N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 ottobre 2015

Ordinanza dell'8 ottobre 2015 del Tribunale amministrativo  regionale
per la Puglia sul ricorso  proposto  da  Ferrara  Marcello  ed  altri
contro Regione Puglia. 
 
Lavoro - Medici incaricati definitivi degli istituti  penitenziari  -
  Orario di lavoro - Tetto massimo di quarantotto ore settimanali. 
- Legge della Regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in
  materia di sanita' e servizi sociali), art. 21, comma 7. 
(GU n.4 del 27-1-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA PUGLIA 
                          (Sezione seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  926  del  2014,  proposto  da:  Marcello  Ferrara,
Saverio Schinzari, Virginia Greco, Antonio  Galati,  Angelo  Santoro,
Giuseppe D'Andria, Orlando Furioso, Michele Lanzilotti,  Giuseppe  De
Carlo, Luciano  Rana,  Giacomo  Di  Corato,  rappresentati  e  difesi
dall'avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto  presso  il  suo
studio in Bari, via Putignani n. 168, contro la  regione  Puglia,  in
persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa  dall'avv.
Francesco Silvio Dodaro, con domicilio eletto presso il suo studio in
Bari,  via  F.S.  Abbrescia  n.  83/B,   per   l'annullamento   della
deliberazione di giunta regionale n. 1076 del 27 maggio  2014,  nella
parte in cui nel richiamare tutte le ASL al rispetto della  normativa
nazionale ed europea in materia di orario di lavoro che individua  il
tetto massimo di 48 ore settimanali,  ha  stabilito  che  le  carenze
orarie che si andranno a ravvisare dovranno essere  coperte  mediante
l'utilizzo  del  personale  dipendente  della  ASL  ovvero   mediante
completamento dell'orario dei medici di continuita' assistenziale  in
forza alla ASL o con attribuzione di nuovi incarichi  di  continuita'
assistenziale; nonche' di  ogni  altro  atto  a  questo  presupposto,
connesso e conseguente. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della regione Puglia; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  1°  aprile  2015  la
dott.ssa Paola Patatini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  avv.
Raffaele Guido  Rodio  e  avv.  Luigi  Deramo,  su  delega  dell'avv.
Francesco S. Dodaro. 
    Con il ricorso  in  epigrafe,  i  ricorrenti,  dirigenti  medici,
medici di base e medici specialisti presso le ASL, svolgenti servizio
presso alcune case circondariali  pugliesi  con  rapporto  di  lavoro
disciplinato dalla legge n. 740/1970, hanno impugnato la delibera  di
giunta regionale in oggetto,  che  ha  richiamato  tutte  le  aziende
sanitarie al rispetto della normativa che individua il tetto  massimo
orario di lavoro  in  48  ore  settimanali,  stabilendo  altresi'  le
modalita' con cui sopperire ad eventuali carenze  orarie  all'interno
degli istituti  di  pena  derivanti  dall'applicazione  del  suddetto
limite. 
    Il contenzioso in esame concerne infatti la  vicenda  applicativa
conseguente all'approvazione della legge regionale n. 4/2010, con cui
la regione Puglia ha inteso  dettare  norme  urgenti  in  materia  di
sanita' e servizi sociali, prevedendo  in  particolare  all'art.  21,
comma 7, in materia di personale degli istituti penitenziari, che «ai
contratti di lavoro di cui ai commi 5 e 6, nonche' nei confronti  dei
medici  incaricati  definitivi,  si  applicano  le  deroghe  previste
dall'art.  2  della  legge  n.  740/1970  (...)  nel  rispetto  della
normativa  nazionale  ed  europea  in  tema  di  orario  di   lavoro,
individuando il tetto massimo orario in quarantotto ore settimanali». 
    Invero, la figura dei cd. «medici incaricati» e' stata introdotta
e disciplinata per la prima volta  dall'art.  1,  legge  n.  740/1970
(Ordinamento delle categorie  di  personale  sanitario  addetto  agli
istituti di prevenzione e pena non  appartenenti  ai  ruoli  organici
dell'Amministrazione penitenziaria), che  cosi'  qualifica  i  medici
«non appartenenti al personale civile di  ruolo  dell'Amministrazione
degli istituti di prevenzione e di pena, i  quali  prestano  la  loro
opera presso gli istituti o servizi dell'amministrazione stessa». 
