N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2015

Ordinanza del 24 marzo 2015 della  Corte  d'appello  di  Firenze  nel
procedimento civile promosso da Serpi Paola contro CONSOB. 
 
Sanzioni amministrative - Sanzioni amministrative emesse dalla CONSOB
  nei confronti del Direttore Generale e di altri esponenti del Monte
  dei Paschi di Siena - Prevista opposizione alla Corte d'appello  in
  camera  di  consiglio  -  Violazione  di  obblighi   internazionali
  derivanti dalla CEDU. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, comma 7. 
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.38 del 23-9-2015 )
 
                     CORTE DI APPELLO DI FIRENZE 
                        Prima Sezione Civile 
 
    La  Corte,  riunita  in  camera  di  consiglio,  in  persona  dei
magistrati: 
    dr. Pietro Mascagni, Presidente; 
    dr. Nicola Antonio Dinisi, consigliere rel.; 
    dr. Adone Orsucci, consigliere; 
    Nella causa iscritta al n. 104/14 R.V.G. promossa da Serpi  Paola
(avv. G. Cassi, R. Maviglia, G. Sanzarello, M. Cimino); 
    Contro Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (avv.  S.
Providenti, M.L. Ermetes, R. Vampa, E. Garzia); 
    Con l'intervento del P.G. 
    Avente ad oggetto: Opposizione ai sensi dell'art. 195  d.lgs.  28
febbraio 1998, n. 58; trattenuta  in  decisione  all'udienza  del  28
novembre 2014, ha emesso la seguente ordinanza. 
    La Commissione Nazionale per le Societa' e la Borsa (Consob)  con
delibera 18856 del 9 aprile 2014 ha applicato a  Paola  Serpi,  quale
componente del Collegio Sindacale della Banca  Monte  dei  Paschi  di
Siena nel periodo dal 1°  settembre  2010  al  30  ottobre  2012,  la
sanzione amministrativa di € 150.000,00, di cui: 
    1) € 50.000,00 per violazione, con riferimento  alle  riscontrate
irregolarita' relative alla disciplina dei  conflitti  di  interesse,
dell'art. 21, comma 1-bis lett. a) del TUF e degli artt. 23 e 25  del
Regolamento Congiunto Banca d'Italia/Consob del 29 ottobre 2007,  che
impongono agli intermediari di adottare ogni misura  ragionevole  per
identificare i conflitti di  interesse  e  di  gestirli  in  modo  da
evitare che incidano negativamente sugli interessi dei clienti; 
    2) € 50.000,00 per violazione, con riferimento  alle  riscontrate
irregolarita'  relative  alla  valutazione   di   adeguatezza   delle
operazioni, del combinato disposto dell'art. 21, comma  1,  lett.  d)
del d.lgs. del TUF e dell'art. 15  del  Regolamento  Congiunto  Banca
d'Italia/Consob del 29 ottobre 2007, che impongono agli  intermediari
di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto  svolgimento
dei servizi di investimento, nonche' dell'art. 21, comma l, lett.  a)
del TUF, che impone agli intermediari di comportarsi  con  diligenza,
correttezza e trasparenza  per  servire  al  meglio  l'interesse  dei
clienti, e degli artt. 39 e 40 del Regolamento Consob n. 16190 del 29
ottobre 2007, che  disciplinano  la  profilatura  del  cliente  e  la
valutazione di adeguatezza; 
    3) € 50.000,00 per violazione, con riferimento alle irregolarita'
relative  alle  modalita'  del  pricing  del  prodotti   di   propria
emissione, del combinato disposto dell'art. 21, comma 1, lett. a) del
TUF, che impone  agli  intermediari  di  comportarsi  con  diligenza,
correttezza e trasparenza  per  servire  al  meglio  l'interesse  dei
clienti, nonche' l'art. 21, comma 1, lett. d) del TUF e dell'art. 15,
comma 1, del  Regolamento  Congiunto  Banca  d'Italia/Consob  del  29
ottobre  2007,  che  impongono  agli  intermediari  di   dotarsi   di
procedure,  anche  di  controllo  interno,   idonee   ad   assicurare
l'efficiente svolgimento dei servizi e delle attivita'. Avverso  tale
delibera Paola Serpi ha proposto opposizione davanti a  questa  Corte
ex art. 195, comma 4 del d.lgs. n. 58/1998, deducendo, oltre a motivi
di  merito,  motivi   attinenti   ai   connotati   del   procedimento
sanzionatorio   dinnanzi    alla    Consob    e    alla    disciplina
dell'opposizione. 
