N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2015
Ordinanza del 24 marzo 2015 della Corte d'appello di Firenze nel procedimento civile promosso da Serpi Paola contro CONSOB. Sanzioni amministrative - Sanzioni amministrative emesse dalla CONSOB nei confronti del Direttore Generale e di altri esponenti del Monte dei Paschi di Siena - Prevista opposizione alla Corte d'appello in camera di consiglio - Violazione di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 7. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.38 del 23-9-2015 )
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE Prima Sezione Civile La Corte, riunita in camera di consiglio, in persona dei magistrati: dr. Pietro Mascagni, Presidente; dr. Nicola Antonio Dinisi, consigliere rel.; dr. Adone Orsucci, consigliere; Nella causa iscritta al n. 104/14 R.V.G. promossa da Serpi Paola (avv. G. Cassi, R. Maviglia, G. Sanzarello, M. Cimino); Contro Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (avv. S. Providenti, M.L. Ermetes, R. Vampa, E. Garzia); Con l'intervento del P.G. Avente ad oggetto: Opposizione ai sensi dell'art. 195 d.lgs. 28 febbraio 1998, n. 58; trattenuta in decisione all'udienza del 28 novembre 2014, ha emesso la seguente ordinanza. La Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (Consob) con delibera 18856 del 9 aprile 2014 ha applicato a Paola Serpi, quale componente del Collegio Sindacale della Banca Monte dei Paschi di Siena nel periodo dal 1° settembre 2010 al 30 ottobre 2012, la sanzione amministrativa di € 150.000,00, di cui: 1) € 50.000,00 per violazione, con riferimento alle riscontrate irregolarita' relative alla disciplina dei conflitti di interesse, dell'art. 21, comma 1-bis lett. a) del TUF e degli artt. 23 e 25 del Regolamento Congiunto Banca d'Italia/Consob del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di adottare ogni misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse e di gestirli in modo da evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti; 2) € 50.000,00 per violazione, con riferimento alle riscontrate irregolarita' relative alla valutazione di adeguatezza delle operazioni, del combinato disposto dell'art. 21, comma 1, lett. d) del d.lgs. del TUF e dell'art. 15 del Regolamento Congiunto Banca d'Italia/Consob del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento, nonche' dell'art. 21, comma l, lett. a) del TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l'interesse dei clienti, e degli artt. 39 e 40 del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, che disciplinano la profilatura del cliente e la valutazione di adeguatezza; 3) € 50.000,00 per violazione, con riferimento alle irregolarita' relative alle modalita' del pricing del prodotti di propria emissione, del combinato disposto dell'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l'interesse dei clienti, nonche' l'art. 21, comma 1, lett. d) del TUF e dell'art. 15, comma 1, del Regolamento Congiunto Banca d'Italia/Consob del 29 ottobre 2007, che impongono agli intermediari di dotarsi di procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attivita'. Avverso tale delibera Paola Serpi ha proposto opposizione davanti a questa Corte ex art. 195, comma 4 del d.lgs. n. 58/1998, deducendo, oltre a motivi di merito, motivi attinenti ai connotati del procedimento sanzionatorio dinnanzi alla Consob e alla disciplina dell'opposizione. Al riguardo ha sostenuto l'illegittimita' della delibera 18856 e di tutti gli atti connessi e conseguenti per violazione delle garanzie del «giusto processo». Ha contestato la violazione dei principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonche' della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Ha rilevato, in particolare, che la Consob, nell'adottare le norme di disciplina del procedimento sanzionatorio (in attuazione delle previsioni di cui all'art. 24, commi 1 e 3, della legge n. 282/2005) ha demandato la fase istruttoria dei procedimenti sanzionatori alle strutture operative della Consob (articolandola in due segmenti, affidati a due diverse strutture organizzative) e ha riservato la fase decisoria alla Commissione. Il procedimento, per come strutturato, ad avviso dell'opponente, contrasta con il principio del contraddittorio, in quanto nella fase filiale della fase istruttoria ed immediatamente precedente la decisione della Commissione l'interessato non e' posto in grado di svolgere le sue difese, non essendo prevista la comunicazione della relazione dell'Ufficio Sanzioni Amministrative che conclude la fase istruttoria e non potendo la parte chiedere di essere ascoltato dalla Commissione prima della decisione. Tale assetto, secondo l'opponente, si traduce anche in una violazione del principio della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie (sancito dalla legge n. 282/05) in quanto la Commissione quale organo decidente «perde la sua autonomia di giudizio» perche' riceve la proposta sanzionatoria dell'Ufficio Sanzioni Amministrative in assenza di una attivita' difensiva da parte dell'interessato e di ulteriori poteri di indagine e di acquisizione di ulteriori fatti. Al riguardo si segnala da parte dell'opponente come elementi a conforto della tesi della