N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 2015
Ordinanza del 18 maggio 2015 del Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria sul ricorso proposto da Franceschini Giordano contro Universita' degli studi di Perugia. Universita' - Professori e ricercatori - Procedimento disciplinare - Disciplina transitoria in tema di procedimento disciplinare nel periodo intercorrente tra la soppressione del Collegio di disciplina presso il CUN e l'istituzione e la regolamentazione dei Collegi di disciplina presso le singole Universita' - Mancata previsione - Lesione del principio di uguaglianza per irragionevolezza - Violazione del principio di presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva - Lesione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione dei principi del giusto processo - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Legge 30 dicembre 2010, n. 240, art. 10. - Costituzione, artt. 3, 27, comma secondo, 97, 111 e 117, primo comma, in relazione all'art. 6, § 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e all'art. 41, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Carta di Nizza).(GU n.36 del 9-9-2015 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'UMBRIA (Sezione Prima) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 173 del 2015, proposto da: Giordano Franceschini, rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Goretti, con domicilio eletto presso Stefano Goretti in Perugia, via Martiri dei Lager, 98/D; Contro Universita' degli studi di Perugia, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria in Perugia, via degli Offici, 14; Per l'annullamento previa sospensiva della delibera n. 24 del Consiglio di Amministrazione dell'Universita' degli studi di Perugia del 18 dicembre 2014 avente ad oggetto «Procedimento disciplinare a carico di unita' di personale docente. Determinazioni» con cui e' stata applicata nei confronti del prof. Giordano Franceschini la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per la durata di mesi sei, compreso, per quanto possa occorrere, il decreto rettorale n. 1719 del 25 settembre 2014 di proposta di irrogazione a carico del prof. Giordano Franceschini di sanzione disciplinare, il verbale della riunione del Collegio di Disciplina del 12 novembre 2014, il decreto rettorale n. 2405 del 30 dicembre 2014, la delibera del Senato Accademico del 29 marzo 2011, n. 5. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto Patto di costituzione in giudizio dell'Universita' degli studi di Perugia; Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2015 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti difensori come specificato nel verbale; 1. Con il ricorso in epigrafe l'odierno istante, professore ordinario dell'Universita' degli studi di Perugia in regime di tempo definito, contesta la legittimita' della sanzione disciplinare inflittagli dal proprio Ateneo consistente nella sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per sei mesi per «esercizio del commercio e dell'industria incompatibile con lo status di docente universitario», in asserita -violazione degli artt. 60, d.P.R. n. 3/1957, 11, comma 4, lettera b), d.P.R. n. 382/1980 e 6 comma 9, legge n. 240/2010, valutando la fattispecie riconducibile all'«abituale mancanza dei doveri d'ufficio» e/o «all'abituale irregolarita' di condotta» ai sensi dell'art. 89, lettere b) e c) del R.D. n. 1592 del 1933. Precisa il prof. Franceschini che il procedimento disciplinare e' iniziato il 28 dicembre 2011 con la contestazione dell'addebito da parte del Rettore, e si e' concluso soltanto il 18 dicembre 2014 con l'applicazione della sanzione da parte del Consiglio di Amministrazione. Tale abnorme ritardo nella conclusione del procedimento sarebbe dovuto all'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (c.d. Gelmini) entrata in vigore il 29 gennaio 2011 - quindi antecedentemente la contestazione di addebito - il cui art. 10 ha assegnato la competenza della fase istruttoria in materia disciplinare, in precedenza attribuita al Collegio di disciplina presso il CUN (ai sensi della legge 16 gennaio 2006, n. 18) a Collegio da istituire ex novo da parte di ogni Ateneo, previo necessario adeguamento dello Statuto e dei regolamenti. Non prevedendo l'art. 10 della legge n. 240/2010 «Gelmini» alcuna disposizione transitoria per il passaggio al nuovo modello procedimentale disciplinare decentrato, il Senato Accademico dell'Universita' di Perugia, con delibera n. 5 del 29 marzo 2011 ovvero ben prima dell'avvio del procedimento disciplinare nei confronti del ricorrente, ha motivatamente disposto di procedere - con norme di carattere generale ed astratto per tutti i procedimenti interessati - alla tempestiva contestazione degli eventuali addebiti disciplinari, con contestuale sospensione sino alla nomina ed insediamento del Collegio di Disciplina, in applicazione analogica del quinto comma dell'art. 10 della suddetta legge. A seguito di diffida ricevuta il 4 gennaio 2012, il ricorrente ha abbandonato tutte le cariche sociali ritenute incompatibili con il