolare
costituzione dell'assemblea» 
    3. In sostanza,  la  novella  legislativa  attua  una  penetrante
riforma della disciplina delle  banche  popolari,  portando  cosi'  a
snaturare la  loro  attuale  configurazione  e  funzione.  Le  banche
popolari hanno rappresentato  sino  ad  oggi  lo  schema  tipico  del
credito  cooperativo,  finalizzato  -  proprio  grazie  al  peculiare
sistema di voto e delle maggioranze - allo svolgimento  di  attivita'
bancaria con carattere mutualistico. Attivita' che, come  e'  noto  e
meglio si dira'  oltre,  si  colloca  tradizionalmente  nel  contesto
geografico delle comunita' locali a  beneficio  di  famiglie,  PMI  e
consumatori. 
    4. Tutto cio' premesso,  con  il  presente  ricorso,  la  Regione
Lombardia, come in atti rappresentata e  difesa,  impugna  il  DL  n.
3/2015, convertito in L n. 33/2015 e  in  particolare  l'art.  1,  in
quanto lesivo delle  proprie  attribuzioni  e  comunque  del  proprio
interesse,  costituzionalmente  garantito,  alla  partecipazione   al
procedimento finalizzato all'approvazione  di  una  legislazione  che
incide grandemente su ambiti di propria spettanza e  sugli  interessi
della comunita' amministrata e del territorio regionale. 
 
                               Diritto 
 
    Prima di esporre i singoli motivi di  gravame,  appare  opportuno
formulare brevi cenni sulla storia e la peculiarita' dell'istituzione
bancaria  oggetto  dell'avversata  riforma   prendendo   spunto   dal
documento redatto da Assopopolari (doc. n. 2) 
    Le banche popolari nascono nella seconda meta' del XIX secolo  in
Lombardia - con la fondazione della prima Banca Popolare a  Lodi  nel
1864 - sul modello della Volksbank tedesca, introdotto in  Italia  da
Luigi Luzzatti e successivamente  si  rafforzano  con  la  fondazione
della Banca Popolare di Milano  nel  1865  e  la  Banca  Popolare  di
Sondrio nel 1871. 
    Grazie al caratteristico assetto cooperativo e  alla  particolare
attenzione rivolta al  territorio  ed  in  particolare  alla  piccola
imprenditoria e alle famiglie, le banche popolari conoscono, fin  dal
momento della loro costituzione, un successo immediato,  conquistando
nell'arco di pochi anni un quarto del mercato creditizio italiano. 
    Le banche  popolari  hanno  superato  difficolta'  e  congiunture
economiche negative per 150 anni, compresa la crisi  finanziaria  del
2008 causata  da  operazioni  sui  derivati  da  parte  di  operatori
finanziari  internazionali  e  di  banche  S.p.A.  Anche  in   questo
frangente infatti le banche popolari sono riuscite a  resistere  e  a
garantire  la  loro  opera  e  missione   di   banche   territoriali,
finalizzate alla raccolta del risparmio, da destinare  principalmente
al credito verso le famiglie e le imprese, specie medio piccole,  del
medesimo territorio. 
    Attualmente sono 70 le banche popolari in  Italia  e  piu'  di  1
milione di soci, con piu' di 12 milioni di clienti;  danno  lavoro  a
81.700 dipendenti (dati al 30 giugno 2014), hanno  un  totale  attivo
complessivo di 450 miliardi di euro, provviste per  425  miliardi  di
euro, impieghi per 385 miliardi di euro;  hanno  9.300  sportelli  in
Italia al servizio di PMI e famiglie per una percentuale del  28  per
cento del sistema bancario italiano cosi' suddivisa: 25,3  per  cento
per provviste, 24,6 per cento per impieghi e ben il  29,3  per  cento
per sportelli. 
    Per quanto riguarda la  presenza  e  le  attivita'  delle  banche
popolari  in  Lombardia,  esse  sono  ancora   piu'   incidenti,   in
percentuale, rispetto al quadro italiano: i crediti ricoprono  il  35
per cento del totale delle quote di mercato in Lombardia e ben il  43
per cento della quota di mercato relativa  ai  crediti  alle  PMI.  I
depositi coprono il 34 per cento del totale. E infine  gli  sportelli
delle banche popolari in Lombardia, che sono 2.531 su  un  totale  di
6.100, coprono il 41 per cento del totale. 
    Le banche popolari distribuiscono utili al territorio  in  misura
considerevole per lodevoli finalita'  di  carattere  socio-sanitario,
scientifico e culturale: donazioni a strutture sanitarie pubbliche  e
private, contributi alla ricerca medico scientifica,  interventi  per
la difesa e il  recupero  del  patrimonio  artistico;  interventi  di
interesse 
    collettivo   quali   la   partecipazione   alla    realizzazione,
ripristino, ampliamento di infrastrutture di pubblica  utilita'  come
ospedali, universita', strade e altri; contributi per  manifestazioni
e avvenimenti, sponsorizzazioni sportive e di altri  eventi  sociali,
culturali, artistici; iniziative legate alla tradizione dei territori
di insediamento quali feste patronali e religiose;  altri  interventi
come borse di studio ed altri riconoscimenti ai  giovani  meritevoli,
contributi all'associazionismo sociale e culturale,  contributi  alla
ricerca ed alla formazione in  campi  diversi.  L'ammontare  di  tali
interventi e' di 140 milioni di euro in  Italia,  dei  quali  ben  85
milioni  sono  destinati  ad  attivita'  e  opere  in   Lombardia   e
rappresentano  quindi  per  il  territorio  regionale   una   risorsa
insostituibile anche per materie,  quali  la  sanita',  che  sono  di
competenza regionale. 
    Il Consiglio dei ministri ha deliberato il decreto-legge  del  24
gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per  il  sistema  bancario  e  gli
investimenti) che stabilisce tra l'altro che le banche  popolari  che
rientrano nel parametro dell'attivo superiore agli 8 miliardi di euro
dovranno abbandonare il principio  del  «voto  capitano»  e  dovranno
trasformarsi in S.p.A.. 
