N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 2015

Ordinanza del 16 dicembre 2015 del Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio sul ricorso  proposto  da  «Italy  Qube  S.r.l.»  contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli e altri. 
 
Gioco e scommesse - Riduzione delle  risorse  statali,  a  titolo  di
  compenso, dei  concessionari  e  dei  soggetti  che  operano  nella
  gestione e raccolta del gioco  praticato  mediante  apparecchi  VLT
  (Video Lottery Terminal). 
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (legge  di  stabilita'
  2015)"), art. 1, comma 649. 
(GU n.38 del 21-9-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                          (Sezione Seconda) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 4130 del 2015, proposto da: «Italy Qube S.r.l.», in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dal prof. avv. Saverio Sticchi Damiani, con domicilio  eletto  presso
lo studio del difensore, in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina n. 26,
contro Agenzia delle dogane e dei monopoli, Ministero dell'economia e
delle finanze, Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio  in  Roma,
via dei Portoghesi n. 12, nei confronti di: 
        «Cogetech S.p.a.», in persona del legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Geronimo Cardia,  con
domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma,  viale  dei
Parioli n. 24;  «Admiral  Gaming  Network  S.r.l.»,  rappresentata  e
difesa dagli avvocati prof. Francesco Cardarelli,  Filippo  Lattanzi,
Diego Campugiani e Claudia Ciccolo, con domicilio  eletto  presso  lo
studio dei difensori, in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina n. 47; 
        «Codere Network S.p.a.», in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentata e difesa dagli  avvocati  prof.  Francesco
Cardarelli, Filippo Lattanzi  e  Matilde  Tariciotti,  con  domicilio
eletto  presso  lo  studio  dei  difensori,  in  Roma,  via  G.P.  Da
Palestrina n. 47; 
        «B Plus Giocolegale Ltd», nonche'  i  restanti  concessionari
intimati in esecuzione dell'ordinanza collegiale n. 9768/2015. 
    Per l'annullamento: 
        della  determina  prot.  4076/RU  del  15  gennaio  2015  del
direttore dell'Agenzia delle  dogane  e  dei  monopoli,  mediante  la
quale, in attuazione dell'art. 1, comma 649 della legge n.  190/2014,
sono stati stabiliti il numero degli apparecchi di cui all'art.  110,
comma 6, lettere a) e b) del regio decreto n. 773 del  1931,  nonche'
le modalita' di versamento; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o  conseguenziale,
comunque lesivo, ancorche' dal medesimo non conosciuto; 
        nonche'   per    l'annullamento    e/o    nullita',    previa
disapplicazione dell'art. 1, comma 649 della legge n.  190/2014,  per
incompatibilita' con la normativa comunitaria: 
della determina prot. 4076/RU  del  15  gennaio  2015  del  direttore
dell'Agenzia delle dogane  e  dei  monopoli  mediante  la  quale,  in
attuazione dell'art. 1, comma 649,  della  legge  n.  190/2014,  sono
stati stabiliti il numero degli apparecchi di cu all'art. 110,  comma
6, lettere a) e b) del regio decreto n.  773  del  1931,  nonche'  le
modalita' di versamento della somma di 500 milioni di euro; 
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale, comunque
lesivo, ancorche' dal medesimo non conosciuto; 
e, comunque, in ogni caso, per l'accertamento: 
        dell'illegittimita' dell'obbligo imposto alla  ricorrente  di
concorrere al versamento della somma di 500 milioni di euro; 
        del conseguente diritto della  ricorrente  di  conservare  le
condizioni  contrattuali   stabilite   nella   convenzione   con   la
concessionaria «B Plus Giocolegale Ltd». 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle  amministrazioni
intimate, di «Cogetech S.p.a.», di «Admiral Gaming Network S.r.l.»  e
di «Codere Network S.p.a.»; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti gli atti tutti di causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del  giorno  21  ottobre  2015  il
cons. Silvia Martino; 
    Uditi gli avvocati, di cui al verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 
        1) la societa' ricorrente rappresenta di operare da anni come
gestore nella raccolta del gioco lecito, in qualita' di  titolare  di
licenza ex articoli 86, 88 e 110 del regio decreto n. 773 del 1931. 
    Dopo avere illustrato il funzionamento della  filiera  del  gioco
cosiddetto da intrattenimento  automatico,  nell'ambito  della  quale
essa ha stipulato un contratto/convenzione con il  concessionario  «B
Plus Giocolegale Ltd», rappresenta che  l'art.  1,  comma  649  della
legge  n.  190/2014  (cosiddetta  legge  di  stabilita'   2015),   ha
modificato profondamente il sistema precedente ed ha toccato anche  i
rapporti convenzionali in essere tra  i  concessionari  e  i  singoli
gestori, prevedendo la rinegoziazione obbligatoria dei medesimi. 
    Tale disposizione determina, nella misura di 500 milioni di euro,
su base annua, la  riduzione  delle  risorse  statali  disponibili  a
titolo di compenso per i  concessionari  e  gli  altri  soggetti  che
operano  nella  gestione  e  raccolta  del  gioco  lecito,  praticato
mediante gli apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del T.U.L.P.S.,
gia' a decorrere dall'anno 2015. 
    Per conseguenza, si e' stabilito che: 
        a) gli operatori versano ai concessionari l'intero  ammontare
della raccolta del gioco praticato mediante tali apparecchi, al netto
delle  vincite  pagate,  e  che,  in  caso  di  mancato  assolvimento
dell'obbligo, i concessionari  comunicato  ad  ADM  i  nominativi  di
coloro che non effettuano il versamento anche ai fini della  denuncia
all'Autorita' giudiziaria competente; 
        b) i concessionari, in aggiunta alle  imposte  e  agli  altri
oneri, devono corrispondere annualmente 500 milioni di euro, in quota
proporzionale al numero degli apparecchi ad essi riferibile alla data
del 31 dicembre 2014; 
        c) i concessionari ripartiscono con gli operatori di  filiera
le somme residue per  aggi  e  compensi,  previa  rinegoziazione  dei
contratti,  versando  tali  aggi  e  compensi  solo  a  fronte  della
sottoscrizione dei contratti rinegoziati. 
