N. 172 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 maggio 2015

Ordinanza del 13 maggio  2015  emessa  dalla  Commissione  tributaria
regionale per il Lazio sul ricorso  proposto  da  Muto  Paola  contro
Agenzia dell'entrate, Direzione provinciale di Roma  2  ed  Equitalia
Sud S.p.a.. 
 
Contenzioso  tributario  -  Appello   alla   commissione   tributaria
  regionale - Notificazione del ricorso effettuata senza  il  tramite
  dell'ufficiale giudiziario - Obbligo, a pena  di  inammissibilita',
  di  depositare  copia  dell'appello  presso  la  segreteria   della
  commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza  impugnata  -
  Residua operativita' nel solo caso  di  notificazione  del  ricorso
  effettuata (a  mezzo  raccomandata)  dalla  parte  che  si  difende
  personalmente - Contrasto con l'esigenza di effettivo esercizio del
  diritto di difesa - Disparita' di trattamento in raffronto ai  casi
  di notificazioni effettuate dal difensore o dal messo  notificatore
  (equiparate   dalla   giurisprudenza    della    Cassazione    alla
  notificazione  effettuata  a   mezzo   ufficiale   giudiziario)   -
  Diversita' di tutela processuale fra contribuente (che  si  difenda
  personalmente)  e  amministrazione  finanziaria  -  Violazione  dei
  principi di eguaglianza e di parita' delle parti. 
- Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,  art.  53,  comma  2,
  seconda parte (aggiunta dall'art. 3-bis, comma 7, del decreto-legge
  30 settembre 2005, n. 203,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 2 dicembre 2005, n. 248). 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, comma secondo. 
(GU n.37 del 16-9-2015 )
 
                      LA COMMISSIONE TRIBUTARIA 
                    REGIONALE DI ROMA - SEZIONE 9 
 
    Riunita  con  l'intervento  dei   signori:   Lo   Surdo   Antonio
Presidente, Mazzi  Giuseppe  relatore,  Lepore  Antonio  Giudice,  ha
emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 4523/14 depositato il 31
luglio  2014,  avverso  la  sentenza  n.   234/51/13   emessa   dalla
Commissione tributaria provinciale  di  Roma,  contro  Agenzia  delle
entrate, Direzione provinciale Roma 2, proposto dal  ricorrente  Muto
Paola, via Dante Alighieri n. 5 - 00040 Pomezia (Roma);  altre  parti
coinvolte: Ag. Riscoss. Roma Equitalia  Sud  S.p.a.,  via  Cristoforo
Colombo n. 269 - 00147 Roma. Atti impugnati: cartella di pagamento n.
097 2009 0083753160 IRPEF-ALTRO 2005, cartella di  pagamento  n.  097
2009 0083753160 IRAP 2005. 
 
                          O r d i n a n z a 
 
    La Commissione, premesso che: 
        la  sig.ra  Paola  Muto  ricorreva  avverso  la  cartella  di
pagamento, per l'importo di euro 399,39  -  relativa  a  interessi  e
sanzioni per omesso o carente versamento IRAP, per l'anno di  imposta
2005 - emessa a seguito di controllo automatizzato  ex  art.  36-bis,
decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973; chiedeva inoltre
di riconoscere un credito IRAP di euro 2.253,00, versato a saldo  con
modello F 24 in data 20 luglio 2006; 
        la CTP di  Roma,  con  sentenza  n.  234/5113,  rigettava  il
ricorso, con compensazione delle spese, rilevando che  la  ricorrente
ha  limitato  le  proprie  difese  a   mere   asserzioni,   omettendo
qualsivoglia produzione documentale a sostegno della tesi  della  non
debenza dell'imposta; 
        propone appello la contribuente che rappresenta  di  svolgere
attivita' di amministratore  di  condominio,  non  assoggettabile  ad
IRAP,  in  quanto  non   sussiste   il   requisito   della   autonoma
organizzazione. Nel caso di specie essa svolgeva la propria attivita'
in  un  modestissimo  locale,  di  pochi  metri  quadrati,   ricavato
nell'abitazione dove la stessa risiedeva e  conviveva  con  i  propri