    Al riguardo ha sostenuto l'illegittimita' della delibera 18856  e
di tutti  gli  atti  connessi  e  conseguenti  per  violazione  delle
garanzie del «giusto processo». 
    Ha contestato la violazione  dei  principi  del  contraddittorio,
della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonche'
della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. 
    Ha rilevato, in particolare,  che  la  Consob,  nell'adottare  le
norme di disciplina del  procedimento  sanzionatorio  (in  attuazione
delle previsioni di cui all'art. 24, commi 1  e  3,  della  legge  n.
282/2005)  ha  demandato  la  fase   istruttoria   dei   procedimenti
sanzionatori alle strutture operative della Consob (articolandola  in
due segmenti, affidati a due diverse strutture  organizzative)  e  ha
riservato la fase decisoria alla Commissione. 
    Il procedimento, per come strutturato, ad avviso  dell'opponente,
contrasta con il principio del contraddittorio, in quanto nella  fase
filiale  della  fase  istruttoria  ed  immediatamente  precedente  la
decisione della Commissione l'interessato non e' posto  in  grado  di
svolgere le sue difese, non essendo prevista la  comunicazione  della
relazione dell'Ufficio Sanzioni Amministrative che conclude  la  fase
istruttoria e non potendo la parte chiedere di essere ascoltato dalla
Commissione prima della decisione. 
    Tale assetto,  secondo  l'opponente,  si  traduce  anche  in  una
violazione del principio della distinzione tra funzioni istruttorie e
decisorie (sancito dalla legge n. 282/05) in  quanto  la  Commissione
quale organo decidente «perde la sua autonomia di  giudizio»  perche'
riceve la proposta sanzionatoria dell'Ufficio Sanzioni Amministrative
in assenza di una attivita' difensiva da parte dell'interessato e  di
ulteriori poteri di indagine e di acquisizione di ulteriori fatti. 
    Al riguardo si segnala da parte dell'opponente  come  elementi  a
conforto della tesi della illegittimita' dello specifico procedimento
sanzionatorio possono trarsi dalla sentenza della Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo in data 4 marzo 2014 (Grande Stevens/Italia ricorso
n. 18640/10) con la quale si e' affermato che: a) in  conformita'  ad
un orientamento da tempo affermatosi nella giurisprudenza della Corte
anche le sanzioni amministrative irrogate dalla Consob si configurano
come sanzioni di' natura sostanzialmente criminale,  con  conseguente
applicabilita' delle garanzia del giusto processo enunciate dall'art.
6 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo  ed,  in  particolare,  del
principio  di  parita'  di   trattamento   fra   accusa   e   difesa,
imparzialita'  dell'organo  giudicante,  presunzione  di   innocenza,
diritto di informazione sulla natura e i motivi dell'accusa, ecc.; b)
in riferimento al difetto di contraddittorio  sulle  conclusioni  che
l'organo  istruttorio  trasmette  alla  Commissione,   le   procedure
previste dalla Consob non soddisfano appieno le previsioni  dell'art.
6 della Convenzione per cio' che concerne la  parita'  tra  accusa  e
difesa e la tenuta di un'udienza pubblica che permetta  un  confronto
orale; c) gli uffici della Consob  deputati  allo  svolgimento  delle
attivita' istruttorie e la Commissione non sono che articolazioni  di
un medesimo rogano amministrativo che agiscono sotto l'autorita'  del
medesimo presidente, con la conseguenza di un  esercizio  consecutivo
delle funzioni di inchiesta e di giudizio in  seno  ad  una  medesima
istituzione, in materia penale, non compatibile con  le  esigenze  di
imparzialita' previste dall'art. 6 comma 1 della Convenzione. 
    Sostiene l'opponente che i principi enucleati dalla Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo in base all'art. 6 della Convenzione  impongono
un'interpretazione conforme al diritto  convenzionale  dell'art.  195
TUF che regola i procedimenti  sanzionatori  davanti  alla  Consob  e
definisce la struttura del  giudizio  di  opposizione  alle  sanzioni
inflitte all'esito  di  tali  procedimenti  e  che,  in  alternativa,
qualora  l'adattamento  dell'ordinamento  interno  non  possa  essere
compiuto in via ermeneutica, la conformazione ai  dicta  della  Corte
Europea  richiede  l'apertura   di   un   giudizio   incidentale   di
costituzionalita',   con   rimessione   degli   atti    alla    Corte
costituzionale,  ai  sensi  dell'art.  117  Cost.  e  6  CEDU,  della
declaratoria di  illegittimita'  della  fonte  legislativa  nazionale
incompatibile con il diritto convenzionale. 
    Si e' costituita la Consob che  ha  confutato  le  argomentazioni
difensive della opponente in relazione a tutti i profili dedotti e ha
chiesto il rigetto del ricorso. 