illegittimita' dello specifico procedimento sanzionatorio possono trarsi dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso n. 18640/10) con la quale si e' affermato che: a) in conformita' ad un orientamento da tempo affermatosi nella giurisprudenza della Corte anche le sanzioni amministrative irrogate dalla Consob si configurano come sanzioni di' natura sostanzialmente criminale, con conseguente applicabilita' delle garanzia del giusto processo enunciate dall'art. 6 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo ed, in particolare, del principio di parita' di trattamento fra accusa e difesa, imparzialita' dell'organo giudicante, presunzione di innocenza, diritto di informazione sulla natura e i motivi dell'accusa, ecc.; b) in riferimento al difetto di contraddittorio sulle conclusioni che l'organo istruttorio trasmette alla Commissione, le procedure previste dalla Consob non soddisfano appieno le previsioni dell'art. 6 della Convenzione per cio' che concerne la parita' tra accusa e difesa e la tenuta di un'udienza pubblica che permetta un confronto orale; c) gli uffici della Consob deputati allo svolgimento delle attivita' istruttorie e la Commissione non sono che articolazioni di un medesimo rogano amministrativo che agiscono sotto l'autorita' del medesimo presidente, con la conseguenza di un esercizio consecutivo delle funzioni di inchiesta e di giudizio in seno ad una medesima istituzione, in materia penale, non compatibile con le esigenze di imparzialita' previste dall'art. 6 comma 1 della Convenzione. Sostiene l'opponente che i principi enucleati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in base all'art. 6 della Convenzione impongono un'interpretazione conforme al diritto convenzionale dell'art. 195 TUF che regola i procedimenti sanzionatori davanti alla Consob e definisce la struttura del giudizio di opposizione alle sanzioni inflitte all'esito di tali procedimenti e che, in alternativa, qualora l'adattamento dell'ordinamento interno non possa essere compiuto in via ermeneutica, la conformazione ai dicta della Corte Europea richiede l'apertura di un giudizio incidentale di costituzionalita', con rimessione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 117 Cost. e 6 CEDU, della declaratoria di illegittimita' della fonte legislativa nazionale incompatibile con il diritto convenzionale. Si e' costituita la Consob che ha confutato le argomentazioni difensive della opponente in relazione a tutti i profili dedotti e ha chiesto il rigetto del ricorso. La Corte rileva quanto segue. Il procedimento di opposizione dinanzi alla Corte d'appello (art. 195 comma 4 del d.lgs. n. 58/98) e' camerale, come reso evidente dall'art. 195 comma 7 del d.lgs. cit. («La Corte d'appello decide sull'opposizione in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, con decreto motivato»). L'opponente nella sostanza deduce illegittimita' della delibera sanzionatoria per carenze di contraddittorio che si collocano all'interno del procedimento Consob, ma non pare corretto valutare le garanzie di difesa per segmenti del procedimento, prescindendo dalla considerazione della fase eventuale, a cognizione piena, dinanzi all'autorita' giudiziaria. Al riguardo occorre richiamare i principi espressi dalla Corte EDU nella detta sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014 resa in un caso in cui si discuteva di sanzioni per illeciti ex art. 187-ter TUF dalla Corte stessa qualificate come sostanzialmente di natura penale. Giova al riguardo ricordare che giusta tale sentenza (cfr. paragrafo 94) "... al fine di stabilire la sussistenza di una «accusa in materia penale», occorre tener presente tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il grado di severita' della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22). Questi criteri sotto peraltro alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare di «accusa in materia penale» ai sensi dell'articolo 6 § 1, e' sufficiente che il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravita', rientri in linea generale nell'ambito della «materia penale». Cio' non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l'analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una «accusa in materia penale» (Jussila c. Finlandia [GC] n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti))". Parimenti occorre richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare sentenza n. 104 del 2014) per la quale tutte le misure di carattere punitivo afflittivo (ivi comprese evidentemente quelle che ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative) devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto (principio espresso agli effetti della irretroattivita' delle disposizioni che introducono sanzioni amministrative). Premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e' la Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU cit.), il rispetto della Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che possano essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene assicurato dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione piena quale e' la Corte d'appello. La conclusione cui e' giunta la Corte EDU e' stata, quindi, nel senso che ".... il