N. 80 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 febbraio 2016

Ordinanza del 19 febbraio 2016 della Corte d'appello - Sezione minori
di Milano nel procedimento penale a carico di S. V.. 
 
Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive
  brevi -  Esclusione  per  i  condannati  per  determinati  reati  -
  Operativita' del  divieto  anche  per  titolo  esecutivo  di  reati
  commessi da minorenne. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lett. a). 
(GU n.16 del 20-4-2016 )
 
                    LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                   sezione penale per i minorenni 
 
    In persona dei magistrati: 
        Dott.ssa Bianca La Monica - Presidente est.; 
        Dott.ssa Maria Cristina Canziani - Consigliere; 
        Dott.ssa Flavia Tuia - Consigliere; 
        Dott.ssa Susanna Raimondi - Consigliere onorario; 
        Dott. Fabian Oscar Ottaviano - Consigliere onorario. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nei confronti di V. S.  nato
a ...), il ..., attualmente ristretto presso IPM Beccaria di Milano. 
    Con istanza depositata in data 22 dicembre 2015 nell'interesse di
V. S. e' stato proposto incidente di esecuzione  ai  sensi  dell'art.
666 codice di procedura penale avverso l'ordine di esecuzione di pene
concorrenti n. SIEP 1189/2015, emesso in  data  25  novembre  2015  a
carico dello S. dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di
Milano e notificato in data 4 dicembre 2015. 
    Con  tale  ordine  di  esecuzione,   il   Procuratore   Generale,
richiamati i provvedimenti di condanna eseguibili a carico  dello  S.
ritenuta la propria competenza risultando emessa  in  data  5  maggio
2015 dalla Sezione penale per i Minorenni della  Corte  d'Appello  di
Milano l'ultima sentenza passata in giudicato,  determinava  la  pena
residua da espiare nella misura di anni uno e mesi 11 di reclusione e
euro 400 di multa,  previa  considerazione  che  i  reati  di  rapina
aggravata ex art. 628, comma 3, codice penale di  cui  alla  sentenza
101/2015 di questa  Corte  erano  ostativi  alla  applicazione  della
sospensione ex art. 656, 5° e 9° comma, c.p.p. 
    Con  il  ricorso  per  incidente   di   esecuzione,   la   difesa
dell'imputato, dando atto che il Procuratore Generale, in funzione di
Ufficio di Esecuzione, aveva respinto con provvedimento notificato il
18  dicembre  2015  la  richiesta   di   disporre,   «con   decisione
favorevolmente orientata», la sospensione dell'ordine di  esecuzione,
ha sollevato «questione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
656, comma 9, lett. a)  codice  di  procedura  penale  in  quanto  in
conflitto con gli articoli 27, 3° comma,  e  31  della  Costituzione,
nella parte in cui si riferisce a titolo esecutivo per reati commessi
da minorenne», rilevando come il rigido  automatismo  dell'esecuzione
della pena in presenza di un reato cosiddetto ostativo sia  contrario
alla ratio che guida l'intera disciplina della giustizia minorile che
intende come prioritario l'interesse a promuovere o a  rimuovere  gli
ostacoli ai  processi  evolutivi  dell'imputato  minorenne,  anziche'
sancirne gli esiti negativi, in vista  del  preminente  obiettivo  di
inserimento nella societa'. 
    La difesa di V. S. ha richiamato le ampie e ripetute  indicazioni
con le quali la Corte costituzionale ha sottolineato, in  riferimento
alla normativa penale minorile, che la  realizzazione  della  pretesa
punitiva  nei  confronti  dei  minori  e'  subordinata  al  peculiare
interesse-dovere  dello  Stato  al  loro  recupero  (sent.  49/1973),
dovendo  ritenersi  che  nei  confronti  dell'imputato  minorenne  la
funzione (ri)-educativa  della  pena  sia  da  considerarsi,  se  non
esclusiva, certamente preminente (sent. 168/1992).  La  finalita'  di
recupero  del  minore  mediante  la  sua  (ri)-educazione  e  il  suo
inserimento sociale deve quindi caratterizzare tutti i momenti  e  le
fasi processuali, connotando anche il trattamento  del  minore  nella
fase esecutiva, dovendo escludersi qualsiasi parificazione tra adulti
e   minori,   confliggente   con    le    esigenze    di    specifica
individualizzazione e di flessibilita' di trattamento  proprie  della
giustizia minorile (sent. 403/1997), e anche ogni rigido  automatismo
contrastante con la finalita' di risocializzazione (sent. 109/1997  e
n. 403/1997). 
