N. 220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 2015

Ordinanza del 17 aprile 2015 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Basile Sergio contro  Corte  dei
conti ed altri. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (Legge  di  stabilita'
  2014) - Interventi in materia previdenziale  -  Previsione  che  ai
  soggetti gia' titolari  di  trattamenti  pensionistici  erogati  da
  gestioni previdenziali pubbliche, le  amministrazioni  e  gli  enti
  pubblici compresi nell'elenco ISTAT di cui  all'art.  1,  comma  2,
  della legge n. 196/2009 e  successive  modificazioni,  non  possono
  erogare  trattamenti  economici  onnicomprensivi  che,  sommati  al
  trattamento pensionistico, eccedono  il  limite  fissato  ai  sensi
  dell'art. 23-ter, comma 1, del D.L.  n.  201/2011  convertito,  con
  modificazioni,  in  legge  n.  214/2011  -   Previsione   che   nei
  trattamenti pensionistici di cui al comma censurato sono compresi i
  vitalizi,  anche  conseguenti  a  funzioni  pubbliche  elettive   -
  Previsione della salvezza dei contratti e degli incarichi in  corso
  fino alla loro naturale scadenza prevista negli stessi - Violazione
  del  principio  di  uguaglianza  per  lesione  del   principio   di
  affidamento - Violazione del diritto al  lavoro  -  Violazione  del
  principio della retribuzione proporzionata ed  adeguata  -  Lesione
  della  garanzia   previdenziale   -   Lesione   dell'autonomia   ed
  indipendenza dei magistrati. 
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 489. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 36, 38, 97, 100, 101, 104 e 108. 
(GU n.44 del 4-11-2015 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  12162  del  2014,  proposto  da:  Sergio  Basile,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Paola  Salvatore,  Mario  Sanino,
Marco Di  Lullo,  con  domicilio  eletto  presso  Studio  Legale  del
medesimo avv. Sanino in Roma, viale Parioli, 180; 
    Contro la Corte dei Conti e il Segretariato Generale della  Corte
dei Conti, rappresentati e difesi per legge dall'avvocatura  Generale
dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia  e
delle Finanze, non costituiti in giudizio; 
    Per l'annullamento  del  provvedimento  adottato  dal  Segretario
Generale della Corte dei Conti con nota:  prot.  n.  0003367  del  18
luglio 2014 con la quale e' stato. 
    Preannunciato che, a  decorrere  dal  mese  di  agosto  2014,  il
trattamento  in  godimento  quale  magistrato  con  la  qualifica  di
Consigliere dei ruoli della stessa Corte  dei  Conti,  sarebbe  stato
decurtato della somma pari a  euro  80.619,02  come  attestato  dalla
scheda contabile allegata allo stesso provvedimento; 
    Di  ogni  altro   atto   annesso,   connesso,   presupposto   e/o
consequenziale nonche' per la declaratoria del diritto al trattamento
retributivo e a quello  pensionistico  spettanti  senza  applicazione
delle decurtazioni di cui all'art. 1, comma 489, l. 27 dicembre  2013
n. 147 e ss.mm. 
    Nonche' per la condanna  dell'Amministrazione  al  versarnento  e
alla restituzione delle somme nelle more illegittimamente  trattenute
e recuperate. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto Patto di costituzione in giudizio della Corte dei  Conti  e
del Segretariato Generale della Corte dei Conti; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  25  febbraio  2015  il
dott. Raffaello Sestini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto: 
    1. - Che con il ricorso in epigrafe, proposto da  un  consigliere
della Corte dei conti nominato dal Governo ai sensi dell'art.  7  del
r.d. n. 1214 del 1934, viene impugnato il provvedimento adottato  dal
Segretario Generale della Corte dei Conti con nota. prot. n.  0003367
del 18 luglio 2014  con  la  quale  e'  stato  preannunciato  che,  a
decorrere dal mese di agosto 2014, il suo  trattamento  in  godimento
quale magistrato con la qualifica  di  Consigliere  dei  ruoli  della
stessa Corte dei Conti, sarebbe stato decurtato della  somma  pari  a
euro 80.619,02 come attestato dalla scheda  contabile  allegata  allo
stesso provvedimento, unitamente ogni altro atto  annesso,  connesso,
presupposto o consequenziale. 
