N. 22 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 marzo 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 25 marzo 2016 (della Regione Lombardia). 
 
Ambiente - Rifiuti - Miscelazioni non vietate in  base  all'art.  187
  del d.lgs. n. 152 del 2006 - Previsione della non sottoposizione ad
  autorizzazione e a prescrizioni o limitazioni ulteriori rispetto  a
  quelle previste per legge. 
- Legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia  ambientale
  per promuovere misure  di  green  economy  e  per  il  contenimento
  dell'uso eccessivo di risorse naturali), art. 49. 
(GU n.18 del 4-5-2016 )
    Ricorso   nell'interesse   della    Regione    Lombardia    (C.F.
80050050154), con sede in Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia,
n.  1,  in  persona  del  Presidente  pro  tempore,  Roberto  Maroni,
rappresentata e difesa, in forza di procura a  margine  del  presente
atto ed in virtu' della Deliberazione di Giunta regionale n. 4931 del
14  marzo  2016  dall'avv.  Piera   Pujatti   (PJTPRI62C51C722G)   ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del Prof.  Avv.  Francesco
Saverio -  Marini  del  foro  di  Roma  (CF.  MRNFNC73D28H501U;  pec:
francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.orgfax.       06.36001570),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli,  48,  ha  eletto
domicilio. 
    Ricorrente contro il Governo della  Repubblica,  in  persona  del
Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede  in  Roma
(00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma  (00186),
via dei Portoghesi, 12. 
    Resistente per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
dell'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221,  «Disposizioni  in
materia ambientale per promuovere misure di green economy  e  per  il
contenimento    dell'uso    eccessivo    di    risorse     naturali»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie  generale  del  18  gennaio
2016 n. 13. 
    1. La legge 28 dicembre  2015,  n.  221  detta  «Disposizioni  in
materia ambientale per promuovere misure di green economy  e  per  il
contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali.». 
    2. L'art. 49 della detta legge reca la rubrica «Miscelazione  dei
rifiuti»  e  risulta  cosi'  formulato:  «All'art.  187  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e' aggiunto, in fine, il  seguente
comma: «3-bis. Le  miscelazioni  non  vietate  in  base  al  presente
articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate
da enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211,
non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od
ulteriori rispetto a quelle previste per legge». 
    3. L'art. 187 del decreto legislativo n. 152/06 dispone, al primo
comma, che «E' vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti
caratteristiche  di  pericolosita'  ovvero  rifiuti  pericolosi   con
rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende  la  diluizione  di
sostanze pericolose.» Al secondo comma la norma contempla le  deroghe
al  suddetto  divieto.  Il  comma  3-bis,  oggetto   della   presente
impugnazione «liberalizza» le miscelazioni non vietate (quindi quelle
relative a rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosita' oppure
non  pericolosi),  disponendo  anzi  l'impossibilita'  di  sottoporre
l'operazione di miscelazione a limitazioni in sede autorizzatoria. 
    4. In pratica la norma sottrae l'operazione di miscelazione  alle
prescrizioni dettate  con  le  autorizzazioni  e  di  conseguenza  al
controllo dell'Autorita' competente. 
    5. In proposito si deve  rilevare  che  la  Direttiva  2008/98/CE
dispone, all'art. 23, I comma, che  «Gli  Stati  membri  impongono  a
qualsiasi ente o impresa che intende effettuare  il  trattamento  dei
rifiuti di ottenere l'autorizzazione dell'autorita' competente.  Tali
autorizzazioni  precisano  almeno  quanto  segue:  a)  i  tipi  e   i
quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b)  per  ciascun
tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di  altro  tipo
applicabili al sito interessato; c)  le  misure  precauzionali  e  di
sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di
operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di  controllo  che  si
rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli
interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie.». L'obbligo
di  munirsi  di  autorizzazioni  contenenti  prescrizioni  e   misure
precauzionali e di sicurezza subisce deroga, ai  sensi  dell'art.  24
della  Direttiva  2008/98/CE,  solo  in  presenza  di  attivita'   di
smaltimento  dei  propri  rifiuti  non  pericolosi  nei   luoghi   di
produzione o di recupero dei rifiuti. 
    6. Pertanto, la norma sottrae  al  regime  autorizzatorio,  cosi'
come individuato dalla Direttiva,  una  serie  di  operazioni,  ossia
tutte le operazioni di miscelazione di rifiuti non pericolosi  o  con
uguale indice di pericolosita', che avvengano al di fuori dei  luoghi
di produzione e non dirette al recupero. 
