N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 2016

Ordinanza del 14 marzo 2016 del Tribunale di  Enna  nel  procedimento
civile proposto  da  Azienda  sanitaria  provinciale  di  Enna contro
Restivo Angela. 
 
Unione europea - TFUE - Previsione, ai sensi dell'art. 288 TFUE,  che
  la decisione della Commissione rivolta agli Stati,  ormai  divenuta
  inoppugnabile dinanzi agli organi giurisdizionali  comunitari,  sia
  obbligatoria e vincolante anche per i giudici nazionali. 
- Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di
  Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il  Trattato
  che istituisce la Comunita' europea e  alcuni  atti  connessi,  con
  atto finale, protocolli e dichiarazioni,  fatto  a  Lisbona  il  13
  dicembre 2007), art. 2. 
Unione europea - Previsione, ai sensi dell'art. 267 TFUE, cosi'  come
  interpretato nella sentenza della C.G.E. 30 settembre  2003,  causa
  224/01, che nell'attivita' interpretativa il  giudice  deve  tenere
  conto  delle  posizioni  espresse  dalle  istituzioni  europee  non
  giurisdizionali. 
- Legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di
  Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il  Trattato
  che istituisce la Comunita' europea e  alcuni  atti  connessi,  con
  atto finale, protocolli e dichiarazioni,  fatto  a  Lisbona  il  13
  dicembre 2007), art. 2. 
Ordinamento giudiziario - Responsabilita'  civile  dei  magistrati  -
  Responsabilita' per colpa grave -  Inclusione  tra  le  ipotesi  di
  manifesta violazione del diritto dell'Unione europea del  contrasto
  tra un atto o  un  provvedimento  giudiziario  e  l'interpretazione
  espressa  della  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea   sulla
  vincolativita' delle decisioni della  Commissione  europea  per  il
  giudice nazionale. 
- Legge 13 aprile 1988, n.  117  (Risarcimento  dei  danni  cagionati
  nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'  civile
  dei magistrati), art. 2, comma  3  (come  sostituito  dall'art.  2,
  comma 1, lett. c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18  (Disciplina
  della  responsabilita'  civile  dei  magistrati)  e  comma   3-bis,
  introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge 27  febbraio
  2015,  n.  18  (Disciplina   della   responsabilita'   civile   dei
  magistrati). 
(GU n.21 del 25-5-2016 )
 
                          TRIBUNALE DI ENNA 
 
    Ordinanza pronunciata fuori udienza ai sensi dell'art. 176  c.p.c
e dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Il giudice dott. Calogero Commandatore ha pronunciato la seguente
ordinanza  nell'ambito  del  giudizio  di   opposizione   a   decreto
ingiuntivo  iscritto  al  n.  786/2011  R.G.  proposto   dall'Azienda
sanitaria provinciale di Enna nei confronti di Restivo Angela; 
    Letti gli atti, esaminata la documentazione; 
    Preso atto delle dichiarazioni rese dalle parti in udienza; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
    1. Con ricorso ex art. 633 e ss. c.p.c., depositato il 14  maggio
2010, Restivo Angela chiese al Presidente del Tribunale  di  Enna  di
ingiungere all'A.U.S.L. n. 4 il pagamento  della  somma  di  7.023,72
euro premettendo di avere abbattuto n. 14  capi  bovini  (cosi'  come
indicato in apposita  attestazione  dell'autorita'  sanitaria)  e  di
essere,   pertanto,   creditrice   nei   confronti   della   predetta
amministrazione pubblica in forza dell'art. 1,  legge  della  Regione
Siciliana n. 12 del 5 giugno 1989 secondo cui «Al fine di  perseguire
l'obiettivi  del   risanamento   degli   allevamenti   bovini   dalla
tubercolosi, dalla brucellosi e della leucosi e degli allevamenti ovi
- caprini dalla brucellosi, ai sensi delle leggi 9  giugno  1964,  n.
