N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 2015
Ordinanza del 16 dicembre 2015 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da «Italy Qube S.r.l.» contro Agenzia delle dogane e dei monopoli e altri. Gioco e scommesse - Riduzione delle risorse statali, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi VLT (Video Lottery Terminal). - Legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)"), art. 1, comma 649.(GU n.38 del 21-9-2016 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Seconda) Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4130 del 2015, proposto da: «Italy Qube S.r.l.», in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. Saverio Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina n. 26, contro Agenzia delle dogane e dei monopoli, Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, nei confronti di: «Cogetech S.p.a.», in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Geronimo Cardia, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, viale dei Parioli n. 24; «Admiral Gaming Network S.r.l.», rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Francesco Cardarelli, Filippo Lattanzi, Diego Campugiani e Claudia Ciccolo, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina n. 47; «Codere Network S.p.a.», in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Francesco Cardarelli, Filippo Lattanzi e Matilde Tariciotti, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in Roma, via G.P. Da Palestrina n. 47; «B Plus Giocolegale Ltd», nonche' i restanti concessionari intimati in esecuzione dell'ordinanza collegiale n. 9768/2015. Per l'annullamento: della determina prot. 4076/RU del 15 gennaio 2015 del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, mediante la quale, in attuazione dell'art. 1, comma 649 della legge n. 190/2014, sono stati stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b) del regio decreto n. 773 del 1931, nonche' le modalita' di versamento; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, comunque lesivo, ancorche' dal medesimo non conosciuto; nonche' per l'annullamento e/o nullita', previa disapplicazione dell'art. 1, comma 649 della legge n. 190/2014, per incompatibilita' con la normativa comunitaria: della determina prot. 4076/RU del 15 gennaio 2015 del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli mediante la quale, in attuazione dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014, sono stati stabiliti il numero degli apparecchi di cu all'art. 110, comma 6, lettere a) e b) del regio decreto n. 773 del 1931, nonche' le modalita' di versamento della somma di 500 milioni di euro; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, comunque lesivo, ancorche' dal medesimo non conosciuto; e, comunque, in ogni caso, per l'accertamento: dell'illegittimita' dell'obbligo imposto alla ricorrente di concorrere al versamento della somma di 500 milioni di euro; del conseguente diritto della ricorrente di conservare le condizioni contrattuali stabilite nella convenzione con la concessionaria «B Plus Giocolegale Ltd». Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate, di «Cogetech S.p.a.», di «Admiral Gaming Network S.r.l.» e di «Codere Network S.p.a.»; Viste le memorie difensive; Visti gli atti tutti di causa; Relatore alla pubblica udienza del giorno 21 ottobre 2015 il cons. Silvia Martino; Uditi gli avvocati, di cui al verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 1) la societa' ricorrente rappresenta di operare da anni come gestore nella raccolta del gioco lecito, in qualita' di titolare di licenza ex articoli 86, 88 e 110 del regio decreto n. 773 del 1931. Dopo avere illustrato il funzionamento della filiera del gioco cosiddetto da intrattenimento automatico, nell'ambito della quale essa ha stipulato un contratto/convenzione con il concessionario «B Plus Giocolegale Ltd», rappresenta che l'art. 1, comma 649 della legge n. 190/2014 (cosiddetta legge di stabilita' 2015), ha modificato profondamente il sistema precedente ed ha toccato anche i rapporti convenzionali in essere tra i concessionari e i singoli gestori, prevedendo la rinegoziazione obbligatoria dei medesimi. Tale disposizione determina, nella misura di 500 milioni di euro, su base annua, la riduzione delle risorse statali disponibili a titolo di compenso per i concessionari e gli altri soggetti che operano nella gestione e raccolta del gioco lecito, praticato mediante gli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del T.U.L.P.S., gia' a decorrere dall'anno 2015. Per conseguenza, si e' stabilito che: a) gli operatori versano ai concessionari l'intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante tali apparecchi, al netto delle vincite pagate, e che, in caso di mancato assolvimento dell'obbligo, i concessionari comunicato ad ADM i nominativi di coloro