N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 2015

Ordinanza del 18 maggio 2015 del Tribunale  amministrativo  regionale
per l'Umbria sul ricorso proposto  da  Franceschini  Giordano  contro
Universita' degli studi di Perugia. 
 
Universita' - Professori e ricercatori - Procedimento disciplinare  -
  Disciplina transitoria in tema  di  procedimento  disciplinare  nel
  periodo  intercorrente  tra  la  soppressione   del   Collegio   di
  disciplina presso il CUN e l'istituzione e la regolamentazione  dei
  Collegi di disciplina  presso  le  singole  Universita'  -  Mancata
  previsione   -   Lesione   del   principio   di   uguaglianza   per
  irragionevolezza -  Violazione  del  principio  di  presunzione  di
  innocenza fino alla condanna definitiva - Lesione dei  principi  di
  imparzialita' e buon andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Violazione  dei  principi  del  giusto  processo  -  Violazione  di
  obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge 30 dicembre 2010, n. 240, art. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 27, comma secondo,  97,  111  e  117,  primo
  comma, in relazione all'art. 6,  §  1,  della  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e
  all'art.  41,  comma  1,  della  Carta  dei  diritti   fondamentali
  dell'Unione Europea (Carta di Nizza). 
(GU n.36 del 9-9-2015 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'UMBRIA 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 173 del 2015, proposto da: 
    Giordano Franceschini, rappresentato e difeso  dall'avv.  Stefano
Goretti, con domicilio eletto presso Stefano Goretti in Perugia,  via
Martiri dei Lager, 98/D; 
    Contro Universita' degli studi di Perugia, rappresentata e difesa
per  legge  dall'Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato  di  Perugia,
domiciliataria in Perugia, via degli Offici, 14; 
    Per l'annullamento previa sospensiva della  delibera  n.  24  del
Consiglio di Amministrazione dell'Universita' degli studi di  Perugia
del 18 dicembre 2014 avente ad oggetto «Procedimento  disciplinare  a
carico di unita' di personale docente.  Determinazioni»  con  cui  e'
stata applicata nei confronti  del  prof.  Giordano  Franceschini  la
sanzione  disciplinare  della  sospensione   dall'ufficio   e   dallo
stipendio per la durata di  mesi  sei,  compreso,  per  quanto  possa
occorrere, il decreto rettorale n. 1719  del  25  settembre  2014  di
proposta di irrogazione a carico del prof. Giordano  Franceschini  di
sanzione disciplinare, il verbale  della  riunione  del  Collegio  di
Disciplina del 12 novembre 2014, il decreto rettorale n. 2405 del  30
dicembre 2014, la delibera del Senato Accademico del 29  marzo  2011,
n. 5. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto Patto di costituzione in  giudizio  dell'Universita'  degli
studi di Perugia; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 aprile  2015  il
dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti difensori come  specificato
nel verbale; 
    1. Con il  ricorso  in  epigrafe  l'odierno  istante,  professore
ordinario dell'Universita' degli studi di Perugia in regime di  tempo
definito,  contesta  la  legittimita'  della  sanzione   disciplinare
inflittagli  dal  proprio  Ateneo   consistente   nella   sospensione
dall'ufficio e dallo  stipendio  per  sei  mesi  per  «esercizio  del
commercio e dell'industria incompatibile con  lo  status  di  docente
universitario», in asserita -violazione degli  artt.  60,  d.P.R.  n.
3/1957, 11, comma 4, lettera b), d.P.R. n.  382/1980  e  6  comma  9,
legge   n.   240/2010,   valutando   la   fattispecie   riconducibile
all'«abituale  mancanza  dei  doveri  d'ufficio»  e/o   «all'abituale
irregolarita' di condotta» ai sensi dell'art. 89, lettere b) e c) del
R.D.  n.  1592  del  1933.  Precisa  il  prof.  Franceschini  che  il
procedimento disciplinare e' iniziato il  28  dicembre  2011  con  la
contestazione dell'addebito da parte del Rettore, e  si  e'  concluso
soltanto il 18 dicembre 2014 con  l'applicazione  della  sanzione  da
parte del Consiglio di Amministrazione. 
    Tale abnorme ritardo nella conclusione del  procedimento  sarebbe
dovuto all'entrata in vigore della legge 30  dicembre  2010,  n.  240
(c.d. Gelmini)  entrata  in  vigore  il  29  gennaio  2011  -  quindi
antecedentemente la contestazione di addebito - il  cui  art.  10  ha
assegnato  la  competenza   della   fase   istruttoria   in   materia
disciplinare, in precedenza  attribuita  al  Collegio  di  disciplina
presso il CUN (ai sensi  della  legge  16  gennaio  2006,  n.  18)  a
Collegio da istituire  ex  novo  da  parte  di  ogni  Ateneo,  previo
necessario adeguamento dello Statuto e dei regolamenti. 
    Non prevedendo l'art. 10 della legge n. 240/2010 «Gelmini» alcuna
disposizione  transitoria  per  il   passaggio   al   nuovo   modello
procedimentale  disciplinare   decentrato,   il   Senato   Accademico
dell'Universita' di Perugia, con delibera n.  5  del  29  marzo  2011
ovvero  ben  prima  dell'avvio  del  procedimento  disciplinare   nei
confronti del ricorrente, ha motivatamente disposto  di  procedere  -
con norme di carattere generale ed astratto per tutti i  procedimenti
interessati - alla tempestiva contestazione degli eventuali  addebiti
disciplinari,  con  contestuale  sospensione  sino  alla  nomina   ed
insediamento del Collegio di Disciplina,  in  applicazione  analogica
del quinto comma dell'art. 10 della suddetta legge. 
    A seguito di diffida ricevuta il 4 gennaio 2012, il ricorrente ha
abbandonato tutte le cariche sociali ritenute  incompatibili  con  il
dovere di esclusivita', ovvero nel caso di specie la carica rivestita
dal 1994 al 2011 di  amministratore  unico  della  societa'  P.S.G.R.
s.r.l. con sede in Perugia, operante nel settore della progettazione. 