dovere di esclusivita', ovvero nel caso di specie la carica rivestita dal 1994 al 2011 di amministratore unico della societa' P.S.G.R. s.r.l. con sede in Perugia, operante nel settore della progettazione. Il 28 maggio 2012 con D.R. n. 889/2012 e' stato approvato il nuovo Statuto dell'Universita' degli studi di Perugia, i cui artt. 27 e 53 hanno rispettivamente delegato ad apposito Regolamento la disciplina del Collegio di Disciplina e rimesso al Regolamento Generale di Ateneo il compito di disciplinare le modalita' di elezione ed il funzionamento degli organi di Ateneo. Indi, a seguito della costituzione del nuovo Senato Accademico il 9 gennaio 2014, con D.R. n. 470 del 29 marzo 2014 e n. 1190 del 25 giugno 2014 sono stati rispettivamente approvati il Regolamento Generale di Ateneo ed il Regolamento di funzionamento del Collegio di Disciplina. Il 5 febbraio 2014 il Senato Accademico ha dunque designato i membri del suddetto Collegio, insediatosi il 3 luglio 2014. Con deliberazione n. 24 approvata dal Consiglio di Amministrazione dell'Universita' nella seduta del 18 dicembre 2014, e' stata disposta nei confronti dell'odierno ricorrente la sanzione della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per sei mesi, con effetto immediato. Il prof. Franceschini impugna la suddetta deliberazione n. 24/2014 unitamente agli ulteriori atti del procedimento disciplinare in epigrafe indicati, ivi compresa la citata deliberazione n. 5/2011 del Senato Accademico, deducendo censure cosi' riassumibili: I. Violazione dell'art. 111 Cost. e degli artt. 1 e 2 della legge n. 241 del 1990, del «giusto procedimento», eccesso di potere per contraddittorieta', illogicita' e difetto di motivazione: l'abnorme durata del procedimento, iniziato il 28 dicembre 2011 e conclusosi il 30 dicembre 2014 si porrebbe in contrasto con il principio di «ragionevole durata del processo» di cui all'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo applicabile per analogia anche ai procedimenti sanzionatori di tipo afflittivo, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo; II. Violazione dell'art. 85 del Regolamento Generale di Ateneo, eccesso di potere per contraddittorieta' ed illogicita', difetto di motivazione e/o insufficienza della motivazione: la sanzione inflitta non sarebbe adeguata e proporzionata alla gravita' dei fatti addebitati, tenendo conto del diminuito disvalore in relazione al lungo tempo trascorso dalla commissione dei fatti; III. Violazione delle norme regolamentari inerenti il procedimento disciplinare, eccesso di potere per contraddittorieta' ed illogicita': il procedimento si sarebbe irrimediabilmente estinto per decorso del termine perentorio di 180 giorni previsto dal comma 5, dell'art. 10 della legge n. 240/2010 individuando nella data di nomina dei componenti del Collegio di Disciplina, avvenuta il 18 febbraio 2014, il termine per la riattivazione del procedimento sospeso in applicazione analogica del citato comma quinto, secondo capoverso; IV. Violazione delle norme regolamentari (art. 3 del Regolamento sul funzionamento del Collegio di Disciplina) inerenti il procedimento disciplinare, eccesso di potere per contraddittorieta' ed illogicita' sotto altro profilo: il verbale della seduta del 12 novembre 2014 del Collegio di Disciplina non sarebbe sottoscritto dai soggetti intervenuti, come invece imposto dal Regolamento. Si e' costituita l'Universita' degli studi di Perugia chiedendo il rigetto del gravame, stante l'infondatezza di tutte le censure ex adverso dedotte, in sintesi evidenziando: l'eccesiva durata del procedimento disciplinare sarebbe riconducibile non gia' all'attivita' dell'Ateneo ma all'entrata in vigore dell'art. 10 della legge «Gelmini», quale pur decentrando a livello locale i procedimenti disciplinari del personale docente, non avrebbe dettato alcuna disposizione transitoria per il periodo necessario all'adeguamento statutario e regolamentare, indispensabile per l'istituzione ed il funzionamento dei nuovi Collegi di Disciplina; a tale vero e proprio vuoto normativo l'Universita' avrebbe ragionevolmente tentato di apporre parziale rimedio, prevedendo con la delibera n. 5/2011 parimenti impugnata la immediata contestazione degli eventuali addebiti disciplinari e la sospensione dei procedimenti sino alla nomina ed all'insediamento del Collegio di Disciplina, in ritenuta applicazione analogica del comma 5 dell'art. 10 della legge n. 240/2010 in ipotesi di «ricostituzione» del Collegio; la rilevanza disciplinare dei fatti contestati e la proporzionalita' della sanzione applicata, non sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimita' se non in ipotesi di manifesta irragionevolezza, incongruita' o travisamento; il computo del «dies a quo» per la decorrenza del termine di 180 giorni di cui al comma quinto dell'art. 10 della legge n. 240/2010 dalla data di insediamento dell'istituito Collegio di Disciplina, non potendosi computare a tal fine - come prospettato dal ricorrente - la data (18 febbraio 2014) di relativa costituzione, non essendo tra l'altro ancora approvato il Regolamento per il funzionamento del predetto organo; Alla camera di consiglio del 15 aprile 2015 con ordinanza n. 44/2015 e' stata accolta l'istanza cautelare del prof. Franceschini ravvisando il «fumus boni iuris» in relazione alla sospettata incostituzionalita' dell'art. 10 della legge n. 240 del 2010, nelle more della decisione della questione incidentale di legittimita' costituzionale, da sollevare d'ufficio con separata ordinanza. 