615, 23 gennaio 1968, n. 33 e 23 gennaio 1968,  n.  34  e  successive
modificazioni ed integrazioni, e' concessa  ai  proprietari  di  capi
bovini  abbattuti  e/o  distrutti  perche'  riscontrati  infetti   da
tubercolosi, brucellosi o leucosi e di capi ovi -  caprini  abbattuti
e/o distrutti perche' riscontrati affetti da brucellosi, in  aggiunta
all'indennita'  prevista  dalle   vigenti   disposizioni   nazionali,
un'indennita' nella  misura  indicata  nella  tabella  allegata  alla
presente legge». 
    Il  giudice  del  procedimento  monitorio,   sulla   base   della
documentazione prodotta dalla ricorrente, emise  ai  sensi  dell'art.
641 c.p.c., il decreto ingiuntivo n. 162/11  tempestivamente  opposto
dall'A.S.P. con l'istaurazione del presente processo. 
    Tra i motivi a sostegno  dell'opposizione,  in  via  preliminare,
l'A.S.P. evidenziava come il fondo previsto da tale legge  non  fosse
stato reintegrato a  partire  dal  1997  dal  competente  Assessorato
regionale poiche' tali indennizzi erano stati considerati  «aiuti  di
Stato» rilevanti ex art. 87, par. 1 del Trattato CE  (oggi  art.  107
TFUE). 
    La Regione Siciliana aveva provveduto ad adempiere all'obbligo di
comunicazione previsto dall'art. 88, par. 3, TCE (oggi art. 108, par.
3 TFUE) onde ottenere, per ogni singola annualita',  l'autorizzazione
al pagamento di tale indennita'. 
    Con la decisione C(2002) 4786 dell'11 dicembre  2002  indirizzata
all'Italia, la Commissione europea  -  pur  qualificando  l'anzidetta
misura come aiuto di Stato e,  percio',  deplorando  l'operato  dello
Stato italiano per avere  dato  esecuzione  all'aiuto  in  violazione
dell'art. 88, par. 3 - ne aveva autorizzato l'erogazione per gli anni
1993, 1994, 1995, 1996 e 1997. 
    Appare, pertanto, chiara la posizione della  Commissione  europea
che, con decisione indirizzata all'Italia ha qualificato la misura in
oggetto come aiuto di Stato. 
    Tale decisione, allo stato, appare divenuta inoppugnabile poiche'
nessuna delle parti in causa ha dedotto di averla impugnata e neppure
ne hanno contestato, incidentalmente, la validita'. 
    Di contro, per il periodo  ricompreso  per  gli  anni  2000-2006,
nonostante l'art. 25, comma 16, L.R. n. 19/2005  avesse  previsto  un
apposito rifinanziamento  del  fondo  a  seguito  dell'ordinanza  del
Ministero della sanita' del 14 novembre 2008 e della nebulosita'  del
testo normativo la Regione Siciliana aveva disatteso quanto  indicato
nell'atto  legislativo  non  rifinanziando  il  fondo  e,   pertanto,
omettendo la comunicazione alla commissione ai sensi del citato  art.
107 TFUE. 
    2. Da quanto fin qui esposto emerge, all'evidenza,  come  per  la
soluzione  della   presente   controversia   questo   giudice   debba
preliminarmente valutare  la  possibile  sussunzione  dell'indennizzo
previsto dalla citata legge  regionale  nella  nozione  di  aiuto  di
Stato. 
    Secondo la giurisprudenza  eurounitaria,  in  prima  battuta,  e'
demandato al giudice nazionale il  compito  di  «di  valutare  se  un
provvedimento statale, adottato  senza  seguire  il  procedimento  di
controllo preventivo di cui all'art. 88,  n.  3,  CE,  debba  o  meno
esservi soggetto (sentenze 22 marzo 1977,  causa  78/76,  Steinike  &
Weinlig, Racc.  pag.  595,  punto  14,  e  21  novembre  1991,  causa
C-354/90, Federation nationale du  commerce  exterieur  des  produits
alimentaires et Syndicat national des negociants  et  transformateurs
de saumon, Racc. pag. I-5505, punto 10).  Analogamente,  al  fine  di
poter determinare se una misura statale  attuata  senza  tener  conto
della procedura di esame preliminare prevista dall'art. 6  del  terzo
codice dovesse esservi o meno assoggettata, un giudice nazionale puo'
essere indotto a interpretare la nozione di aiuto di cui all'art.  4,
lett. c), del Trattato CECA e all'art. 1 del terzo  codice  (v.,  per
analogia, sentenza 20 settembre 2001, causa  C-390/98,  Banks,  Racc.
pag. I-6117, punto 71).». (cfr. CGUE 18 luglio 2007, causa  C-119/05,
Lucchini, §50). 