familiari; inoltre non impiegava beni strumentali eccedenti il minimo
indispensabile (nella specie  le  modestissime  attrezzature  e  beni
indicati nel libro dei beni ammortizzabili) e con l'aiuto occasionale
di una sola persona, il cui incarico consisteva nella  pulizia  della
stanza e nella spedizione dei plichi postali; 
        la contribuente chiede, quindi, l'annullamento della cartella
di pagamento impugnata ed il riconoscimento del credito IRAP di  euro
2.253,00, con condanna della Agenzia delle entrate alla  restituzione
di tale somma erroneamente versata per il periodo di imposta 2005; 
        si e' costituita in  giudizio  l'Agenzia  delle  entrate,  la
quale, nelle proprie controdeduzioni chiede di verificare  l'avvenuto
deposito di copia dell'appello presso la segreteria della Commissione
tributaria provinciale (in relazione al disposto dell'art. 53,  comma
2, decreto legislativo n. 546/1992) e rappresenta che: la  parte  non
puo' stare in giudizio  personalmente,  in  quanto  il  valore  della
controversia supera euro 2.582,28;  e'  pertanto  necessario  che  la
parte sia invitata a nominare un difensore  ai  sensi  dell'art.  12,
decreto legislativo n. 546/1992; e'  inammissibile  la  richiesta  di
riconoscimento  del  credito  IRAP  di  euro  2.253,00,  non   avendo
presentato la parte una specifica istanza di rimborso; nel merito, la
contribuente si e' avvalsa per l'anno  di  imposta  in  questione  di
prestazioni di lavoro altrui  per  l'importo  di  euro  3.290,00;  ne
consegue la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione e
la legittimita' dell'assoggettamento ad IRAP. 
    All'udienza del 16 aprile 2015, assente l'Ufficio, la parte si e'
riportata al proprio atto di appello ed ha ribadito  la  volonta'  di
stare in giudizio senza assistenza tecnica. 
 
                            O s s e r v a 
 
    1. Ritiene la Commissione di sollevare, d'ufficio,  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, seconda  parte,
decreto  legislativo  n.  546/1992,  che  prevede  l'inammissibilita'
dell'appello nel caso  di  omesso  deposito  di  copia  dell'atto  di
impugnazione  presso  la  segreteria  della  Commissione   tributaria
provinciale,  per  contrasto  con  gli  articoli   3   e   24   della
Costituzione. 
    2. Va premesso che l'oggetto della controversia e' relativo  alla
legittimita' della cartella impugnata, per un importo di euro 399,39,
essendo  manifestamente  improponibile  ed  irrilevante   l'ulteriore
richiesta, di riconoscimento di un credito IRAP e di  condanna  della
Agenzia delle entrate al rimborso  di  quanto  erroneamente  versato,
contenuta nel ricorso introduttivo e nell'appello: infatti, ai  sensi
dell'art. 19, comma 1, lettera g), decreto legislativo  n.  546/1992,
puo' essere impugnato dinanzi alle Commissioni tributarie il «rifiuto
espresso o tacito della  restituzione  di  tributi»  non  dovuti,  e,
secondo quanto prevede l'art. 21, comma 2, dello stesso decreto,  «il
ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui  all'art.
19, comma 1, lettera g), puo' essere  proposto  dopo  il  novantesimo
giorno dalla domanda  di  restituzione  presentata  entro  i  termini
previsti da ciascuna legge di imposta e fino a quando il diritto alla
restituzione non e' prescritto». 
    Occorre pertanto, per poter impugnare il diniego di rimborso,  la
presentazione di una domanda di restituzione, che nel caso di  specie
non risulta proposta dalla parte. 
    D'altro   canto   nelle   stesse    controdeduzioni    presentate
dall'Ufficio in  primo  grado  il  «Valore  della  controversia»  era
indicato in euro 399 e la Commissione tributaria provinciale  non  ha
invitato  la  parte  di  munirsi  di   assistenza   tecnica,   avendo
evidentemente ritenuto che quello sopra indicato era il valore  della
controversia. 