    Con la l. 33/2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il  25  marzo
2015 (SO n. 15,  G.U.  25  marzo  2015,  n.  70),  il  Parlamento  ha
convertito in legge il d.l. 3/2015, dettando una disciplina che  puo'
essere applicata da questi istituti per un  periodo  transitorio,  in
ordine a limitazioni del diritto di  voto,  permettendo  di  superare
temporaneamente l'articolo piu' contestato, quello relativo al  «voto
capitano» e garantendo quindi al Governo di chiudere con l'operazione
di riforma, calata dall'alto, delle banche popolari. 
    Le principali banche popolari presenti in  Lombardia  sono:  UBI,
Banca  Popolare  di  Milano,  Banca  Popolare  di  Sondrio,   Credito
Valtellinese. 
    Tanto  esposto  a  meri  fini  di   inquadramento,   si   procede
all'esposizione dei motivi di ricorso. 
1) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117,  terzo
comma Cost.: per violazione della  competenza  legislativa  regionale
concorrente in materia di casse di risparmio, casse  ruralii  aziende
di credito a carattere regionale. 
    La competenza  regionale  concorrente  in  materia  di  casse  di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale  e'
stata, come noto, individuata solo dalla novella del 2001 (L Cost  n.
3/2001). 
    La novella e' intervenuta dopo che, il Dlgs 385/93 ha  introdotto
nel  nostro  ordinamento  creditizio  il  modello  della   cd   banca
universale a quegli stessi fini ora posti a base dal governo  del  DL
3/15: limitare la frammentazione dei regimi giuridici a favore  della
formazione di societa' per azioni o societa' cooperative per azioni. 
    La riforma costituzionale del 2001, invece, ha attribuito ex novo
alle regioni ordinarie la competenza legislativa relativa alle  casse
di risparmio, rurali, aziende di credito a carattere regionale,  enti
di credito fondiario agrario a carattere regionale. 
    In verita' il nostro ordinamento  conosceva  gia'  la  competenza
delle regioni, ma a  statuto  speciale,  in  materia  di  aziende  di
credito a carattere regionale. Non solo, ma il DPR  n.  616/77  aveva
affidato anche alle  regioni  a  statuto  ordinario  alcune  funzioni
amministrative in materia di agevolazioni per l'accesso al credito  e
disciplina dei rapporti con gli istituti di credito. 
    La novella del 2001 interviene ad armonizzare le  competenze  fra
le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario, anche  in
ossequio ad un richiamo di  codesta  Ecc.ma  Corte  (Corte  Cost.  n.
525/1990).   Tra   l'altro   quest'ultima   sentenza   individua   la
ripartizione di competenza  per  le  -  all'epoca  sole  -  autonomie
speciali,  «in  base  alla  quale,  mentre  la  competenza  dell'ente
autonomo  si  esercita   nella   pienezza   della   sua   consistenza
costituzionale soltanto nei confronti degli istituti  crediti  aventi
carattere regionale, al contrario, rispetto agli altri  istituti,  le
competenze si esprimono in atti di collaborazione (essenzialmente  in
pareri) rispetto all'esercizio  di  attribuzioni  che  spettano  allo
Stato in quanto in esse domina l'interesse  nazionale»:  La  medesima
sentenza delimita il concetto di istituto  di  credito  di  interesse
regionale, in assenza di norme legislative o statutarie  definitorie,
secondo un criterio meramente e rigorosamente  spaziale,  ritenendoli
naturalmente  delimitati  dai  confini  dell'interesse  regionale   o
provinciale sotteso  alle  competenze  legislative  e  amministrative
delle stesse e, dunque,  in  via  di  principio,  con  i  limiti  del
rispettivo territorio. 
    Le competenze regionali vengono rese omogenee, sotto  il  profilo
in esame, dilla L Cost. n. 3/2001, che introduce, fra le  materie  di
legislazione concorrente, «casse di risparmio, casse rurali,  aziende
di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario
a carattere regionale». 
    Le difficolta' interpretative concernenti i limiti entro i  quali
un'attivita' creditizia possa ritenersi di carattere  regionale  sono
state affrontate dalla L.  n.  171/2006  «Ricognizione  dei  principi
fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali,  aziende
di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario
a carattere regionale». 
    L'art. 2 della L  n.  171/06  definisce  le  Banche  a  carattere
regionale. In particolare, sono indici della  «regionalita'»  di  una
banca: l'ubicazione della sede  e  delle  succursali  nel  territorio
della stessa regione (pur se una limitata presenza in  altre  regioni
non esclude il  carattere  regionale);  la  localizzazione  regionale
della  sua  operativita';  ove  la  banca  appartenga  ad  un  gruppo
bancario, la circostanza che anche le altre componenti  bancarie  del
gruppo e la capogruppo presentino  carattere  regionale  in  base  ai
precedenti indicatori. 
    In sostanza, dopo la L. n. 171/06, l'esercizio di operativita' al
di fuori del territorio regionale non fa venir meno la  regionalita',
che si connota per l'operativita' dell'istituto  prevalentemente  nel
territorio di una stessa regione. 
    Le  disposizioni  della  novella  legislativa  statale  non  sono
relative a «moneta, tutela del credito e mercati  finanziari;  tutela
della  concorrenza,  sistema  valutario»,  materie  rientranti  nella
potesta' esclusiva dello Stato; ma  costituiscono  la  disciplina  di
banche di  interesse  regionale,  dunque  rientranti  nella  potesta'
concorrente della regione.  La  gran  parte  delle  banche  popolari,
oggetto della disciplina, infatti (Ubi, Banco  Popolare,  Bpm,  Bper,
Creval, Popolare di Sondrio,  Banca  Etruria,  Popolare  di  Vicenza,
Veneto Banca, Popolare di Bari) si connotano per la regionalita'. 