    Specifica, pero', la Corte di giustizia che nel caso  in  cui  il
giudice nazionale nutra dubbi in ordine alla  qualificazione  di  una
determinata misura come aiuto di Stato ai sensi dell'art. 107 TFUE lo
stesso debba chiedere chiarimenti  alla  Commissione  europea  o,  in
alternativa, possa e, nel caso in cui sia giudice di ultima  istanza;
debba sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte  di  giustizia
dell'Unione europea (cfr. CGUE, Sez. II, 21 novembre 2013, n. 284,  §
44). 
    Il  secondo  giudizio,  invece,  ossia   quello   inerente   alla
compatibilita' di un provvedimento statale qualificato quale aiuto di
Stato (§ 51) con il mercato interno, e' precluso al giudice nazionale
che non puo' pronunciarsi su tale  questione  essendo  la  stessa  di
esclusiva competenza della Commissione europea  che  opera  sotto  il
controllo del giudice comunitario (§ 52). Competenza esclusiva  della
Commissione che costituisce «principio e' vincolante nell'ordinamento
giuridico nazionale in quanto corollario della preminenza del diritto
comunitario» (§ 62). 
    Spiegano, inoltre, i giudici della Corte di  giustizia  che  tale
competenza esclusiva della commissione preclude la possibilita' per i
giudici nazionali di adire la Corte di giustizia ai  sensi  dell'art.
234 TCE (oggi art. 267 TFUE) onde interrogarla  sulla  compatibilita'
con il mercato comune di un aiuto di Stato o di un  regime  di  aiuti
(CGUE, Sez. V, 24 luglio 2003, n. 297, § 47). 
    Chiariti i vincoli interpretativi che questo giudice e' tenuto ad
osservare in  ragione  del  principio  di  primazia  dell'ordinamento
comunitario sul diritto nazionale e  della  natura  vincolante  delle
pronunce della Corte di giustizia (Corte cost., 23  aprile  1985,  n.
113, in Giur. cost., 1985, I, p. 694 e Corte cost.,  ord.  23  giugno
1999, n. 255, in Giur. cost., 1999, p. 2203)  occorre  verificare  se
tali limitazioni al potere giurisdizionale del giudice  comune  siano
compatibili con i principi supremi di indipendenza interna ed esterna
del giudice e della separazione dei poteri contemplati  dalla  nostra
Costituzione. 
    3.  Esaminando,  in  primo  luogo,   i   limiti   del   sindacato
giurisdizionale del giudizio di compatibilita' tra  un  provvedimento
statale e il mercato comune deve evidenziarsi come tale  valutazione,
coinvolgendo scelte di opportunita' politica e amministrativa,  possa
costituire un'ipotesi di limite esterno della  giurisdizione  poiche'
connotata da scelte inerenti alla policy or expediency della pubblica
amministrazione  che,  anche  nella  giurisprudenza  della  Corte  di
Strasburgo, possono configurarsi quali  limiti  del  pieno  controllo
giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell'uomo,  19  marzo
1997, Hornsby c. Grecia in Riv. intern.  dei  dir.  uomo,  1997,  pp.
409-416). 
    4. Di contro, secondo la giurisprudenza della Corte di  giustizia
sopra ricordata, emerge come questo giudice  sia  altresi'  vincolato
dalla decisione della Commissione onde operare la  qualificazione  di
una determinata misura nazionale come aiuto di Stato (cfr.  C.G.C.E.,
21 maggio 1987, in causa 249-85 secondo cui «Bisogna sottolineare, in
secondo luogo, che ai sensi dell'art. 189, 4° comma, del trattato, le
decisioni sono obbligatorie per i destinatari da esse designati.  Ove
si  tratti  di  decisioni  indirizzate  agli  Stati  membri,   questa
obbligatorieta' vale per tutti gli organi dello  Stato  destinatario,
ivi compresi i giudici. Discende  da  cio'  che,  in  ossequio  della
preminenza del diritto  comunitario,  principio  questo  posto  nella
sentenza 15  luglio  1964  (Costa/ENEL,  6/64,  Racc.  pag.  1129)  e
precisato nella sentenza 9 marzo 1978 (Simmenthal, 106/77, Racc. pag.