    Il  ricorrente  chiede  inoltre  l'accertamento  del  diritto   a
percepire, nella loro interezza, gli emolumenti connessi al  servizio
prestato  come  magistrato  della  Corte  dei   conti,   nonche'   al
versamento dei   relativi   contributi    previdenziali    e    degli
accantonamenti per il trattamento di  fine  servizio  (TFS),  con  la
conseguente  condanna  dell'Amministrazione  al  versamento  ed  alla
restituzione delle somme nelle more indebitamente trattenute; 
    2. - Che il contenzioso in esame concerne la vicenda  applicativa
conseguente  all'adozione  dell'art.  23-ter  del  decreto  legge   6
dicembre 2011, n. 201, convertito, con  modificazioni,  in  legge  22
dicembre 2011, n.  214,  il  quale  stabilisce,  al  comma  1,  primo
periodo, che «con decreto del Presidente del Consiglio dei  Ministri,
previo  parere  delle  competenti  Commissioni  parlamentari,   entro
novanta giorni dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione  del  presente  decreto,  e'  definito   il   trattamento
economico annuo onnicomprensivo di chiunque  riceva  a  carico  delle
finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito  di  rapporti
di  lavoro  dipendente  o  autonomo  con  pubbliche   amministrazioni
statali, di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in
regime di diritto pubblico di cui all'art.  3  del  medesimo  decreto
legislativo, e successive modificazioni,  stabilendo  come  parametro
massimo di riferimento il trattamento economico del primo  presidente
della Corte di cassazione»; 
    3. - Che, in attuazione della citata disposizione, il  Presidente
del Consiglio dei Ministri ha adottato il decreto 23 marzo 2012  che,
all'art. 3, stabilisce che «a decorrere dall'entrata  in  vigore  del
presente  decreto,  trattamento  retributivo  percepito  annualmente,
comprese le indennita' e le  voci  accessorie  nonche'  le  eventuali
remunerazioni per  incarichi  ulteriori  o  consulenze  conferiti  da
amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza [...i non
puo' superare il trattamento economico annuale complessivo  spettante
per la carica al Primo Presidente della  Corte  di  cassazione,  pari
nell'anno 2011 a euro 293.658,95. Qualora  superiore,  si  riduce  al
predetto limite». 
    Successivamente, l'art. 1, comma 489, della l. 27 dicembre  2013,
n. 147, ha previsto che «ai soggetti  gia'  titolari  di  trattamenti
pensionistici  erogati  da  gestioni  previdenziali   pubbliche,   le
amministrazioni  e  gli  enti  pubblici  (...)  non  possono  erogare
trattamenti economici onnicomprensivi  che,  sommati  al  trattamento
pensionistico,  eccedano  il   limite»   e   che   «Nei   trattamenti
pensionistici di cui al presente  comma  sono  compresi  i  vitalizi,
anche conseguenti a funzioni  pubbliche  elettive,  facendo  peraltro
salvi «i contratti e gli incarichi in corso fino alla  loro  naturale
scadenza prevista negli stessi». L'ultimo periodo della  disposizione
prevede che «gli organi costituzionali applicano i prindpi di cui  al
presente comma nel rispetto dei propri ordinamenti».  Infine,  l'art.
13 del. decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66,  ha  stabilito  che  «a
decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo  retributivo  riferito
al  primo  presidente  della  Corte  di  ca.ssazione  previsto  dagli
articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214,
e successive modificazioni e integrazioni, e' fissato in euro 240.000
annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e  degli
oneri fiscali a carico del dipendente»; 
    4. -  Che  il  ricorrente  afferma  l'illegittimita'  degli  atti
impugnati deducendo i motivi di ricorso di seguito sintetizzati: 
      eccesso  di  potere  sotto  plurimi   profili   sintomatici   e
violazione della normativa di legge di riferitnento, e in particolare
violazione dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del  2013,  non
avendo l'Amministrazione applicato la prevista deroga concernente  «i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza»,
nonostante la condizione del ricorrente di pubblico funzionario  gia'
in carica all'entrata in vigore della previsione di legge; 
      la medesima  decurtazione  della  remunerazione  determinerebbe
altresi' una viola.zione del diritto  al  lavoro  e  dell'obbligo  di
retribuzione proporzionata. alla  qualita'  e  quantita'  del  lavoro
svolto ai sensi degli artt. 4 e 36 Cost. ed un vulnus allo status  di
indipendenza ed autonomia dei magistrati (anche contabili),  protetto
dagli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost., oltre a violare  il  principio
di  irretroattivita'  dei  trattamenti  in  pejus  ed  il   legittimo
affidamento del ricorrente in violazione dell'art. 6  CEDU  e  quindi
dell'art. 117 Cost.; 
      in via subordinata, illegittimita' derivata dall'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 489, della. legge n. 147 del  2013,
se interpretato nel senso  di  escludere  il  ricorrente  dall'ambito
della descritta deroga riferita ai «contratti e gli  incarichi  in  -
corso» al servizio della P.A., per violazione degli artt.  3  e  117,
comma 1, Cost., in riferimento all'art. 6 della  Convenzione  Europea
dei   Diritti   dell'Uomo,   in   ra.gione    di    un    trattamento
irragionevolmente deteriore per il ricorrente rispetto a quello degli
altri  funzionari  e   dipendenti   al   servizio   delle   pubbliche
Amministrazioni,  nonche'  un'irragionevole  lesione  del   legittimo
affidamento del ricorrente stesso (tutelato dall'art.  6  CEDU),  non
giustificato ne' sul piano del contenimento della spesa pubblica, ne'
da altro interesse di pregio costituzionale; 
      ancora  in  via  subordinata,   illegittimita'   costituzionale
dell'art.   l,   comma   489,   della   1.   n.    147    del    2013
(nell'interpretazione datane dalla P.A. resistente),  per  violazione
degli artt. 101, II comma, e 104, I comma,  della  Costituzione,  che
tutelano l'autonomia e  l'indipendenza  della  Magistratura,  valori,
questi, che  verrebbero  irragionevolmente  lesi  dall'ingiustificata
incisione del trattamento economico - e quindi anche  del  credito  e
del prestigio sociale-dell'esercizio della funzione giurisdizionale; 
      ulteriore illegittimita' costituzionale in quanto il meccanismo
del  tetto  massimo  degli  emolumenti  comporterebbe  una  forte  ed
irragionevole riduzione, con effetto retroattivo, della remunerazione
della funzione di  consigliere  della  Corte  dei  conti  svolta  dal
ricorrente  e  lederebbe  il  suo  diritto  ed  il  suo   ragionevole
affidamento  ad  una  retribuzione  proporzionata  alla  qualita'   e
quantita' del lavoro svolto in violazione degli artt. 4  e  36  Cost,
del principio di irretroattivita' delle norme  incidenti  su  diritti
consolidati e dei fondamentali principi costituzionali comunitari  di
certezza giuridica e di tutela dell'affidamento; 
      Il limite retributivo e pensionistico di cui all'art. 1,  comma
489, della legge n. 147 del 2013 precluderebbe  altresi',  del  tutto
irragionevolmente, la possibilita' riconosciuta. dall'ordinamento  al
Governo   di   individuare   alte   professionalita'   e   competenze
amministrative da inserire nella compagine della Corte dei Conti,  in
violazione  del  principio  di  buon  andamento  dell'amministrazione
sancito dall'art. 97 Cost. Infatti, essendo ex art.  7  del  r.d.  n.