    Fra quelle sopra indicate la Banca Popolare di Milano e la  Banca
Popolare di Sondrio hanno la gran parte delle filiali in Lombardia ed
operano prevalentemente in territorio  lombardo  oltre  ad  avere  la
sede, rispettivamente, a Milano e a Sondrio.  E  cio'  a  tacere  del
gruppo UBI, del quale fanno parte la Banca della Valle  Camonica,  la
Banca Popolare di Bergamo, il Banco di  Brescia,  la  Banca  Popolare
Commercio e Industria. Trattasi di  istituti  di  credito  aventi  un
fortissimo radicamento regionale come puo' evincersi da una  semplice
ricerca online: 
        La Banca popolare di Milano  (con  sede  in  Milano)  su  641
filiali ne ha 396 in Lombardia; 
        La Banca Popolare di Sondrio (con sede  in  Sondrio)  su  327
filiali ne ha 250 in Lombardia; 
        La Banca Popolare Commercio e Industria (con sede in  Milano)
su 210 filiali ne ha 158 in Lombardia; 
        La Banca della Valle Camonica  (con  sede  in  Breno)  su  66
filiali ne ha 66 in Lombardia. 
    L'interpretazione dell'esatto riparto di competenze tra  Stato  e
Regioni, cosi' come emerge dalla  giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma
Corte, si serve di alcuni strumenti tra i quali, soprattutto,  quello
che discerne tra i vari livelli di interesse, nazionale o regionale. 
    Si veda, a tale proposito, la  pronuncia  della  Corte  Cost.  n.
14/04. 
    Orbene in considerazione di  quanto  sopra  e  in  considerazione
dell'esistenza di un  ambito  legislativo  regionale  in  materia  di
istituti di credito di interesse regionale, non si puo' non  rilevare
come  il  legislatore  statale  abbia  previsto  una  disciplina  che
semplicemente dimentica l'esistenza delle regioni, non sottoponendone
l'applicazione alla benche' minima  forma  di  concertazione  con  le
regioni medesime, senza neppure una ricognizione circa  il  carattere
regionale di alcune di essi. 
    Si consideri che  il  comma  1  lettera  b),  n.  1  della  norma
impugnata, dopo aver previsto la riduzione  dell'attivo  della  banca
popolare entro il limite  degli  otto  miliardi  di  euro  ovvero  la
trasformazione in societa' per azioni, prevede che le disposizioni di
attuazione saranno dettate dalla Banca d'Italia. 
    Ne' e' prevista, in alcuna parte della  norma,  alcuna  forma  di
concertazione con le regioni. 
    La norma prevede delle disposizioni di dettaglio,  stabilendo  il
limite di attivo ovvero la trasformazione giuridica dell'istituto; in
pratica, il regime cooperativo e' totalmente cancellato. E' pur  vero
che le banche popolari potranno fissare un tetto del 5%  del  diritto
di voto in assemblea - con cio' mantenendo quel principio democratico
di rappresentanza che ne costituisce una delle caratteristiche e  che
comportava che nessun socio potesse detenere piu'  dell'1  per  cento
del capitale - ma cio' potra' essere solo per i prossimi ventiquattro
mesi (comma 2-bis). 
    Inoltre non prevede alcuna concertazione con le regioni circa  le
disposizioni di attuazione. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 1  del
DL n. 3/2015,  convertito  in  legge  n.  33/2015,  venga  dichiarato
incostituzionale per contrasto con l'art 117, comma 3, Cost. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  per  violazione  dell'art.   117,
secondo comma, Cost. lett. E), e dell'art. 3 Cost. per violazione del
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  agli  att.  5  e   120
Costituzione. 
    Col primo motivo si e' sostenuto che la disciplina  delle  banche
popolari, aziende di credito a carattere regionale, non compete  allo
Stato in via esclusiva. Il carattere regionale degli istituti bancari
deve desumersi, secondo l'insegnamento di codesta Ecc.ma Corte da due
elementi: l'ubicazione  territoriale  e  la  natura  degli  interessi
perseguiti  (sentenze  nn.  525/90  e  1147  e  1141/1988).  Peraltro
dobbiamo notare come l'ubicazione territoriale  ha  nel  tempo  visto
diminuire la sua rilevanza per effetto  dell'erogazione  dei  servizi
bancari con modalita' telematiche. Resta dunque il  secondo  criterio
declinato  dalla  giurisprudenza  costituzionale  nello   svolgimento
dell'attivita'  creditizia  prevalentemente  nei  confronti  di   una
specifica comunita' territoriale, venendosi cosi'  a  determinare  un
legame, non solo di fatto, tra l'attivita' bancaria e le attribuzioni
e i fini istituzionali delle regioni (cfr Corte Cost. nn. 50 e 58 del
1958). 
    E questo e' certamente  il  caso  che  ci  occupa,  ove  solo  si
consideri l'attivita' della Banca Popolare di Milano, di Sondrio etc. 
    Ne consegue  che,  anche  a  prescindere  dalla  pur  sussistente
lesione  di  competenze  proprie  delle  regioni,  in  ogni  caso  la
competenza  statale  in  subiecta   materia   abbia   chiara   natura
trasversale, incidendo  sulla  competenza  regionale  in  materia  di
«casse di risparmio, casse rurali, aziende  di  credito  a  carattere
regionale». 
    Lo Stato, dunque, avrebbe dovuto non solo attenersi ai canoni  di
proporzionalita' e  ragionevolezza  (del  tutto  violati:  per  quale
ragione,  ad  es.  si  e'  fissato  il  limite  di  8   miliardi   di
conservazione dell'attuale status  giuridico?),  ma  anche  garantire
alle regioni, in sede di formazione del decreto o almeno in  sede  di
conversione, una utile partecipazione al procedimento. 
    In via gradata, nel caso in cui non si  dovesse  aderire  a  tale
prospettazione, si sottopone al vaglio di  codesta  Ecc.ma  Corte  la
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  120
Cost.,  in  ragione  della  omessa  considerazione  nel  procedimento
legislativo  de  quo  delle  attribuzioni,  prerogative  e  interessi
regionali. 