    Riferito e documentato che dal mese di  giugno  2015  V.  S.  era
domiciliato presso  la  residenza  materna,  gravato  da  obbligo  di
presentazione alla P.G.; che si era  rivolto  in  via  autonoma  (non
essendo piu' in carico all'USSM) all'Istituto Il Minotauro di  Milano
intraprendendo un percorso di psicoterapia a cadenza  settimanale;  e
che stava iniziando lo svolgimento  di  attivita'  socialmente  utile
presso l'Associazione Campacavallo, il difensore  del  ricorrente  ha
evidenziato che l'intrapreso percorso di recupero sociale  era  stato
interrotto dall'inizio della fase esecutiva. 
    Fissata udienza per la  data  del  2  febbraio  2016,  la  difesa
depositava in data 27 gennaio 2016, a supporto  delle  argomentazioni
svolte nel ricorso, una memoria difensiva nella quale si sottolineava
ancora la mancanza di un ordinamento penitenziario  specifico  per  i
minori   (nonostante   la   previsione   dell'art.   79   Ordinamento
penitenziario  e  nonostante  i   numerosi   richiami   della   Corte
costituzionale al legislatore perche' venisse colmata  tale  lacuna),
richiamando il recente d.d.l. 2798/15, avente tra l'altro ad  oggetto
«modifiche   all'ordinamento   penitenziario    per    l'effettivita'
rieducativa della pena», contenente pregnanti  indicazioni  anche  in
ordine ai criteri che devono ispirare  l'esecuzione  della  pena  nei
confronti dei minori. 
    All'odierna udienza camerale svoltasi in presenza  dello  S.,  il
Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso,  per  il
cui accoglimento ha argomentato il presente difensore. 
    Questa Corte ritiene la proposta questione  di  costituzionalita'
non manifestamente infondata per le ragioni che seguono. 
    Il quadro normativo e giurisprudenziale che interessa il caso  di
specie puo' essere cosi' sintetizzato: 
        l'art. 656 c.p.p., nel testo attualmente in  vigore,  prevede
al comma 5 che il  Pubblico  Ministero,  con  decreto  notificato  al
condannato e al difensore, sospenda l'esecuzione della pena detentiva
non superiore a tre anni, avvisando il condannato che ha facolta'  di
presentare entro 30 giorni domanda  per  ottenere  dal  Tribunale  di
sorveglianza alcune misure alternative previste dalla legge 354/1975.
Con tale norma il legislatore ha inteso evitare  a  chi  fosse  stato
condannato a pena inferiore a tre anni l'ingresso in carcere  per  il
tempo necessario ad avanzare l'istanza  di  misura  alternativa  alla
detenzione e a consentire lo svolgimento del relativo procedimento; 
        il comma 9, lettera a), dello stesso articolo prevede che  la
sospensione non possa essere disposta a favore dei condannati  per  i
delitti di cui all'art. 4-bis  della  legge  354/1975,  e  successive
modificazioni; 
        l'art. 4-bis della  legge  354/1975  e'  articolato  su  piu'
«gruppi» o «fasce» di delitti per i quali il legislatore ha, a monte,
presunto una specifica pericolosita' sociale dei condannati, tale  da
porre divieto di concessione dei «benefici» elencati al comma 1 dello
stesso articolo; 
        in particolare, per quanto qui interessa, l'art. 4-bis, comma
1-ter, prevede che «...i benefici di cui al comma  1  possono  essere
concessi, purche' non vi siano  elementi  tali  a'  far  ritenere  la
sussistenza  di  collegamenti  con   la   criminalita'   organizzata,
terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui
agli articoli...628, terzo comma, c.p....»; 
        secondo la giurisprudenza della  Corte  di  legittimita',  il
rinvio operato dall'art. 656, comma 9,  lett.  a),  c.p.p.,  all'art.