1214  del  1934,  riservata  a  coloro  che  hanno  gia'   conseguito
(quantomeno) la qualifica di direttore generale e ispettore  generale
nell'Amministrazione statale (o equivalenti), la nomina a consigliere
della Corte dei conti cade naturaliter  su  persone  che  hanno  gia'
maturato il diritto al trattamento di quiescenza. La disposizione  in
esame  risulterebbe  pertanto  irragionevolmente  contraddittoria  in
violazione  dell'art.  97  Cost,   penalizzando   e   disincentivando
l'assunzione nei ruoli  della  magistratura  contabile  dei  migliori
curricula disponibili, relativi a  funzionari  che,  inevitabilmente,
sconterebbero i piu' forti  effetti  del  limite  al  cumulo  con  il
trattamento di quiescenza di cui alla disposizione in esame; 
      inoltre, cio' corrisponderebbe all'imposizione di  un  prelievo
fiscale speciale, illegittimo perche' violativo degli artt.  3  e  53
Cost., e comporterebbe anche una indebita  riduzione  dei  contributi
previdenziali  e,  di  conseguenza,  del  trattamento   pensionistico
derivante dall'accumulo di tale montante contributivo; 
      la irragionevolezza della previsione normativa in esame sarebbe
infine confermata dalla mancata esclusione, ai fini del tetto massimo
degli emolutnenti percepibili, delle indennita' integrativa  speciale
e giudiziaria di cui all'art. 3 della legge n.  27  del  1981  e  del
contributo solidarieta' imposto dall'art. 2, comma 5, del decreto del
Presidente del Senato n. 11246 del 2008; 
    5. - Che l'Amministrazione intimata si e' costituita in  giudizio
per difendere  la  piena  legittitnita'  e  doverosita'  del  proprio
operato a  termini  di  legge,  legge  le  cui  disposizioni  vengono
altresi'  argomentatamente  ritenute  scevre  dai  dedotti  vizi   di
legittimita' costituzionale; 
    6. - Che alla camera di consiglio  convocata  per  l'esame  della
domanda cautelare il ricorrente ha chiesto il rinvio della  decisione
sulle istanze cautelati alla trattazione del ricorso  nel  merito,  e
che all'esito dell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015  il  ricorso
e' stato quindi introitato dal Collegio per la decisione; 
    7. - Che, ai fini  della  dedsione  delle  complesse  e  delicate
questioni  evocate  dal  ricorrente,  il  Collegio   deve   esaminate
pa.rtitamente le singole censure, partendo  da  quelle  (maggiormente
satisfattive dell'interesse al  bene  della  vita.  azionato  con  il
ricorso)  volte  a  far  valere  la  violazione  della  normativa  di
riferimento (essenzialmente, art. 1, comma 489 della legge n. 147 del
2013) in quanto non applicabile al caso in esame.  Solo  in  caso  di
mancato accoglimento delle predette censure , si potra'  poi  passare
all'esame della non manifesta infondatezza delle dedotte  censure  di
illegittimita' costituzionale della medesima norma, divenute  in  tal
modo rilevanti nel giudizio a quo, ai fini dell'eventuale  rimessione
della  questione  incidentale  di'   costituzionalita'   alla   Corte
costituzionale, dovendosi infine valutare, solo in  caso  di  mancato
accoglimento di tutte  le  predette  censure  e  della  questione  di
legittimita' costituzionale, e  quindi  di  legittima  applicabilita'
della disciplina in  esarne,  le  ulteriori  censure  concernenti  le
errate ed ingiuste modalita' (riferite ad esempio all'estensione alle
indennita' integrative  spedali  e  giudiziarie  ed  al  computo  del
contributo di solidarieta') con cui la norma sarebbe stata applicata. 