    7. L'art. 2 della Legge n. 205/2010 ha modificato l'art. 178  del
decreto  legislativo  n.  152/06,  in  attuazione   della   direttiva
2008/98/CE e ha disposto che «La gestione dei rifiuti  e'  effettuata
conformemente  ai  principi  di  precauzione,  di   prevenzione,   di
sostenibilita', di proporzionalita',  di  responsabilizzazione  e  di
cooperazione di tutti i soggetti coinvolti  nella  produzione,  nella
distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i
rifiuti, nonche' del principio chi  inquina  paga.  A  tale  fine  la
gestione dei rifiuti e'  effettuata  secondo  criteri  di  efficacia,
efficienza,  economicita',  trasparenza,  fattibilita'   tecnica   ed
economica, nonche' nel rispetto delle norme  vigenti  in  materia  di
partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali». 
    8. L'art. 29-sexies, comma 9, del decreto legislativo n.  152/06,
inoltre, stabilisce che «L'autorizzazione integrata  ambientale  puo'
contenere  ulteriori  condizioni  specifiche  ai  fini  del  presente
decreto, giudicate opportune dell'autorita' competente.  Ad  esempio,
fermo restando l'obbligo di immediato rispetto dei precedenti commi e
in particolare del comma 4-bis,  l'autorizzazione  puo'  disporre  la
redazione di  progetti  migliorativi,  da  presentare  ai  sensi  del
successivo art. 29-nonies, ovvero il  raggiungimento  di  determinate
ulteriori prestazioni ambientali  in  tempi  fissati,  impegnando  il
gestore ad individuare le tecniche da implementare  a  tal  fine.  In
tale  ultimo  caso,  fermo  restando  l'obbligo   di   comunicare   i
miglioramenti progettati, le disposizioni di cui  all'art.  29-nonies
non si applicano alle modifiche strettamente necessarie  ad  adeguare
la funzionalita' degli impianti alle prescrizioni dell'autorizzazione
integrata ambientale». 
    9. La norma, impugnata,  pertanto,  contrasta  con  la  Direttiva
2008/98/CE e impedisce alle Regioni di svolgere il proprio  ruolo  in
sede di rilascio delle autorizzazioni allo smaltimento di rifiuti. 
    10. Tutto cio' premesso, con  il  presente  ricorso,  la  regione
Lombardia, come in atti rappresentata e  difesa,  impugna  l'art.  49
della legge 28 dicembre 2015, n. 221, in quanto lesivo delle  proprie
attribuzioni, costituzionalmente garantite, in merito alla materia di
tutela  per  l'ambiente  (rispetto  alla  quale  le  Regioni  possono
stabilire anche livelli di tutela piu' elevati rispetto allo Stato al
fine di  disciplinare  nel  modo  migliore  gli  oggetti  delle  loro
competenze - cfr. Corte cost. n. 61/2009 - 303/2013), di tutela della
salute, di tutela e sicurezza del lavoro. 
 
                               Diritto 
 
    1. Prima di esporre i singoli motivi di gravame, appare opportuno
formulare brevi cenni sulla normativa in esame, per  poi  soffermarsi
sulla legittimazione e sull'interesse al ricorso della Regione. 
    2.  Cominciando  dall'illustrazione  del  quadro   normativo   di
riferimento, la miscelazione  dei  rifiuti  e'  l'unione  di  diversi
rifiuti aventi diverso CER, al fine di inviate la miscela ottenuta ad
un impianto di smaltimento o recupero.  Essa  costituisce  una  delle
operazioni di smaltimento e di gestione dei rifiuti e,  pertanto,  e'
disciplinata    all'interno     dell'autorizzazione     all'esercizio
dell'impianto, con proprie prescrizioni. 
    La direttiva 2008/98/CE sottopone tali operazioni  (art.  23)  ad
autorizzazioni che precisino: «a) i tipi e i quantitativi di  rifiuti
che possono essere  trattati;  b)  per  ciascun  tipo  di  operazione
autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al  sito
interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza  da  prendere;
d) il metodo da utilizzare per ciascun  tipo  di  operazione;  e)  le
operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;
f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi  ad  essa
successivi che si rivelano necessarie». La medesima Direttiva prevede
una deroga, all'art. 24, per le sole  attivita'  di  smaltimento  dei
propri rifiuti non pericolosi nei luoghi di produzione o di  recupero
dei rifiuti. 
    Fino all'entrata  in  vigore  dell'art.  49  legge  n.  221/2015,
pertanto, le Regioni (o gli enti dalle stesse delegati), nell'emanare
le autorizzazioni, potevano stabilire delle condizioni  di  esercizio
«impianto specifiche» per  garantire  l'attuazione  dei  principi  di
precauzione, prevenzione, sostenibilita'  ai  fini  della  protezione
dell'ambiente e della salute umana,  secondo  quanto  dispone  l'art.