    Il vigente art. 118 Cost.,  di  impronta  federalista,  opera  un
riparto delle competenze ispirato dal principio di sussidiarieta', in
forza del quale le funzioni  amministrative  vengono  assegnate  agli
enti direttamente e immediatamente  esponenziali  degli  interessi  e
delle  idealita'  delle  comunita'  insediate   su   un   determinato
territorio. 
    Per poter operare concretamente tale  principio  deve  declinarsi
sia in senso orizzontale - concorso di enti e soggetti equi  ordinati
- sia verticalmente, con riguardo  ad  enti  e  soggetti  operanti  a
livelli differenti di potesta' e responsabilita' e l'operativita'  da
moduli concertativi quali le intese e gli accordi. 
    La concertazione non e' finalizzata solo  a  prevenire  possibili
controversie  amministrative,  ma  anche  e  forse   soprattutto,   a
costruire interventi, anche legislativi, nel massimo  grado  efficaci
in quanto adeguati alle specifiche esigenze rilevate. 
    La cooperazione non e', ai sensi dell'art. 120  Cost.,  una  mera
possibilita', una facolta', bensi' un  vero  e  proprio  obbligo  che
giustifica e legittima un'organizzazione  pluralistica  dello  Stato,
qual e' quello italiano. 
    Uno dei «luoghi» deputati alla ricerca di intese ed accordi e' la
Conferenza unificata Stato-regioni e Autonomie locali, in  specie  di
quegli (accordi) finalizzati all'armonizzazione delle finalita' della
programmazione statale, di cui la politica creditizia e del risparmio
e' parte non  insignificante,  con  quella  regionale  e  degli  enti
locali. 
    Necessita' di un raccordo nel caso di specie  reso  palese  dalla
ridondanza della introdotta disciplina a  regime  su  attribuzioni  e
interessi locali e  regionali.  Nella  sentenza  22/2012  (p.3.1  del
Considerato in diritto) la Corte costituzionale ha, sulla base di una
giurisprudenza  costante  «ritenuto  ammissibili  le   questioni   di
legittimita' costituzionale prospettate da una  regione,  nell'ambito
di un giudizio principale, in  riferimento  a  parametri  diversi  da
quelli,  contenuti  nel  titolo   V   della   parte   seconda   della
Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo stato  e
le  regioni,  quando  sia  possibile  rilevare  la  ridondanza  delle
asserite violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le
specifiche competenze ritenute lese  e  le  ragioni  della  lamentata
lesione». 
    Ora, non pare dubitabile che la disciplina  impugnata  incida  in
modo notevole su plurime attribuzioni regionali: 
        a. sia in materie (valorizzazione beni culturali e ambientali
e organizzazione attivita' culturali, sostegno  dell'innovazione  per
i'  settori  produttivi,  welfare,  etc.)  nelle  quali  il  sostegno
economico e  promozionale  delle  banche  popolari  e'  stato  ed  e'
notevole e legato proprio  a  quella  vocazione  localistica  che  la
riforma stravolge; 
        b.  sia  in  materie  (armonizzazione  bilanci   pubblici   e
coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario,
aziende di credito a carattere  regionale)  che  hanno  piu'  diretta
connessione sull'attivita'  creditizia  legata  al  territorio,  alla
promozione del risparmio da parte delle famiglie, al  sostegno  delle
PMI e dunque e complessivamente all'economia reale di una regione. 
    La scelta dello Stato di imporre, di fatto, un modello  unico  di
sistema bancario, contrasta con la storia e la  realta'  plurale  del
sistema bancario italiano e lombardo in particolare, dove il  modello
mutualistico, prevalente o meno, rilascia cospicue quote  dei  propri
profitti a favore di investimenti sui territori di insediamento, come
giustamente osservato dai rappresentanti della  federazione  italiana
bancari assicurativi  nel  corso  della  audizione  alla  camera  dei
deputati: le banche popolari erogano il 66% del credito alla  piccola
e media impresa e, anche  dopo  la  crisi  globale  del  2008,  hanno
garantito il credito a famiglie e piccole imprese (+15%),  mentre  le
banche spa retrocedevano (-4,9%) (doc.4). 
    Il  rischio,  denunziato  nel  corso  di  quella  audizione,  che
"speculatori e operatori  stranieri  si  impossessino  di  una  parte
rilevante del sistema bancario, riducendone la vocazione al  sostegno
delle economie locali», non puo' che preoccupare  un  ente,  come  la
Regione Lombardia,  che  ha  la  responsabilita'  di  governo  su  un
territorio in cui  fortissima  e'  la  presenza  delle  PMI  e  delle
famiglie  produttrici.  "il  modello  di   credito   cooperativo   e'
incardinato in tali comunita', raccoglie e reinveste in  esse,  opera
in prevalenza coi soci, predilige conseguentemente  rapporti  stabili
fondati sulla conoscenza reciproca e la continuita'...". 
3) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 118, quarto
comma Cost in combinato disposto con gli artt 45 e 47 Cost.,  nonche'
in combinato disposto con gli artt 2, 18 e 41  Cost.  per  violazione
del principio di sussidiarieta' orizzontale 
    Il vigente art  118  Cost.  opera  un  riparto  delle  competenze
ispirato al principio di sussidiarieta', in base al quale le funzioni
amministrative   vengono   assegnate   agli   enti   direttamente   e
immediatamente esponenziali degli interessi e anche  idealita'  delle
comunita' insediate su un determinato territorio. 
    Il  IV  comma  dell'art.  118  definisce  la  cd   sussidiarieta'
orizzontale, attribuendo funzioni promozionali non solo  allo  Stato,
ma anche alle Regioni e agli Enti locali. 
    Tutti i predetti enti sono pertanto legittimati  ad  operare  per
l'attuazione delle attivita' di interesse generale; e nel contempo  a
non impedire il dispiegarsi delle  attivita'  di  sostegno  da  parte
degli enti diversi dallo Stato. 
    In virtu' di tale principio il Legislatore non potrebbe sottrarre
attivita'  di  interesse  generale  agli   enti   individuati   dalla
Costituzione, in particolare dall'art. 118, IV comma, Cost. 