4-bis della legge 354/75, come negli anni modificata,  ha  natura  di
«...rinvio formale (dinamico) e non recettizio (statico), perche' non
recepisce materialmente la norma  richiamata  e  i  suoi  presupposti
soggettivi di applicabilita', ma si limita  ad  affidare  alla  norma
richiamata l'individuazione delle categorie di delitti  per  i  quali
non si applica la sospensione delle pene detentive  brevi...»  (Cass.
Sezioni Unite Penali 24561/2006), risultando cosi' evidente l'intento
del  legislatore  di  assegnare  esclusivo  rilievo,  ai  fini  della
sospensione,  al  profilo  oggettivo  del  mero  titolo   del   reato
giudicato. 
    Alla stregua del delineato  quadro,  il  divieto  di  sospensione
opera, quindi, semplicemente in presenza dei titoli di reato ostativi
elencati nell'art. 4-bis  legge  n.  354/1975,  a  prescindere  dalla
sussistenza delle condizioni - quali l'assenza di collegamenti con la
criminalita' organizzata  -  che,  nel  contesto  della  disposizione
penitenziaria,   consentirebbero   la   concessione   delle    misure
alternative. Sicche', anche nei casi in cui sia possibile ottenere  i
benefici penitenziari, il condannato per  taluno  dei  reati  di  cui
all'art. 4-bis legge n. 354/1975  non  usufruisce  della  sospensione
dell'esecuzione. 
    Ritiene questa Corte che nei confronti di imputato condannato per
reati   commessi   da   minorenne,   il   divieto   di    sospensione
dell'esecuzione della pena in caso di reato ostativo presenti profili
che fanno dubitare della costituzionalita' dell'art.  656,  comma  9,
lett. a), nella parte in cui si riferisce anche  a  titolo  esecutivo
per reati commessi da minorenne, con riferimento all'art.  27,  comma
3, della Costituzione, in  relazione  all'art.  31,  comma  2,  della
Costituzione secondo  cui  la  Repubblica  «protegge  la  maternita',
l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti  necessari  a  tale
scopo», rafforzandosi, con tale considerata esigenza  di  protezione,
il principio contenuto al  terzo  comma  dell'art.  27,  per  cui  la
sanzione  penale  deve  costituire  occasione  per  il  reinserimento
sociale e la risocializzazione del condannato minorenne. 
    Nel  processo  penale  minorile  disciplinato  dal  decreto   del
Presidente della Repubblica 448/1988,  si  realizza  una  connessione
forte tra le richiamate  norme  costituzionali,  in  quanto  l'intera
normativa del decreto e' attraversata da una  tensione  ideale  verso
l'obiettivo che quel processo sia il piu' possibile  confacente  alle
esigenze educative del minore  imputato,  sicche'  espressamente  nel
decreto si prevede che il processo  penale  non  interrompa  processi
educativi in atto (art. 19, comma 2), si regolano plurimi  interventi
finalizzati  a  non  intralciare  lo   svolgersi   di   un   percorso
educativo-evolutivo-relazionale, nel presupposto  che  l'interruzione
potrebbe   cagionare   pregiudizio   a   personalita'   in   via   di
strutturazione, e si prevedono  istituti  inquadrabili  in  un  ampio
principio  di   residualita'   della   detenzione   quale   paradigma
sanzionatorio. 
    Peraltro,  anche  prima  che  venisse  emanato  il  decreto   del
Presidente della Repubblica 448/1988, la  Corte  costituzionale  gia'
aveva sottolineato, in numerose decisioni, che il processo  penale  a
carico  di  imputati  minorenni  si  caratterizza  per  la  specifica
funzione   di   recupero   del   minore,   assunta    a    «peculiare
interesse-dovere dello Stato», anche a  scapito  della  realizzazione
della pretesa punitiva, che resta subordinata  rispetto  al  recupero
del minore (sent. 49/1973), essendo l'imputato  del  processo  penale
minorile un soggetto protetto dalla Costituzione nel suo diritto allo
sviluppo. 