    8. - Che, con il primo gruppo di motivi di gravame  indicati,  il
ricorrente deduce la violazione del citato art. 1, comma  489,  della
legge n. 147 del  2013,  poiche'  la  predetta  norma  sarebbe  stata
illegittimamente applicata al ricorrente sotto il profilo  temporale,
per la mancata applicazione  della  prevista  deroga  concernente  «i
contratti e gli incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza»,
nonostante la sua condizione di pubblico funzionario gia'  in  carica
all'entrata in vigore della nuova previsione di legge. 
    Secondo  il  ricorrente,  infatti,  l'ampiezza  della  previsione
normativa  circa  la  deroga  implica  la  sua  applicazione  sia  ai
contratti e rapporti di lavoro c.d. «privatizzato», sia  -  come  nel
caso in esame- al pubblico impiego  non  privatizzato,  ponendosi  in
evidente parallelismo  con  la  stessa  norma  istitutiva  del  tetto
massimo di cumulo (art. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201,  che
ha espressamente esteso l'intera  disciplina  del  tetto  massimo  al
«personale in regime  di  diritto  pubblico»).  Inoltre,  il  termine
«incarico» abbraccerebbe qualunque conferimento di compiti  da  parte
dell'Amministrazione,  ivi  compreso  il  conferimento  di   funzioni
nell'ambito di un rapporto di impiego non privatizzato. 
    9. - Che, ai fini  della  decisione  circa  la  fondatezza  della
predetta  censura,  il  Collegio  osserva  preliminarmente   che   la
previsione normativa introdotta dall'art. 23-ter del decreto-legge n.
201/2011 e rafforzata dalla legge di stabilita' per il 2014 (legge 27
dicembre 2013, n. 147, in  particolare  per  quanto  d'interesse  con
l'art. 1, commi 471 e ss), cosi'  cotne  chiarito  dalla  definizione
degli ambiti applicativi della norma risultanti  dalla  circolare  n.
8/2012  del  Ministro  per   la   Pubblica   amministrazione   e   la
Semplifica.zione e dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei
Ministri n. 3/2014,  e'  volta  a  limitare  la  soglia  massima  dei
trattamenti rettibutivi e pensionistici che fanno comunque  carico  a
risorse pubbliche, riguardando l'ambito  soggettivo  di  applicazione
del decreto tutti i titolari di  rapporto  di  lavoro  subordinato  o
autonomo con «le pubbliche amministrazioni», e cio' - in  un  sistema
pensionistico  ancora  essenzialmente  retributivo  come  quello  del
ricorrente,  e  quindi  non  legato   ad   uno   specifico   rapporto
sinallagmatico con i contributi versati durante la vita lavorativa  -
non appare ne' in contrasto con alcuna disposizione  dell'ordinamento
ne' irragionevole, a condizione peraltro di  estendete  il  limite  a
tutti i soggetti posti nelle medesime  condizioni  sotto il  predetto
profilo, alla stregua dell'art. 3, primo comma, della Costituzione; 
    10 - Che viene quindi in rilievo la citata  circolare  n.  3/2014
della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  che  chiarisce  che  il
nuovo regiine limitativo si applica a decorrere dal 1° gennaio  2014,
limitandosi ad interpretare il dettato normativo gia' in vigore nella
disciplina del contenimento dei  trattamenti  economici  nel  settore
pubblico, mentre l'art. 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014,  convertito
con rnodificazioni dalla legge n.  89/2014,  ha  ridotto  ad  240.000
annui il limite massimo retributivo lordo solo  a  decorrere  dal  1°
maggio 2014. Si e' quindi in presenza, osserva il  Collegio,  di  una
questione  controversa   concernente   non   una   vera   e   propria
retroattivita' della legge (con tutti i conseguenti divieti e  limiti
costituzionali a tutela della certezza del diritto,  dell'affidamento
e della ragionevolezza del legislatore, ampiamente  affrontati  anche
dalla  Corte  costituzionale),  bensi'  una  questione   di   diritto
intertemporale connessa all'entrata in vigore della nuova disciplina,
disposta dal legislatore - nell'ambito del legittimo esercizio  della
proprio spazio di discrezionalita' riconosciuto dalla  giurisprudenza
costituzionale, senza la previsione di un periodo transitorio,  fatta
eccezione per la tassativa deroga prevista per  «i  contratti  e  gli
incarichi in corso fino alla loro naturale scadenza»,  ovverosia  per
tutti i rapporti - indifferentemente di diritto privato  o  pubblico,
cosi' come affermato dal ricorrente - che a quel  momento,  peraltro,
non solo erano gia' in corso, bensi' erano anche  individuati  da  un
naturale termine di «scadenza», e non gia', quindi,  per  l'esercizio
in atto di una funzione  giurisdizionale  «togata»  e  non  onoraria,
ovverosia svolta a seguito dell'inserimento  a  pieno  titolo  in  un
plesso giurisdizionale, con la conseguente creazione di  un  rapporto
d'ufficio caratterizzato non gia'  da  una  prefissata  temporaneita'
bensi' al contrario - da particolari garanzie di stabilita'. 