    Il 28 maggio 2012 con D.R. n.  889/2012  e'  stato  approvato  il
nuovo Statuto dell'Universita' degli studi di Perugia, i cui artt. 27
e 53  hanno  rispettivamente  delegato  ad  apposito  Regolamento  la
disciplina del  Collegio  di  Disciplina  e  rimesso  al  Regolamento
Generale di  Ateneo  il  compito  di  disciplinare  le  modalita'  di
elezione ed il funzionamento degli organi di Ateneo. 
    Indi, a seguito della costituzione del nuovo Senato Accademico il
9 gennaio 2014, con D.R. n. 470 del 29 marzo 2014 e n.  1190  del  25
giugno 2014  sono  stati  rispettivamente  approvati  il  Regolamento
Generale di Ateneo ed il Regolamento di funzionamento del Collegio di
Disciplina. 
    Il 5 febbraio 2014 il Senato Accademico  ha  dunque  designato  i
membri del suddetto Collegio, insediatosi il 3 luglio 2014. 
    Con   deliberazione   n.   24   approvata   dal   Consiglio    di
Amministrazione dell'Universita' nella seduta del 18  dicembre  2014,
e' stata disposta nei confronti dell'odierno ricorrente  la  sanzione
della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per  sei  mesi,  con
effetto immediato. 
    Il  prof.  Franceschini  impugna  la  suddetta  deliberazione  n.
24/2014 unitamente agli ulteriori atti del procedimento  disciplinare
in epigrafe indicati, ivi compresa la citata deliberazione n.  5/2011
del Senato Accademico, deducendo censure cosi' riassumibili: 
        I. Violazione dell'art. 111 Cost. e degli artt. 1 e  2  della
legge n. 241 del 1990, del «giusto procedimento», eccesso  di  potere
per  contraddittorieta',  illogicita'  e  difetto   di   motivazione:
l'abnorme durata del procedimento, iniziato il  28  dicembre  2011  e
conclusosi il 30 dicembre  2014  si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di «ragionevole durata del  processo»  di  cui  all'art.  6
della Convenzione  Europea  dei  Diritti  dell'Uomo  applicabile  per
analogia anche  ai  procedimenti  sanzionatori  di  tipo  afflittivo,
secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo; 
        II. Violazione  dell'art.  85  del  Regolamento  Generale  di
Ateneo, eccesso di  potere  per  contraddittorieta'  ed  illogicita',
difetto  di  motivazione  e/o  insufficienza  della  motivazione:  la
sanzione inflitta non sarebbe adeguata e proporzionata alla  gravita'
dei fatti  addebitati,  tenendo  conto  del  diminuito  disvalore  in
relazione al lungo tempo trascorso dalla commissione dei fatti; 
        III.  Violazione  delle  norme  regolamentari   inerenti   il
procedimento disciplinare, eccesso di potere  per  contraddittorieta'
ed illogicita': il procedimento si sarebbe irrimediabilmente  estinto
per decorso del termine perentorio di 180 giorni previsto  dal  comma
5, dell'art. 10 della legge n. 240/2010 individuando  nella  data  di
nomina dei componenti del Collegio  di  Disciplina,  avvenuta  il  18
febbraio 2014, il  termine  per  la  riattivazione  del  procedimento
sospeso in applicazione analogica del citato  comma  quinto,  secondo
capoverso; 
        IV.  Violazione  delle  norme  regolamentari  (art.   3   del
Regolamento sul funzionamento del Collegio di Disciplina) inerenti il
procedimento disciplinare, eccesso di potere  per  contraddittorieta'
ed illogicita' sotto altro profilo: il verbale della  seduta  del  12
novembre 2014 del Collegio di Disciplina non sarebbe sottoscritto dai
soggetti intervenuti, come invece imposto dal Regolamento. 
    Si e' costituita l'Universita' degli studi di  Perugia  chiedendo
il rigetto del gravame, stante l'infondatezza di tutte le censure  ex
adverso dedotte, in sintesi evidenziando: 
        l'eccesiva  durata  del  procedimento  disciplinare   sarebbe
riconducibile 
        non gia' all'attivita' dell'Ateneo ma all'entrata  in  vigore
dell'art. 10 della legge «Gelmini», quale pur decentrando  a  livello
locale i procedimenti disciplinari del personale docente, non avrebbe
dettato alcuna disposizione transitoria  per  il  periodo  necessario
all'adeguamento  statutario  e  regolamentare,   indispensabile   per
l'istituzione ed il funzionamento dei nuovi Collegi di Disciplina; 
        a tale vero e proprio vuoto normativo  l'Universita'  avrebbe
ragionevolmente tentato di apporre parziale rimedio,  prevedendo  con
la delibera n. 5/2011 parimenti impugnata la immediata  contestazione
degli  eventuali  addebiti  disciplinari   e   la   sospensione   dei
procedimenti sino alla nomina ed  all'insediamento  del  Collegio  di
Disciplina, in ritenuta applicazione analogica del comma 5  dell'art.
10 della  legge  n.  240/2010  in  ipotesi  di  «ricostituzione»  del
Collegio; 
        la  rilevanza  disciplinare  dei  fatti   contestati   e   la
proporzionalita'  della  sanzione  applicata,  non  sindacabile   dal
giudice  amministrativo  in  sede  di   giurisdizione   generale   di
legittimita'  se  non  in  ipotesi  di  manifesta   irragionevolezza,
incongruita' o travisamento; 
        il computo del «dies a quo» per la decorrenza del termine  di
180 giorni di cui  al  comma  quinto  dell'art.  10  della  legge  n.
240/2010  dalla  data  di  insediamento  dell'istituito  Collegio  di
Disciplina, non potendosi computare a tal fine - come prospettato dal
ricorrente - la data (18 febbraio 2014) di relativa costituzione, non
essendo  tra  l'altro  ancora  approvato  il   Regolamento   per   il
funzionamento del predetto organo; 
    Alla camera di consiglio del 15  aprile  2015  con  ordinanza  n.