2. Reputa il Collegio che la lamentata abnorme durata del procedimento disciplinare subita dal ricorrente (pari a tre anni) sia dovuta se non esclusivamente, principalmente all'indefettibile adeguamento statutario e regolamentare da parte dell'Universita' resistente, in conseguenza del previsto decentramento della fase istruttoria del procedimento disciplinare dal Collegio di Disciplina presso il CUN ad un Collegio di Disciplina universitario, da istituirsi per espressa previsione del comma 1, dell'art. 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 «Norme in materia di organizzazione delle Universita', di personale accademico e reclutamento, nonche' delega al Governo per incentivare la qualita' e l'efficienza del sistema universitari» «secondo modalita' definite dallo Statuto». L'assoluta mancanza di qualsivoglia disposizione transitoria necessaria a governare i procedimenti sanzionatori disciplinari nella delicata e non breve fase di costituzione del nuovo organo, determina il rilievo d'ufficio della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, legge n. 240/2010 per contrasto con gli artt. 3 (ragionevolezza) 27 (responsabilita' personale) 97 (buon andamento) 111 (giusto processo) e 117, comma 1, in rapporto agli artt. 6, par. 1, CEDU (diritto ad un processo equo e ragionevole durata del processo) e 41 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza (diritto ad una buona amministrazione) della Costituzione. Il Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale dell'anzidetta norma di legge statale, nella parte in cui non prevede una disciplina transitoria in tema di procedimento disciplinare nel periodo intercorrente tra la soppressione del Collegio di Disciplina presso il CUN e l'istituzione e regolamentazione dei Collegi di Disciplina presso le singole Universita', assuma rilevanza pregiudiziale ai fini della decisione della presente controversia e sia non manifestamente infondata, per le ragioni che si diranno. Diviene percio' necessario un breve riepilogo delle disposizioni piu' significative vigenti in materia di procedimento disciplinare dei docenti universitari prima e dopo la riforma «Gelmini», limitatamente ai tratti salienti per la decisione dell'incidente di costituzionalita'. 3. La normativa statale. 3.1. Nel regime previgente la riforma «Gelmini», l'art. 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18, prevede, in estrema sintesi, che il procedimento disciplinare per l'applicazione delle sanzioni piu' gravi della censura, tra quelle previste dall'articolo 87 del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, risulta contraddistinto da azione esercitata dal Rettore dell'Universita' interessata innanzi ad un Collegio di Disciplina istituito presso il CUN, con formulazione di parere vincolante per l'eventuale sanzione, di competenza ancora del Rettore. L'art. 10, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha stabilito, invece, che: «1. Presso ogni universita' e' istituito un collegio di disciplina, composto esclusivamente da professori universitari in regime di tempo pieno e da ricercatoti a tempo indeterminato in regime di tempo pieno, secondo modalita' definite dallo statuto, competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti disciplinati e ad esprimere in merito parere conclusivo. Il collegio opera secondo il principio del giudizio fra pari, nel rispetto del contraddittorio. La partecipazione al collegio di disciplina non da' luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennita' o rimborsi spese. 2. L'avvio del procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione piu' grave della censura tra quelle previste dall'articolo 87 del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti, trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata proposta. 3. Il collegio di disciplina, uditi il rettore ovvero un suo delegato, nonche' il professore o il ricercatore sottoposto ad azione disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia, entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare e trasmette gli atti al consiglio di amministrazione per l'assunzione delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al collegio resta disciplinato dalla normativa vigente. 4. Entro trenta giorni dalla ricezione del parere, il consiglio di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, infligge la sanzione ovvero dispone l'archiviazione del procedimento, conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di disciplina. 