29-sexies, comma 9 del decreto  legislativo  n.  152/06.  Del  resto,
l'art. 3-quinquies del decreto legislativo n. 152/06, in linea con la
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte  stabilisce  che  «i  principi
contenuti  nel  presente   decreto   legislativo   costituiscono   le
condizioni  minime   ed   essenziali   per   assicurare   la   tutela
dell'ambiente su tutto il  territorio  nazionale.  Le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano possono  adottare  forme  di
tutela  giuridica  dell'ambiente   piu'   restrittive,   qualora   lo
richiedano situazioni particolari del loro territorio,  purche'  cio'
non  comporti   un'arbitraria   discriminazione,   anche   attraverso
ingiustificati aggravi procedimentali.» 
    In attuazione dei principi  suddetti,  la  Regione  Lombardia  ha
adottato, con proprie  deliberazioni,  degli  atti  generali  per  il
rilascio delle autorizzazioni di miscelazione  dei  rifiuti  (DGR  n.
8571/2008; DGR n. 3596/2012; DGR n. 127/2013), al dichiarato fine  di
garantire la tutela dell'ambiente,  della  salute  pubblica  e  della
sicurezza   dei   lavoratori,   considerato   che   la   miscelazione
indiscriminata puo' comportare rischi a causa di reazioni  impreviste
o di emanazioni di sostanze tossiche. 
    3. Dal quadro normativo sopra illustrato,  emerge  con  chiarezza
che la norma statale impugnata incide, direttamente e indirettamente,
su una pluralita' di' attribuzioni regionali. 
    Sul piano delle competenze legislative, vengono in rilievo l'art.
117, commi  2  e  3.  La  norma  statale  preclude  alla  Regione  la
possibilita' - piu' volte riconosciuta  dalla  Corte  -  di  incidere
sulla materia ambientale, pur di competenza  esclusiva  dello  Stato,
fissando livelli di  tutela  piu'  elevati  di  quelli  definiti  dal
legislatore  nazionale,  ove  cio'  sia   fatto   nell'esercizio   di
competenze proprie della Regione: in questo caso, tutela della salute
e tutela  e  sicurezza  del  lavoro.  Allo  stesso  tempo,  la  norma
censurata impedisce anche il pieno esercizio delle due competenze  da
ultimo menzionate. Il tutto, peraltro, in  diametrale  contrasto  con
quanto sancisce il diritto europeo, al cui rispetto, ex articoli 11 e
117 comma 1 Cost., la legge dello Stato, come  quella  regionale,  e'
vincolata. 
    L'intervento  statale  si  traduce  poi   in   una   compressione
illegittima delle funzioni amministrative  regionali.  Infatti,  esso
esclude - in  contrasto  con  l'art.  118  Cost.,  ma  anche  con  il
principio di buon andamento dell'art. 97 Cost. - la possibilita'  per
la  Regione  e  per  gli  enti  da  essa  eventualmente  delegati  di
sottoporre  a  particolari  regimi  autorizzatoti  o   a   specifiche
prescrizioni talune operazioni di smaltimento dei rifiuti,  avvertite
come  particolarmente  delicate  per   gli   interessi   territoriali
coinvolti. 
    Per   i   motivi   suesposti,   deve   ritenersi   integrata   la
legittimazione della Regione a invocare la violazione di parametri  -
nella specie, gli articoli 11, 97 e 118 -  anche  diversi  da  quelli
attinenti il riparto  delle  competenze  legislative,  essendovi  una
ridondanza sulle attribuzioni regionali. Come piu' volte chiarito  da
codesta  Ecc.ma  Corte,  infatti,  «le  Regioni  sono  legittimate  a
denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi
da quelli relativi al riparto delle  competenze  legislative  ove  la
loro  violazione  comporti  una  compromissione  delle   attribuzioni
regionali costituzionalmente  garantite  o  ridondi  sul  riparto  di
competenze legislative (ex plurimis, sentenze n.  128  e  n.  33  del
2011, n. 156 e n. 52 del 2010).» (cfr. sent. n. 236 delle 2013). 
    Tanto  esposto,  a  meri  fini  di  inquadramento,   si   procede
all'esposizione dei motivi di ricorso. 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n.  221/2015  per
violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della  Costituzione,  in
relazione alla Direttiva 2008/98/CE, e dell'art. 117,  commi  2  e  3
della Costituzione. 
    La direttiva 2008/98/CE, all'art. 23, sottopone le operazioni  di
trattamento rifiuti ad autorizzazioni che precisino: «a) i tipi  e  i
quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b)  per  ciascun
tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di  altro  tipo
applicabili al sito interessato; c)  le  misure  precauzionali  e  di
sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di
operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di  controllo  che  si
rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli
interventi  ad  essa  successivi  che  si  rivelano  necessarie».  La
medesima Direttiva prevede una  deroga,  all'art.  24,  per  le  sole
attivita' di smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi
di produzione o di recupero dei rifiuti. 
    E'  evidente  che  la  norma  statale  impugnata   sottrae   alla
autorizzazione - e alle prescrizioni ad essa connesse - una serie  di
operazioni di miscelazione. 