    Comunque, che il valore della controversia non superi  il  limite
di euro 2.582,28 e' dimostrato con certezza dalla circostanza che,  a
voler  considerare  rilevante  la  richiesta  di  riconoscimento  del
credito di imposta  IRAP  per  euro  2.253,00,  in  questo  caso  non
dovrebbe essere computato l'importo degli interessi  e  sanzioni,  ai
sensi dell'art. 12, comma 5; secondo periodo («per valore della  lite
si intende l'importo del tributo al netto  degli  interessi  e  delle
eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato»). 
    Non puo' quindi  essere  accolta  la  richiesta  dell'Ufficio  di
invitare la parte alla nomina di un difensore, potendo essa, per  una
causa dell'importo cosi' definito, stare in giudizio personalmente. 
    3. Cio' posto, dovrebbe essere dichiarata,  in  conformita'  alla
richiesta   della   Agenzia   delle    entrate,    l'inammissibilita'
dell'appello, dal momento che la contribuente  non  ha  provveduto  a
depositare,  presso  la  segreteria  della   Commissione   tributaria
provinciale di Roma, la copia dell'appello stesso. L'art.  53,  comma
2,  seconda  parte,  del  decreto  legislativo  n.  546/1992,   (come
modificato dalla legge 2 dicembre 2005, n.  248)  infatti  stabilisce
che  «ove  il  ricorso  non  sia  notificato  a  mezzo  di  ufficiale
giudiziario, l'appellante deve, a pena d'inammissibilita', depositare
copia dell'appello presso l'ufficio di segreteria  della  Commissione
tributaria che ha pronunciato la sentenza  impugnata».  Poiche'  tale
adempimento e' stato  omesso,  l'appello  e',  secondo  la  normativa
vigente al momento della sua proposizione, inammissibile. 
    E' vero che l'art. 36 del decreto legislativo 21  novembre  2014,
n.  175,  in  materia  di  semplificazioni   fiscali,   ha   disposto
l'eliminazione del secondo periodo  del  comma  2  dell'art.  53  del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, per cui, dalla data  di
entrata in vigore di tale decreto (13 dicembre  2014),  non  e'  piu'
necessario, ai fini della ritualita' della proposizione  dell'appello
dinanzi alla Commissione tributaria regionale, procedere al  deposito
di  copia  dell'atto  di  impugnazione  presso  la  segreteria  della
Commissione tributaria provinciale. 
    Tuttavia,  come  precisato  dalla  Agenzia  delle   entrate   con
circolare n. 31/E/14 del 30 dicembre 2014, in mancanza  di  specifica
disposizione transitoria, opera il principio generale secondo cui  la
norma processuale sopravvenuta trova  applicazione  con  riguardo  ai
singoli atti di processi gia' in corso.  Conseguentemente,  la  nuova
disposizione si applica agli appelli notificati dopo il  13  dicembre
2014, data di entrata in vigore del decreto. 
    Cio' in applicazione  del  principio  affermato  dalla  Corte  di
cassazione (vedi sentenza  n.  18261/14,  che  richiama  anche  altre
precedenti pronunce, in part. n. 3688 del  2011),  secondo  cui  «nel
caso  di  successione  di  leggi  processuali  nel  tempo,   ove   il
legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla  regola
generale di cui all'art. 11 preleggi, la nuova norma  disciplina  non
solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata  in  vigore
ma anche  i  singoli  atti,  ad  essa  successivamente  compiuti,  di
processi iniziati prima della sua entrata in vigore,  quand'anche  la
nuova disciplina sia piu' rigorosa per le  parti  rispetto  a  quella
vigente  all'epoca   di'   introduzione   del   giudizio».   Pertanto
«l'efficacia  della  norma  nuova,  salvo  diversa  disposizione  del
legislatore, regola anche gli atti di processi gia' in corso se  tali
atti siano compiuti successivamente all'entrata in vigore della norma
e cio' sia nel senso che se  si  tratta  di  atti  di  parte  debbono
compiersi secondo quanto da essa preveduto, sia nel senso - meramente
consequenziale - che gli atti compiuti successivamente all'entrata in
vigore debbono essere valutati nella loro  ritualita'  applicando  la
nuova  norma.   Ne   deriva   la   conseguenza   che   al   contrario
l'apprezzamento da parte del giudice della  ritualita'  di  atti  del
processo  compiuti  anteriormente  all'efficacia  della  nuova  norma
dev'essere valutata in base alla norma previgente». 