5. Il procedimento si estingue ove la decisione di cui al comma 4 non intervenga nel termine di centottanta giorni dalla data di avvio del procedimento stesso. Il termine e' sospeso fino alla ricostituzione del collegio di disciplina ovvero del consiglio di amministrazione nel caso in cui siano in corso le operazioni preordinate alla formazione dello stesso che ne impediscono il regolare funzionamento. Il termine e' altresi' sospeso, per non piu' di due volte e per un periodo non superiore a sessanta giorni in relazione a ciascuna sospensione, ove il collegio ritenga di dover acquisire ulteriori atti o documenti per motivi istruttori. Il rettore e' tenuto a dare esecuzione alle richieste istruttorie avanzate dal collegio. 6. E' abrogato l'articolo 3 della legge 16 gennaio 2006, n. 18.». 3.2. La c.d. Riforma «Gelmini» ha dunque profondamente innovato il previgente modello procedimentale, decentrando la fase istruttoria del procedimento disciplinare, prima centralizzata, presso collegi di disciplina da istituirsi e regolamentarsi presso ogni Ateneo, nel contempo abrogando la competenza del CUN (come inequivocabilmente dispone il comma 6, del sopra citato art. 10, cfr. T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna, sez. I, 23 ottobre 2013, n. 645) e assegnando la potesta' di applicare la sanzione non piu' al Rettore ma al Consiglio di Amministrazione. A ben vedere, ai neo Collegi di Disciplina interni e' assegnata oltre che l'istruttoria, lo stesso potere decisorio, essendo il parere formulato di natura vincolante per il Consiglio d'Amministrazione. Trattasi di una scelta che appare conforme all'autonomia delle istituzioni universitarie costituzionalmente garantita (art. 33, ultimo comma Cost.). 3. Ritiene il Collegio sin d'ora evidenziare che l'esigenza di previsione di termini certi e perentori per l'avvio e l'estinzione del procedimento disciplinare e' riconosciuta oltre che da pacifica giurisprudenza amministrativa (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 9 marzo 2010, n. 1374; T.A.R. Lazio - Roma sez. I, 4 marzo 2013, n. 2287) dalla stessa Consulta (sent. n. 1128 del 1998) laddove e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 2, legge 18 marzo 1958, n. 311, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non richiama, ai fini della sua applicazione ai professori universitari di ruolo, l'art. 120, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che stabilisce l'estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto. 4. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale. 4.1. Con il ricorso in epigrafe l'odierno istante lamenta, unitamente ad altre censure, l'eccessiva durata del procedimento disciplinare iniziato con la contestazione dell'addebito il 28 dicembre 2011 e conclusosi con l'applicazione della sanzione il 18 dicembre 2014, in asserita violazione del principio di «ragionevole durata» del procedimento disciplinare desumibile dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretato dalla Cotte di Strasburgo. Il ritardo sicuramente abnorme (tre anni) nella conclusione del procedimento non e' dipeso da inerzia imputabile all'Universita' di Perugia bensi', soprattutto, alla mancata previsione da parte del legislatore statale di una disciplina intertemporale idonea a regolare i procedimenti disciplinari per tutto il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della Riforma «Gelmini» (e connessa soppressione del precedente Collegio di Disciplina presso il CUN) e l'effettiva costituzione e regolamentazione dei nuovi organi disciplinari decentrati. Tale vero e proprio vuoto normativo ha determinato la sospensione sine die dei procedimenti disciplinari sino all'istituzione e regolamentazione dei suddetti nuovi organi disciplinari, non potendo i Rettori delle Universita' ne' esercitare l'azione disciplinare innanzi ai soppressi Collegi presso il CUN ne', tantomeno, procedere con immediatezza all'istituzione dei nuovi Collegi di Disciplina decentrati senza il necessario adeguamento statutario, come inequivocabilmente prevede il comma 1, dell'art. 10 della legge n. 240/2010. Sul punto, a differenza di quanto prevedeva l'abrogato art. 3 della legge 2006, n. 18, la legge n. 240/2010 non reca alcuna previsione in ordine al numero dei componenti del collegio ed alle modalita' di elezione, si da rendere viepiu' indispensabile la disciplina attuativa da parte degli statuti e dei regolamenti degli Atenei. L'Universita' resistente, stante la necessita' di procedere con immediatezza alla contestazione dell'addebito disciplinare, in attuazione alla deliberazione del Senato Accademico n. 5 del 2011 si e' dunque determinata - con disposizione di carattere generale e astratto ed in applicazione analogica del comma quinto del citato art. 10 - a sospendere il procedimento sino alla costituzione ed all'insediamento del nuovo Collegio di Disciplina, avvenuto il 3 luglio 2014 all'esito della riorganizzazione statutaria e regolamentare. 