44/2015 e' stata accolta l'istanza cautelare del  prof.  Franceschini
ravvisando  il  «fumus  boni  iuris»  in  relazione  alla  sospettata
incostituzionalita' dell'art. 10 della legge n. 240 del  2010,  nelle
more della decisione  della  questione  incidentale  di  legittimita'
costituzionale, da sollevare d'ufficio con separata ordinanza. 
    2. Reputa  il  Collegio  che  la  lamentata  abnorme  durata  del
procedimento disciplinare subita dal ricorrente (pari a tre anni) sia
dovuta  se  non  esclusivamente,   principalmente   all'indefettibile
adeguamento statutario  e  regolamentare  da  parte  dell'Universita'
resistente, in conseguenza  del  previsto  decentramento  della  fase
istruttoria del procedimento disciplinare dal Collegio di  Disciplina
presso  il  CUN  ad  un  Collegio  di  Disciplina  universitario,  da
istituirsi per espressa previsione del comma 1, dell'art.  10,  della
legge 30 dicembre 2010, n. 240 «Norme in  materia  di  organizzazione
delle Universita', di personale accademico  e  reclutamento,  nonche'
delega al Governo per incentivare  la  qualita'  e  l'efficienza  del
sistema universitari» «secondo modalita' definite dallo Statuto». 
    L'assoluta  mancanza  di  qualsivoglia  disposizione  transitoria
necessaria a governare i procedimenti sanzionatori disciplinari nella
delicata e non breve fase di costituzione del nuovo organo, determina
il rilievo d'ufficio della questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10, legge  n.  240/2010  per  contrasto  con  gli  artt.  3
(ragionevolezza) 27 (responsabilita' personale) 97  (buon  andamento)
111 (giusto processo) e 117, comma 1, in rapporto agli artt. 6,  par.
1, CEDU (diritto  ad  un  processo  equo  e  ragionevole  durata  del
processo) e 41 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza (diritto
ad una buona amministrazione) della Costituzione. 
    Il  Collegio   ritiene   che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'anzidetta norma di legge statale, nella parte  in
cui non prevede una disciplina transitoria in  tema  di  procedimento
disciplinare  nel  periodo  intercorrente  tra  la  soppressione  del
Collegio  di   Disciplina   presso   il   CUN   e   l'istituzione   e
regolamentazione  dei  Collegi  di  Disciplina  presso   le   singole
Universita', assuma rilevanza pregiudiziale ai fini  della  decisione
della presente controversia e sia non manifestamente  infondata,  per
le ragioni che si diranno. 
    Diviene percio' necessario un breve riepilogo delle  disposizioni
piu' significative vigenti in materia  di  procedimento  disciplinare
dei  docenti  universitari  prima  e  dopo  la   riforma   «Gelmini»,
limitatamente ai tratti salienti per la decisione  dell'incidente  di
costituzionalita'. 
    3. La normativa statale. 
    3.1. Nel regime previgente la riforma «Gelmini», l'art.  3  della
legge 16 gennaio 2006, n. 18, prevede, in  estrema  sintesi,  che  il
procedimento disciplinare  per  l'applicazione  delle  sanzioni  piu'
gravi della censura, tra quelle previste dall'articolo 87  del  testo
unico delle leggi sull'istruzione superiore di cui al  regio  decreto
31 agosto 1933, n. 1592, risulta contraddistinto da azione esercitata
dal Rettore dell'Universita' interessata innanzi ad  un  Collegio  di
Disciplina istituito  presso  il  CUN,  con  formulazione  di  parere
vincolante  per  l'eventuale  sanzione,  di  competenza  ancora   del
Rettore. 
    L'art. 10, della legge 30 dicembre 2010, n.  240,  ha  stabilito,
invece, che: «1. Presso ogni universita' e' istituito un collegio  di
disciplina, composto esclusivamente  da  professori  universitari  in
regime di tempo pieno e  da  ricercatoti  a  tempo  indeterminato  in
regime di tempo pieno,  secondo  modalita'  definite  dallo  statuto,
competente  a  svolgere  la   fase   istruttoria   dei   procedimenti
disciplinati e ad esprimere in merito parere conclusivo. Il  collegio
opera secondo il principio del giudizio fra pari,  nel  rispetto  del
contraddittorio. La partecipazione al collegio di disciplina non  da'
luogo alla  corresponsione  di  compensi,  emolumenti,  indennita'  o
rimborsi spese. 
    2. L'avvio del procedimento disciplinare spetta al  rettore  che,
per ogni fatto che possa dar luogo all'irrogazione  di  una  sanzione
piu' grave della censura tra quelle  previste  dall'articolo  87  del
testo unico delle leggi sull'istruzione superiore  di  cui  al  regio
decreto 31 agosto 1933, n. 1592,  entro  trenta  giorni  dal  momento
della conoscenza  dei  fatti,  trasmette  gli  atti  al  collegio  di
disciplina, formulando motivata proposta. 
    3. Il collegio di disciplina, uditi  il  rettore  ovvero  un  suo
delegato, nonche' il professore o il ricercatore sottoposto ad azione
disciplinare, eventualmente assistito da  un  difensore  di  fiducia,
entro trenta  giorni  esprime  parere  sulla  proposta  avanzata  dal
rettore  sia  in  relazione  alla  rilevanza  dei  fatti  sul   piano
disciplinare sia in relazione al  tipo  di  sanzione  da  irrogare  e
trasmette gli atti al consiglio di amministrazione  per  l'assunzione
delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al  collegio
resta disciplinato dalla normativa vigente. 
    4. Entro trenta giorni dalla ricezione del parere,  il  consiglio
di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti,  infligge
la  sanzione  ovvero  dispone   l'archiviazione   del   procedimento,
conformemente  al  parere  vincolante  espresso   dal   collegio   di
disciplina. 