    Inoltre, nello stabilire che, al di fuori dei divieti  espliciti,
le operazioni di miscelazione «non sono sottoposte ad  autorizzazione
e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai  sensi  degli
articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni
o limitazioni diverse od ulteriori rispetto  a  quelle  previste  per
legge» sottrae le suddette operazioni a quel regime precauzionale che
la Direttiva riferisce a ciascun tipo di operazione. In altri termini
nella  prospettazione  della  normativa  comunitaria  non   si   puo'
prescindere dalle considerazioni ed eventuali prescrizioni specifiche
per  ciascun  impianto,  cosi'  come  non  si  puo'  prescindere  dal
monitoraggio. 
    La violazione della predetta  Direttiva  puo'  essere  apprezzata
anche sotto altro profilo: l'art. 17 dispone che  «Gli  Stati  membri
adottano le misure necessarie affinche' la produzione,  la  raccolta,
il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento dei  rifiuti  pericolosi
siano  eseguiti  in  condizioni  tali  da  garantire  la   protezione
dell'ambiente e  della  salute  umana,  al  fine  di  ottemperare  le
disposizioni di cui all'art. 13, comprese misure volte a garantire la
tracciabilita'  dalla  produzione  alla  destinazione  finale  e   il
controllo dei rifiuti pericolosi al fine di soddisfare i requisiti di
cui agli articoli 35 e 36.». Si rileva pertanto che,  consentendo  la
miscelazione priva di autorizzazione e di controllo  di  rifiuti  con
uguale indice di  pericolosita',  l'art.  49  legge  n.  221/2015  ne
inibisce la tracciabilita', posto che  l'operazione  di  miscelazione
termina  con  l'unione  di  diversi  rifiuti.  Del  resto,   che   la
tracciabilita' dei rifiuti sia un caposaldo della  tutela  ambientale
e' riconosciuto dalla stessa  legislazione  nazionale  che,  all'art.
118-bis   del   decreto   legislativo   n.   150/06,   riconosce   la
tracciabilita' come elemento che contribuisce  allo  smaltimento  dei
rifiuti senza pericolo per la salute dell'uomo. 
    Ponendosi in violazione chiara e manifesta  della  Direttiva,  la
norma viola l'art. 117, 1 comma, laddove si prevede che  la  potesta'
legislativa, esercitata dallo Stato e dalle  Regioni,  e'  esercitata
nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario.  La
formulazione dell'art. 117,  1  comma,  ha  «costituzionalizzato»  la
scelta  comunitaria  accogliendone  integralmente  i  suoi   principi
fondamentali e consolidati, primo fra tutti la diretta applicabilita'
del diritto comunitario. In tal modo la Costituzione ha confermato la
previsione,  previgente,  dell'art.  11,  ponendo  il  principio  del
primato della normativa comunitaria. 
    La violazione, da parte  della  norma  statale,  della  direttiva
comunitaria e' violazione di un vincolo che  deve  informare  di  se'
l'intera  produzione  legislativa  e  si  traduce  in  violazione  di
parametri (articoli 117, 1 comma e 11 Cost.) di legittimita'.  E  che
ridonda sulle attribuzioni regionali in tema di tutela  dell'ambiente
che fanno si' che la Regione  possa  e  debba  prevedere  livelli  di
tutela  adeguati  alle  norme  comunitarie,  attraverso  la   propria
legislazione e la propria attivita' amministrativa. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  49
della  legge  n.  221/2015,  venga  dichiarato  incostituzionale  per
contrasto con l'art. 117, commi 1, 2 e 3, Cost., nonche'  con  l'art.
11 Cost. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n.  221/2015  per
violazione dell'art. 117, comma 2 e comma 3, perche' non consente  di
garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale della  Regione  ai
sensi dell'art.  3-quinquies  comma  2  del  decreto  legislativo  n.
152/06, e inibisce la tracciabilita' dei rifiuti. 
    La  violazione  della  norma  comunitaria  (dir.  2008/98/CE)  si
riverbera sulle attribuzioni regionali in materia  di  ambiente  che,
pur  se  oggetto  di  legislazione  esclusiva,  vedono   l'intervento
regionale quale garante di livelli di tutela ulteriori,  al  fine  di
disciplinare nel modo migliore  gli  oggetti  delle  loro  competenze
(Corte cost. n. 61/2009 - 303/2013 citate). 
    La norma impugnata inibisce alla Regione  l'esercizio  di  questa
attivita'  di  garanzia  ad   ulteriore   protezione   dell'ambiente,
liberalizzando  un'attivita'  che  e'  potenzialmente   dannosa   per
l'ambiente, se non contenuta in limiti, prescrizioni e controlli  che
solo l'autorizzazione puo' garantire. 
    Tale posizione e' stata riconosciuta da codesta  ecc.  ma  Corte:
«secondo la giurisprudenza costituzionale (ex  plurimis  sentenze  n.