che non effettuano il versamento anche ai fini della denuncia all'Autorita' giudiziaria competente; b) i concessionari, in aggiunta alle imposte e agli altri oneri, devono corrispondere annualmente 500 milioni di euro, in quota proporzionale al numero degli apparecchi ad essi riferibile alla data del 31 dicembre 2014; c) i concessionari ripartiscono con gli operatori di filiera le somme residue per aggi e compensi, previa rinegoziazione dei contratti, versando tali aggi e compensi solo a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati. Il decreto dell'ADM del 15 gennaio 2015, ha dato attuazione alla norma di legge, stabilendo le modalita' e l'ammontare del versamento che ciascun concessionario deve corrispondere allo Stato, previa ricognizione del numero degli apparecchi riferibili a ciascun concessionario. Sulla base della ricognizione effettuata, risultano riferibili a «B Plus Giocolegale Ltd» un totale di 69.263 apparecchi, con la conseguenza che la quota annuale che dovra' versare allo Stato, secondo una ripartizione della somma di 500 milioni in proporzione al numero di apparecchi tra i tredici concessionari operanti in Italia, risulta essere pari a euro 83.619.053,60. Quanto alle modalita' del versamento, il decreto stabilisce che ciascun concessionario effettua il versamento nella misura del 40% dell'importo annuale allo stesso riferibile entro il 30 aprile 2015; il residuo 60% dovuto e' versato da ciascuno concessionario entro il 31 ottobre 2015. Parte ricorrente reputa che il decreto di ADM impugnato sia illegittimo perche' attuativo di una norma di legge che e' costituzionalmente illegittima. Ad ogni buon conto, tale norma si pone in insanabile contrasto con la normativa comunitaria. 1.1. Parte ricorrente deduce, in primo luogo, il contrasto tra la disciplina introdotta dalla legge di stabilita' 2015 e gli articoli 3 e 41 della Costituzione. Essa e' infatti intervenuta sul rapporto tra i concessionari e i singoli gestori, alterandone del tutto il sinallagma, con effetto retroattivo, in contrasto con il principio di tutela del legittimo affidamento e con la liberta' di iniziativa economica privata. In particolare, e' stato imposto agli operatori di versare ai concessionari l'intero ammontare della raccolta delle giocate (cosiddetto cassetto), al netto delle vincite pagate. Inoltre, e' stato imposto loro l'obbligo di rinegoziare i contratti con i concessionari al fine di conseguire i propri compensi, ferma la decurtazione complessiva di 500 milioni di euro. La previsione normativa ha, in definitiva, l'effetto di differire per i gestori il momento dell'effettiva percezione dei compensi nonche' di azzerare la liquidita' nel frattempo necessaria ad assicurare lo svolgimento del servizio e a remunerare l'attivita' svolta. Parte ricorrente reputa che cio' costituisca una manifesta violazione del principio di affidamento, secondo quanto costantemente affermato dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenze n. 302 del 22 ottobre 2010, n. 92 del 2013; n. 60 del 2013; n. 24 del 2009; n. 399 del 2008). Di fatto, la ricorrente si e' vista azzerata la possibilita' di conseguire i compensi per l'anno in corso se non provvede a rinegoziare il contratto con il proprio concessionario. Risulta cosi' incisa anche la liberta' di iniziativa economica privata protetta dall'art. 41 Cost. L'irragionevolezza dell'intervento normativo in esame emerge con chiarezza anche laddove si consideri che la stessa pretende di fare applicazione dell'art. 14, comma 2, lettera g) della legge 11 marzo 2014, n. 23. Tale disposizione ha previsto la revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli operatori secondo un criterio di progressivita' legato ai volumi di raccolta delle giocate. In evidente contrasto con la delega fiscale, la legge di stabilita' 2015, si interessa solo degli apparecchi che distribuiscono vincite in denaro (AWP e VLT) e non dei giochi pubblici nel loro complesso. Inoltre, e' stato introdotto un contributo annuo fisso che si aggiunge alle imposte gia' in essere e grava in primo luogo sui piccoli esercenti; non opera secondo criteri di progressivita' ne' appare in alcun modo correlato al volume di raccolta delle giocate, con il risultato di colpire indiscriminatamente sia titolari di apparecchi che hanno lavorato per un anno, sia titolari di apparecchi che non hanno mai lavorato o hanno lavorato solo per un periodo di tempo circoscritto. I dubbi sulla ragionevolezza della normativa, si traducono dunque in dubbi circa il buon andamento dell'azione amministrativa nel suo complesso, che trova espressa copertura costituzionale nell'art. 97. Da escludere e' anche il carattere eccezionale e temporalmente limitato della normativa, che, al contrario, stravolge in via definitiva l'assetto delle convezioni in essere. 