    5. Il procedimento si estingue ove la decisione di cui al comma 4
non intervenga nel termine di centottanta giorni dalla data di  avvio
del  procedimento  stesso.  Il   termine   e'   sospeso   fino   alla
ricostituzione del collegio di disciplina  ovvero  del  consiglio  di
amministrazione  nel  caso  in  cui  siano  in  corso  le  operazioni
preordinate alla  formazione  dello  stesso  che  ne  impediscono  il
regolare funzionamento. Il termine e' altresi' sospeso, per non  piu'
di due volte e per un periodo non  superiore  a  sessanta  giorni  in
relazione a ciascuna sospensione, ove il collegio  ritenga  di  dover
acquisire ulteriori  atti  o  documenti  per  motivi  istruttori.  Il
rettore e'  tenuto  a  dare  esecuzione  alle  richieste  istruttorie
avanzate dal collegio. 
    6. E' abrogato l'articolo 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18.». 
    3.2. La c.d. Riforma «Gelmini» ha dunque  profondamente  innovato
il previgente modello procedimentale, decentrando la fase istruttoria
del procedimento disciplinare, prima centralizzata, presso collegi di
disciplina da istituirsi e regolamentarsi  presso  ogni  Ateneo,  nel
contempo abrogando la competenza  del  CUN  (come  inequivocabilmente
dispone il comma 6, del sopra citato art. 10, cfr.  T.A.R.  Emilia  -
Romagna, Bologna, sez. I, 23 ottobre 2013, n. 645)  e  assegnando  la
potesta' di applicare la sanzione non piu' al Rettore ma al Consiglio
di Amministrazione. A  ben  vedere,  ai  neo  Collegi  di  Disciplina
interni e'  assegnata  oltre  che  l'istruttoria,  lo  stesso  potere
decisorio, essendo il parere formulato di natura  vincolante  per  il
Consiglio d'Amministrazione. 
    Trattasi di una scelta che appare  conforme  all'autonomia  delle
istituzioni  universitarie  costituzionalmente  garantita  (art.  33,
ultimo comma Cost.). 
    3. Ritiene il Collegio sin d'ora evidenziare  che  l'esigenza  di
previsione di termini certi e perentori per  l'avvio  e  l'estinzione
del procedimento disciplinare e' riconosciuta oltre che  da  pacifica
giurisprudenza amministrativa (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 9
marzo 2010, n. 1374; T.A.R. Lazio - Roma sez. I,  4  marzo  2013,  n.
2287) dalla stessa Consulta (sent. n. 1128 del 1998) laddove e' stata
dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  12,  comma  2,
legge 18 marzo 1958, n. 311, per violazione dell'art. 3 Cost.,  nella
parte in  cui  non  richiama,  ai  fini  della  sua  applicazione  ai
professori universitari di ruolo, l'art. 120, d.P.R. 10 gennaio 1957,
n. 3,  che  stabilisce  l'estinzione  del  procedimento  disciplinare
quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun
ulteriore atto sia stato compiuto. 
    4.   Sulla   rilevanza   della    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
    4.1. Con  il  ricorso  in  epigrafe  l'odierno  istante  lamenta,
unitamente ad altre  censure,  l'eccessiva  durata  del  procedimento
disciplinare  iniziato  con  la  contestazione  dell'addebito  il  28
dicembre 2011 e conclusosi con l'applicazione della  sanzione  il  18
dicembre 2014, in asserita violazione del principio  di  «ragionevole
durata» del procedimento disciplinare desumibile  dall'art.  6  della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  come  interpretato  dalla
Cotte di Strasburgo. 
    Il ritardo sicuramente abnorme (tre anni) nella  conclusione  del
procedimento non e' dipeso da inerzia imputabile  all'Universita'  di
Perugia bensi', soprattutto, alla mancata  previsione  da  parte  del
legislatore  statale  di  una  disciplina  intertemporale  idonea   a
regolare  i  procedimenti   disciplinari   per   tutto   il   periodo
intercorrente  tra  la  data  di  entrata  in  vigore  della  Riforma
«Gelmini»  (e  connessa  soppressione  del  precedente  Collegio   di
Disciplina   presso   il   CUN)   e   l'effettiva   costituzione    e
regolamentazione dei nuovi organi disciplinari decentrati. 
    Tale vero e proprio vuoto normativo ha determinato la sospensione
sine  die  dei  procedimenti  disciplinari  sino  all'istituzione   e
regolamentazione dei suddetti nuovi organi disciplinari, non  potendo
i Rettori delle  Universita'  ne'  esercitare  l'azione  disciplinare
innanzi ai soppressi Collegi presso il CUN ne', tantomeno,  procedere
con immediatezza all'istituzione  dei  nuovi  Collegi  di  Disciplina
decentrati  senza  il   necessario   adeguamento   statutario,   come
inequivocabilmente prevede il comma 1, dell'art. 10  della  legge  n.
240/2010. 
    Sul punto, a differenza di quanto  prevedeva  l'abrogato  art.  3
della legge 2006, n.  18,  la  legge  n.  240/2010  non  reca  alcuna
previsione in ordine al numero dei componenti del  collegio  ed  alle
modalita' di  elezione,  si  da  rendere  viepiu'  indispensabile  la
disciplina attuativa da parte degli statuti e dei  regolamenti  degli
Atenei. 
    L'Universita' resistente, stante la necessita' di  procedere  con
immediatezza  alla  contestazione  dell'addebito   disciplinare,   in
attuazione alla deliberazione del Senato Accademico n. 5 del 2011  si
e' dunque determinata - con  disposizione  di  carattere  generale  e
astratto ed in applicazione analogica del  comma  quinto  del  citato
art. 10 - a sospendere il  procedimento  sino  alla  costituzione  ed
all'insediamento del nuovo Collegio  di  Disciplina,  avvenuto  il  3
luglio   2014   all'esito   della   riorganizzazione   statutaria   e
regolamentare. 
    4.2. Va sul punto evidenziato l'iter particolarmente rafforzato e
complesso che la legge (art. 6, comma 9, legge 9 maggio 1989, n. 168)
contempla per l'approvazione  degli  statuti  e  dei  regolamenti  di
Ateneo, i  quali  dopo  essere  deliberati  dagli  organi  competenti
dell'Universita'  a  maggioranza  assoluta  dei  componenti,  debbono
altresi' esser trasmessi al MIUR che, entro il termine perentorio  di
sessanta giorni, esercita il controllo di legittimita'  e  di  merito
nella forma della richiesta motivata di riesame. 