285 del 2013, n. 244 del 2011, n. 249 del 2009, n. 62 del  2008),  la
disciplina dei nfiuti «si  colloca  [...]  nell'ambito  della  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva  statale  ai
sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  anche  se
interferisce con altri interessi  e  competenze,  di  modo  che  deve
intendersi riservato allo Stato  il  potere  di  fissare  livelli  di
tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando  ferma  la
competenza  delle  Regioni  alla  cura  di  interessi  funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali (cosi', in  particolare,
la sentenza n. 249 del 2009)» (sentenza n.  259  del  2014).  Quindi,
«"non puo' riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela
dell'ambiente",  anche  se  le  Regioni  possono  stabilire  "per  il
raggiungimento dei fini  propri  delle  loro  competenze  livelli  di
tutela piu'  elevati",  pur  sempre  nel  rispetto  "della  normativa
statale di tutela dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009)"  (sentenza
n. 285 del 2013)» (Corte cost. n. 149/2015). Dunque, anche applicando
la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte piu'  restrittiva  rispetto
alle attribuzioni regionali in materia  ambientale,  pure  si  rileva
come  la  norma  impugnata   sia   contrastante   con   l'ordinamento
costituzionale. 
    Infatti  l'art.  49  inibisce   alla   Regione   di   intervenite
nell'ambito che le e' proprio, ponendo  livelli  di  tutela  adeguati
alla  normativa  comunitaria,  in  considerazione  di  particolarita'
territoriali. 
    E'  questo  il  ruolo  delle  autorizzazioni:  garantire  che  si
individuino eventuali specificita' del  sito  e  dell'impianto  e  si
impongano prescrizioni,  indicazioni  circa  i  rifiuti  che  possono
essere  trattati,  requisiti  tecnici  degli  impianti,   metodi   da
utilizzare per le operazioni, monitoraggi e controlli.  In  sostanza,
esattamente il ruolo che l'art. 23 della Direttiva rifiuti  riconosce
alle autorizzazioni e che  l'art.  208  del  decreto  legislativo  n.
152/06 rimette alla competenza delle Regioni. Come si  e'  precisato,
la Regione Lombardia ha garantito il rispetto di elevati  livelli  di
tutela anche attraverso atti generali,  che  forniscono  linee  guida
alle Provincie. 
    La norma impugnata sottrae al regime  autorizzato  una  serie  di
operazioni di trattamento rifiuti, in tal modo impedendo lo svolgersi
del ruolo di garante di  livelli  elevati  di  tutela  attraverso  le
autorizzazioni. Ruolo che, come si e' esposto, e' riconosciuto  anche
dall'art. 3-quinquies, comma 2, del decreto legislativo n. 152/016  e
rimesso proprio ai provvedimenti di autorizzazione,  quali  atti  che
per loro natura attengono a condizioni specifiche dei  siti  e  degli
impianti. 
    Ne' puo' porsi  in  dubbio  che  le  operazioni  di  miscelazione
rientrino nella categoria del trattamento  rifiuti.  Le  linee  guida
della Commissione europea per l'attuazione della Direttiva 2008/98/CE
affermano (pag 58) che la miscelazione  di  rifiuti  e'  una  pratica
comune in UE ed e' riconosciuta  come  un'operazione  di  trattamento
all'allegato I e II della direttiva quadro  sulle  acque.  Si  tratta
della traduzione dall'originale inglese:  «the  mixing  of  waste  is
common practice in eu and is recognised as a treatment  operation  by
Annex I and II to the WFD (see footnotes to operations  D13/R12).  In
many field  of;  waste  management,  mixing  of;  waste  is  everyday
practise.» Del resto, l'allegato I della  Direttiva,  nella  versione
inglese,  riportano  fra  le  «disposal  operations»  (operazioni  di
smaltimento), al punto D 13 «blending or mixing prior  to  submission
to any operations numbered D1 to D12» , che nella  versione  italiana
e' stato tradotto come «D 13 Raggruppamento preliminare prima di  una
delle operazioni indicate da D 1 a D 12». 
    Non solo, ma la violazione di  un  altro  principio  fondamentale
della Direttiva,  quello  della  tracciabilita'  (art.  17  Direttiva
2008/98/CE e art. 188-bis decreto legislativo  n.  152/06),  inibisce
anche  sotto  questo  aspetto  la  realizzazione  delle  funzioni  di
garanzia di elevati livelli  di  tutela  ambientale,  in  termini  di
prevenzione e trasparenza. La sottrazione alle  autorizzazioni  e  ai
conseguenti monitoraggi di una serie di operazioni  di  miscelazione,
infatti, comporta la pratica perdita delle tracce  di  una  serie  di
rifiuti che, mescolati, danno origine ad un nuovo rifiuto. 