    11 -  Che  le  pregresse  considerazioni  valgono  anche  a   far
escludere la fondatezza delle dedotte censure di  irragionevolezza  e
di lesione dei  principi  comunitari  e  nazionali  di  tutela  della
certezza  giuridica  e  dell'affidamento  dei  cittadini  e  di  buon
andamento dell'Amministrazione, atteso che - in  via  generale  -  la
previsione di compensi e trattamenti pensionistici massimi  a  carico
della finanza pubblica per i singoli soggetti  titolari  di  pubblici
uffici non appare intrinsecamente illogica o negativa ai fini di  una
razionalizzazione della c.d. «giungla retributiva»  che  storicamente
ha caratterizzato - secondo numerose  indagini  del  Parlamento,  del
Governo e di Organi  indipendenti  -  un'Amministrazione  non  sempre
caratterizzata da massimi livelli di efficienza, mentre -  dal  punto
di vista dei singoli trattamenti  tetributivi  oggetto  del  presente
giudizio - all'atto dell'accettazione della  nomina  alla  Corte  dei
Conti l'interessato - anche in  virtu'  delle  stesse  competenze  ed
esperienze professionali che ne avevano motivato la scelta  -  era  o
ben poteva essere a conoscenza delle recenti misure di legge volte al
contenimento della spesa pubblica ed adottate proprio  su  iniziativa
dello  stesso  Potere  esecutivo  che  li  aveva  proposti  al  nuovo
incarico, di modo che - da un lato - l'accettazione  non  poteva  non
implicare la piena  consapevolezza  circa  i  prevedibili  limiti  al
proprio compenso e dall'altro - la proposta di  nomina  assolutamente
fiduciaria da parte del Governo non poteva  ragionevolmente  susdtare
l'aspettatiza di un trattamento differenziato quanto alla  sorte  del
proprio compenso a carico della finanza pubblica, in quanto  cio'  si
sarebbe tradotto in una ampissima facolta' di deroga del  Governo   -
rispetto dalle norme dallo stesso proposte -  in  favore  di  singoli
soggetti dallo stesso individuati, suscitando profili di problematica
coesistenza con i principi di legalita' ed uguaglianza  davanti  alla
legge sanciti dal nostro ordinamento. 
    12 -   Che,   avendo   l'Amministrazione   dato    legittimamente
applicazione all'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013  alla
stregua delle pregresse considerazioni, il Collegio deve esaminare le
plurime questioni di possibile  illegittimita'  costituzionale  della
medesima -  rilevante  e  delicatissima-disposizione,  sollevate  dal
ricorrente - ma deducibili d'ufficio ed in tal senso integra,te anche
da questo Collegio - per la possibile violazione degli  artt.  3,  4,
36, 38, 53, 97, 100, 101, 104, 108 e 117 della.  Costituzione,  anche
in riferimento all'art. 6 della CEDU; 
    13 - Che la rilevanza delle indicate  questioni  di  legittimita'
costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare  dubbia
alla  luce  dell'esposizione  dei  fatti  di  causa,  atteso  che   i
provvedimenti impugnati trovano un'indefettibile base  normativa  nel
citato art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, di modo che il
suo  eventuale   annullamento   per   illegittimita'   costituzionale
comporterebbe l'illegittimita'  derivata  degli  atti  amministrativi
impugnati con conseguente accoglimento del ricorso che  altrimenti  -
alla  stregua  delle  pregresse  considerazioni -   dovrebbe   essere
respinto, almeno per la parte di maggiore interesse e  salvo  passare
all'esame delle parimenti impugnate specifiche modalita' applicative,
fermo restando - osserva altresi' il Collegio - che la  sopraindicata
stabilita' nel tempo della nomina del ricorrente alla Corte dei Conti
radicherebbe  un  suo  interesse  strumentale  anche  ai  fini  della
novazione della disciplina che seguirebbe ad una eventuale  pronuncia
additiva o interpretativa della Corte costituzionale; 
    14 - Che ben piu' complesso e' il  vaglio  della  «non  manifesta
infondatezza» dei numerosi profili di  illegittimita'  costituzionale
sopra indicati, riservato al giudice a quo. Non  fondata  appare,  in
primo luogo, la censura di violazione dell'art. 3 Cost.  riferita  al
trattamento irragionevolmente  deteriore  e  discriminatorio  che  la
norma avrebbe riservato al ricorrente sia quanto all'applicazione  di
un tetto economico incompatibile  proprio  con  gli  stessi  percorsi
professionali e di carriera che ne avevano motivato la scelta per  la
Corte  dei  Conti,  sia  quanto  alla  mancata  estensione  nei  suoi
confronti della deroga in sede di prima  applicazione  prevista  solo
per gli altri funzionari e dipendenti  al  servizio  delle  pubbliche
Amministrazioni  contrattualizzati  o  titolari  di   «incarichi»   e
«contratti» a tempo determinato (ma rinnovabili senza limiti). 
    Al riguardo il ricorrente deduce che ogni prestazione puo' essere
indifferentemente resa in regime pubblicistico o privatistico, ovvero
sulla base di un contratto individuale o  della  generale  disciplina
delle mansioni affidate al personale appartenente ad  un  determinato
ruolo, senza che cio' determini una diversita' ontologica tra  questa
o quella prestazione o fra questa o quella categoria  di  lavoratori,
ne' a tal fine  puo'  fungere  la  differente  durata  del  rapporto,
perche' anche un  contratto  puo'  ben  essere  (ed  e'  normalmente)
rinnovato a tempo indeterminato. 