    Se non vi sono rilievi vi e' l'emanazione da parte del Rettore  e
la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale altrimenti,  come  accaduto
nella fattispecie, occorre il recepimento con nuova deliberazione  da
parte del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione. 
    Ragione per cui soltanto il 28 maggio 2012, con D.R. n. 889/2012,
e' stato approvato il nuovo Statuto dell'Universita' degli  studi  di
Perugia, i cui artt.  27  e  53  hanno  rispettivamente  delegato  ad
apposito Regolamento la  disciplina  del  Collegio  di  Disciplina  e
rimesso al Regolamento Generale di Ateneo il compito di  disciplinare
le modalita' di elezione ed il funzionamento degli organi di ateneo. 
    Solamente  a  seguito  della  costituzione   del   nuovo   Senato
Accademico, avvenuta il 9 gennaio 2014 a  seguito  dell'elezione  dei
relativi componenti, con D.R. n. 470 del 29 marzo 2014 e n. 1190  del
25 giugno 2014 sono stati rispettivamente  approvati  il  Regolamento
Generale di Ateneo ed il Regolamento di funzionamento del Collegio di
Disciplina. 
    Il 5 febbraio 2014 il Senato Accademico  ha  dunque  designato  i
membri del suddetto Collegio, insediatosi il 3 luglio 2014. 
    Con   deliberazione   n.   24   approvata   dal   Consiglio    di
Amministrazione dell'Universita' nella seduta del 18 dicembre 2014 e'
stata disposta nei  confronti  dell'odierno  ricorrente  la  sanzione
della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per  sei  mesi,  con
effetto immediato. 
    4.3. Ritiene il Collegio che  il  complesso  e  farraginoso  iter
procedimentale seguito dall'Universita'  sia  di  stretta  attuazione
della riforma del procedimento disciplinare nei confronti dei docenti
universitari attuata con la citata legge «Gelmini», la  quale  ha  di
fatto procrastinato l'esercizio di ogni azione disciplinare  (rectius
l'istruttoria  sugli  addebiti)   alla   descritta   riorganizzazione
universitaria,   non   tenendo   minimamente   conto   del    diritto
dell'inquisito di ogni procedimento disciplinare di  vedere  definita
la  propria  posizione  in  un  termine  ragionevole   ne',   invero,
dell'esigenza di continuita' dell'azione amministrativa. 
    4.4. E' pertanto evidente la rilevanza, ai  sensi  dell'art.  23,
legge n. 87/1953, della  questione  di  legittimita'  costituzionale,
poiche'  l'art.  10  della  legge  n.  240/2010  non  ha   consentito
all'Universita' di definire il procedimento nel  termine  complessivo
di 180 giorni di cui al comma quinto dell'art. 10 legge  n.  240/2010
(di natura perentoria vedi T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 13
ottobre 2014, n. 965) o  comunque  entro  un  termine  «prefissato  e
ragionevole», in danno del ricorrente. 
    Tale  doglianza,  oltre  che  di  carattere  assorbente,  riveste
nell'«ordo quaestionum» della presente controversia priorita' logica,
poiche' idonea se fondata a  comportare  la  radicale  illegittimita'
della sanzione disciplinare inflitta  per  decadenza  della  potesta'
punitiva. 
    4.5. La rilevanza della questione non e' parimenti esclusa  dalla
natura cautelare del giudizio nell'ambito del quale la  questione  di
costituzionalita' viene sollevata. 
    La Corte costituzionale, proprio con riferimento a  questioni  di
legittimita' sollevate in sede  cautelare,  ha,  in  piu'  occasioni,
osservato che la  potestas  iudicandi  non  puo'  ritenersi  esaurita
quando la concessione della misura cautelare, come nella  specie,  e'
fondata,  quanto  al  «fumus  boni  iuris»,   sulla   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dovendosi
in tal caso la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato
ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa  del
giudizio cautelare dopo l'incidente  di  legittimita'  costituzionale
(ex plurimis: sentenze n. 444 del 1990, n. 367 del 1991; n. 30  e  n.
359 del 1995; n. 183 del 1997, n. 4 del 2000 nonche'  l'ordinanza  n.
24 del 1995 e n. 194 del 2006). 
    4.6. Ne' puo'  il  Collegio  definire  la  controversia  con  una
sentenza in rito di  inammissibilita',  risultando  priva  di  pregio
l'eccezione  sollevata  dalla  difesa  erariale  circa   la   mancata
tempestiva impugnazione della  deliberazione  n.  3/2011  del  Senato
Accademico con cui l'Universita' resistente ha stabilito, in  termini
generali ed astratti, la sospensione con  effetto  immediato  e  sino
alla nomina e all'effettivo insediamento del Collegio  di  Disciplina
di tutti i procedimenti ricadenti nel predetto vuoto normativo. 
    Basti all'uopo osservare che secondo i comuni principi in tema di
interesse  a  ricorrere  valevoli  nel  processo  amministrativo,  la
concretezza e l'attualita' della lesione della posizione  sostanziale
azionata dal ricorrente si e' avuta soltanto all'esito  negativo  del
procedimento disciplinare, la cui  sanzione  inflitta  dal  Consiglio
d'Amministrazione  e'  stata  ritualmente   gravata   unitamente   al
presupposto  atto  deliberativo.  Trattasi  poi   di   atto   assunto
esclusivamente  a  garanzia  dei  docenti,  che  -  come   il   prof.
Franceschini - sarebbero  potuti  essere  sottoposti  a  procedimento
disciplinare nel suddetto periodo, non essendo ipotizzabile il rinvio
anche della contestazione dell'addebito, stante il  pacifico  obbligo
di immediatezza, la competenza al  riguardo  del  Rettore  (comma  2,
dell'art. 10 legge n. 240/2010)  nonche'  il  carattere  obbligatorio
dell'esercizio dell'azione disciplinare (T.A.R.  Campania  -  Napoli,
sez. I, 19 maggio 2010, n. 7147; T.A.R. Lazio - Roma,  sez.  III,  11
luglio 2014, n. 7449). 