    «L'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati per  lo
svolgimento di attivita' di interesse generale», si svolge dunque, ai
sensi del  citato  art  118,  IV  comma,  in  base  al  principio  di
sussidiarieta'. 
    Fra  le  attivita'   di   interesse   generale   tutelate   dalla
Costituzione vi e' la cooperazione, riconosciuta  dall'art  45  Cost.
come attivita' di carattere sociale. Si noti che  l'art.  45  afferma
che la «Repubblica» favorisce la cooperazione; il che  significa  che
tutti  i  livelli  istituzionali  sono  chiamati  a   realizzare   la
previsione costituzionale. 
    Ugualmente, come si vedra' in seguito, dispone  l'art.  47  Cost.
per il risparmio. 
    Dunque  la  cooperazione  mutualistica,  l'accesso   al   credito
popolare, le forme di organizzazione di piccoli risparmiatori e delle
PMI sono attivita' appartenenti anche e soprattutto alla sfera  dello
spontaneismo sociale, esplicabili sotto le guarentigie incrociate  di
molteplici liberta' costituzionali (di  associazione,  di  iniziativa
economica, contrattuale) e tutte espressive del fondamentale  spirito
solidaristico   che   permea   l'intera   Carta   costituzionale   e,
segnatamente, l'art. 118, comma 4, che consacra  il  principio  della
sussidiarieta'    orizzontale.    La    Carta,    dunque,    conferma
l'incomprimibile diritto di autoorganizzazione dei  singoli  e  della
societa'  civile  per  lo  svolgimento  di  attivita'  di   interesse
generale, e pone espressamente in capo a tutti gli  enti  costitutivi
della Repubblica il compito di promuovere siffatte iniziative. 
    Le banche popolari italiane sono  delle  societa'  cooperative  e
sono enti creditizi, destinatarie di specifica legislazione che ne ha
confermato (cfr L n. 385/1993, nonche' il d.lgs. n. 6/03 e 310/04) la
natura cooperativa e mutualistica (oltre che l'assoggettamento ad una
gestione di mercato e trasparente). 
    La cancellazione della forma cooperativa, con un colpo di spugna,
portera' a cancellare, in pratica, l'istituto della cooperazione  nel
nostro  sistema  bancario  o  a  limitarlo  fortemente  alle  aziende
creditizie con un capitale al di sotto di otto miliardi di euro. 
    Siffatta scelta  appare  arbitraria  e  irrazionale,  considerata
anche l'eterogeneita' delle situazioni disciplinate dalla  legge,  ed
e' in contrasto con il riconoscimento costituzionale  della  funzione
sociale della cooperazione sancito dall'art 45. 
    Non  solo,  ma  la  Costituzione,  all'art.  47  prevede  che  la
Repubblica, incoraggi e tuteli il risparmio e il credito. 
    Anche sotto questo profilo il principio va messo in relazione con
l'art.  118,  IV  comma,  e  con  il  principio  di   sussidiarieta'.
Attraverso le banche popolari, come si e' detto  fortemente  radicate
nel territorio regionale, le regioni e gli enti locali, in attuazione
del  citato  principio  di  sussidiarieta'  orizzontale,  favoriscono
iniziative dei cittadini per attivita' di interesse generale. 
    Si e' detto nelle premesse come l'attivita' della banche popolari
distribuisca  utili  al  territorio  in  misura   considerevole   per
finalita' di  carattere  socio-sanitario,  scientifico  e  culturale.
L'ammontare  di  tali  interventi  rappresenta  per   il   territorio
regionale una risorsa insostituibile per materie, quali  la  sanita',
che sono di competenza regionale. 
    Consentono cosi' alla  regione  e  gli  enti  locali  di  attuare
concrete politiche di attuazione degli artt. 45 e 47 Cost. 
    Su questo contesto, virtuoso  e  radicato,  lo  Stato  e'  dunque
intervenuto in modo unilaterale, irragionevole e  sproporzionato,  in
un  ambito,  s'e'  detto,  la  cui  cura  spetta  a  tutti  gli  enti
costitutivi della Repubblica. 
    Non  solo.  Tale  intervento  ha  imposto  l'impiego  di   schemi
giuridici (quello squisitamente lucrativo delle societa' per  azioni)
ed ha eliminato i tratti essenziali della precedente disciplina (voto
capitarlo, limiti alle quote  detenibili  da  ogni  socio,  vocazione
mutualistico-cooperativa dell'attivita', largo impiego di maggioranze
qualificate),  che  consentivano  di  preservare  sia  la  dimensione
territoriale della banca popolare sia il suo diretto rapporto con  la
comunita' di riferimento.  Si  produce,  cosi',  un  vero  e  proprio
sradicamento degli enti creditizi interessati dalla nuova  disciplina
rispetto al proprio tradizionale contesto operativo e alla fitta rete
di relazioni intessute col territorio, con la conseguenza di  privare
le Regioni e gli enti locali di un fondamentale  motore  di  sviluppo
economico e sociale. 
    In  totale  violazione  delle  prescrizioni  costituzionali,   il
legislatore nazionale ha imposto alle banche popolari - che ai  sensi
dei previgenti artt. 29 ss.T.U.B. e  dell'art.  2545  cod.civ.  hanno
carattere mutualistico, ancorche' non  necessariamente  prevalente  -
l'assunzione di forme giuridiche e regole tipicamente  speculative  e
lucrative. 
    Ugualmente,  attraverso  la  promozione  di  modelli   e   regole
tipicamente speculative, lo Stato ha frustrato la  finalita'  di  cui
all'art. 47 Cost., cancellando le principali strutture  mediante  cui
avviene   «l'accesso   del   risparmio   popolare   alla   proprieta'
dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto  e
indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi  del
Paese». 
    Infine, le norme impugnate conculcano i diritti di  liberta',  le
iniziative   solidaristiche   e   le   legittime   aspettative    dei
cittadini-investitori. 