629), i giudici nazionali devono astenersi  dall'applicare  le  norme
interne, ed in particolare, come nel  caso  in  esame,  quelle  sulla
concorrenza sleale e  sulle  vendite  a  premio,  la  cui  attuazione
potrebbe ostacolare l'esecuzione  di  una  decisione  comunitaria».).
Tale  decisione  unitamente  ad  altri  precedenti  della  Corte   di
giustizia sulla natura  vincolante  per  i  giudici  nazionali  delle
decisioni assunte (come nel caso di specie) dalla Commissione europea
nei confronti degli Stati membri e divenute inoppugnabili (cfr. CGUE,
9 marzo 1994, n.  188,  in  causa  C-133-92).)  si  impone  con  tale
chiarezza da escludere - a parere di questo giudice -  la  necessita'
di un rinvio pregiudiziale alla Corte di  giustizia  che  appare,  in
ogni caso, non pertinente poiche' questo  giudice  non  dubita  della
validita' della decisione  della  Commissione  ne'  sussistono  dubbi
interpretativi sulla portata della stessa (CGUE, Sez.  VI.  2  maggio
1996, n. 19). 
    In altre parole, cio' che rileva nel presente giudizio, non e' la
correttezza o la validita' della decisione della commissione,  ma  il
riconoscimento della sua efficacia vincolante per questo giudice  che
verrebbe cosi' assoggettato alle decisioni  assunte  dalle  autorita'
amministrative europee. 
    Ed  invero,  le  decisioni  della  commissione,  pur  sussumibili
nell'alveo dei provvedimenti amministrativi, si  atteggiano  cosi'  a
strumento per influenzare i giudizi  in  corso  potendo  impedire  al
giudice del caso concreto di vagliare l'ambito di applicazione  delle
norme nazionali e delle norme comunitarie. 
    La  valenza  sostanzialmente   legislativa   e   la   conseguente
vincolativita' per i giudici nazionali  delle  decisioni  rese  dalla
Commissione europea  trova  conforto  nella  costante  giurisprudenza
della Corte di cassazione (cfr. Cass. Civ.,  Sez.  Trib.,  11  maggio
2012, n. 7319 secondo cui «Le decisioni  adottate  dalla  Commissione
europea e non piu' impugnabili ne' dallo Stato membro designato  come
destinatario,  ne'  dalla  parte  direttamente   ed   individualmente
interessata, per il decorso del termine di due mesi dal giorno in cui
questa  ha  avuto  conoscenza  del  provvedimento,  hanno   efficacia
vincolante per il giudice nazionale, atteso il  principio  desumibile
dagli art. 288,  comma  4,  e  263  del  trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea» conformi Cass.  Civ.,  Sez.  Lav.,  5  settembre
2013, n. 20413; Cass. Civ., Sez. Trib., 12 settembre 2012, n.  15207;
Cass. Civ., Sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269; Cass. Civ.,  Sez.  I,
28 ottobre 2005, n. 21083; Cass. Civ., Sez. III,  4  marzo  2005,  n.
4795) 
    L'imperativita' delle pronunce della Corte di giustizia anche  in
relazione  alla  forza  vincolante  delle  decisioni   amministrative
adottate  dalle  istituzioni  europee  e'  assicurata,  inoltre,  dal
sistema di  responsabilita'  dello  Stato  per  atto  giurisdizionale
chiaramente delineato dalla giurisprudenza comunitaria. 
    Occorre  ricordare,  infatti,  come  secondo  la  sentenza  della
C.G.U.E., 30 settembre  2003,  causa-224/01  la  «posizione  adottata
eventualmente da un'istituzione comunitaria» costituisca parametro ed
elemento valutativo per fondare la responsabilita'  dello  Stato  per
violazione   del   diritto   comunitario   da    parte    dell'organo
giurisdizionale di ultima istanza (cfr. § 52-55 della sentenza). 