    Per gli appelli proposti, come  quello  di  specie,  prima  della
entrata in vigore della nuova normativa (l'appello della sig.ra  Muto
e'  stato  notificato  il  3  luglio  2014  e  depositato  presso  la
Commissione tributaria regionale il  31  luglio  2014),  deve  quindi
continuare   ad    applicarsi    la    disposizione    che    prevede
l'inammissibilita' nel caso di omesso deposito di copia  dell'appello
presso la Commissione tributaria provinciale. 
    Va evidenziato, al riguardo, che, secondo la Corte di cassazione,
sez. 5, ordinanza 24 marzo 2011, n.  6811  «in  tema  di  contenzioso
tributario, ai fini della regolare proposizione dell'appello  dinanzi
alle commissioni tributarie regionali, la  notifica  a  mezzo  posta,
eseguita ai sensi della legge 21 gennaio 1994,  n.  53,  equivale  in
tutto e per tutto a quella effettuata a mezzo ufficiale  giudiziario,
con la conseguenza che  l'inammissibilita',  prevista  dalla  seconda
parte del comma 2 dell'art. 53, del decreto legislativo  31  dicembre
1992, n. 546 (nel testo modificato dall'art. 3-bis del  decreto-legge
30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge 2  dicembre  2005,  n.
248), nel caso di omesso deposito della copia dell'appello presso  la
segreteria  della  Commissione   tributaria   provinciale,   che   ha
pronunciato la sentenza impugnata, deve ritenersi riferita  non  agli
atti di appello notificati per posta ai sensi della menzionata  legge
n. 53 del 1994, ma solo al caso in cui la notifica sia stata eseguita
a mezzo raccomandata, cosi' come consentito dall'art. 16, comma 3 del
decreto legislativo n. 546 del 1992». 
    Nel caso di specie la notifica e' stata  effettuata  direttamente
dalla parte mediante raccomandata (come  risulta  dalla  ricevuta  di
spedizione e  dall'avviso  di  ricevimento  allegati  all'appello)  e
pertanto non sussistono dubbi sulla applicabilita' della norma, sopra
citata, che stabiliva l'inammissibilita' dell'appello. 
    4. Secondo questa Commissione la norma (art. 53, comma 2, seconda
parte, decreto legislativo  n.  546/1992),  sulla  base  della  quale
dovrebbe essere dichiarata l'inammissibilita' dell'appello,  si  pone
in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111, comma 2, Cost. 
        4.1. Sulla rilevanza della questione non sussistono dubbi, in
quanto l'appello e'  tempestivo  (essendo  relativo  ad  un  giudizio
instaurato prima del 4 luglio 2009, data di entrata in  vigore  della
legge n. 69/2009); inoltre, la contribuente ha prodotto, in  allegato
all'appello,  documenti  relativi  alla  ritenuta  insussistenza  del
requisito  della   autonoma   organizzazione,   necessario   per   la
assoggettabilita' ad IRAP, ma  l'esame  del  merito  dell'appello  e'
precluso dalla causa di inammissibilita' dedotta dall'Ufficio. 
        4.2. Quanto alla non manifesta infondatezza della  questione,
va rilevato quanto segue. 
    La Corte costituzionale, con la sentenza 4 dicembre 2009, n. 321,
ha gia' preso in esame la questione  di  costituzionalita'  dell'art.