    Come e' evidente, infatti, l'intervento statale: i) incide  sulla
liberta' contrattuale e di iniziativa economica, le quali comprendono
anche la liberta' di scegliere il  modello  organizzativo  attraverso
cui svolgere l'impresa economica; ii) frustra gli scopi solidaristici
dei  soggetti  che  si  erano  associati  per  perseguire   legittime
finalita'  mutualistiche,  obbligandoli  a   trasformare   natura   e
finalita' dell'ente collettivo cui hanno dotato vita  o  partecipano;
iii) lede il legittimo affidamento dell'ampia platea dei piccoli soci
che contraddistinguono l'azionariato diffuso delle banche popolari, i
quali hanno inteso sottoscrivere le azioni di una  banca  cooperativa
fidando  nella  peculiare  stabilita'  e  garanzia  della  situazione
giuridica del socio. 
    La  riforma  del  Testo  Unico  Bancario  in  tal   modo   limita
l'iniziativa economica privata e contraddice anche il  secondo  comma
del citato art. 41, nella parte in cui vuole  l'iniziativa  economica
privata soggetta ai fini sociali: la  novella  legislativa,  infatti,
non solo non va nella direzione di dirigere l'iniziativa economica ai
fini  sociali,  ma,  anzi,  si  obbligano  praticamente   le   banche
cooperative, che hanno  per  statuto  e  tradizione  proprio  i  fini
sociali, a diventare societa' di capitale con fini prevalentemente di
profitto. 
    Le disposizioni impugnate si  riverberano  necessariamente  sulla
competenza regionale in merito alla possibilita' di  favorire  quelle
iniziative economiche di interesse generale da parte  dei  cittadini,
in ossequio al principio di sussidiarieta' consacrato dall'art.  118,
IV comma, Cost. 
    Per tutti i motivi sopraesposti si chiede a codesta Ecc.ma  Corte
di voler dichiarare illegittime le norme impugnate per contrasto  con
gli artt. 2, 18, 41, 45, 47 e 118, comma 4, della Costituzione 
4) Illegittimita' costituzionale della legge 33/2015, di  conversione
del DL n. 3/2015. per violazione degli artt. 77 e 117 Cost., anche in
combinato disposto  con  l'art.  3  Cost.,  per  l'insussistenza  dei
presupposti  per  la  decretazione  di  urgenza,  causativa  di   una
invasione della sfera di  attribuzioni  costituzionalmente  riservata
alle regioni. 
    Il preambolo del DL 24 gennaio 2015, n. 3  recita:  «Ritenuta  la
straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di  avviare  il  processo  di
adeguamento al sistema bancario agli indirizzi europei  per  renderlo
competitivo ed elevare il livello di  tutela  dei  consumatori  e  di
favorire lo sviluppo dell'economia del paese, promovendo una  maggior
patrimonializzazione delle imprese  italiane  ed  il  concorso  delle
piccole e medie imprese  nei  processi  di  innovazione  del  sistema
produttivo». 
    Se, ora, gli indirizzi europei di cui si fa gratuita menzione  si
fossero effettivamente sostanziati in atti vincolanti, in termini  di
recepimento o causativi  di  obblighi  di  disapplicazione  di  norme
interne  incompatibili,  l'urgenza   generante   la   necessita'   di
intervenire mediante decretazione si sarebbe potuta capire. 
    Niente di tutto cio' e' pero' evidenziato  nell'atto,  e  neppure
era evocabile. Gli indirizzi europei in materia  si  svolgono,  anzi,
nel senso opposto a quello assunto dal governo, vale a dire nel senso
della  salvaguardia  e  promozione  della  struttura  pluralista  del
mercato bancario. 
    A titolo di esempio si menzionano: 
        a. la Risoluzione del Parlamento europeo del  5  giugno  2008
(«la struttura pluralista del mercato  bancario  europeo...  permette
agli istituti  finanziari  di  assumere  varie  forme  giuridiche  in
funzione dei  loro  obiettivi  commerciali,  rappresenta  una  grande
risorsa per l'economia sociale di mercato europea»); 
        b. la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009
sull'economia sociale; 
        c.  la  Risoluzione  del  Parlamento  europeo   sulla   crisi
finanziaria del 2010 («essenziale che l'Unione europea  tenga  conto,
nel definire nuove norme, della necessita' di mantenere e  sviluppare
la diversita' strutturale del suo settore  finanziario...  l'economia
europea necessiti di una solida rete di banche  regionali  e  locali,
come le casse di  risparmio  e  le  banche  cooperative...Rileva  [il
Parlamento] che la pluralita' si  e'  dimostrata  utile  nella  crisi
finanziaria ed ha apportato  stabilita',  e  che  l'uniformita'  puo'
condurre ad una fragilita' sistemica»). 
        d. La Risoluzione del Parlamento europeo del 3  luglio  2013,
che incita gli stati membri a favorire le imprese cooperative,  anche
al fine di incoraggiare il credito di relazione. 
    Trattasi, dunque e in realta', di  una  libera  e  non  ponderata
iniziativa del  Governo  che  finisce  per  incidere  in  un  settore
strategico nazionale (non a caso il T.U.B. fu  definito  dalla  Corte
Costituzionale nel 2004 legge di «grande riforma economico  sociale»)
con un'azione che avrebbe dovuto consentire  una  seria  ponderazione
degli  interessi  istituzionali  coinvolti,  ad  iniziare  da  quelli
pertinenti  all'azione  di  governo  delle  comunita'  locali,  e  ai
risparmiatori,  del  tutto  pretermesse,  realizzandosi  quel  vulnus
descritto  dalla  Corte  costituzionale   nella   sentenza   22/2012:
«l'approvazione di una nuova disciplina  a  "regime",  attraverso  la
corsia accelerata della legge  di  conversione,  pregiudicherebbe  la
possibilita' per le regioni di rappresentare le proprie esigenze  nel
procedimento legislativo». 