    In base alla predetta disciplina statale dunque,  le  prestazioni
rese da questi  ultimi  non  ineriscono  ad  un  rapporto  di  lavoro
subordinato,  ma  sono   inquadrabili   nella   prestazione   d'opera
professionale  in  regime  di  parasubordinazione,  come   la   Corte
costituzionale ha piu' volte  riconosciuto  (da  ultimo  sentenza  n.
149/2010) affermando che, diversamente dagli  impieghi  civili  dello
Stato,  i  medici  incaricati  possono  esercitare   liberamente   la
professione e assumere altri impieghi o incarichi. 
    Sotto tale aspetto, la natura giuridica del contratto  di  lavoro
di tali figure non  e'  stata  alterata  dal  loro  trasferimento  al
Servizio sanitario regionale in forza del decreto del Presidente  del
Consiglio dei ministri 1° aprile 2008. 
    I ricorrenti infatti, sono transitati presso le ASL  pugliesi  ed
inseriti in un apposito ruolo unico, fino alla scadenza dei  relativi
rapporti  di  lavoro,  per  effetto  del  sopra  citato  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha altresi'  disposto
che i rapporti di lavoro, instaurati ai sensi della legge n. 740/1970
e trasferiti alle Aziende sanitarie  locali  del  Servizio  sanitario
nazionale nei cui territori sono ubicati gli istituti penitenziari di
riferimento, continuino ad  essere  disciplinati  dalla  legge  sopra
citata fino alla relativa scadenza. 
    Ora, l'art. 2 della legge n. 740 cit. stabilisce  in  particolare
che «ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla
incompatibilita' e al cumulo  di  impieghi  ne'  alcuna  altra  norma
concernente gli impiegati civili dello Stato. A tutti  i  medici  che
svolgono, a qualsiasi titolo, attivita'  nell'ambito  degli  istituti
penitenziari non sono applicabili altresi' le incompatibilita'  e  le
limitazioni  previste  dai  contratti  e  dalle  convenzioni  con  il
Servizio sanitario nazionale». 
    In ragione di tale disposizione, le parti, dirigenti medici,  pur
svolgendo servizio presso gli istituti penitenziari, prestano  quindi
attivita' anche in qualita' di medici ospedalieri o medici di base  o
medici del Servizio sanitario nazionale. 
    La regione Puglia, come sopra visto, pur riconoscendo  ai  medici
«incaricati»  degli  istituti  le  deroghe  stabilite   dalla   legge
nazionale, con l'art. 21, comma 7, legge regionale citata, ha fissato
per essi il tetto massimo orario di lavoro in 48 ore settimanali, nel
rispetto della normativa nazionale ed europea in tema di lavoro. 
    I ricorrenti  hanno  quindi  impugnato  la  delibera  in  oggetto
applicativa della  norma  in  questione,  chiedendone  l'annullamento
previa sospensione, per i seguenti motivi  di  seguito  sintetizzati:
illegittimita'   derivata    in    conseguenza    dell'illegittimita'
costituzionale del comma 7, art. 21, legge regionale  n.  4/2010  per
violazione dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    Violazione e falsa applicazione di legge,  con  riferimento  agli
articoli 2 e 14, legge n. 740/1970, art. 17, decreto  legislativo  n.
66/2003, art. 17, direttiva  n.  88/2003,  art.  3  del  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008. 
    Eccesso di  potere  sotto  diversi  profili;  chiedendo  altresi'
l'eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale,  nonche'
il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per  il  contrasto
tra la normativa regionale e la disciplina comunitaria sull'orario di
lavoro. 
    Con successivo  atto,  depositato  in  data  29  luglio  2014,  i
ricorrenti hanno inoltre presentato domanda  di  adozione  di  misure
cautelari monocratiche provvisorie ex art. 56 c.p.a.,  che  e'  stata
tuttavia respinta con decreto presidenziale n. 435/2014. 
    La regione Puglia si e'  costituita  in  giudizio,  chiedendo  il
rigetto dell'avversa impugnativa perche' inammissibile e infondata. 
    Alla successiva Camera di consiglio del 3 settembre  2014,  parti
ricorrenti  hanno  rinunciato  all'istanza  cautelare   e   all'esito
dell'udienza pubblica del 1° aprile 2015, fatte  discutere  le  parti
sul profilo della giurisdizione  ai  sensi  dell'art.  73,  comma  3,
c.p.a.,  la  causa  e'  stata  introitata  in  riservata   decisione,
definitivamente sciolta in data 16  aprile  2015,  e  successivamente
riportata in Camera di consiglio il  3  giugno  2015  con  modificata
decisione. 