    La novellata legge n. 117/1988, disciplinante la  responsabilita'
dello Stato per  i  danni  cagionati  nell'esercizio  delle  funzioni
giudiziarie, ha incluso tra le  ipotesi  integranti  la  colpa  grave
(art. 2, commi 3 e 3-bis) dell'organo giurisdizionale - anche non  di
ultima istanza - la  manifesta  violazione  del  diritto  dell'Unione
europea da determinarsi tenendo  conto  dell'interpretazione  dettata
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia tra cui, per quanto fin
qui detto, devono annoverarsi anche  le  pronunce  con  le  quali  il
giudice eurounitario vincola i giudici comuni  alle  decisioni  della
Commissione (principio espressamente ribadito dal regolamento (CE) n.
1/2003 del  Consiglio  del  16.12.2002)  e  delle  altre  istituzioni
comunitarie. 
    Il giudice comunitario ha delineato, in via pretoria, un  sistema
di  responsabilita'  dello   Stato   per   violazione   del   diritto
comunitario, non previsto espressamente dai Trattati, (cfr. C.G.C.E.,
Humblet c. Belgio, 16 dicembre 1960,  C-  6/60,  Russo  c.  AIMA,  22
gennaio 1976, C- 60/75)  Francovich  c.  Italia,  19  novembre  1991,
C-6/90 e C-9/90) e che costituisce,  nel  caso  che  ci  occupa,  uno
strumento  di  "cooperazione  autoritaria"  non  solo   tra   giudici
nazionali e giudice comunitario in violazione degli artt. 101  e  107
Cost., ma anche tra giudici nazionali e  le  istituzioni  comunitarie
che possono influenzare i giudizi in corso tramite  l'espressione  di
una mera "posizione" e di provvedimenti amministrativi. 
    Tale  interferenza,  incidendo  sull'indipendenza  esterna  della
magistratura, si scontra con  l'art.  101  e  l'art.  104  Cost.  che
costituiscono  concreta   attuazione   del   principio   supremo   di
separazione dei poteri che  in  reazione  al  potere  giudiziario  si
atteggia  a  principio  supremo  e   strutturale   della   tradizione
costituzionale liberale. 
    Ed invero, se il principio di separazione dei poteri  puo'  avere
delle attenuazioni in ordine agli altri poteri (ad  es.  il  rapporto
che lega l'esecutivo  al  legislativo),  nei  sistemi  costituzionali
moderni,  tale  attenuazioni  non  possono   riguardare   il   potere
giudiziario. 
    La giurisprudenza costituzionale, sul punto, ha  sempre  ribadito
che il principio di indipendenza della magistratura non possa  essere
inciso da atti vincolanti provenienti dalle pubbliche amministrazioni
(Cfr. Corte cost., 14 marzo  1988,  n.  440)  o  da  qualsiasi  altra
volonta' che non sia quello obbiettiva della legge. 
    L'indipendenza della magistratura da  ogni  interferenza  esterna
costituiscono fondamentale garanzia dell'art. 24 Cost. e  del  giusto
processo cosi'  come  evidenziato  dalla  giurisprudenza  CEDU  nella
citata sentenza Hornsby. 
    Incidere  sull'indipendenza  esterna   della   magistratura   non
costituisce,  pertanto,  solo  una  violazione   del   principio   di
separazione dei poteri, ma altresi' del diritto di accesso al giudice
consacrato quale diritto supremo  e  universale  dall'art.  24  Cost.
nonche'  del  principio  di   eguaglianza   sostanziale   contemplato
dall'art. 3, comma 2° Cost. di rappresentano un  limite  invalicabile
sia per il diritto comunitario  sia  per  il  diritto  internazionale
consuetudinario e pattizio (cfr. Corte  cost.  n.  232/1989  e  Corte
cost. 238/2014). 
    La C.G.U.E., stabilendo la vincolativita' delle  decisioni  della
Commissione  per  i  giudici  nazionali  comuni,  non  si  limita  ad
interpretare ed applicare i trattati cosi' come previsto ex  art.  19
TUE ed ex art.  267  TFUE,  ma  incide  sul  regime  di  gerarchia  e
rilevanza delle fonti  del  diritto  nonche'  sulla  separazione  dei
poteri all'interno  dei  singoli  Stati,  superando  cosi'  i  limiti
previsti dal Trattato. 
