N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2016

Ordinanza del 14 giugno 2016 della  Corte  d'appello  di  Torino  nel
procedimento penale a carico di C. F.. 
 
Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure -
  Obbligatorieta'  della  custodia  cautelare   in   carcere   quando
  sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto  di
  cui all'art. 416-bis cod. pen. salvo che siano  acquisiti  elementi
  dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. 
- Codice di procedura penale, art. 275, comma 3. 
(GU n.39 del 28-9-2016 )
 
                     CORTE DI APPELLO DI TORINO 
                      (Sezione Seconda Penale) 
 
    La Corte d'Appello di Torino riunito in camera di consiglio nelle
persone dei magistrati: 
        Dott. Simonetta Rossotti - Presidente; 
        Dott. Irene Strata - consigliere; 
        Dott. Roberta Bonaudi - consigliere; 
    sull'istanza depositata dal difensore di C.F.,  nato  a  S.  (VV)
il..., attualmente detenuto in  custodia  cautelare  presso  la  Casa
Circondariale di Voghera. 
    Premesso: 
        che  con  istanza  depositata  in  data  13  giugno  2016  il
difensore di C. F., sottoposto alla misura cautelare  della  custodia
in carcere in relazione al  reato  di  cui  all'art.  416-bis  codice
penale per il quale e' stato condannato da questa Corte d'Appello con
sentenza in data 22 febbraio 2016, ha chiesto la  sostituzione  della
attuale misura con quella degli  arresti  domiciliari,  eventualmente
assistita dal divieto di comunicare con persone diverse dai familiari
conviventi e con applicazione di mezzi elettronici di  controllo  cui
l'istante ha prestato il consenso; 
        che il difensore, esposte le ragioni per cui ritiene  che  le
esigenze  cautelari  a  carico  del  C.  siano  diminuite   e   siano
attualmente fronteggiabili con la  misura  chiesta  in  sostituzione,
rileva che a tale sostituzione e' di ostacolo la  previsione  di  cui
all'art. 275, comma 3, secondo periodo codice di procedura  penale  e
ritiene che tale norma si ponga in patente violazione degli  articoli
3, 13 comma 1 e 27, comma 2 Cost. nella parte in  cui  nel  prevedere
che quando sussistono gravi  indizi  di  colpevolezza  in  ordine  al
delitto di  cui  all'art.  416-bis  codice  di  procedura  penale  e'
applicata la misura della custodia cautelare in  carcere,  salvo  che
siano  acquisiti  elementi  dai  quali  risulti  che  non  sussistono
esigenze cautelari, non fa salva, altresi', l'ipotesi  in  cui  siano
acquisiti elementi specifici, in  relazione  al  caso  concreto,  dai
quali risulti che le esigenze cautelali  possono  essere  soddisfatte
con altre misure; 
        che  in  relazione  all'indicata   violazione   delle   norme
costituzionali  chiede  sia  sollevata  questione   di   legittimita'
costituzionale del citato art.  275,  comma  3  codice  di  procedura
penale con riferimento al delitto  di  cui  all'art.  416-bis  codice
penale, sospendendo il giudizio cautelare sull'istanza presentata; 
        che il P.G. ha espresso parere  sfavorevole  sull'istanza  di
sostituzione  della  misura,  ritenendo  che  debbano  anche   essere
disattese le prospettazioni in punto illegittimita' costituzionale; 
 