    La Corte rileva quanto segue. 
    Il procedimento di opposizione dinanzi alla Corte d'appello (art.
195 comma 4 del d.lgs. n. 58/98)  e'  camerale,  come  reso  evidente
dall'art. 195 comma 7 del d.lgs. cit.  («La  Corte  d'appello  decide
sull'opposizione  in  camera  di  consiglio,  sentito   il   pubblico
ministero, con decreto motivato»). 
    L'opponente nella sostanza deduce illegittimita'  della  delibera
sanzionatoria  per  carenze  di  contraddittorio  che  si   collocano
all'interno del procedimento Consob, ma non pare corretto valutare le
garanzie di difesa per segmenti del procedimento, prescindendo  dalla
considerazione della fase  eventuale,  a  cognizione  piena,  dinanzi
all'autorita' giudiziaria. Al riguardo occorre richiamare i  principi
espressi dalla Corte EDU nella detta sentenza n. 18640  del  4  marzo
2014 resa in un caso in cui si discuteva di sanzioni per illeciti  ex
art. 187-ter TUF dalla Corte stessa qualificate come  sostanzialmente
di natura  penale.  Giova  al  riguardo  ricordare  che  giusta  tale
sentenza (cfr. paragrafo 94) "... al fine di stabilire la sussistenza
di una  «accusa  in  materia  penale»,  occorre  tener  presente  tre
criteri: la  qualificazione  giuridica  della  misura  in  causa  nel
diritto nazionale, la natura stessa di quest'ultima, e la natura e il
grado di severita' della «sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi,  8
giugno 1976, § 82, serie A n.  22).  Questi  criteri  sotto  peraltro
alternativi e non cumulativi: affinche' si possa parlare  di  «accusa
in materia penale» ai sensi dell'articolo 6 § 1, e'  sufficiente  che
il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o
abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e  livello
di gravita', rientri in linea  generale  nell'ambito  della  «materia
penale». Cio' non impedisce di adottare un  approccio  cumulativo  se
l'analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare  ad  una
conclusione chiara in merito  alla  sussistenza  di  una  «accusa  in
materia penale» (Jussila c. Finlandia [GC] n. 73053/01, §§ 30  e  31,
CEDU 2006-XIII, e Zaicevs  c.  Lettonia,  n.  65022/01,  §  31,  CEDU
2007-IX (estratti))". Parimenti occorre richiamare la  giurisprudenza
della Corte costituzionale (in particolare sentenza n. 104 del  2014)
per la quale tutte le misure di carattere  punitivo  afflittivo  (ivi
comprese evidentemente quelle che ordinamento interno qualifica  come
sanzioni  amministrative)  devono  essere  soggette   alla   medesima
disciplina della sanzione penale in senso stretto (principio espresso
agli  effetti   della   irretroattivita'   delle   disposizioni   che
introducono sanzioni amministrative). 
    Premesso che non e' incompatibile con la Convenzione affidare  la
repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e' la
Consob (paragrafo 138 sentenza Corte EDU  cit.),  il  rispetto  della
Convenzione, a prescindere da carenze di contraddittorio che  possano
essersi verificate in alcune fasi del procedimento, viene  assicurato
dalla possibilita' di ricorrere ad un giudice dotato di giurisdizione
piena quale e' la Corte d'appello. La conclusione cui  e'  giunta  la
Corte EDU e' stata, quindi,  nel  senso  che  "....  il  procedimento
dinanzi alla CONSOB non soddisfacesse tutte le esigenze dell'articolo
6 della convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' della
armi tra accusa e difesa e il  mancato  svolgimento  di  una  udienza
pubblica che  permettesse  un  confronto  orale";  nonostante  quanto
precede la Corte ha escluso una  automatica  violazione  dell'art.  6
della Convenzione proprio  in  quanto:  1)  non  era  contrario  alla
Convenzione che le sanzioni, giusta  la  normativa  interna,  fossero
inflitte da  un'autorita'  amministrativa  quale  e'  la  Consob;  2)
occorreva  che  i  soggetti  destinatari  passivi  dei  provvedimenti
sanzionatori potessero impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di
dare una decisione nel rispetto dell'art.  6  della  Convenzione;  3)
cio' era avvenuto nella fattispecie  in  quanto  gli  interessati  si
erano avvalsi della possibilita' di impugnare  le  sanzioni  inflitte
dinanzi alla Corte d'appello di Torino; il problema secondo la  Corte
EDU atteneva allo stabilire se tale Corte d'  appello  fosse  "organo
dotato di piena giurisdizione"  ai  sensi  della  sua  giurisprudenza
(questione risolta in  senso  affermativo),  e  se  l'udienza  svolta
dinanzi  a  tale  giudice  fosse  stata  pubblica;  e'   proprio   in
riferimento alla assenza di udienza pubblica  che  la  Corte  EDU  e'
giunta alla conclusione della  violazione  della  Convenzione  ("161.