53, comma 2, decreto legislativo n. 546/1992  ed  ha  affermato  che,
secondo il rimettente, la norma denunciata ha lo scopo  di  informare
la segreteria del giudice di primo grado dell'intervenuto appello  e,
quindi, di impedire l'erronea attestazione del passaggio in giudicato
di detta sentenza (tale ratio e' pertanto identica a  quella  sottesa
all'art. 123 disp. att. codice di procedura civile). Ebbene,  secondo
la Corte costituzionale, «il rimettente  individua  correttamente  la
ratio della disposizione censurata, ma erra  nel  ritenere  che  tale
ratio possa essere soddisfatta dall'evocato comma 3 dell'art. 53  del
decreto legislativo n. 546 del 1992. La richiesta di trasmissione del
fascicolo prevista da quest'ultimo  comma,  infatti,  viene  avanzata
dalla segreteria del giudice di appello solo "dopo"  la  costituzione
in giudizio dell'appellante  e,  pertanto  (contrariamente  a  quanto
dedotto dal rimettente) non consente alla segreteria del  giudice  di
primo  grado  di  avere   tempestiva   notizia   della   proposizione
dell'appello. E cio' risulta ancora piu' evidente se si  tiene  conto
anche  del  tempo  necessario  a  che  la  richiesta  pervenga   alla
segreteria della Commissione tributaria provinciale. Detta  richiesta
non e',  percio',  idonea  ad  evitare  il  rischio  di  una  erronea
attestazione del passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di  primo
grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo  grado  di
ottenere la disponibilita'  del  fascicolo  in  tempo  utile  per  la
trattazione della causa in appello. ... E', dunque, erroneo sostenere
che la  suddetta  ratio  sia  soddisfatta  dalla  sola  richiesta  di
trasmissione del fascicolo di primo grado, perche'  questa  non  puo'
sostituire ne' l'avviso scritto  inviato  dall'ufficiale  giudiziario
ne' il deposito previsto dalla disposizione censurata». 
    La questione e' poi stata dichiarata manifestamente infondata con
ordinanza n. 43 del 2010 (con cui la Corte rileva  «l'erroneita'  del
presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, secondo cui la
disposizione censurata sarebbe priva di ratio.  ...  l'applicabilita'
della disposizione censurata ai soli casi  in  cui  la  notificazione
dell'appello non avvenga per il  tramite  dell'ufficiale  giudiziario
trova, poi, adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi  in  cui
la   notificazione   sia   invece   effettuata   mediante   ufficiale
giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell'appello e'
fornita alla segreteria del  giudice  di  primo  grado  dallo  stesso
ufficiale giudiziario, ... una  diversa  disciplina  legislativa  sul
punto,   pur   essendo   astrattamente   possibile,    non    sarebbe
necessariamente piu' razionale di  quella  censurata  ne',  comunque,
sarebbe costituzionalmente obbligata.  ...  In  ordine  alla  dedotta
violazione dell'art. 24 Cost. sotto il  profilo  del  pregiudizio  al
diritto di  azione,  l'accertata  ragionevole  funzione  della  norma
censurata esclude che la sua applicazione  ponga  oneri  o  modalita'
tali da rendere estremamente difficile  l'esercizio  del  diritto  di
difesa o lo svolgimento di attivita' processuale». 
    La Corte costituzionale ha preso in esame la questione ancora con
la sentenza n. 17 del 2011 (con cui si e'  specificato  che  «non  e'
ravvisabile  la  disparita'  di  trattamento   che   l'ordinanza   di
rimessione ritiene sussistente tra chi utilizza  lo  strumento  della
notifica dell'appello per mezzo  dell'ufficiale  giudiziario  e  chi,
anche per ragioni di  convenienza  (celerita'  della  procedura),  si
avvale della spedizione dell'atto a mezzo posta con raccomandata a.r.
