N. 50 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 settembre 2014
Ordinanza del 23 settembre 2014 emessa dal Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Ricco' Roberto. Reati e pene - Falsa testimonianza - Mancata previsione, analogamente a quanto previsto per il reato di false informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371-bis cod. pen.) che, ferma l'immediata procedibilita' nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere. - Codice penale, artt. 372 e 371-bis, comma secondo.(GU n.11 del 16-3-2016 )
IL TRIBUNALE DI VERONA Il giudice, dott. Giorgio Piziali, nel procedimento a carico di Riccio' Roberto, imputato della violazione dell'art. 372 c.p. per avere reso una falsa testimonianza in un processo civile. In esito alla discussione delle parti, esaurita l'istruttoria dibattimentale, si e' ritenuto che la norma penale contestata fosse in contrasto con la Costituzione, nella parte in cui, difformemente da altre disposizioni che disciplinano situazioni del tutto analoghe (segnatamente gli articoli 371-bis c.p. e 371-ter c.p.), impone di procedere e di giungere anche alla decisione finale sulla falsita' resa in altro processo, malgrado questo sia ancora in corso e in esso possa ancora intervenire una ritrattazione. Sentite le parti all'udienza del 2 aprile 2015 osserva quanto segue. 1. Non manifesta infondatezza. Appare indubbio a questo giudice che la questione non sia manifestamente infondata in relazione, per prima cosa, al parametro costituzionale di cui all'art. 3 della Costituzione, in riferimento a due aspetti. Il primo, per la difformita' radicale di posizione che viene a concretizzarsi tra l'imputato accusato di falsa testimonianza e l'imputato accusato di aver reso false dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore. Il secondo, per la difformita' radicale di posizione che viene a realizzarsi tra i vari accusati di falsa testimonianza, a seconda del casuale andamento del procedimento nel quale hanno reso la testimonianza, rispetto al procedimento nel quale sono accusati. Ma la disciplina attualmente vigente mostra profili di contrasto (non manifestamente infondati) anche rispetto al parametro costituzionale di cui all'art. 24, comma 2, della Costituzione, nonche' dell'art. 110 della Costituzione, per ulteriori due profili. Il primo, perche' consentendo (diversamente da quanto previsto per il caso di false dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore) che possa pervenirsi ad un giudizio di condanna prima che sia decorso il termine previsto per effettuare la ritrattazione si comprime il diritto di difesa, impedendo all'imputato di utilizzare tutti gli strumenti e istituti sostanziali e processuali che possono permettere di evitare la condanna. Il secondo, perche' in ragione di quella stesa disciplina si consente la compressione della liberta' di autodeterminazione del teste, con cio' compromettendo l'affidabilita' della decisione e, quindi, la natura «giusta» del processo. 1.a. Per venire nel dettaglio ad esplicitare la questione si deve prendere le mosse dalla specifica vicenda processuale. Nell'ambito di un procedimento civile, introdotto da Stefano Boninsegna contro il comune di Tevenzuolo e contro Renzo Ricco', per ottenere il riconoscimento del suo acquisto tramite usucapione di un'area di sedime di una vecchia strada consortile denominata «del Sacco», e' stato esaminato come testimone, all'udienza dell'11 ottobre 2012, l'attuale imputato Roberto Ricco'. L'attore della causa civile Stefano Boninsegna, avendo ritenuto le dichiarazioni testimoniali rese dal Roberto Ricco' in quella sede false, ha presentato una denuncia per falsa testimonianza alla locale Procura della Repubblica. A seguito di quella denuncia la locale Procura della Repubblica ha elevato un'imputazione per falsa testimonianza nei confronti dello stesso dello stesso Roberto Ricco' e in data 20 novembre 2013 si e' pervenuti al suo rinvio a giudizio davanti a questo giudice. Dopo l'esaurimento dell'istruttoria, nel processo qui pendente per accertare la fondatezza di quell'accusa, si e' giunti alla fase discussione e, ove non fosse fondata la questione che qui si propone, si dovrebbe ora pervenire ad una decisione. Nel frattempo il procedimento civile nel quale la testimonianza e' stata resa e', invece, ancora in corso. Per effetto di questa sequenza si vede bene come vi sia una profonda