    Il decreto dell'ADM del 15 gennaio 2015, ha dato attuazione  alla
norma di legge, stabilendo le modalita' e l'ammontare del  versamento
che ciascun concessionario  deve  corrispondere  allo  Stato,  previa
ricognizione  del  numero  degli  apparecchi  riferibili  a   ciascun
concessionario. 
    Sulla base della ricognizione effettuata, risultano riferibili  a
«B Plus Giocolegale Ltd» un  totale  di  69.263  apparecchi,  con  la
conseguenza che la quota  annuale  che  dovra'  versare  allo  Stato,
secondo una ripartizione della somma di 500 milioni in proporzione al
numero di apparecchi tra i tredici concessionari operanti in  Italia,
risulta essere pari a euro 83.619.053,60. 
    Quanto alle modalita' del versamento, il decreto  stabilisce  che
ciascun concessionario effettua il versamento nella  misura  del  40%
dell'importo annuale allo stesso riferibile entro il 30 aprile  2015;
il residuo 60% dovuto e' versato da ciascuno concessionario entro  il
31 ottobre 2015. 
    Parte ricorrente reputa che  il  decreto  di  ADM  impugnato  sia
illegittimo  perche'  attuativo  di  una  norma  di  legge   che   e'
costituzionalmente illegittima. 
    Ad ogni buon conto, tale norma si pone  in  insanabile  contrasto
con la normativa comunitaria. 
        1.1. Parte ricorrente deduce, in primo  luogo,  il  contrasto
tra la disciplina introdotta dalla legge di  stabilita'  2015  e  gli
articoli 3 e 41 della Costituzione. 
    Essa e' infatti intervenuta sul rapporto tra i concessionari e  i
singoli gestori, alterandone del tutto  il  sinallagma,  con  effetto
retroattivo, in contrasto con il principio di  tutela  del  legittimo
affidamento e con la liberta' di iniziativa economica privata. 
    In particolare, e' stato imposto agli  operatori  di  versare  ai
concessionari  l'intero  ammontare  della  raccolta   delle   giocate
(cosiddetto cassetto), al netto delle vincite pagate. 
    Inoltre,  e'  stato  imposto  loro  l'obbligo  di  rinegoziare  i
contratti  con  i  concessionari  al  fine  di  conseguire  i  propri
compensi, ferma la decurtazione complessiva di 500 milioni di euro. 
    La previsione normativa ha, in definitiva, l'effetto di differire
per i gestori  il  momento  dell'effettiva  percezione  dei  compensi
nonche'  di  azzerare  la  liquidita'  nel  frattempo  necessaria  ad
assicurare lo svolgimento del servizio  e  a  remunerare  l'attivita'
svolta. 
    Parte  ricorrente  reputa  che  cio'  costituisca  una  manifesta
violazione del principio di affidamento, secondo quanto costantemente
affermato dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale,  sentenze
n. 302 del 22 ottobre 2010, n. 92 del 2013; n. 60 del 2013; n. 24 del
2009; n. 399 del 2008). 
    Di fatto, la ricorrente si e' vista azzerata la  possibilita'  di
conseguire  i  compensi  per  l'anno  in  corso  se  non  provvede  a
rinegoziare il contratto con il proprio concessionario. 
    Risulta cosi' incisa anche la liberta'  di  iniziativa  economica
privata protetta dall'art. 41 Cost. 
    L'irragionevolezza dell'intervento normativo in esame emerge  con
chiarezza anche laddove si consideri che la stessa pretende  di  fare
applicazione dell'art. 14, comma 2, lettera g) della legge  11  marzo
2014, n. 23. 
    Tale disposizione ha previsto  la  revisione  degli  aggi  e  dei
compensi spettanti ai  concessionari  e  agli  operatori  secondo  un
criterio  di  progressivita'  legato  ai  volumi  di  raccolta  delle
giocate. 
    In  evidente  contrasto  con  la  delega  fiscale,  la  legge  di
stabilita'   2015,   si   interessa   solo   degli   apparecchi   che
distribuiscono vincite in  denaro  (AWP  e  VLT)  e  non  dei  giochi
pubblici nel loro complesso. 
    Inoltre, e' stato introdotto un contributo  annuo  fisso  che  si
aggiunge alle imposte gia' in essere  e  grava  in  primo  luogo  sui
piccoli esercenti; non opera secondo criteri  di  progressivita'  ne'
appare in alcun modo correlato al volume di raccolta  delle  giocate,
con il risultato  di  colpire  indiscriminatamente  sia  titolari  di
apparecchi che hanno lavorato per un anno, sia titolari di apparecchi
che non hanno mai lavorato o hanno lavorato solo per  un  periodo  di
tempo circoscritto. 
    I dubbi sulla ragionevolezza della normativa, si traducono dunque
in dubbi circa il buon andamento dell'azione amministrativa  nel  suo
complesso, che trova espressa copertura costituzionale nell'art. 97. 
    Da escludere e' anche il carattere  eccezionale  e  temporalmente
limitato  della  normativa,  che,  al  contrario,  stravolge  in  via
definitiva l'assetto delle convezioni in essere. 
        1.2. La disciplina in esame viene poi censura per  violazione
degli articoli 42 e 117 Cost., nonche' dell'art. 1, protocollo  n.  1
addizionale alla CEDU, sotto il profilo della lesione del diritto  di
proprieta'. 
    Secondo la giurisprudenza della Corte Edu, la nozione di «beni» e
di «proprieta'» comprende anche, oltre ai beni  esistenti,  i  valori
patrimoniale e i crediti. 
    La ricorrente  ritiene  di  avere  un  legittimo  affidamento  al
pagamento  del  proprio  compenso  nella   misura   stabilita   nella
convenzione in essere, la quale possiede il carattere  di  «bene»  ai
sensi del primo periodo dell'art. 1 del protocollo addizionale  (cfr.