    In altre parole, la giurisprudenza della C.G.U.E. e  in  generale
il diritto comunitario possono ritenersi vincolanti  per  il  giudice
comune, cosi' come stabilito dalla Corte costituzionale, solo qualora
non   venga   intaccato   il   nucleo   intangibile    dell'identita'
costituzionale. 
    L'Unione europea, infatti,  rimane  una  (speciale  e  peculiare)
organizzazione internazionale  in  cui  gli  esclusivi  titolari  dei
poteri sovrani (in particolare quello del  c.d.  kompetenz-kompetenz)
permangono i capo agli Stati. 
    Tale    matrice    internazionalistica    dell'Unione     emerge,
all'evidenza, dal tenore degli artt. 4 e 5 del TUE in base  al  quale
l'Unione puo' fare solo quanto e' previsto nei trattati. Tale  limite
distingue l'Unione europea  dagli  ordinamenti  federali  in  cui  la
sovranita' non e'  piu'  dei  singoli  Stati  ma  di  un  ordinamento
sovraordinato, originario e non limitato. 
    Sotto tale profilo, pertanto, il  controllo  del  rispetto  delle
competenze e  del  rispetto  del  nucleo  intangibile  dell'identita'
costituzionale e' rimesso  agli  Stati  e,  segnatamente  alle  Corti
costituzionali cui spetta l'identity review  e  Ultra-vires-Kontrolle
rispetto agli atti  dell'Unione  (cosi'  come  chiarito  dalla  Corte
costituzionale tedesca, da ultimo, nella sentenza Lissabon-Urteil) e,
in   sostanza   la   suprema   e   finale   giustiziabilita'    della
responsabilita' per l'integrazione. 
    Ed invero, principio di primazia del diritto dell'Unione  europea
vige solo nei  limiti  in  cui  interpretativi  dettati  dalla  Corte
costituzionale poiche' l'ordinamento UE non ha carattere originario e
i valori di cui all'art.  2  TUE  non  hanno  primato  sull'identita'
costituzionale degli Stati membri. 
    5.  Con  riguardo  al  profilo  della  rilevanza,  e'   opportuno
rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 dell'11
gennaio 1989, nel decidere una serie  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale che erano  state  sollevate  in  relazione  ad  alcune
disposizioni della legge n. 117  del  1988,  ha  chiarito  quale  sia
l'esatto ambito di applicazione dell'art. 23  della  legge  11  marzo
1953, n. 87. In tale pronuncia il  giudice  delle  leggi  ha  infatti
precisato   che   tale   norma   comporta   che   la   questione   di
costituzionalita' proposta deve esser tale che «il giudizio non possa
essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione»   di   essa,
implicando, di regola, che la rilevanza  sia  strettamente  correlata
all'applicabilita'  della  norma  impugnata  nel  giudizio   a   quo.
Tuttavia, come gia' implicitamente ritenuto in altre occasioni  (cfr.
Corte cost. 24 novembre 1982, n. 196;  4  luglio  1977,  n.  125;  15
maggio 1974, n. 128), la  Corte  ha  anche  stabilito  che:  «debbono
ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non  essendo
direttamente applicabili nel giudizio a quo,  attengono  allo  status
del  giudice,  alla  sua  composizione  nonche',  in  generale,  alle
garanzie e ai doveri  che  riguardano  il  suo  operare.  L'eventuale
incostituzionalita' di tali norme e' destinata ad influire su ciascun
processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la
composizione, le garanzie e i doveri:  in  sintesi,  la  "protezione"
dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri  si  accompagnano
ai diritti». 
    Tale principio  e'  stato  implicitamente  ribadito  anche  nella
sentenza 24 luglio 2013, n. 237 con la quale la Corte ha ritenuto non
fondate, tra le altre, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, e dell'art. 1, con
l'allegata tabella A, del decreto legislativo n. 155 del 2012,  nella
parte  in  cui,  disponevano  la  soppressione   di   alcuni   uffici
giudiziari, tra i quali il Tribunale ordinario di Sala Consilina. 