    Al contrario, considera il Collegio che la  scelta  fra  l'uno  e
l'altro regime spetta alla discrezionalita' del legislatore e non  e'
oggetto del presente giudizio, che il tetto di legge a retribuzioni e
pensioni  -  come  gia'  sopra  indicato-  trova   un   indefettibile
condizione di legittimita' costituzionale proprio nella sua  generale
applicabilita' a tutte le analoghe fattispecie poste  a  cadco  della
finanza pubblica e che l'esistenza di una deroga per i  contratti  in
corso, pur ontologicamente diversi  dalla  fattispecie  in  esame  in
quanto non assistiti da specifiche garanzie di  stabilita',  potrebbe
quindi  -  ove  cio'  fosse  oggetto  del  giudizio-  essere  casomai
sottoposta a vaglio costituzionale  sotto  il  profilo  dell'indebita
posizione di vantaggio riservata ai beneficiari. 
    La  questione  in  esame  si  rivela  pertanto,  a   giudizio del
Collegio, non fondata; 
    15 - Che, quanto al possibile profilo di illegittimita' dell'art.
1, comma 489, della legge n. 147 del 2013 per violazione del prindpio
della tutela dell'affidamento, di cui agli artt. 3 e  117,  comma  1,
della Costituzione e 6 della CEDU, il Collegio osserva che la  stessa
giurisprudenza della Corte di giustizia ha espressamente chiarito che
questo principio e' fondamentale  nell'ordinamento  europeo:  fra  le
altre, la sent. CGUE, 14 settembre 2006,  cause  riunite  C-181/04  e
C-183/04, ha sancito che  «i  principi  della  tutela  del  legittimo
affidamento c della certezza del diritto fanno parte dell'ordinamento
giuridico  comunitario;  pertanto  devono  essere  rispettati   dalle
istituzioni comunitarie ma anche dagli  Stati  membri  nell'esercizio
dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie»),  mentre  sul
piano interno la migliore dottrina  e  giurisprudenza  gli  riconosce
valenza aistituzionale alla stregua dei principi di legalita' (art. 1
Cost.), e di.  riconoscimento  e  garanzia  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo (art. 2) in condizioni di eguaglianza  davanti  alla  legge
(artt. 3 e 97). 
    Al  riguardo,  riconosciuta  la  piena  operativita'  nel  nostro
ordinamento del principio di tutela della certezza  giuridica  e  del
legittimo affidamento, il Collegio rinvia  a  quanto  gia'  osservato
nell'esame  della  medesima  questione  quale  possibile   vizio   di
illegittimita' nell'applicazione della stessa norma. In  particolare,
il  nuovo  tetto  economico  in  esatne   risponde   agli   obiettivi
d'interesse pubbb.co  generale  lasciali  alla  discrezionalita'  dei
singoli Stati  quanto  al  contenimento,  alla  trasparenza  ed  alla
congruita'  della  spesa  pubblica,  nel   quadro   dei   doveri   di
solidarieta'. sociale di cui all'art.  2  della  Costituzione  e  dei
principi di buon andamento dell'amministrazione di cui  all'art.  97,
mentre la Corte costituzionale ha piu' volte chiarito  che,  salvi  i
limiti in materia penale derivatiti dall'art. 25, comma 2, Cost., non
e' in linea di principio  precluso  al  legislatore  intervenire  per
mutare la disciplina dei rapporti di durata in  corso,  anche  con  -
disposizioni  che  modificano   in   senso   sfavorevole   situazioni
soggettive perfette, purche' nel limite del rispetto del principio di
eguaglianza ex art. 3  Cost.  e  del  principio  di  affidamento  dei
cittadini nella sicurezza giuridica, che - come sopra chiarito -  non
appaiono violati nella fattispecie in esame (in senso conforme, Corte
cost., sentt. n. 92 del 2013, n. 166 del 2012, n. 525  del  2000,  n.
211 del 1997, n. 409 del 1995), 
    Anche la. questione  di  legittimita'  ora  esaminata  si  palesa
pertanto non fondata; 
    16 - Che ugualmente non fondata - salvo quanto si dira' al numero
successivo - e', a giudizio del Collegio, la possibile  questione  di
legittimita' per  violazione  degli  artt.  3  e  53  Cost.  riferita
all'effetto della disposizione in esarne di trattenimento forzoso  di
una parte (ampia) della remunerazione dell'attivita' lavorativa,  che
corrisponderebbe all'imposizione di. un  prelievo  fiscale  speciale,
ovvero di un prelievo di natura tributaria perche' imposto a, fini di
finanza pubblica e incidente  in  beni  materiali  dei  percossi,  ma
discriminatoti in quanto gravante solo  sui  pensionati  titolari  di
incarichi  o  rapporti  di  lavoro  pubblici,  lasciando  indenne  la
posizione dei pensiona che prestino servizio alle  dipendenze  di  un
datore di lavoro privato o eserdtino attivita' libero-professionale. 