e radicale diversita' di disciplina tra questa situazione, nella quale dopo l'assunzione della (ritenuta) falsa testimonianza si e' pervenuti alla fase della decisione penale prima che si definisse il giudizio nel quale la testimonianza e' stata resa, e quella in cui l'eventuale falsa dichiarazione fosse stata resa al pubblico ministero o al difensore durante le indagini preliminari. Infatti, il comma 2 dell'art. 371-bis c.p. e il comma 2 dell'art. 371-ter c.p. prevedono che in caso di false dichiarazioni rese, rispettivamente, al pubblico ministero o al difensore, il procedimento penale resti sospeso fino a che non sia definito con sentenza di primo grado (oppure con archiviazione o sentenza di non luogo a procedere) il procedimento nel quale le false dichiarazioni sono state rese. E' evidente che la ratio ispiratrice di una simile norma sia da ricercare nella volonta' del legislatore di evitare che la liberta' di autodeterminazione della persona informata dei fatti, di cui si sospetta la falsita', possa essere coartata in via di fatto dalla circostanza di essere sottoposta ad un procedimento penale per quelle dichiarazioni. Come esattamente messo in luce anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 61 del 1998, ove si segnalava che la ratio della disciplina della sospensione del procedimento e' da ravvisare «nell'esigenza di garantire la liberta' morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di false informazioni da forme di condizionamento psicologico». Se cosi' e' non pare si possa discutere che analoga esigenza (se non maggiore) debba ricorrere anche per garantire la liberta' morale e di autodeterminazione della persona indagata per il reato di falsa testimonianza, atteso che in modo del tutto identico anche questa puo' subire il condizionamento psicologico derivante dall'essere sottoposta a processo per quanto dichiarato. Per vero, non sfugge a questo giudice che in quella stessa decisione (n. 61/1998) la Corte costituzionale aveva aggiunto che lo scopo perseguito dalla norma in questione fosse di evitare solo forme di condizionamento psicologico esercitabili dal «pubblico ministero nel momento in cui nel procedimento principale l'organo dell'accusa e' "processualmente" interessato alla formazione della prova». Una limitazione che potrebbe far ritenere non equivalente la posizione del soggetto che ha reso una (asseritamente) falsa testimonianza da quella che ha reso una (asseritamente) falsa dichiarazione al pubblico ministero. Tuttavia, per questo aspetto, per prima cosa la limitazione della ratio della norma alle sole forme di condizionamento esercitabili dal pubblico ministero per i casi in cui e' «processualmente» interessato alla formazione della prova non tiene conto del fatto che la stessa disposizione si applica anche alle false dichiarazioni rese al difensore. Ma, soprattutto, quella limitazione non considera la circostanza che a chiedere che si proceda per il reato di cui all'art. 371-bis c.p. o all'art. 371-ter c.p., proponendo denuncia, potrebbe benissimo essere anche l'imputato, ritenendo falso quanto dichiarato dalla persona informata dei fatti al pubblico ministero o al proprio difensore o al difensore della parte civile. Oppure ben potrebbe essere anche la persona offesa. Con l'effetto che quella sospensione obbligata del procedimento in questi casi non puo' essere dettata solo per ragioni di «sospetto» verso il pubblico ministero, ma, in generale, per evitare il condizionamento psicologico che deriva ad una persona informata dei fatti dal fatto di essere processata per quanto dichiarato. Ma, per di piu', se il timore sotteso alla norma fosse solo quello di evitare il condizionamento psicologico esercitabile dal pubblico ministero, allora, si dovrebbe per vero considerare che, come la stessa Corte costituzionale riconosceva nella stessa sentenza n. 61 del 1998, «una volta che sia stata esercitata l'azione penale per il reato di false informazioni, la posizione dell'imputato [sarebbe] ormai sottoposta al giudizio dell'autorita' giurisdizionale, e quindi sottratta a potenziali condizionamenti da parte del pubblico ministero davanti al quale il reato e' stato commesso». Con l'effetto paradossale, che proprio la sospensione verrebbe a consentire quell'effetto di condizionamento, perche' proprio il fatto che il procedimento sia sospeso la posizione processuale «resterebbe nelle mani» del