N. 162 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2016
Ordinanza del 28 aprile 2016 del Tribunale di Lanusei nel procedimento penale a carico di Scattu Pietro Franco Giuseppe. Processo penale - Decreto penale di condanna - Avviso all'imputato della facolta' di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all'atto di opposizione - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, art. 460.(GU n.37 del 14-9-2016 )
TRIBUNALE DI LANUSEI Sezione Penale Il Giudice dott. Giovanni Paolo Piana, Vista l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 460 codice di procedura penale, proposta dalla difesa all'udienza del 15 marzo 2016, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l'avviso all'imputato della facolta' di poter richiedere la sospensione del processo con messa alla prova ex art. 464-bis codice di procedura penale Osserva A Scattu Pietro Franco Giuseppe e' stato notificato, in data 12 giugno 2014, il decreto penale di condanna nr. 64/2014, per il reato di cui agli articoli 5 lett. d) e 6 legge 30 aprile 1962 n. 283. Avverso tale provvedimento l'imputato, tramite il proprio difensore di fiducia munito di procura speciale, ha presentato opposizione in data 26 giugno 2014, senza richiedere alcun rito alternativo ne' la sospensione del procedimento per messa alla prova. All'udienza del 15 marzo 2016 lo Scattu, tramite il proprio difensore, ha presentato richiesta di rimessione in termini ai fini della richiesta di messa alla prova, eccependo al contempo una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 460 comma 1, lettera E codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che nel decreto penale di condanna sia contenuto l'avviso all'imputato della facolta' di potersi avvalere del procedimento speciale di cui all'art. 464-bis codice di procedura penale, in quanto lesivo del diritto di difesa dello stesso, cosi' come tutelato dagli articoli 3 e 24 della Costituzione. Rilevanza della questione La questione e' rilevante. Il presente giudizio consegue ad un'opposizione a decreto penale di condanna e pertanto l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova avrebbe dovuto essere proposta nell'atto di opposizione, come prevede l'art. 464-bis comma 2 codice di procedura penale. Da cio' deriva che, sulla base della disciplina attualmente vigente, l'istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile perche' tardiva. Se la presente questione dovesse essere accolta, l'imputato si troverebbe nella condizione di poter essere rimesso in termini per richiedere l'ammissione all'istituto, dovendo ravvisarsi un rapporto di causalita' tra l'omissione dell'avviso ed il mancato esercizio della facolta' di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. Essendo l'imputato Scattu nelle condizioni di legge per poter richiedere beneficio in questione (il reato contestato e' punito con una pena detentiva che rientra nei limiti stabiliti dall'art. 168-bis del codice penale), la questione si presenta di sicura rilevanza all'esito del presente procedimento. Non manifesta infondatezza 1) in relazione all'art. 3 Costituzione Come affermato in numerose pronunce della Corte costituzionale (da ultimo le ordinanze n. 245 del 24 settembre 2014 e n. 286 del 19 dicembre 2012) non puo' stabilirsi in astratto un unico parametro di informazione dovuto all'imputato in relazione ai vari riti in quanto «le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere variamente modulate dal legislatore in relazione alle caratteristiche dei singoli riti» . Si evidenzia tuttavia come l'istituto della messa alla prova, in quanto costituisce un'alternativa procedimentale al giudizio dibattimentale ordinario, va ritenuto assimilabile ai riti cd «alternativi». Lo sbocco al quale conduce - sospensione del procedimento e successiva declaratoria di estinzione del reato - e' assai piu' incisivo rispetto ad essi e produce effetti analoghi all'oblazione. Considerato che, della facolta' di accedere ai suddetti riti alternativi e all'oblazione, l'imputato deve essere avvisato a pena di nullita' nel decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552 comma 1 lettera F e comma 2 codice di procedura penale), nel decreto penale di condanna (art. 460 comma 1 lettera E codice di procedura penale e 141 comma 3 disp. att. c.p.p.) e nel decreto di giudizio immediato (art. 456, comma 2 c.p.p., il quale non fa menzione dell'oblazione in quanto il tipo di giudizio non e' applicabile ai delitti per i quali essa e' ammessa), si rende evidente la disparita' di trattamento riservata ad un istituto che, attraverso le condotte che vengono prescritte mediante i programmi elaborati, e' teso alla «eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo» (Cassaz. sez. 2 n. 14112 del 2015). Una disposizione analoga a quelle menzionate non e' prevista nel