    Infatti,  considera  il  Collegio,  le  desciitte  finalita'   di
contenitnento, trasparenza e razionalizzazione della  spesa  pubblica
determinano, non irragionevolmente,  una.  progressiva  decurtazione,
disciplinata  ex   lege,   dei   possibili   ulteriori   redditi   al
raggiungimento del tetto prefissato, indifferenziatamente applicata a
tutti i compensi comunque posti  a  carico  della  finanza  pubblica,
senza che cio' possa generare, proprio  per  la  sua  trasversalita',
indebite disparita' di trattamento, divenendo quindi  non  rilevante,
ai fini del giudizio a quo,  la  sua  invocata  qualificazione  quale
imposizione fiscale, che sembra comunque doversi escludere, in quanto
la legge, in estrema sintesi, pone un «tetto» a regime all'erogazione
a chiunque di somme a titolo  retributivo  e  pensionistico  poste  a
carico della finanza pubblica, anziche' imporre un  prelievo  forzoso
sulle  somme  percepite  dal  singolo  interessato  oltre  il   tetto
prefissato. 
    17 - Che a conclusioni piu' articolate si presta la questione  di
possibile illegittimita' dell'art. 1, comma 489, della legge  n.  147
del 2013 per violazione degli artt. 3, 4, 36, 38 e 97  nonche'  dagli
artt. 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, in quanto il meccanismo
del tetto massimo degli  emolumenti  comporta  che  la  remunerazione
della  funzione  di  consigliere  della  Corte  dei   conti   risulti
fortemente ridotta o  del  tutto  azzerata,  con  una  corrispondente
decurtazione dei contributi  previdenziali  e,  di  conseguenza,  del
trattamento pensionistico derivante dall'accumulo  di  tale  montante
contributivo, con la possibile violazione del diritto al lavoro e  ad
una retribuzione «proporzionata alla quantita' e qualita'» del lavoro
prestato, potendone altresi' conseguire una disparita' di trattamento
fra  soggetti  svolgenti  la  medesima  attivita',  una   irrazionale
organizzazione amministrativa ed un  indebolimento  delle  necessarie
garanzie di indipendenza nell'esercizio delle funzioni affidate. 
    Al riguardo  il  Collegio  ritiene  che  debba  essere  preso  in
considera.zione  non  il  pur   elevatissimo   standard   qualitativo
dell'attivita' svolta da funzionari pubblici in possesso di un  grado
di preparazione di assoluta eccellenza per aver ricoperto in anni  di
servizio alle dipendenze  dello  Stato  cariche  apicali  (avendo  di
conseguenza maturato l'elevato trattamento pensionistico «causa»  del
taglio del compenso), in quanto cio' potrebbe giustificare  anche  un
incarico «onorario», in ipotesi anche del tutto gratuito,  bensi'  la
circostanza  dello  svolgimento  continuativo,  con  lo  stabile   ed
organico inserimento nel relativo organico e con particolari garanzie
di stabilita', della funzione di Consigliere della Corte  dei  conti,
con l'assunzione da  parte  dell'interessato  di  tutte  le  connesse
prerogative e delicate e - non da oggi -  rilevanti  responsabilita',
di natura professionale e civile, per il proprio operato. 
    I tratti fondamentali  dell'attivita'  professionale  stabilmente
svolta dal ricorrente, a seguito della nomina alla Corte  dei  Conti,
sotto la propria responsabilita' e con  pieno  inserimento  organico,
nell'ambito di una «magistratura togata» vale  dunque  a  configurare
l'esercizio di una vera e  propria  e  stabile  attivita'  lavorativa
professionale, differenziando la fattispecie in  esame  dai  numerosi
casi di svolgimento (talvolta essenzialmente  gratuito)  di  pubblici
uffici «onorari», di volta in volta  motivati  da  alte  e  peculiari
competenze (come accade per i Tribunali per i minori) o da meccanismi
di  sorteggio  nell'ambito  di  platee  in  possesso  di  particolari
requisiti (come  accade  per  le  giurie  popolari),  anche  ai  fini
dell'esercizio della sovranita' popolare (come  accade  per  i  seggi
elettorali); 
    18 -  Che  in  tal  modo  la  scelta  dello  Stato,  mediante  la
disposizione di legge in esame, di continuare ad avvalersi del  pieno
apporto professionale del  ricorrente  (nulla  la  norma  dicendo  al
riguardo,  salve  le  sue  eventuali  dimissioni  per   evitare,   in
applicazione dell'art. 1 , comma 489, della legge n. 147 del 2013, di
prestare attivita' lavorativa non retribuita o retribuita in  maniera
estremamente   esigua),   anziche',   disciplinare    normativa,mente
l'ipotesi in esame  (ad  esempio,  prevedendo  la.  decadenza  o  una
opzione per funzioni piu' limitate  e  retribuite  in  minor  misura,
oppure del tutto onorarie e gratuite) rna  al  tempo  stesso  di  «di
auto-esonerarsi» in tutto o in parte  dalla  loro  retribuzione  (non
ponendo alcuna deroga al tetto a  tale  riguardo),  pur  avendo  esso
Stato chiesto all'interessato di svolgere tale prestazione lavorativa
mediante  la  proposta  di  nomina  alla   funzione   (ordinariamente
retribuita) di Consigliere della Corte dei  Conti  -  dichiaratamente
motivata  dalla  sua  eccellenza  professionale  in   ragione   della
delicatezza e quindi dell'impegno delle funzioni da svolgete - appare
costituzionalmente  irragionevole,  con  la   conseguente   possibile
violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione,  quanto  al
diritto ad una retribuzione proporzionata alla  quantita'  (oltreche'