    Ne' a dire che la ampia nuova disciplina statale sia  a  presidio
di altri valori costituzionalmente rilevanti: anzi, il  titolo  della
legge mostra  la  ratio  di  garantire  la  cd  green  economy  e  il
contenimento delle risorse naturali. Tutto il  contrario  rispetto  a
quanto disposto con l'impugnato art. 49. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  49
della  Legge  n.  221/2015,  venga  dichiarato  incostituzionale  per
contrasto con l'art. 117, comma 2  e  comma  3,  Cost.,  perche'  non
consente di garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale  della
Regione ai sensi dell'art. 3-quinquies comma 2 e perche' ostacola  la
tracciabilita' dei rifiuti. 
3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n.  221/2015  per
violazione  dell'art.  117,  comma  3,  in  relazione  alla  potesta'
legislativa concorrente in materia di tutela della salute e sicurezza
del lavoro. 
    La miscelazione, priva di prescrizioni «impianto specifiche» puo'
comportare  rischi  per  la  salute  pubblica  e  la  sicurezza   dei
lavoratori a causa di reazioni impreviste o  emanazione  di  sostanze
tossiche; in tal senso la norma impugnata viola l'art. 117, comma  3,
laddove riconosce la potesta' legislativa regionale concorrente nella
materia della tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro. 
    E' noto come le Regioni siano titolari di una serie di competenze
concorrenti, intrecciate con  la  materia  dell'ambiente.  In  questo
ambito, alle Regioni e' consentito legiferare - oltre che  esercitare
le proprie funzioni amministrative - purche' in melius rispetto  alla
tutela  ambientale  (cfr.  sent.  Corte  cost.  n.   407/2002).   Per
giurisprudenza consolidata di codesta ecc. ma Corte le norme  dettate
dallo Stato in materia ambientale  possono  essere  modificate  dalle
Regioni, nell'esercizio della loro potesta' legislativa  concorrente,
nella direzione dell'innalzamento del livello  di  tutela  ambientale
(ex plurimis, sentenze Corte cost. n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012). 
    Pertanto, pur ritenendo che la materia dell'ambiente,  attesa  la
sua natura trasversale, assuma carattere prevalente e funga,  quindi,
da limite alla disciplina che le Regioni  possono  dettare  in  forza
della competenza in materia di salute o di  tutela  e  sicurezza  del
lavoro, pure l'ambito di competenza si riespande  pienamente  ove  la
materia ambientale venga tutelata attraverso livelli di  tutela  piu'
elevati di quelli garantiti dal legislatore nazionale. 
    La norma impugnata, nel prevedere che la miscelazione non vietata
non sia soggetta ad autorizzazione e alle relative prescrizioni  sito
specifiche, detta una disciplina di dettaglio che non tiene conto che
la miscelazione indiscriminata di rifiuti puo' comportare rischi  per
la salute pubblica e la sicurezza  dei  lavoratori  dell'impianto,  a
causa di reazioni impreviste o emanazioni di  sostanze  tossiche.  Le
autorita' competenti non  possono  ora,  applicando  la  legislazione
statale, vietare la miscelazione di rifiuti che possano dare  origine
a sviluppo di gas tossici o molesti oppure reazioni esotermiche e  di
polimerizzazione. 
    In tema di miscelazione dei rifiuti la tutela della salute e  del
lavoro e' indubitabilmente ora compressa dalla normativa statale, che
non consente alcuna prescrizione inerente le autorizzazioni. La norma
impugnata incide negativamente nei confronti di valori costituzionali
che la  Regione  hanno  il  diritto-dovere  di  tutelare  nella  loro
effettivita', quali il valore della  salute  e  della  sicurezza  dei
lavoratori. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  49
della  legge  n.  221/2015,  venga  dichiarato  incostituzionale  per
contrasto con  l'art.  117,  comma  3,  in  relazione  alla  potesta'
legislativa concorrente in materia di tutela della salute e sicurezza
del lavoro. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n.  221/2015  per
violazione  dell'art.  118  Cost.,  in  relazione  alla  lesione  del
principio   di   sussidiarieta'   nell'esercizio    delle    funzioni
amministrative da parte delle Autorita' competenti  e  per  contrasto
con l'ordinato svolgimento delle attribuzioni regionali. 
    L'art. 118 della Costituzione, come noto, sancisce  il  principio
di sussidiarieta',  attribuendo  all'organo  competente  del  livello
istituzionale   piu'   vicino   agli    interessati    le    funzioni
amministrative. 
    Inoltre ogni intervento in tale materia deve rispettare,  secondo
la consolidata giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale,
il principio di leale collaborazione. 
    Le funzioni amministrative regionali, anche  ai  sensi  dell'art.
208   del   decreto   legislativo   n.   152/06,   ricomprendono   le
autorizzazioni allo smaltimento dei rifiuti ed hanno i corollari  che
si sono esposti  nei  precedenti  punti,  circa  la  possibilita'  di
introdurre misure di tutela in melius e di graduare  le  prescrizioni
in considerazione delle specificita' degli impianti e dei siti. 