4.2. Va sul punto evidenziato l'iter particolarmente rafforzato e complesso che la legge (art. 6, comma 9, legge 9 maggio 1989, n. 168) contempla per l'approvazione degli statuti e dei regolamenti di Ateneo, i quali dopo essere deliberati dagli organi competenti dell'Universita' a maggioranza assoluta dei componenti, debbono altresi' esser trasmessi al MIUR che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimita' e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. Se non vi sono rilievi vi e' l'emanazione da parte del Rettore e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale altrimenti, come accaduto nella fattispecie, occorre il recepimento con nuova deliberazione da parte del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione. Ragione per cui soltanto il 28 maggio 2012, con D.R. n. 889/2012, e' stato approvato il nuovo Statuto dell'Universita' degli studi di Perugia, i cui artt. 27 e 53 hanno rispettivamente delegato ad apposito Regolamento la disciplina del Collegio di Disciplina e rimesso al Regolamento Generale di Ateneo il compito di disciplinare le modalita' di elezione ed il funzionamento degli organi di ateneo. Solamente a seguito della costituzione del nuovo Senato Accademico, avvenuta il 9 gennaio 2014 a seguito dell'elezione dei relativi componenti, con D.R. n. 470 del 29 marzo 2014 e n. 1190 del 25 giugno 2014 sono stati rispettivamente approvati il Regolamento Generale di Ateneo ed il Regolamento di funzionamento del Collegio di Disciplina. Il 5 febbraio 2014 il Senato Accademico ha dunque designato i membri del suddetto Collegio, insediatosi il 3 luglio 2014. Con deliberazione n. 24 approvata dal Consiglio di Amministrazione dell'Universita' nella seduta del 18 dicembre 2014 e' stata disposta nei confronti dell'odierno ricorrente la sanzione della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per sei mesi, con effetto immediato. 4.3. Ritiene il Collegio che il complesso e farraginoso iter procedimentale seguito dall'Universita' sia di stretta attuazione della riforma del procedimento disciplinare nei confronti dei docenti universitari attuata con la citata legge «Gelmini», la quale ha di fatto procrastinato l'esercizio di ogni azione disciplinare (rectius l'istruttoria sugli addebiti) alla descritta riorganizzazione universitaria, non tenendo minimamente conto del diritto dell'inquisito di ogni procedimento disciplinare di vedere definita la propria posizione in un termine ragionevole ne', invero, dell'esigenza di continuita' dell'azione amministrativa. 4.4. E' pertanto evidente la rilevanza, ai sensi dell'art. 23, legge n. 87/1953, della questione di legittimita' costituzionale, poiche' l'art. 10 della legge n. 240/2010 non ha consentito all'Universita' di definire il procedimento nel termine complessivo di 180 giorni di cui al comma quinto dell'art. 10 legge n. 240/2010 (di natura perentoria vedi T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 13 ottobre 2014, n. 965) o comunque entro un termine «prefissato e ragionevole», in danno del ricorrente. Tale doglianza, oltre che di carattere assorbente, riveste nell'«ordo quaestionum» della presente controversia priorita' logica, poiche' idonea se fondata a comportare la radicale illegittimita' della sanzione disciplinare inflitta per decadenza della potesta' punitiva. 4.5. La rilevanza della questione non e' parimenti esclusa dalla natura cautelare del giudizio nell'ambito del quale la questione di costituzionalita' viene sollevata. La Corte costituzionale, proprio con riferimento a questioni di legittimita' sollevate in sede cautelare, ha, in piu' occasioni, osservato che la potestas iudicandi non puo' ritenersi esaurita quando la concessione della misura cautelare, come nella specie, e' fondata, quanto al «fumus boni iuris», sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dovendosi in tal caso la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di legittimita' costituzionale (ex plurimis: sentenze n. 444 del 1990, n. 367 del 1991; n. 30 e n. 359 del 1995; n. 183 del 1997, n. 4 del 2000 nonche' l'ordinanza n. 24 del 1995 e n. 194 del 2006). 4.6. Ne' puo' il Collegio definire la controversia con una sentenza in rito di inammissibilita', risultando priva di pregio l'eccezione sollevata dalla difesa erariale circa la mancata tempestiva impugnazione della deliberazione n. 3/2011 del Senato Accademico con cui l'Universita' resistente ha stabilito, in termini generali ed astratti, la sospensione con effetto immediato e sino alla nomina e all'effettivo insediamento del Collegio di Disciplina di tutti i procedimenti ricadenti nel predetto vuoto normativo. Basti all'uopo osservare che secondo i comuni principi in tema di interesse a ricorrere valevoli nel processo amministrativo, la concretezza e l'attualita' della lesione della posizione sostanziale azionata dal ricorrente si e' avuta soltanto all'esito negativo del procedimento disciplinare, la cui sanzione inflitta dal Consiglio d'Amministrazione e' stata ritualmente gravata unitamente al presupposto atto deliberativo. Trattasi poi di atto assunto esclusivamente a garanzia dei docenti, che - come il prof. Franceschini - sarebbero potuti essere sottoposti a procedimento disciplinare nel suddetto periodo, non essendo ipotizzabile il rinvio anche della contestazione dell'addebito, stante il pacifico obbligo di immediatezza, la competenza al riguardo del Rettore (comma 2, dell'art. 10 legge n. 240/2010) nonche' il carattere obbligatorio dell'esercizio dell'azione disciplinare (T.A.R. Campania - Napoli, sez. I, 19 maggio 2010, n. 7147; T.A.R. Lazio - Roma, sez. III, 11 luglio 2014, n. 7449). 