    4.7. Non  ignora  infine  il  Collegio  la  giurisprudenza  della
Consulta   in   tema   di   inammissibilita'    di    questioni    di
costituzionalita' aventi ad oggetto la  richiesta  di  una  pronuncia
additiva  «dai  contenuti   indefiniti   e   non   costituzionalmente
obbligati», non spettando alla Corte costituzionale ma al legislatore
(atteso il carattere discrezionale delle relative scelte) il  compito
di  stabilire  disposizioni  normative   di   carattere   transitorio
(sentenze 8 luglio 2010, n. 250; 14 novembre 2006, n. 380). 
    Non di meno, ritiene il Collegio che nel caso di specie,  possano
sussistere i presupposti per un intervento additivo, dal momento  che
la   statuizione   richiesta   avrebbe   contenuto    sostanzialmente
circoscritto alla mancata previsione da  parte  della  legge  statale
della ultrattivita' del Collegio di disciplina presso il CUN, al fine
di garantire la necessaria continuita' dell'attivita' disciplinare  e
le indefettibili garanzie difensive  dei  docenti  incolpati,  si  da
elidere sul punto anche la discrezionalita' della scelta da parte del
legislatore stante la negativa  incidenza  -  come  si  vedra'  -  su
diritti fondamentali della persona garantiti a livello sovranazionale
(art. 6, par.  1,  CEDU  e  art.  41,  comma  1,  Carta  dei  diritti
fondamentali di Nizza). 
    5.  Sulla  non  manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    5.1. Come detto, l'art. 10 della legge n. 240/2010 nel  prevedere
l'immediata soppressione del Collegio di Disciplina  presso  il  CUN,
non ha previsto alcuna disciplina di diritto transitorio  nelle  more
della costituzione e dell'insediamento dei nuovi organi disciplinari,
possibile solo previo necessario adeguamento delle fonti statutarie e
regolamentari universitarie. 
    Cio' ha innegabilmente creato, come ben  descritto  nella  stessa
deliberazione n. 5/2011 del  Senato  Accademico,  una  situazione  di
grave   incertezza   in    danno    sia    dell'interesse    pubblico
dell'Amministrazione alla repressione degli illeciti disciplinari sia
del diritto di difesa dei docenti incolpati,  essendo  principio  del
tutto  consolidato  nell'ordinamento  statuale  e   della   CEDU   la
immediatezza della contestazione degli  addebiti  e  l'esercizio  del
potere punitivo entro termini «prefissati e ragionevoli»  (ex  multis
Consiglio di Stato, sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4227; T.A.R.  Lazio  -
Roma sez. I, 4 marzo 2013, n. 2287). 
    La pur effettuata applicazione  per  analogia  del  comma  quinto
dell'art. 10 da parte dell'Ateneo perugino alla diversa ipotesi della
istituzione del Collegio di  Disciplina  -  da  ritenersi  del  tutto
ragionevole in quanto  rispettosa  del  diritto  dell'incolpato  alla
pronta conoscenza dell'addebito - ha comunque dilatato la durata  del
procedimento in tre anni. 
    La mancata previsione di  disposizioni  transitorie,  agevolmente
prevedibili ad es. con l'ultrattivita'  del  Collegio  di  Disciplina
presso il CUN sino alla costituzione  e  all'insediamento  dei  nuovi
organi disciplinari, specie ove si consideri il  descritto  complesso
iter previsto dalla legge n. 168/1989 per l'adeguamento degli statuti
e dei regolamenti universitari, depone nel senso della non  manifesta
infondatezza del contrasto con l'art. 3 della Costituzione  sotto  il
profilo della  manifesta  irragionevolezza,  atteso  che  un  sistema
siffatto risulta lesivo di tutti i contrapposti interessi coinvolti e
dunque intrinsecamente irragionevole. 
    Non viene infatti in rilievo la necessita' di un bilanciamento di
valori contrapposti, tipicamente riservata alla discrezionalita'  del
legislatore (ex multis sent. 8 luglio 2010, n.  250;  id.  16  maggio
2008, n. 148) bensi' una lacuna normativa manifestamente irrazionale,
non essendo ovviamente  nemeno  ipotizzabile  l'introduzione  di  una
sorta di generalizzata non punibilita' disciplinare del corpo docente
per gli illeciti commessi nell'arco temporale in questione. 
    5.2. Risulta altresi' non manifestamente infondato  il  contrasto
con l'art. 97 Cost. (buon andamento) e con il relativo corollario  di
continuita'  dell'azione  amministrativa  (Corte  costituzionale   21
giugno 2013, n. 152) dal momento che l'evocato art. 10 della legge n.
240/2010 non consente all'amministrazione universitaria, nel  periodo
del descritto vuoto normativo, la possibilita' di sanzionare  con  la
necessaria tempestivita' i fatti illeciti disciplinari  commessi  dal
proprio personale docente, se non mediante  forzate  sospensioni  del
procedimento  sino  al  lungo  percorso  di   adeguamento   normativo
necessario alla istituzione dei nuovi organi disciplinari. 
    Tale sospensione se non sine die comunque per un periodo di tempo
rilevante del procedimento disciplinare, con conseguente ipotizzabile
rischio di annullamento giurisdizionale delle sanzioni  inflitte  per
ragioni di carattere formale-procedimentale, fa dunque dubitare della
legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge «Gelmini»  anche
per violazione dell'art. 97 Cost., di fatto interrompendo  del  tutto
immotivatamente l'attivita' disciplinare. 
    Va evidenziata l'inesistenza nel  nostro  ordinamento,  tanto  in
riferimento alla materia disciplinare  quanto  piu'  in  generale  al
procedimento amministrativo, di un principio di  ultrattivita'  della
normativa previgente abrogata, ove il legislatore non  abbia  dettato
una normativa intertemporale (T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna,  sez.