procedimento ordinario in relazione all'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, dal momento che l'art. 419 codice di procedura penale non prevede che debba essere dato all'imputato alcun avviso circa i riti alternativi. Tale mancanza trova tuttavia una giustificazione nel fatto che nel rito ordinario il termine per l'esercizio della facolta' di accesso ai riti alternativi e' esteso fino al momento della precisazione delle conclusioni all'udienza camerale. In questa sede il diritto di difesa e' assicurato dalla presenza obbligatoria del difensore. Per tale motivo la disposizione dell'art. 419 codice di procedura penale non puo' essere sospettata d'incostituzionalita' in quanto la celebrazione dell'udienza preliminare amplia gli spazi di difesa dell'imputato. 2) In relazione all'art. 24 Costituzione Come affermato dalla Suprema Corte in relazione al giudizio immediato «l'effettivo esercizio delle facolta' di chiedere i riti alternativi costituisce una delle piu' incisive forme di intervento dell'imputato, cioe' di partecipazione «attiva» alle vicende processuali, con la conseguenza che ogni illegittima menomazione di tale facolta', risolvendosi nella violazione del diritto sancito dall'art 24, secondo comma Cost., integra la nullita' di ordine generale sanzionata dall'art. 178, comma 1, lettera c), codice di procedura penale» (Corte costituzionale ordinanza 148/2004). La facolta' suddetta costituisce infatti un diritto personalissimo dell'imputato il cui esercizio necessita di una dichiarazione personale dello stesso o di una procura speciale rilasciata in tal senso al difensore. La necessita' che l'imputato sia avvisato della possibilita' di optare per i riti alternativi al dibattimento ed in particolare per l'istituto della messa alla prova si rende ancor piu' evidente nella fase di emissione del decreto penale di condanna, nella quale il difensore e' spesso, come pure nel caso di specie, nominato d'ufficio dal G.i.p e, come sostenuto da autorevole dottrina, difetta pertanto di quella funzione di «assistenza sociale», rivestendo unicamente la funzione «di attuare il contradditorio in un processo basato sul principio dialettico». In altre parole, nella fase suddetta, caratterizzata piu' di altre dall'importanza del ruolo autonomo dell'imputato, e' necessario che lo stesso venga informato in modo preciso e puntuale di' tutte le possibili modalita' di esplicazione del proprio diritto di difesa. La presenza di uno specifico dovere di informazione a carico del difensore - il quale dovrebbe essere al corrente che la facolta' in questione ed il termine entro il quale deve essere esercitata sono espressamente previsti dall'art. 464-bis 2 comma - non supplisce alla mancanza di un espresso avviso all'imputato, quale ha il diritto di poter scegliere autonomamente un istituto che, come sostenuto da autorevole dottrina processuale - penalistica, e' configurato dal legislatore come un «rito speciale imperniato sulla volonta' dell'imputato». La mancanza dell'avviso della facolta' di avvalersi dell'istituto della sospensione del processo con messa alla prova costituisce pertanto una menomazione del diritto ad una partecipazione attiva al processo in quanto non rende edotto l'imputato di tutte le possibilita' di definizione della propria posizione processuale previste dalla legge. Trattandosi di una prerogativa che deve essere esercitata entro brevissimi termini di decadenza e a prescindere della celebrazione di un'espressa udienza, il mancato avviso puo' determinare la perdita irrimediabile della facolta' di accedere all'istituto in questione. Dall'esposizione normativa e giurisprudenziale che precede si puo' concludere per l'esistenza, nel nostro ordinamento processual-penalistico, di un principio generale, fondato sull'art. 24 della Costituzione, secondo cui la scelta della alternative procedimentali al giudizio dibattimentale ordinario, nel caso in cui debba essere effettuata, come nel caso di opposizione al decreto penale di condanna, entro brevi termini di decadenza che maturano al di fuori di un'udienza o in limine alla stessa, deve essere preceduta da un apposito avviso che manca nel caso di specie. Da qui la non manifesta infondatezza della questione proposta in questa sede in relazione agli articoli 3 e 24 della Costituzione.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 460 codice di procedura penale in relazione all'art. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l'avviso all'imputato della facolta' di chiedere la sospensione del processo per messa alla prova unitamente all'atto di opposizione; sospende il giudizio in corso; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; ordina la notificazione della presente ordinanza a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Lanusei, 28 aprile 2016 Il giudice: Piana