4.7. Non ignora infine il Collegio la giurisprudenza della Consulta in tema di inammissibilita' di questioni di costituzionalita' aventi ad oggetto la richiesta di una pronuncia additiva «dai contenuti indefiniti e non costituzionalmente obbligati», non spettando alla Corte costituzionale ma al legislatore (atteso il carattere discrezionale delle relative scelte) il compito di stabilire disposizioni normative di carattere transitorio (sentenze 8 luglio 2010, n. 250; 14 novembre 2006, n. 380). Non di meno, ritiene il Collegio che nel caso di specie, possano sussistere i presupposti per un intervento additivo, dal momento che la statuizione richiesta avrebbe contenuto sostanzialmente circoscritto alla mancata previsione da parte della legge statale della ultrattivita' del Collegio di disciplina presso il CUN, al fine di garantire la necessaria continuita' dell'attivita' disciplinare e le indefettibili garanzie difensive dei docenti incolpati, si da elidere sul punto anche la discrezionalita' della scelta da parte del legislatore stante la negativa incidenza - come si vedra' - su diritti fondamentali della persona garantiti a livello sovranazionale (art. 6, par. 1, CEDU e art. 41, comma 1, Carta dei diritti fondamentali di Nizza). 5. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. 5.1. Come detto, l'art. 10 della legge n. 240/2010 nel prevedere l'immediata soppressione del Collegio di Disciplina presso il CUN, non ha previsto alcuna disciplina di diritto transitorio nelle more della costituzione e dell'insediamento dei nuovi organi disciplinari, possibile solo previo necessario adeguamento delle fonti statutarie e regolamentari universitarie. Cio' ha innegabilmente creato, come ben descritto nella stessa deliberazione n. 5/2011 del Senato Accademico, una situazione di grave incertezza in danno sia dell'interesse pubblico dell'Amministrazione alla repressione degli illeciti disciplinari sia del diritto di difesa dei docenti incolpati, essendo principio del tutto consolidato nell'ordinamento statuale e della CEDU la immediatezza della contestazione degli addebiti e l'esercizio del potere punitivo entro termini «prefissati e ragionevoli» (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 8 agosto 2014, n. 4227; T.A.R. Lazio - Roma sez. I, 4 marzo 2013, n. 2287). La pur effettuata applicazione per analogia del comma quinto dell'art. 10 da parte dell'Ateneo perugino alla diversa ipotesi della istituzione del Collegio di Disciplina - da ritenersi del tutto ragionevole in quanto rispettosa del diritto dell'incolpato alla pronta conoscenza dell'addebito - ha comunque dilatato la durata del procedimento in tre anni. La mancata previsione di disposizioni transitorie, agevolmente prevedibili ad es. con l'ultrattivita' del Collegio di Disciplina presso il CUN sino alla costituzione e all'insediamento dei nuovi organi disciplinari, specie ove si consideri il descritto complesso iter previsto dalla legge n. 168/1989 per l'adeguamento degli statuti e dei regolamenti universitari, depone nel senso della non manifesta infondatezza del contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, atteso che un sistema siffatto risulta lesivo di tutti i contrapposti interessi coinvolti e dunque intrinsecamente irragionevole. Non viene infatti in rilievo la necessita' di un bilanciamento di valori contrapposti, tipicamente riservata alla discrezionalita' del legislatore (ex multis sent. 8 luglio 2010, n. 250; id. 16 maggio 2008, n. 148) bensi' una lacuna normativa manifestamente irrazionale, non essendo ovviamente nemeno ipotizzabile l'introduzione di una sorta di generalizzata non punibilita' disciplinare del corpo docente per gli illeciti commessi nell'arco temporale in questione. 5.2. Risulta altresi' non manifestamente infondato il contrasto con l'art. 97 Cost. (buon andamento) e con il relativo corollario di continuita' dell'azione amministrativa (Corte costituzionale 21 giugno 2013, n. 152) dal momento che l'evocato art. 10 della legge n. 240/2010 non consente all'amministrazione universitaria, nel periodo del descritto vuoto normativo, la possibilita' di sanzionare con la necessaria tempestivita' i fatti illeciti disciplinari commessi dal proprio personale docente, se non mediante forzate sospensioni del procedimento sino al lungo percorso di adeguamento normativo necessario alla istituzione dei nuovi organi disciplinari. Tale sospensione se non sine die comunque per un periodo di tempo rilevante del procedimento disciplinare, con conseguente ipotizzabile rischio di annullamento giurisdizionale delle sanzioni inflitte per ragioni di carattere formale-procedimentale, fa dunque dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge «Gelmini» anche per violazione dell'art. 97 Cost., di fatto interrompendo del tutto immotivatamente l'attivita' disciplinare. Va evidenziata l'inesistenza nel nostro ordinamento, tanto in riferimento alla materia disciplinare quanto piu' in generale al procedimento amministrativo, di un principio di ultrattivita' della normativa previgente abrogata, ove il legislatore non abbia dettato una normativa intertemporale (T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna, sez. I, 23 ottobre 2013, n. 645). Del tutto estranea alla fattispecie e' altresi' la normativa (legge 15 luglio 1994, n. 444) in tema di prorogatio degli organi amministrativi dal momento che la Commissione di disciplina presso CUN, come diffusamente illustrato, risulta non gia' cessata dalla carica bensi' espressamente soppressa dall'ultimo comma dell'art. 10 della legge «Gelmini». 