I, 23 ottobre 2013, n. 645). Del tutto estranea alla  fattispecie  e'
altresi' la normativa (legge 15 luglio  1994,  n.  444)  in  tema  di
prorogatio degli organi amministrativi dal momento che la Commissione
di disciplina presso CUN, come diffusamente illustrato,  risulta  non
gia' cessata dalla carica bensi' espressamente soppressa  dall'ultimo
comma dell'art. 10 della legge «Gelmini». 
    5.3. Non manifestamente infondata risulta  ancora  la  violazione
dell'art. 27, comma 2,  della  Costituzione  attesa  la  valenza  del
principio presuntivo di innocenza ivi scolpito anche nell'ambito  del
procedimento disciplinare dei dipendenti pubblici (T.A.R.  Campobasso
6 novembre 2009, n. 698) in relazione alla finalita' punitiva  comune
alla sanzione penale. 
    Infatti,  l'eccessiva  durata  del  procedimento  connessa   alla
mancata previsione di una disciplina di diritto transitorio  comporta
anche indubbie difficolta' nell'esercizio del diritto  di  difesa  da
parte del docente incolpato, che  si  trovera'  a  doversi  difendere
innanzi ai nuovi organi disciplinari a distanza di molto tempo. 
    5.4. Non manifestamente infondata, ad  avviso  del  Collegio,  e'
anche la violazione degli artt. 111 e 117, comma 1, Cost. secondo cui
«la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato  o  dalle  Regioni
nel  rispetto  della  Costituzione,  nonche'  dei  vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario  e  dagli  obblighi  internazionali»  in
riferimento all'art. 6 della CEDU (diritto ad un processo equo) quale
«fonte interposta» (Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e 349; id. 11
marzo 2011, n. 80) nonche' all'art. 41,  comma  1,  della  Carta  dei
diritti fondamentali di Nizza (diritto ad una buona amministrazione). 
    La disciplina sovranazionale contenuta nella  C.E.D.U.,  anche  a
seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona  (1°  dicembre
2009), ha assunto forza di «norma costituzionale interposta» ex  art.
117, comma 1, Cost. (Corte costituzionale 11 marzo 2011, n.  80,  id.
24  ottobre   2007,   nn.   348   e   349)   imponendo   al   giudice
l'interpretazione delle norme  interne  primarie  conformemente,  ove
possibile,   alla   C.E.D.U.   quale   parametro   di    legittimita'
costituzionale interposto (art. 117, comma 1, Cost.) ed  in  caso  di
insanabile contrasto,  di  sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Come piu' volte evidenziato dalla  Consulta,  al  giudice  comune
spetta  interpretare  la  norma  interna  in   modo   conforme   alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, entro i limiti  nei  quali
cio' sia permesso dai testi delle  norme,  e  qualora  cio'  non  sia
possibile, ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con
la disposizione convenzionale «interposta», non puo' disapplicare  la
norma  stessa,  ma  deve  investire  la  Corte  costituzionale  della
relativa questione di legittimita' rispetto  al  parametro  dell'art.
117, comma 1, Cost. (ancora Corte cost. 24 ottobre  2007,  n.  348  e
349; id. 11 febbraio 2014, n. 21). 
    5.5. La Corte  di  Strasburgo  ha  da  tempo  esteso  il  diritto
fondamentale della persona ad un processo equo anche ai  procedimenti
sanzionatori di natura afflittiva (sentenze 4  marzo  2014,  ric.  n.
18640/10 Grande Stevens e altri c. Italia; 29 ottobre 2013,  ric.  n.
17475/2009 Varvara c. Italia; 20 gennaio 2009, Sud Fondi e  altri  c.
Italia) con il riconoscimento - tra l'altro  -  delle  garanzie  alla
definizione del  procedimento  entro  un  termine  ragionevole,  alla
ricezione nel piu' breve tempo possibile della natura  e  dei  motivi
della contestazione, alla disponibilita' di tutte le opportunita'  di
difesa. 
    5.6.  La  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo   ha   altresi'
riconosciuto l'applicabilita' dell'art. 6,  par.  1,  della  CEDU  ai
procedimenti amministrativi preordinati all'applicazione di  sanzioni
con valenza disciplinare,  attesane  la  natura  punitiva  (sent.  28
giugno 1978, ric. n. 6232/73 Konig c. Repubblica Federale Tedesca; 26
settembre 1995, ric. n. 18160/91 Diennet c. Francia) se lesivi di  un
diritto «civile» del ricorrente, quale la sospensione o la cessazione
dell'attivita' professionale. 
    Va evidenziato che pur non potendosi rinvenire  nel  procedimento
disciplinare  riguardante  i  professori  universitari  una   valenza
giurisdizionale,  a  differenza  del   procedimento   concernente   i
magistrati (Corte costituzionale 19 maggio 2008, n. 182) e'  comunque
pacifica la natura amministrativa, diversamente da quanto avviene nel
pubblico impiego privatizzato,  laddove  l'iter  punitivo  ha  natura
negoziale (Cassazione 8 febbraio 2003, n. 1922). 
    Ne consegue la  tendenziale  soggezione  anche  dei  procedimenti
disciplinari nei  confronti  di  dipendenti  pubblici  alle  garanzie
imposte dall'art. 6, par. 1,  della  CEDU  laddove  l'Amministrazione
esercita  un   potere   punitivo   con   applicazione   di   sanzioni
particolarmente  afflittive   finanche   espulsive   (revocazione   e
destituzione). 
    Nel caso di specie, l'Universita' degli studi di Perugia  con  la
deliberazione n. 24/2014 impugnata ha  disposto  la  sospensione  del
ricorrente dall'ufficio e dallo stipendio per sei mesi per «esercizio
del commercio e dell'industria incompatibile con lo status di docente
universitario»  privandolo  seppur  temporaneamente  della  posizione
lavorativa  e  dello  stipendio  in  godimento  (se  si  eccettua  il
mantenimento di assegno alimentare pari alla  meta'  del  trattamento
economico in godimento). 