    Col DL  impugnato,  poi  convertito,  insomma  si  introduce  una
normativa a «regime» del tutto slegata  da  contingenze  particolari,
non potendo certo considerarsi una contingenza  tale  da  determinare
uno stato di necessita', il generico rinvio  a  supposti  «indirizzi»
europei o alla tutela dei  consumatori  e  della  economia  generale,
evocazione  che  assume  un  palese  carattere  programmatico  e   di
principio. 
    Peraltro gli scopi enunziati dal governo  a  giustificazione  del
suo intervento d'urgenza sono connessi  a  problematiche  di  cui  si
dibatte da decenni e che dunque si sarebbero  ben  potute  affrontare
con la via della legge ordinaria. Senza dire che l'intero decreto  e'
caratterizzato  da  disposizioni   non   auto   applicative,   bensi'
necessitanti di interventi futuri, peraltro in assenza di  termini  e
con «trasferimenti» di poteri  integrativi  a  soggetti  estranei  al
potere legislativo: ad es. l'art. 1,  comma  1,  lettera  a)  «2-ter.
Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di
recesso, anche a seguito di trasformazione o esclusione del socio, e'
limitato secondo quanto  previsto  dalla  Banca  d'Italia,  anche  in
deroga a norme di legge, laddove cio' e' necessario ad assicurare  la
computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza  di  qualita'
primaria della banca». 
    Una vera e propria delega in bianco, derogatoria  peraltro  della
legge, che concretizza un abnorme caso di delegificazione operata con
decreto  legge,  una  vera  e  propria  contraddizione  in   termini.
Contraddizioni  e  limiti,  peraltro,  puntualmente  rilevate   dalla
commissione Affari Costituzionali della Camera in sede di esame della
legge di conversione (seduta del 4 marzo 2015): «trattandosi  di  una
disciplina organica che incide,  con  effetti  differiti  nel  tempo,
sulla  natura  degli  enti  (banche  popolari)  non   limitandosi   a
correggere  alcune  gravi  e  puntuali  distorsioni,  la  fonte   del
decreto-legge in cui e' contenuta non appare la  piu'  ragionevole  e
coerente con la natura stessa della decretazione d'urgenza cosi' come
configurata dall'art. 77 della Cost.». 
    Forti dubbi, inoltre, possono nutrirsi anche riguardo al rispetto
del canone di omogeneita' delle disposizioni  contenute  nel  DL  poi
convertito   (cfr.   Corte   costituzionale   171/2007   e   22/2012)
rinvenendosi nel testo le norme piu' disparate (dal sostegno alle PMI
innovative al trasferimento dei servizi  a  pagamento,  dal  prestito
indiretto per investitori istituzionali esteri alla riforma,  appunto
delle banche popolari). 
    La «evidente mancanza» dei presupposti di necessita'  ed  urgenza
consente il relativo sindacato nonostante l'avvenuta  conversione  in
legge del decreto (Corte Cost. n.  341/2003,  299/2004  e  272/2005),
secondo i principi contenuti nella  sentenza  della  Corte  Cost.  n.
171/2007, e a salvaguardia della legittimita' della disciplina  delle
fonti, in quanto tesa anche alla tutela  dei  valori  e  dei  diritti
fondamentali. 
    L'affermazione  della  sindacabilita',  in  concreto,   di   tale
ricorrenza (dei presupposti di contingenza) e' stata poi dalla  Corte
estesa dal caso di assenza di omogeneita' delle disposizioni a quello
di assenza (in quanto solo apoditticamente affermato  nel  preambolo,
con una mera clausola di stile)  dei  presupposti  di  necessita'  ed
urgenza. 
    Con la sentenza n. 128/2008 (relativa  all'esproprio  del  teatro
Petruzzelli di Bari), la Corte ha addirittura accertato  direttamente
l'insussistenza  della  contingenza  alla  stregua  delle   finalita'
indicate nella norma. 
    E tanto con riferimento  a  tutti  i  parametri  tradizionalmente
utilizzati dalla Corte per un tale  scrutinio  (preambolo,  relazione
governativa di accompagnamento del disegno di legge  di  conversione,
contesto normativo). 
    Nel nostro caso, la relazione accompagnatoria  apporta  argomenti
spesso non condivisibili nel merito, in ogni caso nulla che  dimostri
la contingenza legittimante l'intervento straordinario. 
    a. Anzitutto non e' corretto sostenere - come ha anche  sostenuto
il direttore generale della Banca d'Italia nella sua  audizione  alla
Camera dei Deputati - che le banche popolari abbiano  solo  forma  ma
non  la  sostanza  della   cooperativa   e   che   dunque   sarebbero
incompatibili col regime comunitario. 
    Sul tema era stata aperta un'apposita procedura di infrazione  da
parte della Commissione  europea  che  pero'  -  come  ricordato  dal
Presidente dell'associazione banche popolari nel corso dell'audizione
alla camera dei  deputati  il  19  febbraio  2015  - ne  ha  disposto
l'archiviazione, attestando: 
        che le banche popolari sono cooperative de jure e de facto; 
        che la loro disciplina e' compatibile col trattato UE; 
        che le banche popolari sono legittima espressione  di  quella
forma di liberta' di impresa che consiste nella liberta' di scegliere
liberamente i modelli tra quelli ammessi dall'ordinamento; 
        che non sussiste incompatibilita' tra la forma  giuridica  di
societa' cooperativa e la dimensione rilevante  o  la  quotazione  in
borsa. 
    Parimenti e conseguentemente incondivisibile  e'  l'affermazione,
contenuta nella relazione accompagnatoria, per  la  quale  le  banche
popolari non sarebbero tutelate  dall'art.  45  Cost.,  al  contrario
delle banche di credito cooperativo (a mutualita'  prevalente).  Tale
distinzione in realta' opera solo ai fini fiscali, avendo entrambe le
categorie di enti medesima funzione sociale (l'impresa mutualistica).