Agrati e altri contro Italia, 7  giugno  2011,  ricorsi  nn.  549/08,
107/09m 5087/09; Lecarpentier e altri  contro  Francia,  14  febbraio
2006). 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha piu' volte  evidenziato
che un mero interesse economico non giustifica  l'intervento  di  una
legge retroattiva che limiti un diritto di proprieta' sui  «beni»  ai
sensi della Convenzione. 
    Inoltre, siffatta ingerenza deve trova un giusto  equilibrio  tra
le esigenze di interesse generale e le esigenze individuali di tutela
dei diritti fondamentali, dovendo sussistere un ragionevole  rapporto
di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle
misure restrittive della proprieta'. 
        1.3. Infine, qualora all'intervento  normativo  si  riconosca
natura tributaria, sarebbero  evidenti  le  violazioni  dei  principi
costituzionali  di  uguaglianza,  ragionevolezza,  universalita'  del
tributo, capacita' contributiva e progressivita' dell'imposizione, di
cui agli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione. 
    2. Con specifico riferimento al decreto ADM del 15 gennaio  2015,
parte ricorrente ha poi dedotto il contrasto  con  i  principi  e  la
normativa comunitaria, per violazione  del  principio  del  legittimo
affidamento e della certezza del diritto. 
    Lo stesso e' a dirsi per  la  violazione  dei  principi  posti  a
tutela della proprieta' dall'art. 1, protocollo 1  addizionale  CEDU,
alla quale l'Unione europea  ha  espressamente  aderito  per  effetto
dell'art. 6 del TFUE. 
    Parte ricorrente ha poi invocato la recente direttiva comunitaria
in materia di concessioni, n. 23/2014, nella parte in cui prevede che
le concessioni possano essere modificate senza una nuova procedura di
aggiudicazione solo in casi bene determinati. 
    Risulterebbe violati, ancora, anche gli articoli 49, 65 e 63  del
TFUE  in  materia,  rispettivamente,  di  liberta'  di  stabilimento,
circolazione dei servizi e circolazione dei capitali. 
    Non  meno  rilevante  sarebbe  l'incompatibilita'  con  le  norme
europee poste a tutela della concorrenza. 
    Si sono costituite, per resistere, le amministrazioni intimate. 
    Con memoria depositata l'11 aprile 2015 la difesa erariale,  dopo
aver formulato un'eccezione di difetto di legittimazione passiva  del
MEF e della PCM, che non hanno emesso gli atti ex adverso  impugnati,
ha preliminarmente descritto le modalita' di funzionamento delle reti
di raccolta del gioco mediante apparecchi. 
    Ha quindi precisato che, sia  per  le  AWP  sia  per  le  WLT,  i
concessionari, i gestori e gli esercenti - quali segmenti  articolati
nella rete di raccolta - vengono compensati per le quote di attivita'
che a ciascuno competono nell'organizzazione  e  funzionamento  della
rete. 
    Il denaro con cui  tali  attivita'  vengono  compensate  proviene
dalla stesso gioco ed appartiene, in origine, allo Stato. 
    Le risorse pubbliche cui esso rinuncia per remunerare le  filiere
di raccolta del gioco, ammontano a circa 4 miliardi di euro. 
    Ribadito che i rapporti tra in vari soggetti della  filiera  sono
regolati  dal  diritto  privato,  ha  poi  descritto  il  sistema  di
remunerazione della filiera. 
    E' il concessionario che, per contratto, deve  corrispondere  una
remunerazione al gestore e all'esercente. Nella pratica, in  realta',
e' il gestore ad avere in pugno la  «cassa»,  ovvero  l'ammontare  di
denaro destinato ad essere ripartito a titolo di compensi.  La  norma
della legge di stabilita' oggetto di contestazione non ha istituto un
nuovo tributo ma ha operato una riduzione dei compensi  dei  soggetti
che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato  mediante
apparecchi. 
    E' come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a  3,5  miliardi
di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette
filiere  per  la  loro  remunerazione  stabilendo  poi  una  apposita
procedura perche' questo contenimento forzoso della remunerazione  si
«spalmasse» tra i diversi soggetti interessati. 
    Il sacrificio del «taglio» solo  per  una  parte  e'  subito  dai
concessionari in quanto per il resto il sacrificio e' dei  gestori  e
degli esercenti. 
    La  rinegoziazione  potrebbe  semplicemente  avvenire  per  fatti
concludenti. 
    Poiche' il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera,
non e' stabilito in misura fissa  bensi'  percentuale  rispetto  alla
raccolta, non vi sarebbe nulla di piu' semplice di una rinegoziazione
di un contratto la cui componente  patrimoniale  e'  in  percentuale,
purche' si accetti la minore somma complessiva da ripartire. 
    Ad  un  settore  che  da  anni  percepisce  cumulativamente   una
remunerazione di circa 4 miliardi  di  euro,  e'  stato  chiesto,  in
sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. 
    Ad ogni buon conto i concessionari, salvo  iniziare  direttamente
azioni  recuperatorie  nei  confronti  dei   gestori,   eventualmente
«riottosi»,  potrebbero  limitarsi  a  disvelare  all'amministrazione
l'elenco dei nominativi dei soggetti inadempienti. 
    Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato  delle  nuova
misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. 
    La volonta' di intervento legislativo sugli aggi era gia' nota ai
concessionari e agli operatori di filiera, a mente  del  criterio  di
delega legislativa recato dall'art. 14, comma 2,  lettera  g),  della
legge n. 23 del 2014. 
    La decisione di  operare  in  prima  battuta  nel  settore  degli
apparecchi da intrattenimento, dipende dal fatto che tale segmento di
gioco esprime circa la meta' delle entrate erariali di tutti i giochi
praticati nel territorio dello Stato. 