pubblico ministero e non perverrebbe, invece, nella cognizione dell'autorita' giurisdizionale, che potrebbe fare giustizia di un'apertura strumentale del procedimento. Insomma, pare in realta' non discutibile, che, assai piu' ampiamente, il legislatore abbia semplicemente voluto, con le due previsioni gemelle del comma 2 degli articoli 371-bis e 371-ter c.p., che la persona informata dei fatti non debba essere coinvolta in un processo per l'assunta falsita' delle sue dichiarazioni prima che il procedimento nel quale ha reso quelle dichiarazioni sia definito almeno con sentenza di primo grado. Con l'effetto, appunto, che non si trova alcuna giustificazione al fatto che sia trattato diversamente il soggetto che quelle dichiarazioni le ha rese nel corso di un processo come testimone. Ma anche a voler ribadire che la ratio sia solo quella, piu' limitata, di evitare forme di condizionamento esercitabili dal pubblico ministero, in ogni caso sarebbe un ratio del tutto applicabile anche ai procedimenti per falsa testimonianza (almeno se resa in un procedimento penale), perche' tanto piu' in quei casi «l'organo dell'accusa e' "processualmente" interessato alla formazione della prova». D'altro canto, e' significativo della reale volonta' del legislatore, di evitare ogni forma di pressione sul soggetto dichiarante, che con novella del 1995 si e' espressamente previsto all'art. 381, comma 4-bis, c.p.p. che per le false dichiarazioni al pubblico ministero non sia neppure possibile l'arresto in flagranza. Una norma che, di nuovo, se si temesse solo il rischio di condizionamenti del pubblico ministero potrebbe anche non essere prevista, perche' l'arresto passa rapidamente al vaglio dell'autorita' giurisdizionale. Ma il richiamo dell'art. 381, comma 4-bis, c.p.p. e' importante anche ad un altro fine. Infatti, quella previsione conferma che il legislatore ritiene del tutto parificabile, rispetto alla tutela della sua serenita', la posizione del testimone e quella del dichiarante al pubblico ministero, visto che la norma ora citata e' esattamente identica a quella che gia' era dettata dall'art. 476, comma 2, c.p.p., che parimenti vieta l'arresto in fiagranza del testimone asseritamente falso. A conferma, anche per questa via, che analoga parificazione dovrebbe sussistere, per evitare una disparita' irragionevole di trattamento contrastante con l'art. 3 Cost., anche rispetto alla norma che qui si e' individuata del comma 2 dell'art. 371-bis c.p. 1.b. Proprio in ragione delle osservazioni che si sono qui svolte, si deve, pero', ancora evidenziare come l'assenza di una norma analoga rispetto alla falsa testimonianza collida anche con altri valori di rango costituzionale. Infatti, il legislatore mostra di aver correttamente percepito ed evitato il rischio che la persona informata dei fatti che ha reso dichiarazioni ad un pubblico ministero o ad un difensore possa venire coartata nella sua liberta' morale e di autodeterminazione dal fatto di essere sottoposta a processo per quelle dichiarazioni, prima ancora che il processo nel quale le ha rese abbia avuto una prima stabilizzazione. Ma questa scelta non puo' che trovare il suo fondamento sia nell'intento di preservare il diritto di difesa del dichiarante, tutelato dall'art. 24, comma 2 della Costituzione, quanto meno per quel che si dira' subito circa la facolta' di ritrattazione, sia nell'intento di garantire un accertamento della verita' nel processo che non sia viziato da possibili condizionamenti in capo ad un soggetto le cui dichiarazioni possono assumere valore probatorio, in modo coerente a come l'art. 111 della Costituzione impone che sia conformato un processo per essere «giusto». Ma se cosi' e', tanto piu' quell'esigenza deve valere per un testimone, perche' tanto piu' occorre evitare che le dichiarazioni rese in una fase addirittura processuale, e quindi direttamente incidenti sulla decisione finale, possano essere viziate da condizionamenti di sorta in capo al testimone. E, d'altro canto, si e' gia' visto come per una norma che certamente e' stata dettata per scopi esattamente identici, quella che fa divieto di arresto in flagranza, gia' il legislatore sia intervenuto per trattare in modo identico il testimone e il dichiarante, vietando per tutti e due un intervento potenzialmente coartante della loro liberta' di autodeterminazione e quindi potenzialmente inficiante della bonta' delle dichiarazioni. 