    Il  Collegio  infatti,   ritenuta   sussistente,   ad   un   piu'
approfondito esame, la propria giurisdizione,  ha  ravvisato  la  non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata
dai ricorrenti. 
    Prima ancora, la questione di legittimita' costituzionale  appare
rilevante  nel  presente  giudizio,  in  quanto  la  norma  regionale
censurata preclude il percorso che  porterebbe  all'accoglimento  del
ricorso atteso che l'atto gravato  costituisce  diretta  e  immediata
conseguenza della sua applicazione. 
    Invero, la circostanza che il giudizio non possa essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della suddetta  questione  emerge
alla luce della stessa esposizione dei fatti di causa, atteso che  il
provvedimento impugnato trova  un'indefettibile  base  normativa  nel
piu' volte citato art. 21, comma 7, legge regionale, di modo che solo
il  suo  eventuale  annullamento  per  illegittimita'  costituzionale
comporterebbe l'illegittimita' derivata della  delibera  impugnata  e
degli  eventuali  successivi  atti  applicativi  con  il  conseguente
accoglimento del ricorso che  altrimenti  dovrebbe  essere  respinto,
avendo l'Amministrazione operato in  virtu'  della  citata  normativa
regionale. 
    Ne'   il   Collegio    ravvisa    un'interpretazione    normativa
costituzionalmente orientata, della norma regionale censurata. 
    Passando quindi all'esame della non manifesta infondatezza  della
questione, e' opportuna una breve ricognizione del  quadro  normativo
di riferimento. 
    In particolare, la direttiva  2003/88/CE  del  4  novembre  2003,
concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro,
ha stabilito all'art. 6 che la durata media dell'orario di lavoro per
ogni periodo di sette giorni non superi 48 ore, comprese  le  ore  di
lavoro straordinario, prevedendo  altresi'  all'art.  17  una  deroga
quando si tratti di dirigenti o di altre  persone  aventi  potere  di
decisione autonomo. 
    La normativa comunitaria ha  trovato  attuazione  in  Italia  col
decreto legislativo n. 66/2003 che ha riportato quasi testualmente il
contenuto della direttiva, statuendo all'art. 17, comma 5,  che  «nel
rispetto dei principi generali della  protezione  della  sicurezza  e
della salute dei lavoratori, le disposizioni  di  cui  agli  articoli
..., 4 (relativo alla durata massima dell'orario di lavoro,  n.d.r.),
... non si applicano ai  lavoratori  la  cui  durata  dell'orario  di
lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attivita' esercitata,  non
e' misurata o predeterminata o puo' essere determinata dai lavoratori
stessi e, in particolare, quando si tratta: 
        a) di dirigenti, di personale direttivo delle  aziende  o  di
altre persone aventi potere di decisione autonomo ... (omissis). 
    Con l'art. 41, comma 13, decreto-legge n. 112/2008, convertito in
legge n. 133/2008, il legislatore nazionale ha poi previsto  che  «Al
personale delle aree dirigenziali degli  enti  e  delle  aziende  del
Servizio sanitario nazionale, in ragione della qualifica posseduta  e
delle  necessita'  di  conformare  l'impegno  di  servizio  al  pieno
esercizio della responsabilita'  propria  dell'incarico  dirigenziale
affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7
del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66». 
    In tale quadro, si e' quindi inserito  il  legislatore  regionale
che, con l'art. 21 della legge censurata, ha previsto all'art. 7, che
«Ai contratti di lavoro di cui ai commi  5  e  6  -  gia'  dichiarati
incostituzionali dal Giudice delle leggi con sentenza n. 68/2011  per
contrasto con l'art. 117,  comma  2,  lettera  l),  Cost.,  n.d.r.  -
nonche' nei confronti dei medici incaricati definitivi, si  applicano
le deroghe  previste  dall'art.  2  della  legge  n.  740/1970,  come
modificato dall'art. 6 del decreto-legge  14  giugno  1993,  n.  187,
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto  1993,  n.  296,
nel rispetto della normativa nazionale ed europea in tema  di  orario
di lavoro, individuando il tetto massimo orario  in  quarantotto  ore
settimanali (art. 6 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 4 novembre 2003)». 
    Assumono  quindi   i   ricorrenti   che   la   norma   regionale,
disciplinando  l'orario  di  lavoro  del  personale  degli   istituti
penitenziari, avrebbe  invaso  la  materia  dell'ordinamento  civile,
invece riservata alla legislazione esclusiva nazionale, in violazione
dell'art. 117, comma 2, Cost. 