    La norma  individua  un  criterio  proporzionale,  legato  ad  un
elemento oggettivo, quale il numero degli apparecchi di gioco, che e'
potenzialmente correlato agli introiti. 
    Parte   ricorrente   non   potrebbe   invocare    il    principio
dell'affidamento in quanto non vi e' stato uno  stravolgimento  degli
elementi essenziali del rapporto. 
    Non saremmo, comunque, di fronte ad una legge - provvedimento, in
quanto la norma della legge di stabilita' incide sull'intero comparto
del gioco in esame. 
    In tale contesto, la riduzione delle somme a disposizione per  la
remunerazione della filiera  ha  una  portata  equivalente  all'1,06%
della raccolta di gioco e all'8,3% dei compensi della filiera. 
    Quanto  alle  censure  relative   al   criterio   prescelto   per
commisurare la riduzione dei compensi,  vi  sarebbe  una  tendenziale
coerenza tra il dato della raccolta  e  il  numero  degli  apparecchi
riferibili al concessionario. 
    Infine, la norma non ha introdotto un tributo, con la conseguenza
che ad  essa  e'  possibile  sottrarsi,  ad  esempio,  sciogliendo  i
rispettivi contratti  (tra  i  concessionari  e  ADM,  ovvero  tra  i
concessionari e gli altri operatori della filiera). 
    Il ricorso e' passato una prima volta in decisione alla  pubblica
udienza del 1° luglio 2105. 
    Con ordinanza collegiale n. 9768 del 20  luglio  2015,  e'  stato
ordinato  alla  ricorrente  di  integrare  il   contraddittorio   nei
confronti dei concessionari non evocati in giudizio. 
    Gli incombenti sono stati successivamente eseguiti. 
    Si sono costituite in giudizio «Cogetech S.p.a.», «Admiral Gaming
Network S.r.l.» e «Codere Network S.p.a.». 
    La societa' ricorrente ha depositato una  memoria  conclusionale,
in vista della pubblica udienza del 21 ottobre 2015,  alla  quale  il
ricorso e' passato in decisione. 
    2. L'Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce  l'offerta  del
gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di
cui all'art. 110, comma  6,  del  TULPS  ed  a  tal  fine  seleziona,
attraverso procedure ad evidenza pubblica, i soggetti cui affidare in
concessione la realizzazione e conduzione della rete per la  gestione
telematica del gioco. 
    I  concessionari,  che  hanno  sottoscritto  una  convenzione  di
concessione di durata novennale, sono attualmente tredici. 
    Gli apparecchi da divertimento  e  intrattenimento  sono  di  due
tipi: le «Amusement With Prizes» (AWP) e le «Video Lottery  Terminal»
(VLT). 
    Le AWP sono  apparecchi  che  vengono  installati  principalmente
presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio,  i  bar  e  le
rivendite di tabacchi), denominati «esercenti», ed  operano  con  una
posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima  di
100 euro. Tali apparecchi, generalmente, sono acquistati o noleggiati
da operatori terzi, i cosiddetti «gestori»,  che  si  occupano  anche
dell'installazione  e  della  manutenzione  presso  gli  «esercenti»,
titolari di esercizi commerciali dotati di  specifica  autorizzazione
ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori
o con i concessionari. 
    Nella filiera del  comparto  delle  VLT,  invece,  e'  di  solito
assente il gestore perche' gli apparecchi sono  forniti  direttamente
dal  concessionario,  che  si  prende  carico  dell'intera   gestione
operativa degli stessi. La posta di gioco con le  VLT  e'  consentita
fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino  a  5.000
euro. 
    I rapporti tra lo Stato  ed  i  concessionari  sono  regolati  da
apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed
esercenti sono regolati da contratti di diritto privato, che, secondo
quanto riferisce la difesa erariale, non rispondono  a  modelli  tipo
redatti o approvati dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli. 
    Il compenso  spettante  ai  concessionari  e'  calcolato  in  via
residuale, in quanto e' pari all'importo delle giocate dedotti: 
        le vincite  pagate  ai  giocatori  (che  non  possono  essere
inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e  all'85%  per  le
VLT); 
        gli  importi  dovuti  agli  altri  operatori  della  filiera,
gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con
gli stessi stipulati; 
        gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e  dei  monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
        gli importi dovuti  all'erario,  principalmente  il  PREU  ai
sensi  dell'art.  39,  comma  13,  decreto-legge  n.  269  del  2013,
convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della
legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per  gli
apparecchi AWP ed al 5% delle giocate per gli apparecchi VLT. 
    Il compenso spettante ai gestori,  come  detto,  e'  pattuito  in
contratti di diritto privato stipulati con i concessionari. 
    La remunerazione  dei  concessionari  e  dell'intera  filiera  di
gestori  ed  esercenti  che  ad  essi  fa  capo,   quindi,   proviene
dall'insieme delle giocate ed e' carico  dello  Stato  in  quanto  il
denaro, una volta inserito  nell'apparecchio  da  gioco,  diviene  di
proprieta' dello Stato. 
    3. L'art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad
attuare «il riordino delle disposizioni vigenti in materia di  giochi
pubblici, riordinando tutte le norme in vigore  in  un  codice  delle
disposizioni sui giochi,  fermo  restando  il  modello  organizzativo
fondato  sul  regime  concessorio   e   autorizzatorio,   in   quanto
indispensabile  per  la  tutela  della  fede,  dell'ordine  e   della
sicurezza pubblici, per il contemperamento degli  interessi  erariali
con quelli  locali  e  con  quelli  generali  in  materia  di  salute
pubblica,  per  la  prevenzione  del  riciclaggio  dei  proventi   di
attivita' criminose, nonche' per garantire il regolare  afflusso  del
prelievo tributario gravante sui giochi». 
    Tra i principi e criteri direttivi cui dovra'  essere  improntato
il riordino, la lettera g) del secondo comma  prevede  la  «revisione
degli aggi e dei compensi spettanti ai  concessionari  e  agli  altri
operatori secondo un criterio di progressivita' legata ai  volumi  di
raccolta delle giocate». 