Le banche  popolari,  e'  stato  sempre  ricordato  nella  menzionata
audizione, sono tutte regolate da statuti che indirizzano l'attivita'
a favore  delle  economie  locali,  «nell'ambito  di  un  disegno  di
incentivazione e sviluppo delle economie individuali dei soci che  ha
gia' in  se'  i  caratteri  della  mutualita'».  Le  banche  popolari
destinano mediamente il 5%  dell'utile  netto  a  finalita'  sociali,
spesso coincidenti con azioni rientranti nelle attribuzioni regionali
(ad es. il welfare). 
    b.  Altra  ragione  di  supposta  urgenza  e',  nella  relazione,
rinvenuta  nella  non  rispondenza  della  disciplina  delle   banche
popolari nel «mutato quadro europeo» alle esigenze di finanziamento e
adeguata patrimonializzazione delle banche. 
    In disparte la non comprensione  delle  ragioni  di  contingenza,
l'assunto   e'   errato   in   fatto,   in   quanto,   come   esposto
dall'associazione nel corso dell'audizione, tutte le banche  popolari
sottoposte  agli  Asset  Quality  Review  e  agli  stress  test  sono
risultate adeguatamente patrimonializzate (poco importa se in  limine
o meno), con eccedenze che variano da un minimo di 30 milioni  ad  un
massimo di 1.750 milioni di euro. 
    La dimostrazione della funzionalita' del modello e' attestata  da
alcuni semplici dati: tra il 2008 e il 2014 le banche popolari  hanno
erogato alle PMI finanziamenti per 250 miliardi di euro; nello stesso
periodo le risorse impiegate  sono  aumentate  del  15%,  durante  il
credit crunh (2011-2013) l'erogazione di  credito  e'  aumentata  del
15,4% e negli anni della crisi hanno offerto  alle  comunita'  locali
circa 1 miliardo di euro. 
    Con cio' non si vuol minimamente sostenere che le banche popolari
non possano e debbano essere riformate e la loro disciplina  adeguata
alle nuove esigenze, ma cio' deve avvenire con strumenti  legislativi
adeguati, che  assicurino  il  coinvolgimento  di  tutti  i  soggetti
istituzionali  coinvolti,  ad  iniziare   dalle   regioni.   Con   la
decretazione d'urgenza e la scorciatoia della  legge  di  conversione
una  tale   auto   riforma   e'   stata   impedita,   per   favorire,
oggettivamente, mediante le  trasformazioni  (delle  banche  popolari
piu'  capitalizzate  in  Spa)   logiche   puramente   lucrative   che
avvantaggiano solo i grandi investitori sui mercati internazionali. 
    Non a caso ben 163 economisti  ed  accademici  hanno  sentito  la
necessita' ed il dovere di intervenire  pubblicamente  (sui  maggiori
quotidiani) con un Appello, per segnalare come il governo  si  stesse
muovendo in direzione contraria alla letteratura  bancaria,  che  non
identifica alcuna correlazione tra rischiosita' di una banca  e  voto
capitario, essendo la maggiore o minore rischiosita' legata ad  altri
fattori, quali la volatilita' degli utili,  la  diversificazione  del
portafogli crediti etc. Nei Paesi europei dove e' piu'  significativa
la  presenza  di  banche  cooperative  (Olanda,  Finlandia,  Austria,
Germania e Francia) l'abolizione del voto  capitario,  effetto  della
riforma avversata col presente ricorso, non  e'  neppure  ipotizzato.
Non esiste, concludono gli esperti, un modello di banca superiore  ad
un altro, ma «il principio di biodiversita' stabilisce pero'  che  il
sistema finanziario, come ogni  ecosistema,  ha  bisogno  di  modelli
diversi che assolvono diverse funzioni, lasciando decidere al mercato
quale sistema debba essere piu' o meno diffuso». 
    In conclusione, sul punto, si puo' ritenere che ne'  il  contesto
normativo, interno e comunitario, ne' la relazione accompagnatoria al
disegno di legge di conversione del DL, ne'  tantomeno  il  preambolo
dello stesso provvedimento di urgenza, rendono  minimamente  evidenti
le  ragioni  di  intervenire  con  la  misura   straordinaria   della
decretazione d'urgenza. 
    L'atto  adottato,  con  la  procedura  d'urgenza  e  la  speciale
scorciatoia della legge di conversione, incide su  varie  materie  di
attribuzione regionale, dal  welfare  alla  cultura  allo  sport,  in
ragione del forte sostegno alle  relative  politiche  concesso  dalle
banche popolari in forza della propria mission  cooperativa,  nonche'
sul destino delle aziende di credito a carattere regionale,  nel  cui
alveo  non  e'  irragionevole,  come  detto,  ricondurre  le   banche
popolari, stante il fortissimo legame tra tali enti  e  lo  specifico
territorio,  che  ha  storicamente  favorito,   in   particolare   in
Lombardia, la crescita delle comunita' di riferimento,  dalla  P.M.I.
alle famiglie. 
    Quello  che  qui  si  fa  valere  non  e'  un   qualsiasi   vizio
costituzionale,  bensi'  un  vizio  che  incide   grandemente   sulla
salvaguardia della legittimita' della  disciplina  delle  fonti,  con
ridondanza  sulle  attribuzioni  costituzionalmente  attribuite  alle
regioni e,  ancor  prima,  con  incidenza  diretta  sulla  competenza
concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia  l'Ecc.ma  Corte  costituzionale  adita,  ogni   contraria
istanza eccezione  e  deduzione  disattesa,  accogliere  il  presente
ricorso e per l'effetto  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1 del DL 24 gennaio 2015, n.  3,  «Misure  urgenti  per  il
sistema bancario e gli investimenti» pubblicato su  G.U.  24  gennaio
2015, n. 19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015,
n. 33, pubblicata su GU Serie Generale n. 70  del  25  marzo  2015  -
Suppl. Ordinario n. 15, per violazione  degli  articoli  117,  primo,
secondo e terzo comma, 3, 5, 120, 77, 118, quarto comma, 2,  18,  41,
45, 47,  della  Costituzione,  sotto  i  profili  e  per  le  ragioni
suesposte. 
 
        Milano, 20 maggio 2015 
 
                         Avv. Piera Pujatti 
 
 
                        Avv. Pio Dario Vivone