1.2. La disciplina in esame viene poi censura per violazione degli articoli 42 e 117 Cost., nonche' dell'art. 1, protocollo n. 1 addizionale alla CEDU, sotto il profilo della lesione del diritto di proprieta'. Secondo la giurisprudenza della Corte Edu, la nozione di «beni» e di «proprieta'» comprende anche, oltre ai beni esistenti, i valori patrimoniale e i crediti. La ricorrente ritiene di avere un legittimo affidamento al pagamento del proprio compenso nella misura stabilita nella convenzione in essere, la quale possiede il carattere di «bene» ai sensi del primo periodo dell'art. 1 del protocollo addizionale (cfr. Agrati e altri contro Italia, 7 giugno 2011, ricorsi nn. 549/08, 107/09m 5087/09; Lecarpentier e altri contro Francia, 14 febbraio 2006). La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte evidenziato che un mero interesse economico non giustifica l'intervento di una legge retroattiva che limiti un diritto di proprieta' sui «beni» ai sensi della Convenzione. Inoltre, siffatta ingerenza deve trova un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale e le esigenze individuali di tutela dei diritti fondamentali, dovendo sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della proprieta'. 1.3. Infine, qualora all'intervento normativo si riconosca natura tributaria, sarebbero evidenti le violazioni dei principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, universalita' del tributo, capacita' contributiva e progressivita' dell'imposizione, di cui agli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione. 2. Con specifico riferimento al decreto ADM del 15 gennaio 2015, parte ricorrente ha poi dedotto il contrasto con i principi e la normativa comunitaria, per violazione del principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto. Lo stesso e' a dirsi per la violazione dei principi posti a tutela della proprieta' dall'art. 1, protocollo 1 addizionale CEDU, alla quale l'Unione europea ha espressamente aderito per effetto dell'art. 6 del TFUE. Parte ricorrente ha poi invocato la recente direttiva comunitaria in materia di concessioni, n. 23/2014, nella parte in cui prevede che le concessioni possano essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione solo in casi bene determinati. Risulterebbe violati, ancora, anche gli articoli 49, 65 e 63 del TFUE in materia, rispettivamente, di liberta' di stabilimento, circolazione dei servizi e circolazione dei capitali. Non meno rilevante sarebbe l'incompatibilita' con le norme europee poste a tutela della concorrenza. Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. Con memoria depositata l'11 aprile 2015 la difesa erariale, dopo aver formulato un'eccezione di difetto di legittimazione passiva del MEF e della PCM, che non hanno emesso gli atti ex adverso impugnati, ha preliminarmente descritto le modalita' di funzionamento delle reti di raccolta del gioco mediante apparecchi. Ha quindi precisato che, sia per le AWP sia per le WLT, i concessionari, i gestori e gli esercenti - quali segmenti articolati nella rete di raccolta - vengono compensati per le quote di attivita' che a ciascuno competono nell'organizzazione e funzionamento della rete. Il denaro con cui tali attivita' vengono compensate proviene dalla stesso gioco ed appartiene, in origine, allo Stato. Le risorse pubbliche cui esso rinuncia per remunerare le filiere di raccolta del gioco, ammontano a circa 4 miliardi di euro. Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della filiera sono regolati dal diritto privato, ha poi descritto il sistema di remunerazione della filiera. E' il concessionario che, per contratto, deve corrispondere una remunerazione al gestore e all'esercente. Nella pratica, in realta', e' il gestore ad avere in pugno la «cassa», ovvero l'ammontare di denaro destinato ad essere ripartito a titolo di compensi. La norma della legge di stabilita' oggetto di contestazione non ha istituto un nuovo tributo ma ha operato una riduzione dei compensi dei soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato mediante apparecchi. E' come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a 3,5 miliardi di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione stabilendo poi una apposita procedura perche' questo contenimento forzoso della remunerazione si «spalmasse» tra i diversi soggetti interessati. Il sacrificio del «taglio» solo per una parte e' subito dai concessionari in quanto per il resto il sacrificio e' dei gestori e degli esercenti. La rinegoziazione potrebbe semplicemente avvenire per fatti concludenti. Poiche' il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera, non e' stabilito in misura fissa bensi' percentuale rispetto alla raccolta, non vi sarebbe nulla di piu' semplice di una rinegoziazione di un contratto la cui componente patrimoniale e' in percentuale, purche' si accetti la minore somma complessiva da ripartire. Ad un settore che da anni percepisce cumulativamente una remunerazione di circa 4 miliardi di euro, e' stato chiesto, in sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. Ad ogni buon conto i concessionari, salvo iniziare direttamente azioni recuperatorie nei confronti dei gestori, eventualmente «riottosi», potrebbero limitarsi a disvelare all'amministrazione l'elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti. Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato delle nuova misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. La volonta' di intervento legislativo sugli aggi era gia' nota ai concessionari e agli operatori di filiera, a mente del criterio di delega legislativa recato dall'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014. La decisione di operare in prima battuta nel settore degli apparecchi da intrattenimento, dipende dal fatto che tale segmento di gioco esprime circa la meta' delle entrate erariali di tutti i giochi praticati nel territorio dello Stato. La norma individua un criterio proporzionale, legato ad un elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che e' potenzialmente correlato agli introiti. Parte ricorrente non potrebbe invocare il principio dell'affidamento in quanto non vi e' stato uno stravolgimento degli elementi essenziali del rapporto. Non saremmo, comunque, di fronte ad una legge - provvedimento, in quanto la norma della legge di stabilita' incide sull'intero comparto del gioco in esame. In tale contesto, la riduzione delle somme a disposizione per la remunerazione della filiera ha una portata equivalente all'1,06% della raccolta di gioco e all'8,3% dei compensi della filiera. Quanto alle censure relative al criterio prescelto per commisurare la riduzione dei compensi, vi sarebbe una tendenziale coerenza tra il dato della raccolta e il numero degli apparecchi riferibili al concessionario. Infine, la norma non ha introdotto un tributo, con la conseguenza che ad essa e' possibile sottrarsi, ad esempio, sciogliendo i rispettivi contratti (tra i concessionari e ADM, ovvero tra i concessionari e gli altri operatori della filiera). Il ricorso e' passato una prima volta in decisione alla pubblica udienza del 1° luglio 2105. Con ordinanza collegiale n. 9768 del 20 luglio 2015, e' stato ordinato alla ricorrente di integrare il contraddittorio nei confronti dei concessionari non evocati in giudizio. Gli incombenti sono stati successivamente eseguiti. Si sono costituite in giudizio «Cogetech S.p.a.», «Admiral Gaming Network S.r.l.» e «Codere Network S.p.a.». La societa' ricorrente ha depositato una memoria conclusionale, in vista della pubblica udienza del 21 ottobre 2015, alla quale il ricorso e' passato in decisione. 2. L'Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce l'offerta del gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di cui all'art. 110, comma 6, del TULPS ed a tal fine seleziona, attraverso procedure ad evidenza pubblica, i soggetti cui affidare in concessione la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco. I concessionari, che hanno sottoscritto una convenzione di concessione di durata novennale, sono attualmente tredici. Gli apparecchi da divertimento e intrattenimento sono di due tipi: le «Amusement With Prizes» (AWP) e le «Video Lottery Terminal» (VLT). Le AWP sono apparecchi che vengono installati principalmente presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio, i bar e le rivendite di tabacchi), denominati «esercenti», ed operano con una posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima di 100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati da operatori terzi, i cosiddetti «gestori», che si occupano anche dell'installazione e della manutenzione presso gli «esercenti», titolari di esercizi commerciali dotati di specifica autorizzazione ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori o con i concessionari. Nella filiera del comparto delle VLT, invece, e' di solito assente il gestore perche' gli apparecchi sono forniti direttamente dal concessionario, che si prende carico dell'intera gestione operativa degli stessi. La posta di gioco con le VLT e' consentita fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino a 5.000 euro. I rapporti tra lo Stato ed i concessionari sono regolati da apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che, secondo quanto riferisce la difesa erariale, non rispondono a modelli tipo redatti o approvati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il compenso spettante ai concessionari e' calcolato in via residuale, in quanto e' pari all'importo delle giocate dedotti: le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati; gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione; gli importi dovuti all'erario, principalmente il PREU ai sensi dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per gli apparecchi AWP ed al 5% delle giocate per gli apparecchi VLT. Il compenso spettante ai gestori, come detto, e' pattuito in contratti di diritto privato stipulati con i concessionari. La remunerazione dei concessionari e dell'intera filiera di gestori ed esercenti che ad essi fa capo, quindi, proviene dall'insieme delle giocate ed e' carico dello Stato in quanto il denaro, una volta inserito nell'apparecchio da gioco, diviene di proprieta' dello Stato. 