Invero, la rimettente omette di considerare che il  legislatore,  nel
ragionevole esercizio della discrezionalita' che gli  appartiene,  ha
conformato in modo diverso le due forme di notificazione. La prima e'
eseguita con il  tramite  dell'ufficiale  giudiziario,  cioe'  di  un
soggetto  pubblico  obbligato  a  dare   immediato   avviso   scritto
dell'avvenuta notifica al cancelliere del giudice che ha  pronunciato
la sentenza impugnata: cio' ai sensi dell'art. 123 disp. att.  codice
di procedura civile, applicabile al processo tributario in virtu' del
generale  richiamo  alle  norme  del  codice  di  procedura   civile,
effettuato dal comma 2 dell'art. 1 del decreto legislativo n. 546 del
1992. La natura pubblica  dell'ufficio,  e'  affidato  il  compimento
dell'atto e lo specifico  dovere  che  gli  e'  imposto  dalla  legge
giustificano  la  mancata  previsione  di  un  effetto  di  decadenza
(inammissibilita') correlato  all'inosservanza  del  detto  dovere»),
nonche' con l'ordinanza n. 141/2011. 
        4.3. Pur  non  potendosi  riproporre  quindi  argomenti  gia'
ritenuti infondati dalla Corte costituzionale,  va  rilevato  che  la
Corte di cassazione ha emesso  recentemente  decisioni  che  sembrano
poter giustificare la valutazione di non manifesta infondatezza della
questione  di  costituzionalita'  in  esame,  sotto  profili  diversi
rispetto a quelli gia' esaminati dalla Corte costituzionale. 
    La  Corte  di  cassazione  ha  infatti   interpretato   in   modo
restrittivo l'art. 53, comma 2, secondo periodo,  escludendo  che  la
causa di inammissibilita' in esso prevista possa operare sia nei casi
in cui la notifica sia effettuata dal difensore a mezzo del  servizio
postale, sia nei casi di notifica da  parte  del  messo  notificatore
(cfr. Cass., sez. 5, ordinanza 4 ottobre 2014, n. 22639, secondo  cui
«in  tema  di  contenzioso  tributario,  ai   fini   della   regolare
proposizione  dell'appello  dinanzi   alle   commissioni   tributarie
regionali, la notifica tramite il messo di cui al decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 4,  ovvero  il  difensore  a
mente della legge n. 53 del 1994,  equivale  integralmente  a  quella
effettuata a mezzo ufficiale giudiziario, sicche', nel caso di omesso
deposito  della  copia  dell'appello  presso  la   segreteria   della
Commissione tributaria provinciale che  ha  pronunciato  la  sentenza
impugnata, il gravame non  e'  inammissibile  ai  sensi  del  decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, seconda parte
(nel testo modificato dal decreto-legge 30 settembre  2005,  n.  203,
art. 1-bis, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  2  dicembre
2005, n. 248), trovando piuttosto applicazione anche in tale  ipotesi
la regola di cui all'art. 123 disp. codice di procedura  civile,  che
onera l'ufficiale giudiziario (e, quindi, anche il messo notificatore
e il  difensore)  di  dare  immediato  avviso  scritto  dell'avvenuta
notificazione dell'appello alla segreteria del giudice che ha reso la
sentenza impugnata»). 
    Dalla giurisprudenza sopra citata si deduce quindi che  la  causa
di inammissibilita' prevista dall'art. 53, comma 2, secondo  periodo,
operi nel caso di ricorso  proposto  personalmente  dal  contribuente
(che non si avvale di assistenza tecnica ai sensi dell'art. 12, comma
5, decreto legislativo n. 546/1992), cioe' dal soggetto per il  quale
puo'  ritenersi   meno   agevole,   per   carenza   di   preparazione
professionale, la conoscenza della normativa specifica applicabile ed
il  rispetto  delle  formalita'   prescritte   per   l'ammissibilita'
dell'impugnazione,  e  non  invece  nel  caso  di  ricorso   proposto
dall'Ufficio, che  si  avvalga,  per  la  notifica  dell'appello,  di
proprio personale, autorizzato allo  svolgimento  delle  funzioni  di
messo notificatore. 
    La ratio dell'art. 53, comma 2, secondo periodo, non e' quindi in
discussione. 