    La disposizione impugnata contrasta con il primo  ed  il  secondo
comma dell'art. 118 Cost., dal momento che sottrae alle Regioni  -  e
agli enti delegati sulla base del principio di  sussidiarieta'  -  la
stessa possibilita' di emanare autorizzazioni per  alcune  operazioni
di smaltimento rifiuti. Tale sottrazione, oltre a sostanziarsi  nella
diminuzione di tutela  gia'  messa  in  evidenza,  contrasta  con  il
principio di sussidiarieta',  che  vuole  l'affidamento  di  funzioni
amministrative all'ente  piu'  prossimo  alla  comunita'  interessata
dall'azione amministrativa e impedisce  all'Autorita'  competente  di
attuare, attraverso misure «sito  specifiche»  la  realizzazione  dei
principi di precauzione, prevenzione, sostenibilita'  ai  fini  della
protezione dell'ambiente e della tutela della salute. 
    Si consideri che con DGR 8571/08, in seguito sostituita dalla DGR
3596/12  e  recentemente  modificata  con  DDS  1795/14,  la  Regione
Lombardia  ha  inteso  disciplinare  le  modalita'  autorizzative   e
gestionali  dell'operazioni  di  miscelazione  rifiuti,  sia   quella
ricadente nell'ambito del  comma  2  (miscelazione  in  deroga),  sia
quella non vietata (ricadente nell'ambito sia essa in deroga  o  meno
al divieto di cui all'art. 187, comma 1). 
    L'applicazione di tali determinazioni regionali nei  procedimenti
autorizzativi ha consentito negli anni di: 
        uniformare  i  criteri  con  cui   vengono   autorizzate   le
operazioni di miscelazione di rifiuti; 
        definire le  modalita'  di  individuazione  delle  condizioni
specifiche alle quali autorizzare la miscelazione in deroga ai  sensi
del 2° comma dell'art. 187 del decreto legislativo 152/06; 
        garantire una migliore tracciabilita' dei rifiuti, ai fini di
una loro corretta gestione, la tutela dell'ambiente  e  della  salute
pubblica, la salvaguardia della sicurezza dei lavoratori; 
        impartire linee di indirizzo a contenuto generale per tutti i
soggetti  a  qualunque  titolo  coinvolti   nell'iter   autorizzativo
(Autorita' competenti, Autorita' di controllo, operatori di settore). 
    L'art. 49 impugnato comporta che le Autorita' competenti  debbano
disapplicare i contenuti (relativi alla miscelazione non  in  deroga)
delle delibere in quanto in contrasto  con  la  normativa  nazionale.
Il che significa tornare ad una situazione in cui  le  operazioni  di
miscelazione  rifiuti  saranno  effettuate  da  soggetti   privi   di
autorizzazione   e   dunque   in   maniera   indiscriminata,    senza
tracciabilita' e senza controlli. 
    La  collisione  con   l'ordinato   svolgimento   delle   funzioni
amministrative regionali puo' essere  apprezzata  anche  sotto  altro
profilo. 
    L'art.  49  e'  norma   che,   contrastando   con   l'ordinamento
comunitario,  genera  rapporti  e  situazioni  giuridiche  incerte  e
passibili di annullamento. 
    Le Autorita' competenti - Regioni e gli enti delegati sulla  base
del principio di sussidiarieta', secondo quanto  dispone  il  decreto
legislativo n. 152/06 -  si  trovano  di  fronte  ad  una  scelta:  o
disapplicare  direttamente  la  norma  statale  ovvero   violare   la
Direttiva  comunitaria.  Nell'uno  e  nell'altro  caso  si  crea  una
situazione  di  incertezza  rispetto  a  situazioni  giuridiche   che
incidono  direttamente  sia  sugli  operatori  economici  che   sulla
cittadinanza. 
    Non solo, ma la mancata autorizzazione  da  parte  della  Regione
colliderebbe con lo stesso ordinamento interno che, all'art. 2  della
legge n. 205/2010 (di modifica dell'art. 178 del decreto  legislativo
n. 152/06), in attuazione della direttiva 2008/98/CE  stabilisce  che
«La gestione dei rifiuti e' effettuata conformemente ai  principi  di
precauzione, di prevenzione, di sostenibilita', di  proporzionalita',
di  responsabilizzazione  e  di  cooperazione  di  tutti  i  soggetti
coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell'utilizzo e  nel
consumo di beni da cui originano i rifiuti, nonche' del principio chi
inquina paga. A tale fine  la  gestione  dei  rifiuti  e'  effettuata
secondo criteri di efficacia, efficienza, economicita',  trasparenza,
fattibilita' tecnica ed economica, nonche' nel rispetto  delle  norme
vigenti in materia di partecipazione e di accesso  alle  informazioni
ambientali.». Ci si chiede come potrebbe  la  Regione,  titolare  del
potere autorizzatorio,  garantire  tali  principi  in  assenza  della
possibilita' di individuare  prescrizioni  e  misure  per  i  singoli
impianti. 