3. L'art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare «il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attivita' criminose, nonche' per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi». Tra i principi e criteri direttivi cui dovra' essere improntato il riordino, la lettera g) del secondo comma prevede la «revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate». L'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015), nelle more, ha stabilito che: «[...] e' stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall'anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: a) ai concessionari e' versato dagli operatori di filiera l'intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell'eventuale successiva denuncia all'autorita' giudiziaria competente; b) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresi' annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonche' le modalita' di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall'anno 2016, previa periodica ricognizione, all'eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi; c) i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.». L'Agenzia delle dogane e dei monopoli, con l'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015, ai fini della ripartizione del versamento dell'anzidetto importo di 500 milioni di euro, ha individuato il numero degli apparecchi riferibile a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014, per cui ha ripartito in maniera proporzionale il versamento, stabilendo che ciascun concessionario effettua lo stesso nella misura del 40% entro il 30 aprile 2015 e per il residuo 60% entro il 31 ottobre 2015. Ne consegue che, in ragione del disposto della norma di legge la cui legittimita' costituzionale e' in questa sede contestata, il compenso spettante all'intera filiera si ottiene sottraendo al totale delle somme raccolte non soltanto: le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e all'85% per le VLT); gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione; gli importi dovuti all'erario, principalmente il PREU ai sensi dell'art. 39, comma 13, decreto-legge n. 269 del 2013, convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per gli apparecchi AWP ed al 5% per gli apparecchi VLT, ma anche: il versamento dovuto allo Stato ai sensi dell'art. 1, comma 649, lettera b), della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015). Il compenso spettante ai gestori, peraltro, essendo questi tenuti a versare l'intero ammontare della raccolta ai concessionari senza piu' trattenere dalle somme versate quelle spettanti, e' subordinato alla rinegoziazione del contratto con il concessionario imposto dalla norma di legge. 4. Il Collegio ritiene che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014. 4.1. La questione si presenta all'evidenza rilevante ai fini della decisione della controversia in quanto l'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015 e' stato adottato nell'esercizio di un potere del tutto vincolato e, in particolare, nella doverosa applicazione della richiamata norma di legge, sicche' la definizione del presente giudizio discende inevitabilmente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale. 4.2. Detta questione, oltre che rilevante ai fini della decisione della controversia, non e' manifestamente infondata alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale. In una fattispecie per alcuni versi analoga a quella in esame, la Corte, con sentenza n. 92 del 22 maggio 2013, ha giudicato costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza, l'art. 38, commi 2, 4, 6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003 nella parte in cui determina effetti retroattivi in peius sul regime dei compensi spettanti ai custodi di veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca. In tale circostanza, il Giudice delle leggi ha rappresentato che la ragionevolezza complessiva della trasformazione alla quale sono stati assoggettati i rapporti negoziali deve «essere apprezzata nel quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli interessi - tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro di cui all'art. 3 Cost. - che risultano nella specie coinvolti; ad evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi». Con