    La questione che questa Commissione ritiene significativa non  e'
se la previsione dell'obbligo di depositare copia dell'appello presso
la Commissione tributaria provinciale abbia o meno una  significativa
ratio (che il legislatore  non  ha  ritenuto  peraltro  di  rilevanza
primaria, dal momento che ha disposto l'abrogazione della norma);  ma
se la previsione di inammissibilita' dell'appello nel caso di  omesso
deposito,  solo  peraltro  quando  la  notifica  non  sia  effettuata
dall'ufficiale giudiziario, dal messo notificatore o  dal  difensore,
possa ritenersi compatibile con gli articoli 3, 24 e  111,  comma  2,
della Costituzione. 
        4.4. Nella situazione presa in esame, in  cui  l'esigenza  di
evitare l'erronea  attestazione  del  passaggio  in  giudicato  della
sentenza di primo grado puo' porsi in  contrasto  con  l'esigenza  di
consentire un effettivo esercizio del diritto di difesa, va  ritenuto
che la norma menzionata realizza una violazione degli articoli 3,  24
e 111, comma 2, Cost., in quanto  rende  eccessivamente  difficoltoso
l'esercizio del diritto di difesa del contribuente (cfr. Corte cost.,
sentenza 6 dicembre 2002, n. 520), mediante l'attribuzione alla  sola
parte privata dell'onere, per l'ammissibilita'  dell'appello,  di  un
effettivo deposito del ricorso sia presso la  Commissione  tributaria
regionale che presso la Commissione tributaria  provinciale  (d'altro
canto  ad  una  eventuale  erronea  attestazione  del  passaggio   in
giudicato di una sentenza si puo' pervenire anche nel caso in cui  il
messo notificatore  abbia  omesso  di  inviare  alla  segreteria  del
giudice a quo l'immediato avviso scritto della avvenuta notificazione
dell'appello e, in ogni caso, e' possibile facilmente  porvi  rimedio
mediante la cancellazione della medesima attestazione, non appena  la
segreteria della Commissione tributaria regionale invia la  richiesta
di trasmissione del  fascicolo,  ai  sensi  dell'art.  53,  comma  3,
decreto legislativo n. 546/1992). 
        4.5. La questione di costituzionalita' in oggetto  appare  in
conclusione non manifestamente infondata in quanto il parametro della
inviolabilita' del diritto di difesa non puo' essere preso in  esame,
a seguito del sopravvenuto orientamento del giudice di  legittimita',
sopra  richiamato,  distintamente  dai  principi  costituzionali   di
uguaglianza e di parita' delle parti (contribuente e  amministrazione
finanziaria).  In  particolare  va  rilevato   che,   se   il   messo
notificatore (cfr. art. 16, comma 4, decreto legislativo n. 546/1992,
secondo cui «l'ufficio del Ministero delle finanze  e  l'ente  locale
provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale  o  di
messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria, con  l'osservanza
delle disposizioni di cui al comma 2»)  ometta,  per  negligenza,  di
dare avviso scritto dell'appello  proposto  dall'Ufficio,  presso  la
segreteria della Commissione  tributaria  provinciale,  si  viene  in
questo modo a frustrare la  ratio  dell'art.  53,  comma  2,  seconda
parte, senza che ne consegua alcuna sanzione di inammissibilita'. 
    Come sopra  rilevato,  la  Corte  costituzionale  ha  considerato
congrua la previsione secondo  cui  non  e'  inammissibile  l'appello
quando l'omissione sia  addebitabile  all'ufficiale  giudiziario,  in
quanto «la natura pubblica dell'ufficio cui e' affidato il compimento
dell'atto e lo specifico  dovere  che  gli  e'  imposto  dalla  legge
giustificano  la  mancata  previsione  di  un  effetto  di  decadenza
(inammissibilita') correlato all'inosservanza del detto dovere». 
    La  Corte  di  cassazione  ha  pero'  affermato   che   i   messi
notificatori speciali che dipendono dall'amministrazione  finanziaria
debbono essere assimilati  ai  messi  comunali  e  non  ai  messi  di
conciliazione o a quelli  del  giudice  di  pace,  categorie,  queste
ultime, che dipendono dall'amministrazione giudiziaria  (Cass.,  sez.