    La compiuta realizzazione dei principi sopra richiamati  richiede
che di essi si tenga conto non solo  nella  fase  di  cognizione  del
processo penale, ma anche in quella esecutiva,  attualmente  regolata
dall'Ordinamento penitenziario degli adulti, non  risultando  emanata
la «apposita legge» prevista dall'art. 79 della legge 354/1975. 
    Proprio con riferimento alla materia della esecuzione della pena,
la Corte costituzionale, sul rilievo della particolare finalizzazione
del processo penale per i minorenni, ha gia' piu' volte  sottolineato
come l'assoluta parificazione tra adulti e minori  possa  confliggere
con le esigenze di specifica individualizzazione e  di  flessibilita'
del trattamento del detenuto minorenne,  ribadendo  che  l'essenziale
finalizzazione al recupero deve  caratterizzare  tutte  le  fasi  del
trattamento penale del minore,  ivi  compresa  quella  di  esecuzione
della pena, e che la pura e semplice estensione ai detenuti minorenni
della disciplina generale dell'Ordinamento penitenziario disposta  in
via provvisoria dall'art. 79 della legge contrasti con le esigenze  -
discendenti dalla considerazione unitaria degli articoli 3, 27, terzo
comma,  30  e  31  della  Costituzione  -  del   recupero   e   della
risocializzazione dei minori devianti,  esigenze  che  comportano  la
necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto  ai
detenuti   adulti   e   di    eliminare    automatismi    applicativi
nell'esecuzione della pena (Corte Cost. sentenze 125/1992; 109/1997). 
    In questa direzione,  possono,  in  particolare,  richiamarsi  le
sentenze con le quali la Corte costituzionale  ha  statuito  che  non
debbano  esservi  preclusioni   soggettive   all'applicazione   delle
sanzioni sostitutive per i  minorenni  (sent.  16/1998);  che  per  i
minorenni i benefici dell'ordinamento  Penitenziario  possono  essere
concessi sulla pena derivante  da  conversione  di  pena  sostitutiva
(sent. 190/1997); che per i  minorenni  i  permessi  premio  ex  art.
30-ter Ordinamento Penitenziario possono essere concessi senza limiti
temporali in caso di reato  commesso  successivamente  al  titolo  da
espiare (sent. 403/1997); che non vale per i minorenni il divieto  di
benefici penitenziari per tre anni dopo la revoca di altri precedenti
(sent. 436/1999). 
    Ulteriore conferma della esigenza di un allineamento delle regole
dell'esecuzione da applicarsi nei confronti dei  minori  ai  principi
espressi nelle richiamate  pronunce  della  Corte  costituzionale  si
rinviene nel recente ddl 2798/15, approvato dalla Camera dei deputati
il 23 settembre 2015. 
    Il predetto decreto, infatti, che si iscrive in  una  prospettiva
di' generale consolidamento delle opportunita' di accesso alle misure
ex extracarcerarie e indica, tra i principi e i criteri direttivi per
la  riforma   dell'ordinamento   penitenziario,   l'eliminazione   di
automatismi e preclusioni che impediscono o rendono gravoso, per  gli
autori di determinate categorie di reati,  l'individualizzazione  del
trattamento rieducativo (art. 31, lettera e),  prevede  espressamente
con riferimento al processo penale minorile  «...l'adeguamento  delle
norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative...»  dei
minori (art. 31, lett. o).  Tale  indicazione  e'  poi  declinata  in
numerosi specifici criteri direttivi che hanno riferimento anche alle
misure alternative alla detenzione, prevedendo  la  loro  conformita'
alle istanze educative del condannato, l'ampliamento dei  criteri  di
accesso e l'eliminazione di ogni automatismo  e  preclusione  per  la
revoca o per la concessione dei benefici penitenziari,  in  contrasto
con  la  funzione  rieducativa  della  pena  e   con   il   principio
dell'individualizzazione del trattamento. 