    L'art.  49,  non  prevedendo,  contrariamente  a  quanto  sancito
dall'art. 117, commi 2 e  3,  in  combinato  con  l'art.  118,  della
Costituzione, alcuna forma di controllo da parte della Regione  sulle
operazioni  di  miscelazione,  viola  cosi'  il  principio  di  leale
collaborazione, ostacolando l'esercizio delle  potesta'  regionali  e
invadendone  le  competenze.  Il  tutto  senza   alcuna   valutazione
dell'interesse pubblico  e  senza  assicurare  alcuna  procedura  per
l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate  in  capo
alle Regioni. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  49
della  legge  n.  221/2015,  venga  dichiarato  incostituzionale  per
contrasto con  l'art.  118  Cost.,  in  relazione  alla  lesione  del
principio   di   sussidiarieta'   nell'esercizio    delle    funzioni
amministrative da parte delle Autorita' competenti per  violazione  e
in   relazione   alla   lesione   dell'ordinato   svolgimento   delle
attribuzioni regionali. 
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 49 legge n.  221/2015  per
violazione dell'art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon
andamento della  pubblica  amministrazione  sotto  il  profilo  della
certezza del diritto e della chiarezza normativa. 
    La norma impugnata viola anche l'art. 97 Cost.: e' noto  come  al
principio di buon andamento  dell'amministrazione  la  giurisprudenza
costituzionale riconosca il valore di parametro di legittimita' delle
scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella  organizzazione
degli apparati e dell'attivita'  amministrativa,  effettuati  secondo
principi di sussidiarieta' e adeguatezza. 
    Le considerazioni riportate nei precedenti punti sottolineano  la
incertezza nelle situazioni giuridiche causata dall'art. 49 legge  n.
221/15,   che   sopprime   la   potesta'   autorizzativa,   lasciando
all'iniziativa individuale di stabilire le modalita'  di  smaltimento
rifiuti. In tal modo viene violato il  principio  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione di cui all'art.  97  Cost.,  sotto  il
profilo della certezza del diritto e della  chiarezza  normativa,  in
riferimento alle attribuzioni costituzionali spettanti  alla  Regione
ai sensi degli articoli 117, primo, secondo  e  terzo  comma,  e  118
Cost.,  in  quanto  la  disciplina  ivi  contenuta  impedirebbe  alla
Regione, senza alcuna ragionevole giustificazione,  di  espletare  le
proprie funzioni  amministrative  e  di  stabilire  prescrizioni,  in
armonia con la direttiva comunitaria 2008/98/CE. 
    Codesta ecc. ma Corte si e' gia' pronunciata  su  una  disciplina
normativa foriera di incertezza nel regolare l'azione amministrativa,
riscontrando la violazione dell'art. 97 Cost. (sentenza  364/2010)  e
ha evidenziato come la mancanza di  chiarezza  possa  determinare  un
cattivo esercizio delle funzioni affidate alla  cura  della  pubblica
amministrazione. 
    E' necessario che la tecnica normativa risponda ai  canoni  della
chiarezza, razionalita', logicita', coerenza  anche  fra  le  diverse
discipline di una medesima fattispecie, affinche'  vi  sia  sicurezza
circa i comportamenti da adottare  e  i  rapporti  giuridici  da  far
valere. 
    Per i motivi sopra esposti, pertanto, si  chiede  che  l'art.  49
della  legge  n.  221/2015,  venga  dichiarato  incostituzionale  per
contrasto con l'art. 97 Cost. e con il principio  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione sotto il profilo  della  certezza  del
diritto e della chiarezza normativa. 
 
                               P .Q. M. 
 
    Voglia  l'Ecc.ma  Corte  costituzionale  adita,  ogni   contraria
istanza eccezione  e  deduzione  disattesa,  accogliere  il  presente
ricorso e per l'effetto  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221,  «Disposizioni  in
materia ambientale per promuovere misure di green economy  e  per  il
contenimento dell'uso  eccessivo  di  risorse  naturali»,  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale Serie generale del 18 gennaio 2016, n. 13. 
    Milano, 16 marzo 2016 
 
                         Avv. Piera Pujatti 
 
Si depositera', unitamente al presente ricorso  notificato,  Delibera
di Giunta Regionale n. 4931/2016, unitamente ai seguenti documenti: 
    1. Testo inglese della Direttiva 2008/98/CE. 
    2. Linee guida per l'attuazione della Direttiva 2008/98/CE. 
    3. DGR 8571/2008. 
    4. DGR 3596/2012. 
    5. DDS 1795/2014. 
      Milano, 16 marzo 2016. 
 
                         Avv. Piera Pujatti