5, sentenza n. 2249/2005). 
    E'  stato  inoltre  ritenuto  inammissibile,   per   difetto   di
notificazione, il ricorso per cassazione che «non e' stato notificato
per mezzo di un ufficiale giudiziario, o di un aiutante ufficiale,  e
neppure di un messo di conciliazione, ma a mezzo di un messo speciale
dell'ufficio IVA (vale a dire del medesimo ufficio che ha  emesso  il
provvedimento impugnato, e che  compare  nell'intestazione  dell'atto
con la formula "per quanto occorre possa",  come  ricorrente  insieme
all'Amministrazione finanziaria). Questi messi speciali degli  uffici
finanziari hanno potere di effettuare  validamente  notifiche  -  ove
debitamente autorizzati ai sensi  dell'art.  16,  quarto  comma,  del
decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546,  sul  contenziosi
tributario -  nell'ambito  del  procedimento  speciale  dinanzi  alle
commissioni  tributarie,  ma   sono   privi   di   qualsiasi   potere
notificatorio nell'ambito del procedimento per cassazione,  anche  se
in materia tributaria, che e' regolato esclusivamente dalle norme  di
carattere generale, ed in particolare dal codice di procedura civile»
(cfr. Cass., sez. 5, 7 novembre 2005, n. 21516). 
    Nel  momento  in  cui  la  Corte  di  cassazione  (ordinanza   n.
22639/2014) ha equiparato (ai fini  dell'applicazione  dell'art.  53,
comma 2, seconda parte decreto legislativo n. 546/1992)  la  notifica
del messo notificatore, che,  pur  essendo  inserito  in  un  ufficio
pubblico, e' tuttavia organo di  una  delle  parti  del  processo,  a
quella  dell'ufficiale  giudiziario,   la   residua   previsione   di
inammissibilita' dell'appello solo quando la omissione sia imputabile
alla parte privata comporta la violazione del complesso  delle  norme
costituzionali sopra menzionate (articoli  3,  24  e  111,  comma  2,
Cost.),  non  essendo  conforme   a   Costituzione   una   disciplina
processuale che tuteli il diritto di agire in giudizio ed il  diritto
di difesa in modo difforme con riferimento  alle  diverse  parti  del
processo. 
    Ne' si puo' dire che la  disparita'  di  trattamento  derivi  non
dalla norma, ma dalla interpretazione che ne  ha  dato  la  Corte  di
cassazione, quando ha escluso che la sanzione di inammissibilita' sia
applicabile nel caso di inadempienza imputabile al messo  autorizzato
dall'amministrazione  finanziaria.  Questa  Commissione  infatti,  al
riguardo, non puo' che prendere atto dell'orientamento del giudice di
legittimita',  anche  perche'  un  mutamento  di   indirizzo   appare
difficilmente  realizzabile,  stante   la   intervenuta   abrogazione
integrale  dell'art.  53,  comma  2,  seconda  parte:  la  Corte   di
cassazione ha adottato l'interpretazione piu' restrittiva della norma
in esame, equiparando  all'ufficiale  giudiziario  altre  figure  che
intervengono in sede di notificazione, ma ha con cio' determinato  un
trattamento di favore per la parte pubblica (non  essendo  sanzionate
da inammissibilita' le inadempienze riferibili ad un proprio  organo,
il messo notificatore ex art. 16, comma  4,  decreto  legislativo  n.
546/1992), rispetto alla parte privata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Commissione: 
    visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    ritenuta la rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  53,  comma  2,
seconda parte, decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546,  per
violazione degli articoli 3, 24 e 111, comma 2,  della  Costituzione,
dispone la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale. 
    Ordina che a cura della  Segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia
comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e  della  Camera
dei deputati. 
      Roma, 7 maggio 2015 
 
                     Il Giudice relatore: Mazzi 
 
 
                       Il Presidente: Lo Surdo