1.c. Merita a questo proposito, come anticipato, che ci si soffermi ora, ai fini qui in esame (e salvo ritornare sul tema) sull'istituto della ritrattazione, che il legislatore (significativamente) ha dettato in modo identico, ancora una volta, per il testimone e per il dichiarante al pubblico ministero o al difensore. L'art. 376 c.p., infatti, consente sia al testimone che al dichiarante al pubblico ministero o al difensore di evitare la punizione per la falsa dichiarazione in caso di ritrattazione del falso e manifestazione del vero, fissando come termine ultimo per questa condotta, per le falsita' avvenute in sede penale la chiusura del dibattimento e per le falsita' avvenute in sede civile, il momento precedente alla pronuncia di una sentenza definitiva, anche se non irrevocabile. In ragione di cio', da un lato, e' evidente che se non si preclude lo svolgimento del procedimento per la falsa testimonianza (o per la falsa dichiarazione a pubblico ministero e difensore) si realizza quel rischio di coartazione della liberta' di autodeterminazione del testimone, proprio perche' in presenza di fasi avanzare del processo a proprio carico, che potrebbero far intravedere il rischio di condanna, piu' elevata sarebbe la spinta del testimone o del dichiarante a ritrattare, per salvare se stesso dalle imminenti conseguenze negative. Un rischio tanto piu' rilevante se si considera che addirittura, per quel che si dira' di seguito, potrebbe anche gia' essere intervenuta una condanna prima dello spirare del termine per ritrattare. Da altro lato, pero', e' allo stesso modo evidente che se non si preclude lo svolgimento del procedimento per la falsa testimonianza (o, come in effetti e', per la falsa dichiarazione a pubblico ministero e difensore), nell'attesa che si chiuda il processo nel quale sono state rese quelle dichiarazioni, vi e' il rischio che al testimone o dichiarante venga ridotto lo spazio temporale per esercitare la facolta' di ritrattare, da cui conseguirebbe la sua non punibilita', perche' il processo a suo carico potrebbe definirsi anche prima dello scadere del suo termine ultimo per effettuare una ritrattazione. Allora tanto piu' e' irragionevole che per il falso dichiarato al pubblico ministero o al difensore vi sia la certezza che cio' non potra' mai accadere, perche' il procedimento a carico di chi ha reso la dichiarazione falsa e' sospeso, mentre per il testimone questa certezza non vi sia. Caso che, fra l'altro, qui non si adombra in via meramente ipotetica, perche' l'imputato del presente procedimento poteva trovarsi condannato per falsa testimonia (ove non si fosse sollevata questa questione) gia' alla data del 2 aprile 2015, prima che si concludesse il processo civile nel quale quella testimonianza egli ha reso e nel quale, quindi, ancora puo' ritrattare. Ma in modo simile questa situazione si connota negativamente anche per il caso in cui dovesse intervenire un'assoluzione, perche' anche questa potrebbe ugualmente falsare la dinamica che l'art. 376 c.p. vuole regolare a tutela del corretto accertamento della verita' nel processo, perche' certamente si perderebbe la spinta alla ritrattazione (o certamente se ne ridurrebbe lo spazio) ove quella dichiarazione testimoniale avesse gia' passato un vaglio processuale di non falsita', prima della scadenza dei termini consentiti per la ritrattazione. 1.d. Vi e', infine, un ultimo aspetto da svolgere a supporto della fondatezza della questione, che trova fondamento negli insegamenti ricavabili dall'ordinanza della Corte costituzionale 2001 n. 22. In quella occasione, infatti, il giudice a quo aveva denunciato la disparita' di trattamento processuale riservata al reato di cui all'art. 378 c.p., per il fatto che non fosse applicabile il disposto dell'art. 371-bis, secondo comma, c.p. qui richiamato. La Corte costituzionale in quella occasione aveva rilevato che «stante il suo carattere derogatorio, la disciplina dettata dall'art. 371-bis, secondo comma, codice penale potrebbe essere assunta come termine di raffronto al fine di verificare il rispetto del principio di eguaglianza solo se fosse sorretta da una ratio integralmente estensibile alla fattispecie di cui all'art. 378 c.p., si' da rendere la diversita' di trattamento del tutto priva di ragionevole giustificazione». E aveva osservato che «invece, la diversita' degli elementi che integrano il modello legale