    L'art. 1, comma 649, della  legge  n.  190  del  2014  (legge  di
stabilita' per il 2015), nelle more,  ha  stabilito  che:  «[...]  e'
stabilita in 500 milioni di  euro  su  base  annua  la  riduzione,  a
decorrere dall'anno 2015, delle risorse  statali  a  disposizione,  a
titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo  le
rispettive competenze, operano nella gestione e  raccolta  del  gioco
praticato mediante apparecchi di cui all'art. 110, comma 6, del testo
unico  di  cui  al  regio   decreto   18   giugno   1931,   n.   773.
Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015: 
        a) ai concessionari e' versato  dagli  operatori  di  filiera
l'intero ammontare della raccolta  del  gioco  praticato  mediante  i
predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate.  I  concessionari
comunicano all'Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli
operatori di filiera che non effettuano  tale  versamento,  anche  ai
fini dell'eventuale  successiva  denuncia  all'autorita'  giudiziaria
competente; 
        b) i concessionari, nell'esercizio delle  funzioni  pubbliche
loro  attribuite,  in  aggiunta   a   quanto   versato   allo   Stato
ordinariamente,  a  titolo  di  imposte  ed  altri  oneri  dovuti   a
legislazione vigente e sulla base delle convenzioni  di  concessione,
versano altresi' annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i
mesi di  aprile  e  di  ottobre  di  ogni  anno,  ciascuno  in  quota
proporzionale al numero di apparecchi ad essi  riferibili  alla  data
del 31 dicembre 2014. Con provvedimento  del  direttore  dell'Agenzia
delle dogane e dei monopoli,  adottato  entro  il  15  gennaio  2015,
previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui
all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del testo  unico  di  cui  al
regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773,  riferibili   a   ciascun
concessionario, nonche' le modalita' di effettuazione del versamento.
Con analogo provvedimento si provvede, a  decorrere  dall'anno  2016,
previa  periodica  ricognizione,  all'eventuale   modificazione   del
predetto numero di apparecchi; 
        c) i concessionari, nell'esercizio delle  funzioni  pubbliche
loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di  filiera  le
somme residue,  disponibili  per  aggi  e  compensi,  rinegoziando  i
relativi  contratti  e  versando   gli   aggi   e   compensi   dovuti
esclusivamente  a   fronte   della   sottoscrizione   dei   contratti
rinegoziati.». 
    L'Agenzia delle dogane e dei monopoli,  con  l'impugnato  decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015,  ai  fini  della  ripartizione  del
versamento  dell'anzidetto  importo  di  500  milioni  di  euro,   ha
individuato  il  numero  degli  apparecchi   riferibile   a   ciascun
concessionario alla data del 31 dicembre 2014, per cui  ha  ripartito
in  maniera  proporzionale  il  versamento,  stabilendo  che  ciascun
concessionario effettua lo stesso nella misura del 40%  entro  il  30
aprile 2015 e per il residuo 60% entro il 31 ottobre 2015. 
    Ne consegue che, in ragione del disposto della norma di legge  la
cui legittimita' costituzionale e'  in  questa  sede  contestata,  il
compenso spettante all'intera filiera si ottiene sottraendo al totale
delle somme raccolte non soltanto: 
        le vincite  pagate  ai  giocatori  (che  non  possono  essere
inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e  all'85%  per  le
VLT); 
        gli importi dovuti all'Agenzia delle dogane e  dei  monopoli,
principalmente a titolo di canone di concessione; 
        gli importi dovuti  all'erario,  principalmente  il  PREU  ai
sensi  dell'art.  39,  comma  13,  decreto-legge  n.  269  del  2013,
convertito con legge n. 326 del 2013, e dell'art. 1, comma 531, della
legge n. 266 del 2005, attualmente pari al 13% delle giocate per  gli
apparecchi AWP ed al 5% per gli apparecchi VLT, 
ma anche: 
        il versamento dovuto allo Stato ai sensi dell'art.  1,  comma
649, lettera b), della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilita' per
il 2015). 
    Il compenso spettante ai gestori, peraltro, essendo questi tenuti
a versare l'intero ammontare della raccolta  ai  concessionari  senza
piu' trattenere dalle somme versate quelle spettanti, e'  subordinato
alla rinegoziazione del contratto con il concessionario imposto dalla
norma di legge. 
    4. Il Collegio ritiene che sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 649, della legge n. 190 del 2014. 
        4.1. La questione si presenta all'evidenza rilevante ai  fini
della decisione della  controversia  in  quanto  l'impugnato  decreto
direttoriale del 15 gennaio 2015 e' stato adottato nell'esercizio  di
un potere del tutto  vincolato  e,  in  particolare,  nella  doverosa
applicazione della richiamata norma di legge, sicche' la  definizione
del presente  giudizio  discende  inevitabilmente  dalla  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale. 
        4.2. Detta questione,  oltre  che  rilevante  ai  fini  della
decisione della controversia, non e'  manifestamente  infondata  alla
luce degli insegnamenti della Corte costituzionale. 
    In una fattispecie per alcuni versi analoga a quella in esame, la
Corte,  con  sentenza  n.  92  del  22  maggio  2013,  ha   giudicato
costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione  del  principio  di
ragionevolezza, l'art. 38, commi 2, 4, 6 e 10  del  decreto-legge  n.
269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003 nella  parte  in
cui determina effetti retroattivi in peius sul  regime  dei  compensi
spettanti  ai  custodi  di  veicoli  sottoposti  a  sequestro,  fermo
amministrativo e confisca. 
    In tale circostanza, il Giudice delle leggi ha rappresentato  che
la ragionevolezza complessiva della trasformazione  alla  quale  sono
stati assoggettati i rapporti negoziali deve «essere  apprezzata  nel
quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli  interessi
- tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro  di
cui all'art. 3 Cost. -  che  risultano  nella  specie  coinvolti;  ad
evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della  finanza
pubblica   possa   risultare,   sempre   e    comunque,    e    quasi
pregiudizialmente, legittimata a  determinare  la  compromissione  di
diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi,  sia
individuali, sia anche collettivi». 