5.3. Non manifestamente infondata risulta ancora la violazione dell'art. 27, comma 2, della Costituzione attesa la valenza del principio presuntivo di innocenza ivi scolpito anche nell'ambito del procedimento disciplinare dei dipendenti pubblici (T.A.R. Campobasso 6 novembre 2009, n. 698) in relazione alla finalita' punitiva comune alla sanzione penale. Infatti, l'eccessiva durata del procedimento connessa alla mancata previsione di una disciplina di diritto transitorio comporta anche indubbie difficolta' nell'esercizio del diritto di difesa da parte del docente incolpato, che si trovera' a doversi difendere innanzi ai nuovi organi disciplinari a distanza di molto tempo. 5.4. Non manifestamente infondata, ad avviso del Collegio, e' anche la violazione degli artt. 111 e 117, comma 1, Cost. secondo cui «la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato o dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» in riferimento all'art. 6 della CEDU (diritto ad un processo equo) quale «fonte interposta» (Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e 349; id. 11 marzo 2011, n. 80) nonche' all'art. 41, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali di Nizza (diritto ad una buona amministrazione). La disciplina sovranazionale contenuta nella C.E.D.U., anche a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009), ha assunto forza di «norma costituzionale interposta» ex art. 117, comma 1, Cost. (Corte costituzionale 11 marzo 2011, n. 80, id. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) imponendo al giudice l'interpretazione delle norme interne primarie conformemente, ove possibile, alla C.E.D.U. quale parametro di legittimita' costituzionale interposto (art. 117, comma 1, Cost.) ed in caso di insanabile contrasto, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale. Come piu' volte evidenziato dalla Consulta, al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai testi delle norme, e qualora cio' non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale «interposta», non puo' disapplicare la norma stessa, ma deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimita' rispetto al parametro dell'art. 117, comma 1, Cost. (ancora Corte cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e 349; id. 11 febbraio 2014, n. 21). 5.5. La Corte di Strasburgo ha da tempo esteso il diritto fondamentale della persona ad un processo equo anche ai procedimenti sanzionatori di natura afflittiva (sentenze 4 marzo 2014, ric. n. 18640/10 Grande Stevens e altri c. Italia; 29 ottobre 2013, ric. n. 17475/2009 Varvara c. Italia; 20 gennaio 2009, Sud Fondi e altri c. Italia) con il riconoscimento - tra l'altro - delle garanzie alla definizione del procedimento entro un termine ragionevole, alla ricezione nel piu' breve tempo possibile della natura e dei motivi della contestazione, alla disponibilita' di tutte le opportunita' di difesa. 5.6. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha altresi' riconosciuto l'applicabilita' dell'art. 6, par. 1, della CEDU ai procedimenti amministrativi preordinati all'applicazione di sanzioni con valenza disciplinare, attesane la natura punitiva (sent. 28 giugno 1978, ric. n. 6232/73 Konig c. Repubblica Federale Tedesca; 26 settembre 1995, ric. n. 18160/91 Diennet c. Francia) se lesivi di un diritto «civile» del ricorrente, quale la sospensione o la cessazione dell'attivita' professionale. Va evidenziato che pur non potendosi rinvenire nel procedimento disciplinare riguardante i professori universitari una valenza giurisdizionale, a differenza del procedimento concernente i magistrati (Corte costituzionale 19 maggio 2008, n. 182) e' comunque pacifica la natura amministrativa, diversamente da quanto avviene nel pubblico impiego privatizzato, laddove l'iter punitivo ha natura negoziale (Cassazione 8 febbraio 2003, n. 1922). Ne consegue la tendenziale soggezione anche dei procedimenti disciplinari nei confronti di dipendenti pubblici alle garanzie imposte dall'art. 6, par. 1, della CEDU laddove l'Amministrazione esercita un potere punitivo con applicazione di sanzioni particolarmente afflittive finanche espulsive (revocazione e destituzione). Nel caso di specie, l'Universita' degli studi di Perugia con la deliberazione n. 24/2014 impugnata ha disposto la sospensione del ricorrente dall'ufficio e dallo