procedimento dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'articolo 6 della convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale"; nonostante quanto precede la Corte ha escluso una automatica violazione dell'art. 6 della Convenzione proprio in quanto: 1) non era contrario alla Convenzione che le sanzioni, giusta la normativa interna, fossero inflitte da un'autorita' amministrativa quale e' la Consob; 2) occorreva che i soggetti destinatari passivi dei provvedimenti sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di dare una decisione nel rispetto dell'art. 6 della Convenzione; 3) cio' era avvenuto nella fattispecie in quanto gli interessati si erano avvalsi della possibilita' di impugnare le sanzioni inflitte dinanzi alla Corte d'appello di Torino; il problema secondo la Corte EDU atteneva allo stabilire se tale Corte d' appello fosse "organo dotato di piena giurisdizione" ai sensi della sua giurisprudenza (questione risolta in senso affermativo), e se l'udienza svolta dinanzi a tale giudice fosse stata pubblica; e' proprio in riferimento alla assenza di udienza pubblica che la Corte EDU e' giunta alla conclusione della violazione della Convenzione ("161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di equita' e di imparzialita' oggettiva dell'articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di un organo indipendente e imparziale dotato di piena giurisdizione, in questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima non ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che, nel caso di specie, ha costituito una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione."). La pubblicita' dell'udienza, nell'assunto espresso dalla Corte EDU in tale decisione, ha, quindi, assunto una funzione centrale e di necessaria chiusura del sistema delle garanzie. Peraltro la giurisprudenza della Corte EDU in ordine alla imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti del rispetto dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un principio assoluto valido per tutti i casi. Ad es. nella sentenza in data 23 novembre 2006 nel caso Jussila contro Finlandia la Corte EDU dopo aver ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio fondamentale posto dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio e' di particolare importanza nella materia penale, ha osservato che ".... obbligo di tenere un' udienza pubblica non e' assoluto. L'articolo 6 non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i procedimenti. Cio' vale, in particolare, per i casi che non sollevano questione di credibilita' o che non scatenano controversia sui fatti che necessitano di una udienza e per i quali i tribunali possono pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni presentate dalle parti e di altri elementi. Inoltre, la Corte ha riconosciuto che le autorita' nazionali possono tener conto dei problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per esempio, che l'organizzazione sistematica di dibattiti possa costituire un ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza sociale ed, in definitiva, impedire il rispetto di un termine ragionevole ai sensi dell'articolo 6 § 1...."; ancora in tale sentenza e' stato osservato che ".... in un procedimento di prima ed ultima istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze eccezionali che giustifichino di farne a meno ... l'esistenza di tali circostanze dipende in gran parte dalla natura del problemi di cui i tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui si presentano...''. La sanzione inflitta all'opponente Paola Serpi deve essere qualificata di natura lato sensu penale, nonostante l'ordinamento interno la qualifichi formalmente come sanzione amministrativa, in quanto sono vincolanti l'interpretazione data dalla Corte EDU e l'indicazione da essa fornita dei criteri in relazione ai quali vagliare l'effettiva natura di una sanzione. Infatti, chiarito che la qualificazione data dall'ordinamento interno non e' dirimente, in quanto occorre verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli effetti della applicazione della Convenzione, non puo' non considerarsi la particolare gravita' afflittiva della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 190 del d.lgs. n. 58/98, per la violazione dell'art. 21 dello stesso d.lgs., in un importo da € 2.500,00 ad € 250.000,00 (dovendosi aver riguardo, agli effetti che qui interessano, alla sanzione edittale e non a quella in concreto irrogata in quanto, ovviamente, l'individuazione della natura della sanzione prescinde dalle circostanze che ne determinano la modulazione fra il minimo ed il massimo). Convince ulteriormente della detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta dall'art. 190 del d.lgs. n. 58/98 dell'applicabilita' dell'art. 16 legge n. 689/81 (pagamento in misura ridotta), e, soprattutto, il regime pubblicitario proprio delle sanzioni Consob. Al riguardo occorre ricordare che giusta l'art. 195 comma 3 del d.lgs. n. 58/98 "Il provvedimento di applicazione delle sanzioni e' pubblicato per estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca d'Italia o la CONSOB, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori per dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell'autore della violazione, ovvero escludere la pubblicita' del provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio i mercati,finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti"; la previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata confermata la pubblicita' normalmente prevista per estratto nel Bollettino della Consob), estensibile a forme ulteriori (quali la pubblicita' su quotidiani), evidenzia ulteriormente il carattere afflittivo della sanzione, in ragione delle ripercussioni negative sull'immagine del soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio. Le considerazioni che precedono evidenziano una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del d.lgs. n. 58/98, norma che potrebbe essere in contrasto con l'art. 117 Cost. in quanto non conforme all' art. 6 della Convenzione. La questione oltre ad essere non manifestamente infondata, e' rilevante in questo giudizio in quanto, accertata la natura lato sensu penale della sanzione giusta i vincolanti criteri di valutazione posti dalla Corte EDU, dovendo questa Corte d'appello necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195 comma 7 del d.lgs. n. 58/98 (senza che sia possibile una diversa interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale il procedimento), ed essendo il rito camerale, per definizione, caratterizzato dalla assenza di una pubblica udienza, essendo il giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza della Corte EDU suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni, il sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio, ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al riguardo inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita illegittimita' del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio che lo conclude. Preme rilevare che il sospetto di non conformita' a Costituzione (art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del d.lgs. n. 58/98, e non anche le norme del codice di rito che prevedono il rito camerale. La Corte costituzionale in ordine a tale rito si e' gia' espressa, ed occorre segnatamente ricordare la sentenza n. 543/1989 con la quale e' stato affermato che secondo la costante giurisprudenza della Corte stessa ".... il procedimento camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest' ultimo e' variamente configurabile dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi 'purche' ne vengano assicurati lo scopo e la funzione', cioe' la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti"; nella stessa sentenza e' stato osservato che "... L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e' in presenza di elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore compie circa opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare ed, in quanto tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte' nei limiti in cui, ovviamente, non si risolve nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza (ordinanza n. 748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970)"; la Corte cost. nella detta sentenza, non ha mancato di rilevare che il rito camerale non viola il diritto di prova in quanto "... anche nel rito camerale in appello e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con la natura camerate del procedimento, e, dall'altro, non violi il principio generale della idoneita' degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo...". La questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale assicuri sufficientemente la difesa od il contraddittorio, bensi' quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato di giurisdizione piena ma vincolato al rito camerale possa integrare carenze del procedimento sanzionatorio Consob. Una risposta negativa al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del d.lgs. in contrasto con l'art. 6 § 1 della Convenzione e, quindi, con art. 117 Cost. Il dubbio al riguardo non e' manifestamente infondato stante la ricordata giurisprudenza della Corte EDU laddove ha segnalato la particolare importanza dell'udienza pubblica quando si discute di sanzioni penali; certo, come si e' detto, il principio della pubblicita' dell'udienza non e' stato espresso in termini assoluti, e la necessita' o meno di una pubblica udienza va ricostruita in relazione alla natura della questione controversa, ma tale operazione si risolve nel giudizio di conformita' all'art. 117 comma 1 Cost. della data norma, conformita' sulla quale questa Corte non puo' non esprimere un dubbio sulla base della giurisprudenza della Corte EDU (analoga questione, per altro, risulta sollevata recentemente dalla Corte d'appello di Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014 - 8 gennaio 2015).
P.Q.M. La Corte, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 7 del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 in relazione all'art. 117 comma 1 della Costituzione; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio; ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri; dispone altresi' che l'ordinanza venga comunicata anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Firenze in camera di consiglio il 15 gennaio 2015. Il Presidente: Mascagni