    Con specifico riguardo al settore dei giochi in esame, la  Corte,
nella successiva sentenza n. 56 del 2015, ha dichiarato  non  fondata
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  79,
della legge n. 220 del 2010, in  riferimento  agli  articoli  3,  41,
comma  primo,  e  42,  terzo  comma,  Cost.;  tali  norme   prevedono
l'aggiornamento dello  schema  tipo  di  convenzione  accessiva  alle
concessioni per l'esercizio e la  raccolta  non  a  distanza,  ovvero
comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici, in modo  che  i
concessionari siano dotati dei nuovi «requisiti» e accettino i  nuovi
«obblighi» prescritti, rispettivamente, nelle lettere  a)  e  b)  del
comma 78, e  che  i  contenuti  delle  convenzioni  in  essere  siano
adeguati agli «obblighi» di cui sopra. 
    La legge n. 220 del 2010 (legge di stabilita' per  il  2011),  in
particolare, ha introdotto le norme oggetto di censura a garanzia  di
plurimi interessi pubblici, quali la trasparenza, la  pubblica  fede,
l'ordine pubblico  e  la  sicurezza,  la  salute  dei  giocatori,  la
protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti piu'  deboli,
la protezione degli  interessi  erariali  relativamente  ai  proventi
pubblici derivanti dalla raccolta del gioco; con esse,  sia  i  nuovi
concessionari,  sia  i  titolari  delle  concessioni  in  corso  sono
assoggettati a nuovi «obblighi», in prevalenza di natura  gestionale,
diretti al mantenimento di indici di solidita' patrimoniale per tutta
la durata del rapporto ed  a  questi  si  affiancano  «obblighi»  che
concorrono alla protezione  dei  consumatori  e  alla  riduzione  dei
rischi  connessi  al  gioco  o  che  introducono  clausole  penali  e
meccanismi diretti a rendere effettive le cause  di  decadenza  della
concessione.  Sono  infine  previsti   «obblighi»   di   prosecuzione
interinale dell'attivita' e di cessione non onerosa o di  devoluzione
all'amministrazione  concedente,  su  sua   richiesta,   della   rete
infrastrutturale di gestione e raccolta del gioco  dopo  la  scadenza
del rapporto. 
    Nel caso richiamato, si e' posto in rilievo che  «il  valore  del
legittimo affidamento riposto nella  sicurezza  giuridica  trova  si'
copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non  gia'  in  termini
assoluti  ed  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la  posizione
giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve  risultare
adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per  un  periodo
sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento. Per  altro  verso,  interessi  pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico  limite
della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico». 
    Ne consegue che «non e'  affatto  interdetto  al  legislatore  di
emanare  disposizioni  le  quali  vengano  a  modificare   in   senso
sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti  di  durata,
anche se l'oggetto di questi sia  costituito  da  diritti  soggettivi
perfetti,  unica  condizione  essendo  che  tali   disposizioni   non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo  a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti,  l'affidamento
dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento
fondamentale dello Stato di diritto». 
    Nella fattispecie in esame, gli interessi pubblici tutelati  sono
individuabili nella necessita', a fronte della profonda e  perdurante
crisi finanziaria che ha  progressivamente  colpito  anche  lo  Stato
italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza  pubblica
da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del  gioco
praticato mediante apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,  testo
unico n. 773 del 1931. 
    Al fine di valutare  il  superamento  o  meno  del  limite  della
proporzionalita' rispetto agli obiettivi di  interesse  pubblico,  la
Sezione, con  ordinanze  pronunciate  nei  contenziosi  proposti  dai
concessionari per contestare la  stessa  previsione  legislativa,  ha
disposto incombenti istruttori a carico delle parti per  individuare,
in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso  di  500
milioni  a  carico  dell'intera  filiera  incida   sui   margini   di
redditivita' della singola impresa. 
    I soggetti interessati hanno depositato copia dei conti economici
relativi ai bilanci al 31 dicembre 2013 e al 31  dicembre  2014,  con
una tabella riassuntiva,  per  ciascuno  dei  due  anni,  del  valore
aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione  al  netto
del costo delle materie prime  consumate  e  del  costo  dei  servizi
esterni  e  di  altri  eventuali  costi  di  gestione),  del  margine
operativo lordo (intendendosi per tale il valore  aggiunto  al  netto
del costo del lavoro) e del  risultato  operativo  (intendendosi  per
tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti  e  degli
accantonamenti della gestione tipica)  nonche'  con  indicazione  dei
compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013  e  2014  agli
altri operatori della propria filiera. 
    Dalla documentazione prodotta nei relativi giudizi e' emerso che,
generalmente, l'incidenza del  versamento  imposto  non  appare  ictu
oculi violativa del principio di proporzionalita', vale  a  dire  del
«limite della proporzionalita' dell'incisione rispetto agli obiettivi
di interesse pubblico»,  indicato  dalla  richiamata  sentenza  della
Corte costituzionale n. 56 del 2015. 
    Il Collegio, tuttavia, ritiene che la norma di  cui  all'art.  1,
comma 649, della legge di  stabilita'  per  il  2015  presenti  altri
profili che rendono la questione di legittimita'  costituzionale  non
manifestamente infondata in relazione agli articoli 3 e 41, comma  1,
Cost. 
    Viene qui in rilievo il canone di ragionevolezza,  assurto  nella
giurisprudenza costituzionale a clausola generale, anche quale limite
immanente all'esercizio della discrezionalita' del legislatore. 
    Tale giudizio di ragionevolezza, per lungo  tempo  caratterizzato
dalla necessaria individuazione di un termine di  raffronto  (tertium
comparationis) soltanto a fronte del quale  la  normativa  denunciata
puo' rivelarsi incostituzionale (schema di giudizio ternario), si  e'
via via affrancato dal giudizio di comparazione  ed  e'  divenuto  un
canone autonomo. 