delle due fattispecie poste a raffronto - nel reato di falsa informazioni al pubblico ministero, rendere dichiarazioni false, ovvero tacere in tutto o in parte; nel reato di favoreggiamento personale, aiutare taluno a eludere le investigazioni dell'Autorita' mediante una condotta che, come nel caso di specie, puo' sostanziarsi in false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero - dimostra all'evidenza che diversa e' l'oggettivita' giuridica dei due reati presi in esame sicche' essi non sono comparabili ai fini della denunciata disparita' di trattamento processuale». Ora, si ritiene che non possa essere negato che, per usare l'espressione utilizzata dalla stessa Corte, «gli elementi che integrano il modello legale delle due fattispecie» oggi messe a raffronto, art. 372 c.p. e 371-bis c.p. (o 371-ter c.p.), sono gli stessi, perche' in ambedue (o tre) i reati la condotta e' sempre, di nuovo citando la stessa Corte, il «rendere dichiarazioni false, ovvero tacere in tutto o in parte». In tutti i casi a tutela dell'accertamento della «verita'» processuale, senza che neppure si possa adombrare una diversita' rilevante per il fatto che in un caso si stratta di dichiarazioni rese nel processo e nell'altro (negli altri) nel procedimento, perche' la ragione della sanzione penale per le false dichiarazioni rese in fase di procedimento discende anche dal fatto che quelle dichiarazioni possono assurgere al rango di prove piene, del tutto analoghe a quelle assunte nel processo, per effetto dei diversi istituti processuali. Come, d'altra parte, espressamente ratificato dall'art. 375 c.p., che prevede la possibilita' che anche in forza delle dichiarazioni assunte ex art. 371-bis e ter c.p. si possa addivenire ad una condanna, dettando per questa ipotesi una circostanza aggravante ad effetto speciale identica. Anche per questo aspetto, quindi, davvero sembrerebbe fortemente irragionevole che quella parificazione rispetto a questo caso debba essere negata. 1.f. Da ultimo, poi, alla luce dei principi gia' affermati con la sentenza n. 101 del 1999, appare altresi' privo di ragionevolezza che per tutti gli istituti sostanziali l'art. 372 c.p. e gli articoli 371-bis c.p. e 371-ter c.p. siano regolati in modo identico (v. aggravanti ex art. 375 c.p., ritrattazione ex art. 376 c.p., casi di non punibilita' ex art. 384 c.p., punibilita' per i fatti commessi in collegamento audiovisivo ex art. 384-bis c.p.), mentre solo per un istituto processuale - quella qui in esame - troverebbero una disciplina diversa. 2. Rilevanza. Quanto alla rilevanza si deve osservare che ove la questione fosse fondata sarebbe certamente rilevante nel presente procedimento, in quanto dopo l'esaurimento dell'istruttoria e la discussione delle parti deve essere adottata la decisione finale sulla contestazione elevata, con affermazione di responsabilita' o con giudizio assoluzione, mentre se fosse estensibile anche a questa fattispecie la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 371-bis c.p., individuato come tertium compa rationis, ne seguirebbe la sospensione del procedimento. E vi e' solo da aggiungere che neppure e' prospettabile un'applicazione analogica, perche', condivisibilmente, nel diritto vivente si ritiene che quella di cui al secondo comma dell'art. 371-bis c.p. sia una norma eccezionale, che non consente per questo un'applicazione in via analogica nei procedimenti aventi ad oggetto il diverso delitto di falsa testimonianza (Cass., sez. VI, 21 ottobre 2010).
P.Q.M. Visto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e l'art. 159 c.p. dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 3, all'art. 24, comma 2, e all'art. 110 della Costituzione, dell'art. 372 c.p., nella parte in cui non contiene una disposizione identica a quella dettata dal comma 2 dell'art. 371-bis c.p. o, in alternativa, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 3, all'art. 24, comma 2, e all'art. 110 della Costituzione, dell'art. 371-bis, comma 2, c.p., nella parte in cui non si applica anche ai reati di cui all'art. 372 c.p. Ordina, di conseguenza, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia integralmente notificata e comunicata alle parti e che sia altresi' notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Dispone la sospensione del procedimento. Manda la cancelleria per gli adempimenti. Verona, 23 settembre 2014 Il Giudice: Piziali