alla qualita') del  lavoro,  nonche',  indirettamente,  dell'art.  38
della Costituzione, in quanto la  drastica  riduzione  o  addirittura
l'azzeramento  della  retribuzione  -  e  qui   di   della   relativa
contribuzione  - precludono  la  conseguente  implementazione   della
tutela assistenziale e previdenziale garantita dall'ordinamento; 
    19 - Che medesime considerazioni  conducono  a  far  ritenere  la
possibile violazione degli  articoli  3,  primo  comma,  e  97  della
Costituzione,  sotto  un  duplice  profilo  -  diverso  ed  ulteriore
rispetto a quelli esaminati ai punti precedenti- in quanto,  premessa
la  determinazione  delle  sfere  di   competenza,   attribuzioni   e
responsabilita' in modo indifferenziato per i Consiglieri di concorso
ovvero di nomina governativa, la disposizione di legge  che  pone  il
tetto retributivo e pensionistico - e quindi differenzia  nell'ambito
di questi ultimi fra quelli retribuiti, ovvero privi in  tutto  o  in
parte di retribuzione a seguito del raggiungimento del  tetto,  senza
disciplinare la loro sorte, potrebbe essere ritenuta suscettibile  di
determinare, da un lato, una ingiustificata disparita' di trattamento
quanto alla retribuzione ovvero mancata retribuzione  della  medesima
attivita'   professionale,   e,   dall'altro,    una    irragionevole
organizzazione contraria al buon  andamento  amministrativo  mediante
l'indifferenziato affidamento,  a  titolo  oneroso  ovvero  a  titolo
parzialmente  o  del  tutto  gratuito,  di  funzioni  di   dichiarata
rilevanza, impegno e delicatezza , atteso che anche  la  retribuzione
dei funziona.ri pubblici deve rispondee - alla stregua del  Trattato,
della  Convenzione  europea  e  degli  articoli   36   e   97   della
Costituzione,  ad  un  rapporto   sinallagrnatico   («proporzionato»)
riguardo alla quantita' e qualita' del  lavoro  svolto,  non  potendo
quindi essere considerati fungibili il trattamento pensionistico  per
un'attivita' precedente e il compenso per un'attivita' in  atto,  ove
consentita  nell'ambito  dei  diritti  di  liberta'  garantiti  dalla
Costituzione; 
    20 - Che a giudizio del Collegio sembra potersi parimenti dedurre
la violazione dagli arti. 100,  101,  104  e  108  Cost.,  quanto  al
possibile  vulnus  allo  status  di  indipendenza  ed  autonomia  dei
magistrati,  protetto  dalle  predette  disposizioni  costituzionali.
Infatti, la Corte costituzionale, nel decidere questioni  concernenti
norme  aventi  ad   oggetto   la   retribuzione   e   la   disciplina
dell'adeguamento  retributivo  dei  magistrati,  ha   affermato   che
l'indipendenza  degli  organi  giurisdizionali  si   realizza   anche
mediante rapprestarnento di garanzie circa lo status  dei  componenti
concernenti,  fra  l'altro,  la  progressione  in  carriera   ed   il
trattamento economico (cosi', fra le altre, sentenza n. 1  del  1978)
che, in un assetto costituzionale dei poteri dello Stato che vede  la
magistratura  come  ordine  autonomo  ed  indipendente,  non  possono
esaurirsi in un mero rapporto di lavoro, in cui il  contraente-datore
di lavoro possa  al  contempo  essere  parte  e  regolatore  di  tale
rapporto (Corte cost., sent. n. 223 del 2012). 
    21 - Che l'accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della
predetta questione incidentale  di  legittimita'  costituzionale  del
citato art. 1, comma 489, della legge n. 147  del  2013  nei  termini
sopra evidenziati determina la necessita' di rimettere  gli  atti  di
causa alla Corte costituzionale sospendendo il presente giudizio fino
alla sua decisione, ed esime il Collegio, allo stato,  dal  procedere
all'esame delle ulteriori censure sopra individuate, che, riguardando
le  modalita'  applicative  della  norma  quanto  individuazione  del
«tetto» ed alle sue conseguenze sul piano  contributivo-previdenziale
, risponderanno ad un  interesse  attuale  del  ricorrente  solo  ove
risulti   possibile   applicare   legittimamente   la    disposizione
sopraindicata alle fattispecie oggetto del presente giudizio. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale  Amministrativo  Regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Prima), pronunciando sul ricorso, come in  epigrafe  proposto,  visti
gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1  e  23  della  legge  11
marzo 1953 n. 87, riservata ogni altra pronuncia nel merito  e  sulle
spese, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  Costituzionale,  meglio  evidenziata  in  premessa,
dell'art. 1, comma  489,  della  1.  27  dicembre  2013,  n.  147  in
relazione agli articoli 3, 4, 36, 38, 97, 100, 101, 104 e  108  della
Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  Sezione,  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti costituite e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva al definitivo ogni statuizione  in  rito,  nel  merito  e
sulle spese. 
 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  25
febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati: 
 
      Giulia Ferrari, Presidente FF; 
      Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore; 
      Ivo Correale, Consigliere. 
 
                       Il Presidente: Ferrari 
 
 
                                                 L'estensore: Sestini