stipendio per sei mesi per «esercizio del commercio e dell'industria incompatibile con lo status di docente universitario» privandolo seppur temporaneamente della posizione lavorativa e dello stipendio in godimento (se si eccettua il mantenimento di assegno alimentare pari alla meta' del trattamento economico in godimento). L'abnorme ritardo con cui e' stata inflitta la suddetta sanzione pare dunque porsi in aperto contrasto con l'esaminato principio di «delai raisonnaible» di cui all'art. 6, par. 1, della CEDU si da rendere non manifestamente infondato il contrasto dell'art. 10 della legge n. 240/2010 con l'art. 117, comma 1, Cost. in rapporto all'art. 6, par. 1, della CEDU, sempre relativamente alla mancata previsione di una disciplina transitoria. Mette conto inoltre evidenziare come nell'ordinamento italiano anche la garanzia del successivo controllo giurisdizionale sulla legittimita' della sanzione inflitta dall'autorita' amministrativa sia di dubbia conformita' alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo maturata nei confronti del citato art. 6, par. 1 della CEDU, dal momento che il sindacato del giudice amministrativo e' notoriamente di tipo estrinseco ovvero limitato al riscontro della palese irragionevolezza, incongruita' o travisamento dei fatti (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 11 novembre 2014, n. 5543). 5.7. A sua volta, l'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza, che a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati (Corte costituzionale sent. 11 marzo 2011, n. 80; id. 30 a.prile 2015, n. 70) nel riconoscere ad ogni cittadino dell'Unione il «diritto ad una buona amministrazione» vi ricomprende il diritto di ogni individuo a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed «entro un termine ragionevole» dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione. Ritiene il Collegio nonostante l'equiparazione della Carta di Nizza ai Trattati, la quale farebbe propendere per il pregiudiziale rinvio alla Corte di Giustizia U.E. ai sensi dell'art. 267 TFUE (Corte cost. 18 luglio 2014, n. 216) che anche la violazione della suddetta Carta possa fungere da parametro di legittimita' costituzionale interposto ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost. La controversia per cui e' causa, riguardando diritti fondamentali della persona ovvero di un pubblico dipendente nei confronti del potere autoritativo dell'Amministrazione di appartenenza, pare possa annoverarsi tra le materie oggetto di disciplina europea, quale presupposto di applicabilita' della stessa Carta di Nizza (Corte costituzionale sent. 11 marzo 2011, n. 80). 6. Preme sottolineare, in relazione a tutti i profili di contrasto dell'art. 10 della legge n. 240 del 2010 sospetta di incostituzionalita', l'impossibilita' per questo giudice di risolvere in via interpretativa gli ipotizzati dubbi di compatibilita' costituzionale, in relazione all'univoco tenore letterale della legge, che segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (ex multis Corte Cost. sent n. 26/2010). Infatti, l'ipotizzabile ultrattivita' del Collegio di Disciplina presso il CUN, per quanto soluzione pienamente conforme al principio di continuita' dell'azione amministrativa, risulta da escludere sul piano ermeneutico alla luce della chiara ed inequivocabile scelta legislativa di espressa abrogazione dell'art. 3 della legge n. 18/2006, come d'altronde riconosciuto in giurisprudenza, dal momento che la mancanza di norme transitorie non autorizza l'interprete nel senso della ultrattivita' della disciplina abrogata (T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna sez. I, 23 ottobre 2013, n. 645). 7. Conclusivamente il Collegio, per le ragioni sopra esposte, solleva questione di costituzionalita' dell'articolo 10 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, per violazione degli articoli 3, 27, 97, 111, 117 primo comma (in rapporto con l'art. 6, par. 1, CEDU e con l'art. 41, comma 1, Carta dei diritti fondamentali di Nizza) della Costituzione, nella parte in cui non prevede una disciplina transitoria in tema di procedimento disciplinare nei confronti del personale docente nelle more della costituzione e dell'insediamento dei nuovi Collegi di Disciplina da istituirsi e disciplinarsi presso le singole Universita'. Alla luce delle considerazioni che precedono e' sospesa ogni decisione sulla predetta controversia, dovendo la questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.
P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'articolo 10 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, in relazione agli articoli 3, 27, 97, 111, 117, primo comma (in rapporto con l'art. 6, par. 1, della CEDU e con l'art. 41, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali di Nizza) della Costituzione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati Cosi' deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati: Cesare Lamberti, Presidente Stefano Fantini, Consigliere Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore Il Presidente: Lamberti L'estensore: Amovilli