    L'abnorme ritardo con cui e' stata inflitta la suddetta  sanzione
pare dunque porsi in aperto contrasto con  l'esaminato  principio  di
«delai raisonnaible» di cui all'art. 6, par.  1,  della  CEDU  si  da
rendere non manifestamente infondato il contrasto dell'art. 10  della
legge n. 240/2010 con l'art. 117, comma 1, Cost. in rapporto all'art.
6, par. 1, della CEDU, sempre relativamente alla  mancata  previsione
di una disciplina transitoria. 
    Mette conto inoltre evidenziare  come  nell'ordinamento  italiano
anche la garanzia  del  successivo  controllo  giurisdizionale  sulla
legittimita' della sanzione  inflitta  dall'autorita'  amministrativa
sia  di  dubbia  conformita'  alla  giurisprudenza  della  Corte   di
Strasburgo maturata nei confronti del citato art.  6,  par.  1  della
CEDU, dal momento che il  sindacato  del  giudice  amministrativo  e'
notoriamente di tipo estrinseco ovvero limitato  al  riscontro  della
palese irragionevolezza, incongruita' o travisamento  dei  fatti  (ex
multis Consiglio di Stato, sez. III, 11 novembre 2014, n. 5543). 
    5.7. A sua volta, l'art. 41 della Carta dei diritti  fondamentali
di Nizza, che a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  Trattato  di
Lisbona ha assunto lo stesso valore  giuridico  dei  Trattati  (Corte
costituzionale sent. 11 marzo 2011, n. 80; id. 30  a.prile  2015,  n.
70) nel riconoscere ad ogni cittadino dell'Unione il «diritto ad  una
buona amministrazione» vi ricomprende il diritto di ogni individuo  a
che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale,
equo ed «entro un termine  ragionevole»  dalle  istituzioni  e  dagli
organi dell'Unione. 
    Ritiene il Collegio nonostante  l'equiparazione  della  Carta  di
Nizza ai Trattati, la quale farebbe propendere per  il  pregiudiziale
rinvio alla Corte di Giustizia  U.E.  ai  sensi  dell'art.  267  TFUE
(Corte cost. 18 luglio 2014, n. 216) che anche  la  violazione  della
suddetta  Carta  possa   fungere   da   parametro   di   legittimita'
costituzionale interposto ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost. 
    La  controversia  per   cui   e'   causa,   riguardando   diritti
fondamentali della persona  ovvero  di  un  pubblico  dipendente  nei
confronti   del   potere   autoritativo    dell'Amministrazione    di
appartenenza, pare  possa  annoverarsi  tra  le  materie  oggetto  di
disciplina europea, quale presupposto di applicabilita' della  stessa
Carta di Nizza (Corte costituzionale sent. 11 marzo 2011, n. 80). 
    6.  Preme  sottolineare,  in  relazione  a  tutti  i  profili  di
contrasto dell'art. 10 della  legge  n.  240  del  2010  sospetta  di
incostituzionalita', l'impossibilita' per questo giudice di risolvere
in  via  interpretativa  gli  ipotizzati  dubbi   di   compatibilita'
costituzionale,  in  relazione  all'univoco  tenore  letterale  della
legge, che segna il  confine  in  presenza  del  quale  il  tentativo
interpretativo deve cedere il  passo  al  sindacato  di  legittimita'
costituzionale (ex multis Corte Cost. sent n. 26/2010). 
    Infatti, l'ipotizzabile ultrattivita' del Collegio di  Disciplina
presso il CUN, per quanto soluzione pienamente conforme al  principio
di continuita' dell'azione amministrativa, risulta da  escludere  sul
piano ermeneutico alla luce della  chiara  ed  inequivocabile  scelta
legislativa di  espressa  abrogazione  dell'art.  3  della  legge  n.
18/2006, come d'altronde riconosciuto in giurisprudenza, dal  momento
che la mancanza di norme transitorie non autorizza  l'interprete  nel
senso della ultrattivita' della disciplina abrogata (T.A.R. Emilia  -
Romagna, Bologna sez. I, 23 ottobre 2013, n. 645). 
    7. Conclusivamente il Collegio, per  le  ragioni  sopra  esposte,
solleva questione di costituzionalita' dell'articolo 10  della  legge
30 dicembre 2010, n. 240, per violazione degli articoli  3,  27,  97,
111, 117 primo comma (in rapporto con l'art. 6, par. 1,  CEDU  e  con
l'art. 41, comma 1, Carta dei diritti fondamentali  di  Nizza)  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  prevede   una   disciplina
transitoria in tema di procedimento disciplinare  nei  confronti  del
personale docente nelle more della costituzione  e  dell'insediamento
dei nuovi Collegi di Disciplina da istituirsi e disciplinarsi  presso
le singole Universita'. 
    Alla luce delle considerazioni  che  precedono  e'  sospesa  ogni
decisione sulla predetta controversia, dovendo  la  questione  essere
demandata al giudizio della Corte costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  l'Umbria  (Sezione
Prima), visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio  1948,  n.  1  e  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra  pronuncia  in
rito,  nel  merito  e  sulle  spese,   ritenuta   rilevante   e   non
manifestamente   infondata   la   questione   di    costituzionalita'
dell'articolo 10 della legge 30 dicembre 2010, n. 240,  in  relazione
agli articoli 3, 27, 97, 111,  117,  primo  comma  (in  rapporto  con
l'art. 6, par. 1, della CEDU e con l'art. 41, comma  1,  della  Carta
dei  diritti  fondamentali  di  Nizza)  della  Costituzione,  dispone
l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte   costituzionale,
sospendendo il giudizio in corso. 
    Ordina che a cura della  Segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e
della Camera dei deputati 
    Cosi' deciso in Perugia nella camera di consiglio del  giorno  15
aprile 2015 con l'intervento dei magistrati: 
        Cesare Lamberti, Presidente 
        Stefano Fantini, Consigliere 
        Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore 
 
                       Il Presidente: Lamberti 
 
 
                                                L'estensore: Amovilli