    L'autonomia  della  ragionevolezza  rispetto   al   giudizio   di
eguaglianza appare con tutta evidenza laddove l'art.  3  Cost.  viene
evocato  congiuntamente  sotto  il  profilo   della   disparita'   di
trattamento e sotto  il  profilo  della  ragionevolezza  e  la  Corte
argomenta distintamente per ciascuno dei due profili. 
    Il Collegio ritiene che la norma  contestata  presenti  dubbi  di
compatibilita' costituzionale con riferimento sia  al  profilo  della
disparita' di trattamento sia al profilo della ragionevolezza. 
    Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo  luogo  considerato
che l'intervento legislativo e' avvenuto in dichiarata  anticipazione
del piu' organico riordino della misura degli  aggi  e  dei  compensi
spettanti  ai  concessionari  e  agli  altri  operatori  di   filiera
nell'ambito delle reti di raccolta del gioco per conto  dello  Stato,
in attuazione dell'art. 14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23
del 2014. 
    Sennonche', mentre il criterio per il riordino previsto dall'art.
14, comma 2, lettera g), della  legge  n.  23  del  2014  prevede  la
revisione degli aggi e compensi spettanti  ai  concessionari  e  agli
altri operatori «secondo un  criterio  di  progressivita'  legata  ai
volumi di raccolta delle  giocate»,  la  norma  in  contestazione  ha
previsto la riduzione dei compensi in «quota proporzionale» al numero
di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del  31  dicembre
2014. 
    Ne consegue che, sebbene sia stato  fatto  specifico  riferimento
alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi
secondo un «criterio di progressivita' legata ai volumi  di  raccolta
delle  giocate»,  il  criterio  introdotto  per   ripartire   tra   i
concessionari l'importo totale di euro 500 milioni e' legato  non  ad
un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un
dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti  e  riferibili  a
ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di  ricognizione
successiva. 
    Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, e' di per se' idonea
ad indurre il sospetto che la norma di cui  all'art.  1,  comma  649,
della legge di stabilita' per il 2015 abbia violato sia il  principio
di ragionevolezza che quello di uguaglianza. 
    Premessa,  infatti,  la   contraddittorieta'   intrinseca   della
disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne
discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure
soggetto ad aggiornamento), cioe' il numero di apparecchi  riferibile
a ciascun concessionario ad una  certa  data,  anziche'  ad  un  dato
dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacita'
di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera e'
misurata in maniera molto piu' propria dall'entita' complessiva degli
importi incassati  che  dal  numero  degli  apparecchi  riferibile  a
ciascun soggetto. 
    Il criterio individuato,  in  altri  termini,  postula  che  ogni
apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare  del
tutto implausibile. 
    Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra  violare
il principio di uguaglianza in  quanto,  essendo  il  riferimento  al
numero  di  apparecchi  riferibile  a  ciascun   concessionario   non
compiutamente indicativo dei  margini  di  reddito  conseguiti  dallo
stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe  andare
a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un
maggior volume di giocate ed  a  detrimento  degli  operatori  i  cui
apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate. 
    La previsione normativa, in  sostanza,  sembra  avere  violato  i
canoni di ragionevolezza e  parita'  di  trattamento  presumendo,  in
maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la
stessa potenzialita' di reddito laddove quest'ultima dipende  da  una
molteplicita' di fattori (quali, in primo luogo,  la  differenza  tra
AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la  strada  in
cui l'apparecchio e' situato nonche' la  sua  ubicazione  all'interno
del  locale)  che  rendono  implausibile  il  criterio   scelto   dal
legislatore. 
    La violazione del principio di ragionevolezza e  di  uguaglianza,
peraltro, e' individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre
la legge delega n.  23  del  2014,  ha  previsto  il  riordino  delle
disposizioni vigenti in materia di giochi  pubblici  e,  quindi,  del
loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi
praticati mediante apparecchi di cui all'art.  110,  comma  6,  testo
unico n. 773 del 1931 e, per  l'effetto,  e'  destinata  solo  ad  un
segmento, sia pure di enorme rilievo, al suo interno. 
    Va  da  se'  che  la  descritta  irragionevole  ripartizione  del
versamento   imposto   tra   i   concessionari   potrebbe    produrre
un'alterazione del libero gioco della  concorrenza  tra  gli  stessi,
favorendo quelli che, in presenza di una redditivita'  superiore  per
singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione  al  volume
di giocate raccolte, un importo minore,  per  cui  possono  destinare
maggiori risorse agli investimenti e, in senso piu'  lato,  favorendo
gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi  da  quelli  in
discorso. 
    La questione di legittimita' costituzionale della  norma  di  cui
all'art. 1, comma 649,  della  legge  n.  190  del  2014  non  appare
manifestamente  infondata  anche  con  riferimento  alla   violazione
dell'art. 41, comma 1, Cost. che sancisce il  principio  di  liberta'
dell'iniziativa economica privata. 
    Il Collegio, in via preliminare, rileva che, qualora si tratti di
soggetti  privati  che,   nell'intraprendere   attivita'   d'impresa,
sostengono consistenti investimenti, la legittima aspettativa ad  una
certa stabilita' nel tempo  del  rapporto  concessorio  gode  di  una
particolare tutela costituzionale, riconducibile non solo all'art.  3
Cost., ma anche all'art. 41 Cost. 
    In  particolare,  il  legittimo   affidamento   dell'imprenditore
implica l'aspettativa che le sopravvenienze normative  non  finiscano
per vanificare l'iniziativa economica intrapresa e  gli  investimenti
sostenuti, atteso che, se l'imprenditore evidentemente deve  assumere
su di se' i rischi d'impresa derivanti da mutamenti della  situazione
di fatto, non puo' dirsi  allo  stesso  modo  per  le  sopravvenienze
normative che incidono sulle condizioni  economiche  stabilite  nella
convenzione accessiva al rapporto concessorio. 