    Considera la Corte che la sospensione dell'ordine  di  esecuzione
della pena previsto dall'art.  656,  comma  5,  codice  di  procedura
penale rappresenta il complemento necessario  alla  previsione  delle
misure alternative alla  detenzione  carceraria,  perche'  evita  gli
effetti desocializzanti correlati a un passaggio diretto  in  carcere
del condannato che provenga  dalla  liberta'  e  che  potrebbe  avere
diritto, previa  valutazione  nel  merito  rimessa  al  Tribunale  di
sorveglianza, a misura alternativa. 
    Nel caso di condannato per reato commesso da  minorenne,  per  il
quale il sistema di giustizia penale prevede il carcere come  risorsa
estrema, il meccanismo della sospensione della pena, volto ad evitare
un  impatto  con  la  struttura  carceraria   si   presenta,   quindi
inestricabilmente connesso  con  la  finalita'  (ri)-educativa  della
pena. Pertanto, il rigido automatismo che preclude la  sospensione  -
peraltro di per se' privo  di  apprezzabile  significato  di  «difesa
sociale»,  fondandosi  la  preclusione  solo  su  presunzione  legale
generale e astratta di aver riportato una condanna per taluni reati -
assume, per il condannato da minorenne,  un  significato  configgente
con la richiamata funzione  (ri)-educatrice  della  pena  perche'  lo
conduce,  comunque,  in  carcere,  demandandogli  l'attivazione   del
procedimento  per   l'applicazione   di   misure   alternative,   con
protrazione nel tempo di quello stato  detentivo  che,  nel  processo
penale minorile, rappresenta l'ultima opzione praticabile. 
    Alla luce di quanto considerato, appare quindi non manifestamente
infondato  il  prospettato  dubbio  di  costituzionalita',  sotto  il
profilo che il divieto  di  sospensione  dell'esecuzione  della  pena
possa  irrimediabilmente   compromettere   le   specifiche   esigenze
costituzionali che debbono informare il diritto penale minorile. 
    Il dubbio di costituzionalita' non e' superabile alla stregua dei
rilievi svolti dal PG in ordine all'esistenza di istituti, propri del
processo penale minorile (quali il perdono giudiziale,  l'irrilevanza
del fatto,  la  messa  alla  prova...),  che  consentono  risoluzioni
alternative  alla  pena  detentiva,  per   l'evidente   ragione   che
l'esistenza  di  istituti  peculiari  nell'ambito  della   fase   di'
cognizione del processo penale minorile, non  esclude  la  necessita'
che anche la fase  esecutiva  sia  disciplinata  da  regole  ispirate
all'esigenza costituzionalizzata all'art. 31 della Costituzione,  nel
suo collegamento con l'art. 27, terzo comma, di preservare  eventuali
processi educativi in atto, valorizzando, e non compromettendo,  ogni
sintomo di evoluzione in positivo 
    Poiche' la questione, come si desume dalla pregressa  narrazione,
e' evidentemente  rilevante  nel  caso  di  specie,  gli  atti  vanno
trasmessi alla Corte costituzionale, con sospensione del procedimento
esecutivo in corso, esitato nell'emissione di  ordine  di  esecuzione
della pena in  forma  carceraria,  e  con  conseguente  scarcerazione
dell'imputato ricorrente se non detenuto per altra causa. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  656,  comma  9,
lettera a) c.p.p., in relazione agli articoli  27,  3°  comma,  e  31
della  Costituzione  nella  parte  in  cui  prevede  il  divieto   di
sospensione dell'ordine di esecuzione anche per titolo  esecutivo  di
reati commessi da minorenne; 
        dispone la  immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  e  sospende  il  procedimento  esecutivo  in   corso,
disponendo altresi' l'immediata scarcerazione di V.  S.  se  non  per
altra causa detenuto; 
        dispone   che   la   presente   ordinanza   sia    notificata
all'imputato, al difensore, al Procuratore  Generale,  al  Presidente
del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti  delle  due  Camere
del Parlamento. 
    Manda alla Cancelleria per gli adempimenti. 
 
        Milano, 2 febbraio 2016 
 
              Il Presidente estensore: Bianca La Monica