    A  giudizio  del  Collegio,  invero,  la  questione  appare   non
manifestamente infondata alla luce del quadro comunitario e nazionale
come  sopra  ricostruito,  non  potendosi  infatti   condividere   le
argomentazioni della difesa dell'Amministrazione regionale, la  quale
sul punto ha ritenuto  che  la  regione  Puglia  si  sia  limitata  a
riprodurre il contenuto di  una  disposizione  comunitaria,  trasfusa
fedelmente nel nostro  ordinamento  con  il  decreto  legislativo  n.
66/2003, argomentando altresi' che le  uniche  deroghe  possibili  al
tetto   massimo   sarebbero    quelle    espressamente    subordinate
all'emanazione di  apposito  decreto  da  parte  del  Ministro  della
funzione  pubblica,   o   alla   contrattazione   collettiva,   nella
fattispecie non intervenuti. 
    Tuttavia, il Collegio deve rilevare  che  le  ipotesi  richiamate
dall'Amministrazione quali  le  uniche  deroghe  possibili  al  tetto
massimo  orario,  fanno  chiaramente  riferimento  ad  altre  ipotesi
derogatorie previste dal  diverso  comma  2,  dell'art.  17,  decreto
legislativo n. 66 citato, e non  gia'  a  quelle,  applicabili  nella
fattispecie, previste dal successivo comma 5, lettera a), e dall'art.
41, comma 13, decreto-legge  n.  112/2008,  convertito  in  legge  n.
133/2008. 
    Pertanto,  la  regione  non  si  sarebbe  limitata  a  riprodurre
fedelmente la normativa nazionale, e prima ancora europea, in materia
di orario di lavoro, ma, fissando autoritativamente il  tetto  orario
senza fare salve tutte le diverse ipotesi  derogatorie  previste  dal
legislatore   nazionale   nonche'   quello    comunitario,    avrebbe
illegittimamente  invaso  la  materia   riservata   alla   competenza
esclusiva del primo in materia di ordinamento civile  ed  altresi'  -
rilevandolo d'ufficio - in spregio  all'art.  117,  comma  1,  Cost.,
avrebbe   legiferato   nell'inosservanza   dei   vincoli    derivanti
dall'ordinamento comunitario. 
    Alla stregua di quanto sopra, la decisione del  presente  ricorso
presuppone  quindi  la  previa   delibazione   della   questione   di
costituzionalita' della norma applicata  (art.  21,  comma  7,  della
legge regionale Puglia n. 4/2010) in relazione all'art. 117, comma  1
e comma 2, lettera l), Cost. 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953,
ritenendola  rilevante  e  non   manifestamente   infondata,   questo
Tribunale  solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale   nei
termini sopra enunciati, con rimessione  degli  atti  di  causa  alla
Corte  costituzionale  e  sospensione  del  giudizio  fino  alla  sua
decisione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
italiana, ai sensi e per gli effetti di cui agli  articoli  79  e  80
c.p.a. e 295 c.p.c. 
    Va riservata alla sentenza definitiva ogni  ulteriore  decisione,
nel merito e sulle spese. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Puglia,  sede  di
Bari, Sezione seconda, pronunciando sul  ricorso,  come  in  epigrafe
proposto, visti gli articoli 79, comma  1,  c.p.a.  e  23,  legge  n.
87/1953,  ritenuta  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 7, della
legge regione Puglia n. 4/2010 in relazione all'art. 117, commi  1  e
2, lettera l), Cost.,  dispone  la  sospensione  del  giudizio  e  la
rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Rinvia ogni definitiva statuizione nel merito e  sulle  spese  di
lite all'esito del  promosso  giudizio  incidentale  ai  sensi  degli
articoli 79 e 80 c.p.a. 
    Ordina che a cura della  Segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata  alla  parti  costituite  e  al  Presidente  della  giunta
regionale della regione Puglia, nonche' comunicata al Presidente  del
Consiglio regionale. 
    Cosi' deciso in Bari nelle Camere  di  consiglio  dei  giorni  1°
aprile 2015, 16 aprile 2015 e 3 giugno  2015,  con  l'intervento  dei
magistrati: 
        Antonio Pasca, Presidente; 
        Giacinta Serlenga, Primo Referendario; 
        Paola Patatini, Referendario, Estensore. 
 
                        Il Presidente: Pasca 
 
 
                                                L'Estensore: Patatini