    Nel caso di specie, se, da un lato, il  versamento  imposto,  pur
incidendo significativamente sul sinallagma contrattuale, non  appare
prima facie violativo del richiamato «principio di  proporzionalita'»
scolpito nella sentenza n. 56 del 2015, dall'altro, la determinazione
in misura fissa e non variabile del  contributo  imposto,  in  quanto
destinato ad operare a tempo indeterminato,  potrebbe  potenzialmente
produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove  i
margini  di  redditivita'  della  stessa  dovessero  consistentemente
ridursi. 
    In altri termini, se con riferimento ai dati del conto  economico
2014,  il  versamento  imposto  alla  filiera,  pur  costituendo   un
significativo «taglio» alla capacita' di reddito degli operatori, non
appare  tale  da  violare  il  «principio  di  proporzionalita'»   in
un'ottica   di   bilanciamento   tra   interessi   costituzionalmente
rilevanti, non e' possibile escludere che, ove i volumi delle giocate
raccolte dovessero drasticamente  contrarsi,  la  determinazione  del
versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del  volume
delle giocate, potrebbe determinare  un  reale  stravolgimento  delle
condizioni  economiche  pattuite  in  convenzione   con   conseguente
eccessiva gravosita' degli obblighi imposti per i concessionari ed  i
relativi operatori di filiera. 
    Parimenti irragionevoli e lesive  della  liberta'  di  iniziativa
economica dell'impresa si rilevano  le  previsioni,  contenute  nelle
lettere a) e c) del secondo comma dell'art. 1, comma 649 della  legge
di stabilita' per il 2015, secondo cui «ai concessionari  e'  versato
dagli operatori di filiera  l'intero  ammontare  della  raccolta  del
gioco praticato  mediante  i  predetti  apparecchi,  al  netto  delle
vincite pagate» e «i  concessionari,  nell'esercizio  delle  funzioni
pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli  altri  operatori  di
filiera  le  somme  residue,  disponibili  per   aggi   e   compensi,
rinegoziando i relativi contratti e  versando  gli  aggi  e  compensi
dovuti esclusivamente a fronte  della  sottoscrizione  dei  contratti
rinegoziati». 
    Tali disposizioni appaiono idonee a  riflettersi  sulla  liberta'
contrattuale di tutti gli operatori della filiera. 
    In  particolare,  per  quanto  riguarda   i   concessionari,   il
meccanismo imposto dal legislatore,  di  inversione  del  flusso  dei
pagamenti  attraverso  cui  si  e'  sino  ad   ora   proceduto   alla
remunerazione  del  settore  (oggetto   di   specifiche   pattuizioni
contrattuali), aumenta il rischio, cui sono esposti i  concessionari,
del mancato adempimento degli obblighi gravanti sugli altri operatori
della filiera, senza che tale circostanza faccia comunque venire meno
l'obbligo dei concessionari  medesimi  di  versare  allo  Stato,  nei
termini   indicati,   l'importo,   concernente   l'intera    filiera,
quantificato nell'impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015. 
    La profonda modifica dell'assetto della concessione, non  risulta
invero controbilanciata dall' obbligo di rinegoziazione dei contratti
imposto, a cascata, nei  rapporti  con  gli  operatori  interni  alla
filiera, sia in quanto la  concreta  modifica  di  tali  rapporti  e'
rimessa (ne' potrebbe essere diversamente) alla libera volonta' delle
parti, sia perche' i concessionari non sono stati dotati di strumenti
diversi   dagli   ordinari   rimedi   contrattuali   per   conseguire
l'adempimento delle obbligazioni dei gestori, cosi' come,  almeno  in
parte,  direttamente  e  innovativamente  conformate   dallo   stesso
legislatore. 
    Peraltro,  la  stessa  imposizione  di  una  rinegoziazione   dei
contratti appare ontologicamente incompatibile con la  incomprimibile
autonomia delle parti di pervenire solo eventualmente ad un  nuovo  e
diverso accordo negoziale. 
    Con specifico riferimento alla  posizione  dei  gestori,  e'  poi
evidente  la  lesione  del  principio  di  liberta'   dell'iniziativa
economica privata atteso che  il  nuovo  meccanismo  disegnato  dalla
norma impone ad essi, che si trovano  in  posizione  contrattuale  di
minore forza rispetto ai concessionari esercenti pubbliche  funzioni,
di  rinegoziare  i  contratti  e,  quale  conseguenza  della  mancata
rinegoziazione,  comporta  che  nessun  compenso  possa  essere  loro
erogato, ancorche' maturato nella vigenza di un precedente contratto. 
    In ogni caso, la  percezione  del  compenso  viene  rinviata  nel
tempo, e diventa addirittura aleatoria se i  concessionari  dovessero
proporre  agli  attuali  gestori   condizioni   valutate   come   non
convenienti e/o sostenibili. 
    5. Per quanto sopra argomentato, il Collegio ritiene rilevante ai
fini  della  decisione  della  controversia  e   non   manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 649, della legge n. 190 del 2014 per violazione degli  articoli
3 e 41, primo comma, Cost. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma,
Sezione II, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,
cosi' provvede: 
        1) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli articoli 3 e 41, primo comma, Cost., la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 649,  della  legge  n.
190 del 2014 (legge di stabilita' per il 2015); 
        2) dispone la sospensione del giudizio e  ordina  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        3) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in  causa  ed   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica; 
        4) rinvia ogni ulteriore statuizione in rito,  nel  merito  e
sulle spese di lite all'esito del giudizio incidentale  promosso  con
la presente pronuncia. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  21
ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati: 
        Filoreto D'Agostino, Presidente; 
        Silvia Martino, consigliere, estensore; 
        Roberto Caponigro, consigliere. 
 
                      Il Presidente: D'Agostino 
 
 
                                                 L'estensore: Martino