Alla luce di quanto esposto,  la  Corte  ritiene  che,  anche  se  il
procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto  le  esigenze  di
equita'  e  di  imparzialita'   oggettiva   dell'articolo   6   della
Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato del successivo  controllo
da parte di un organo  indipendente  e  imparziale  dotato  di  piena
giurisdizione, in questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia,
quest'ultima non ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso
di specie, ha costituito una violazione dell'articolo  6  §  1  della
Convenzione."). La pubblicita'  dell'udienza,  nell'assunto  espresso
dalla Corte EDU in tale decisione, ha, quindi, assunto  una  funzione
centrale e di necessaria chiusura del sistema delle garanzie. 
    Peraltro  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU  in  ordine  alla
imprescindibilita' della udienza pubblica agli effetti  del  rispetto
dell'art. 6 § 1 della Convenzione non esprime un  principio  assoluto
valido per tutti i casi. Ad es. nella sentenza in  data  23  novembre
2006 nel caso  Jussila  contro  Finlandia  la  Corte  EDU  dopo  aver
ribadito che tenere un'udienza pubblica e' un principio  fondamentale
posto dall'art. 6 della  Convenzione  e  che  tale  principio  e'  di
particolare importanza nella materia penale, ha osservato  che  "....
obbligo di tenere un' udienza pubblica non e' assoluto. L'articolo  6
non esige necessariamente di tenere udienza in tutti i  procedimenti.
Cio' vale, in particolare, per i casi che non sollevano questione  di
credibilita'  o  che  non  scatenano  controversia  sui   fatti   che
necessitano di  una  udienza  e  per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai  sensi  dell'articolo  6  §  1....";  ancora  in  tale
sentenza e' stato osservato che ".... in un procedimento di prima  ed
ultima istanza,  l'udienza  deve  essere  tenuta,  salvo  circostanze
eccezionali che giustifichino di farne a meno ... l'esistenza di tali
circostanze dipende in gran parte dalla natura del problemi di cui  i
tribunali sono investiti, e non dalla frequenza dei casi  in  cui  si
presentano...''. 
    La  sanzione  inflitta  all'opponente  Paola  Serpi  deve  essere
qualificata di natura lato  sensu  penale,  nonostante  l'ordinamento
interno la qualifichi formalmente come  sanzione  amministrativa,  in
quanto sono vincolanti  l'interpretazione  data  dalla  Corte  EDU  e
l'indicazione da essa fornita  dei  criteri  in  relazione  ai  quali
vagliare l'effettiva natura di una sanzione. Infatti, chiarito che la
qualificazione data dall'ordinamento interno  non  e'  dirimente,  in
quanto occorre verificare se una sanzione sia di natura "penale" agli
effetti  della  applicazione  della   Convenzione,   non   puo'   non
considerarsi  la  particolare  gravita'  afflittiva  della   sanzione
pecuniaria prevista  dall'art.  190  del  d.lgs.  n.  58/98,  per  la
violazione dell'art. 21 dello stesso  d.lgs.,  in  un  importo  da  €
2.500,00 ad € 250.000,00 (dovendosi aver riguardo, agli  effetti  che
qui interessano, alla sanzione edittale e non a  quella  in  concreto
irrogata in quanto, ovviamente, l'individuazione della  natura  della
sanzione  prescinde  dalle  circostanze   che   ne   determinano   la
modulazione fra il minimo  ed  il  massimo).  Convince  ulteriormente
della detta natura lato sensu penale l'esclusione, disposta dall'art.
190 del d.lgs. n. 58/98 dell'applicabilita'  dell'art.  16  legge  n.
689/81 (pagamento in  misura  ridotta),  e,  soprattutto,  il  regime
pubblicitario proprio delle  sanzioni  Consob.  Al  riguardo  occorre
ricordare che giusta l'art. 195 comma  3  del  d.lgs.  n.  58/98  "Il
provvedimento  di  applicazione  delle  sanzioni  e'  pubblicato  per
estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della CONSOB. La Banca
d'Italia o la CONSOB, tenuto conto della natura  della  violazione  e
degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori  per
dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico
dell'autore della violazione, ovvero  escludere  la  pubblicita'  del
provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio  i
mercati,finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti"; la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio. 