specifico riguardo al settore dei giochi in esame, la Corte, nella successiva sentenza n. 56 del 2015, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010, in riferimento agli articoli 3, 41, comma primo, e 42, terzo comma, Cost.; tali norme prevedono l'aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l'esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici, in modo che i concessionari siano dotati dei nuovi «requisiti» e accettino i nuovi «obblighi» prescritti, rispettivamente, nelle lettere a) e b) del comma 78, e che i contenuti delle convenzioni in essere siano adeguati agli «obblighi» di cui sopra. La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' per il 2011), in particolare, ha introdotto le norme oggetto di censura a garanzia di plurimi interessi pubblici, quali la trasparenza, la pubblica fede, l'ordine pubblico e la sicurezza, la salute dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti piu' deboli, la protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla raccolta del gioco; con esse, sia i nuovi concessionari, sia i titolari delle concessioni in corso sono assoggettati a nuovi «obblighi», in prevalenza di natura gestionale, diretti al mantenimento di indici di solidita' patrimoniale per tutta la durata del rapporto ed a questi si affiancano «obblighi» che concorrono alla protezione dei consumatori e alla riduzione dei rischi connessi al gioco o che introducono clausole penali e meccanismi diretti a rendere effettive le cause di decadenza della concessione. Sono infine previsti «obblighi» di prosecuzione interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di devoluzione all'amministrazione concedente, su sua richiesta, della rete infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco dopo la scadenza del rapporto. Nel caso richiamato, si e' posto in rilievo che «il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova si' copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti ed inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico». Ne consegue che «non e' affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto». Nella fattispecie in esame, gli interessi pubblici tutelati sono individuabili nella necessita', a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, testo unico n. 773 del 1931. Al fine di valutare il superamento o meno del limite della proporzionalita' rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione, con ordinanze pronunciate nei contenziosi proposti dai concessionari per contestare la stessa previsione legislativa, ha disposto incombenti istruttori a carico delle parti per individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell'intera filiera incida sui margini di redditivita' della singola impresa. I soggetti interessati hanno depositato copia dei conti economici relativi ai bilanci al 31 dicembre 2013 e al 31 dicembre 2014, con una tabella riassuntiva, per ciascuno dei due anni, del valore aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione al netto del costo delle materie prime consumate e del costo dei servizi esterni e di altri eventuali costi di gestione), del margine operativo lordo (intendendosi per tale il valore aggiunto al netto del costo del lavoro) e del risultato operativo (intendendosi per tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti della gestione tipica) nonche' con indicazione dei compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013 e 2014 agli altri operatori della propria filiera. Dalla documentazione prodotta nei relativi giudizi e' emerso che, generalmente, l'incidenza del versamento imposto non appare ictu oculi violativa del principio di proporzionalita', vale a dire del «limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico», indicato dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2015. Il Collegio, tuttavia, ritiene che la norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge di stabilita' per il 2015 presenti altri profili che rendono la questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 41, comma 1, Cost. Viene qui in rilievo il canone di ragionevolezza, assurto nella giurisprudenza costituzionale a clausola generale, anche quale limite immanente all'esercizio della discrezionalita' del legislatore. Tale giudizio di ragionevolezza, per lungo tempo caratterizzato dalla necessaria individuazione di un termine di raffronto (tertium comparationis) soltanto a fronte del quale la normativa denunciata puo' rivelarsi incostituzionale (schema di giudizio ternario), si e' via via affrancato dal giudizio di comparazione ed e' divenuto un canone autonomo. L'autonomia della ragionevolezza rispetto al giudizio di eguaglianza appare con tutta evidenza laddove l'art. 3 Cost. viene evocato congiuntamente sotto il profilo della disparita' di trattamento e sotto il profilo della ragionevolezza e la Corte argomenta distintamente per ciascuno dei due profili. Il Collegio ritiene che la norma contestata presenti dubbi di compatibilita' costituzionale con riferimento sia al profilo della disparita' di trattamento sia al profilo della ragionevolezza. Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo luogo considerato che l'intervento legislativo e' avvenuto in dichiarata anticipazione del piu' organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014. Sennonche', mentre il criterio per il riordino previsto dall'art. 14, comma 2, lettera g), della legge n. 23 del 2014 prevede la revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori «secondo un criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate», la norma in contestazione ha previsto la riduzione dei compensi in «quota proporzionale» al numero di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del 31 dicembre 2014. Ne consegue che, sebbene sia stato fatto specifico riferimento alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi secondo un «criterio di progressivita' legata ai volumi di raccolta delle giocate», il criterio introdotto per ripartire tra i concessionari l'importo totale di euro 500 milioni e' legato non ad un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti e riferibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di ricognizione successiva. Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, e' di per se' idonea ad indurre il sospetto che la norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge di stabilita' per il 2015 abbia violato sia il principio di ragionevolezza che quello di uguaglianza. Premessa, infatti, la contraddittorieta' intrinseca della disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure soggetto ad aggiornamento), cioe' il numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario ad una certa data, anziche' ad un dato dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacita' di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera e' misurata in maniera molto piu' propria dall'entita' complessiva degli importi incassati che dal numero degli apparecchi riferibile a ciascun soggetto. Il criterio individuato, in altri termini, postula che ogni apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare del tutto implausibile. Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra violare il principio di uguaglianza in quanto, essendo il riferimento al numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario non compiutamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. La previsione normativa, in sostanza, sembra avere violato i canoni di ragionevolezza e parita' di trattamento presumendo, in maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la stessa potenzialita' di reddito laddove quest'ultima dipende da una molteplicita' di fattori (quali, in primo luogo, la differenza tra AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la strada in cui l'apparecchio e' situato nonche' la sua ubicazione all'interno del locale) che rendono implausibile il criterio scelto dal legislatore. La violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, peraltro, e' individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre la legge delega n. 23 del 2014, ha previsto il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici e, quindi, del loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi praticati mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, testo unico n. 773 del 1931 e, per l'effetto, e' destinata solo ad un segmento, sia pure di enorme rilievo, al suo interno. Va da se' che la descritta irragionevole ripartizione del versamento imposto tra i concessionari potrebbe produrre un'alterazione del libero gioco della concorrenza tra gli stessi, favorendo quelli che, in presenza di una redditivita' superiore per singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione al volume di giocate raccolte, un importo minore, per cui possono destinare maggiori risorse agli investimenti e, in senso piu' lato, favorendo gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi da quelli in discorso. La questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 non appare manifestamente infondata anche con riferimento alla violazione dell'art. 41, comma 1, Cost. che sancisce il principio di liberta' dell'iniziativa economica privata. Il Collegio, in via preliminare, rileva che, qualora si tratti di soggetti privati che, nell'intraprendere attivita' d'impresa, sostengono consistenti investimenti, la legittima aspettativa ad una certa stabilita' nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare tutela costituzionale, riconducibile non solo all'art. 3 Cost., ma anche all'art. 41 Cost. In particolare, il legittimo affidamento dell'imprenditore implica l'aspettativa che le