    In quel caso la rilevanza della questione era stata  desunta  dal
fatto che il processo che si  stava  svolgendo  presso  il  succitato
ufficio  giudiziario  avrebbe  dovuto  essere  rinviato  ad   udienza
successiva a quella di acquisto di efficacia del decreto  legislativo
n. 155 del 2012 e, quindi, nella nuova sede giudiziaria ed era  stata
motivata nella ordinanza di rimessione mediante richiamo al  predetto
principio. 
    Ne' puo' affermarsi che il giudice rimanga indifferente all'esito
del giudizio di responsabilita' nei confronti dello  Stato,  giacche'
l'obbligo di rivalsa previsto dall'art. 9 della citata legge  nonche'
i  riflessi  in  ambito  del  giudizio  disciplinare,  previsti   dal
successivo  art.  10,  di  per  se',   influiscono   sulla   corretta
determinazione dell'organo giurisdizionale. 
    Sulla base di tali premesse si comprende la diretta rilevanza nel
giudizio a quo delle questioni appena prospettate. 
    Questo giudice, onde non rischiare di incorrere in un'ipotesi  di
responsabilita' dello Stato per fatto del magistrato, deve  a  priori
escludere qualsiasi  opzione  interpretativa  differente  rispetto  a
quella adottata dalla Commissione europea vedendo di  fatto  menomata
la liberta'  interpretativa  assicuratagli  dall'art.  101  Cost.  Il
cittadino ricorrente verrebbe,  inoltre,  privato  del  diritto  alla
tutela  giurisdizionale  dinnanzi  ad  un  giudice  indipendente   ed
imparziale poiche' influenzato in modo vincolante  da  una  decisione
assunta aliunde da un'autorita' amministrativa. 
    Anzi,  una   motivazione   adottata   da   questo   giudice   che
disattendesse  expressis  verbis  la  decisione   della   commissione
potrebbe esporre lo scrivente  ad  una  responsabilita'  diretta  nei
confronti delle  parti  processuali  potendosi  configurare  il  dolo
civilistico legittimante  la  chiamata  diretta  del  magistrato  nel
giudizio di responsabilita' ex legge n. 117/1988. 
 
                              P. T. M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Rimette gli atti di legittimita' costituzionale dell'art. 2 legge
2 agosto 2008,  n.  130  con  cui  viene  ordinata  l'esecuzione  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea nella parte in cui, 
        ai sensi dell'art. 288 TFUE, cosi'  come  interpretato  dalla
costante giurisprudenza della Corte di giustizia, si prevede  che  la
decisione  della  Commissione  rivolta  agli  Stati,  ormai  divenuta
inoppugnabile dinnanzi agli organi  giurisdizionali  comunitari,  sia
obbligatoria e vincolante in tutti  i  suoi  elementi,  anche  per  i
giudici nazionali, in ragione del contrasto della norma con gli artt.
24, 101 e 104 Cost., 
        ai sensi dell'art. 267 TFUE, cosi'  come  interpretato  nella
sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa-224/01, si  prevede
che nell'attivita' interpretativa il giudice debba tenere conto delle
posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali,  in
ragione del contrasto della norma con gli artt. 24, 101 e 104 Cost. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 3 e 3-bis della  legge
13 aprile 1988, n.  117  -  cosi'  come  modificata  dalla  legge  27
febbraio 2015 n. 18 - nella parte in cui include tra  le  ipotesi  di
manifesta violazione del diritto dell'Unione europea il contrasto tra
un atto o un provvedimento giudiziario e  l'interpretazione  espressa
dalla Corte di giustizia  dell'Unione  europea  sulla  vincolativita'
delle decisioni della Commissione europea per il  giudice  nazionale,
in ragione del contrasto della norma con gli  artt.  24,  101  e  104
Cost. 
    Sospende  il  giudizio  in  corso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Dispone  che,  a  cura  della   cancelleria,   gli   atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la  presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed  al   pubblico
ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e  che
sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
      Enna, 14 marzo 2016 
 
                 Il Giudice:  Calogero Commandatore