    Le considerazioni che  precedono  evidenziano  una  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  195  comma  7  del  d.lgs.  n.
58/98, norma che potrebbe essere in contrasto con l'art. 117 Cost. in
quanto non conforme all' art. 6 della Convenzione. 
    La questione oltre ad essere  non  manifestamente  infondata,  e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu  penale  della  sanzione  giusta  i   vincolanti   criteri   di
valutazione posti dalla Corte EDU,  dovendo  questa  Corte  d'appello
necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195  comma
7  del  d.lgs.  n.  58/98  (senza  che  sia  possibile  una   diversa
interpretazione, salvo una inammissibile disapplicazione della norma,
e senza che sia possibile introdurre il correttivo della  pubblicita'
dell'udienza  che,  di  per   se',   renderebbe   non   camerale   il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
ove un giudizio che si svolge con il rito camerale fosse al  riguardo
inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio  che
lo conclude. 
    Preme rilevare che il sospetto di non conformita' a  Costituzione
(art. 117 comma 1) investe l'art. 195 comma 7 del d.lgs. n. 58/98,  e
non anche le norme del codice di rito che prevedono il rito camerale.
La Corte costituzionale in ordine a tale rito si e' gia' espressa, ed
occorre segnatamente ricordare la sentenza n. 543/1989 con  la  quale
e' stato affermato che secondo la costante giurisprudenza della Corte
stessa ".... il procedimento camerale non e' di per se' in  contrasto
con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'  ultimo  e'
variamente configurabile dalla legge,  in  relazione  alle  peculiari
esigenze dei vari processi 'purche' ne vengano assicurati lo scopo  e
la funzione', cioe' la garanzia del contraddittorio, in modo che  sia
escluso ogni ostacolo a far valere le  ragioni  delle  parti";  nella
stessa  sentenza  e'  stato  osservato  che  "...  L'adozione   della
procedura camerale, anche nei casi  in  cui  si  e'  in  presenza  di
elementi di giurisdizione contenziosa, risponde dunque a  criteri  di
politica legislativa, inerenti alla valutazione  che  il  legislatore
compie circa opportunita' di adottare determinate  forme  processuali
in relazione alla natura degli interessi da regolare  ed,  in  quanto
tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte' nei limiti in  cui,
ovviamente, non si risolve nella  violazione  di  specifici  precetti
costituzionali e non sia viziata da  irragionevolezza  (ordinanza  n.
748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970)"; la Corte cost. nella detta
sentenza, non ha mancato di rilevare che il rito camerale  non  viola
il diritto di prova in quanto "... anche nel rito camerale in appello
e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere
alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche'  il  relativo
modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico -  risulti,
da  un  lato,  sempre  compatibile  con  la   natura   camerate   del
procedimento, e, dall'altro, non violi il  principio  generale  della
idoneita'  degli  atti  processuali  al   raggiungimento   del   loro
scopo...". 
    La questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale
assicuri sufficientemente la difesa  od  il  contraddittorio,  bensi'
quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato  di
giurisdizione piena ma vincolato al  rito  camerale  possa  integrare
carenze del procedimento sanzionatorio Consob. Una risposta  negativa
al quesito porrebbe il detto art. 195 comma 7 del d.lgs. in contrasto
con l'art. 6 § 1 della Convenzione e, quindi, con art. 117  Cost.  Il
dubbio  al  riguardo  non  e'  manifestamente  infondato  stante   la
ricordata giurisprudenza della Corte  EDU  laddove  ha  segnalato  la
particolare importanza dell'udienza pubblica  quando  si  discute  di
sanzioni  penali;  certo,  come  si  e'  detto,  il  principio  della
pubblicita' dell'udienza non e' stato espresso in termini assoluti, e
la necessita' o meno  di  una  pubblica  udienza  va  ricostruita  in
relazione alla natura della questione controversa, ma tale operazione
si risolve nel giudizio di conformita' all'art.  117  comma  1  Cost.
della data norma, conformita' sulla quale questa Corte non  puo'  non
esprimere un dubbio sulla base della giurisprudenza della  Corte  EDU
(analoga questione, per altro, risulta sollevata  recentemente  dalla
Corte d'appello di Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014 - 8 gennaio
2015). 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, visto l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953  n.  87,
dichiara non manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 195 comma 7 del d.lgs. 24 febbraio  1998  n.
58 in relazione all'art. 117 comma 1 della Costituzione; 
    dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il presente giudizio; 
    ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero,  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    dispone  altresi'  che  l'ordinanza  venga  comunicata  anche  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso in Firenze in camera  di  consiglio  il  15  gennaio
2015. 
 
                       Il Presidente: Mascagni