sopravvenienze normative non finiscano per vanificare l'iniziativa economica intrapresa e gli investimenti sostenuti, atteso che, se l'imprenditore evidentemente deve assumere su di se' i rischi d'impresa derivanti da mutamenti della situazione di fatto, non puo' dirsi allo stesso modo per le sopravvenienze normative che incidono sulle condizioni economiche stabilite nella convenzione accessiva al rapporto concessorio. Nel caso di specie, se, da un lato, il versamento imposto, pur incidendo significativamente sul sinallagma contrattuale, non appare prima facie violativo del richiamato «principio di proporzionalita'» scolpito nella sentenza n. 56 del 2015, dall'altro, la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditivita' della stessa dovessero consistentemente ridursi. In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla filiera, pur costituendo un significativo «taglio» alla capacita' di reddito degli operatori, non appare tale da violare il «principio di proporzionalita'» in un'ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non e' possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosita' degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera. Parimenti irragionevoli e lesive della liberta' di iniziativa economica dell'impresa si rilevano le previsioni, contenute nelle lettere a) e c) del secondo comma dell'art. 1, comma 649 della legge di stabilita' per il 2015, secondo cui «ai concessionari e' versato dagli operatori di filiera l'intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate» e «i concessionari, nell'esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati». Tali disposizioni appaiono idonee a riflettersi sulla liberta' contrattuale di tutti gli operatori della filiera. In particolare, per quanto riguarda i concessionari, il meccanismo imposto dal legislatore, di inversione del flusso dei pagamenti attraverso cui si e' sino ad ora proceduto alla remunerazione del settore (oggetto di specifiche pattuizioni contrattuali), aumenta il rischio, cui sono esposti i concessionari, del mancato adempimento degli obblighi gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che tale circostanza faccia comunque venire meno l'obbligo dei concessionari medesimi di versare allo Stato, nei termini indicati, l'importo, concernente l'intera filiera, quantificato nell'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015. La profonda modifica dell'assetto della concessione, non risulta invero controbilanciata dall' obbligo di rinegoziazione dei contratti imposto, a cascata, nei rapporti con gli operatori interni alla filiera, sia in quanto la concreta modifica di tali rapporti e' rimessa (ne' potrebbe essere diversamente) alla libera volonta' delle parti, sia perche' i concessionari non sono stati dotati di strumenti diversi dagli ordinari rimedi contrattuali per conseguire l'adempimento delle obbligazioni dei gestori, cosi' come, almeno in parte, direttamente e innovativamente conformate dallo stesso legislatore. Peraltro, la stessa imposizione di una rinegoziazione dei contratti appare ontologicamente incompatibile con la incomprimibile autonomia delle parti di pervenire solo eventualmente ad un nuovo e diverso accordo negoziale. Con specifico riferimento alla posizione dei gestori, e' poi evidente la lesione del principio di liberta' dell'iniziativa economica privata atteso che il nuovo meccanismo disegnato dalla norma impone ad essi, che si trovano in posizione contrattuale di minore forza rispetto ai concessionari esercenti pubbliche funzioni, di rinegoziare i contratti e, quale conseguenza della mancata rinegoziazione, comporta che nessun compenso possa essere loro erogato, ancorche' maturato nella vigenza di un precedente contratto. In ogni caso, la percezione del compenso viene rinviata nel tempo, e diventa addirittura aleatoria se i concessionari dovessero proporre agli attuali gestori condizioni valutate come non convenienti e/o sostenibili. 5. Per quanto sopra argomentato, il Collegio ritiene rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 per violazione degli articoli 3 e 41, primo comma, Cost. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla questione.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione II, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, cosi' provvede: 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 41, primo comma, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015); 2) dispone la sospensione del giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; 4) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale promosso con la presente pronuncia. Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati: Filoreto D'Agostino, Presidente; Silvia Martino, consigliere, estensore; Roberto Caponigro, consigliere. Il Presidente: D'Agostino L'estensore: Martino