                               Osserva 
 
Sulla non manifesta infondatezza 
    L'art. 275, comma  3  codice  di  procedura  penale  nella  nuova
formulazione di cui la legge n. 47  del  2015  pone  una  presunzione
assoluta di adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in
carcere allorquando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine
al delitto di cui - per  quanto  qui  interessa  -  all'art.  416-bis
codice  penale  e  qualora,  ponendo  questa  volta  una  presunzione
relativa di pericolosita', non siano  acquisiti  elementi  dai  quali
risulti che non sussistono esigenze cautelari. 
    Tale nuova formulazione, che  ha  ridotto  il  numero  dei  reati
sottoposti alla presunzione assoluta i quelli previsti dagli articoli
270, 270-bis  e  416-bis  codice  penale,  risponde  all'esigenza  di
adeguare il dettato normativo all'opera  della  Corte  costituzionale
che e' intervenuta piu' volte eliminando, per la maggior parte  delle
fattispecie di  reato  previste  nella  precedente  enunciazione,  la
previsione assoluta  di  adeguatezza  della  sola  misura  carceraria
trasformandola in presunzione  relativa  superabile  allorche'  siano
acquisiti elementi specifici da cui risulti che le esigenze cautelari
possono essere soddisfatte con altre misure. 
    Le suddette pronunce  della  Corte  sono  ispirate  al  principio
cardine insito nella nostra carta costituzionale della massima tutela
dei  diritti  a  cui  fa  da  contraltare  il  principio  del  minimo
sacrificio  possibile  dei  diritti  fondamentali  e,  per  cio'  che
riguarda la liberta'  del  soggetto  in  sede  cautelare,  del  minor
sacrificio necessario. 
    Invero, la Consulta ha affermato piu' volte  che  le  presunzioni
assolute  vanno  ritenute  incostituzionali   per   contrarieta'   al
principio di uguaglianza quando limitano diritti fondamentali in modo
arbitrario e irrazionale e  cioe'  "se  non  rispondono  a  dati  di'
esperienza generalizzati". 
    La stessa legge n. 47 del  2015  si  e'  posta  in  un'ottica  di
contrazione del ricorso alla misura carceraria delineandola, anche in
ossequio alle spinte provenienti dalla CFDU (sebbene  per  rispondere
ad altre esigenze), quale estrema  ratio  per  la  limitazione  della
liberta', dando nuova  forza  e  pregnanza  al  principio  del  minor
sacrifico possibile con la previsione di strumenti che consentano  di
fronteggiare in modo adeguato le specifiche esigenze cautelari  anche
con misure meno a afflittive (si  pensi  p.e.  alla  possibilita'  di
applicare  cumulativamente  piu'  misure  personali  anche  fra  loro
eterogenee). 
    Da questi brevissimi cenni risulta evidente come l'ordinamento si
muova nel senso di un rafforzamento del principio di  adeguatezza  e,
in ossequio ai valori costituzionalmente garantiti, della  necessita'
della massima attenzione nella valutazione del  periculum  libertatis
delineando il carcere come misura eccezionale in  quanto  lesiva  nel
massimo grado della liberta' personale. 
    Invero, dopo alterne vicende che hanno visto la norma di  cui  al
comma 3 dell'art. 275 codice di procedura penale  ora  ampliare,  ora
irrigidire gli spazi valutativi del giudice nella applicazione  della
misura carceraria, vi e' stato negli ultimi tempi, anche grazie  agli
interventi della Consulta, un  chiaro  impulso  a  limitare  il  piu'
possibile non solo l'applicazione della misura di maggior rigore,  ma
anche la previsione della presunzione assoluta di adeguatezza di tale
misura. 
    La  duplice  presunzione,  quella  relativa  di  sussistenza   di
esigenze cautelati e quella  assoluta  di  adeguatezza  della  misura
carceraria, veniva inserita nel comma  3,  dell'art.  275  codice  di
procedura penale dai decreti-legge n. 152/91 e 292/91 in relazione ad
un certo numero di reati  che  pero',  con  la  successiva  legge  n.
332/95, veniva ristretto ai soli delitti ex  art.  416-bis  in  senso
stretto ed a quelli commessi avvalendosi delle condizioni  di  cui  a
tale nonna o al fine di agevolare quel tipo di associazioni. 
    Con  riferimento  all'art.  416-bis  codice  penale  la  predetta
presunzione  superava  il  vaglio  della  Corte  costituzionale   con
l'ordinanza n. 450/1995  che  dichiarava  la  manifesta  infondatezza
della  questione  ritenendo  non  irragionevole   l'esercizio   della
discrezionalita' legislativa in termini generali con  riferimento  ai
delitti di  criminalita'  organizzata  di  tipo  mafioso  atteso  "il
coefficiente  di  pericolosita'  per  le  condizioni  di  base  della
convivenza e della sicurezza collettiva che  agli  illeciti  di  quel
genere e' connaturato". 
    Il decreto-legge n. 11/2009 ampliava  nuovamente  il  novero  dei
reati assoggettati alla duplice  presunzione  sopra  indicata  per  i
quali veniva prevista in via assoluta  la  misura  carceraria,  salva
l'acquisizione  di  elementi  dimostrativi  della  insussistenza   di
esigenze cautelati. 
    Su questo  nuovo  assetto  della  norma  interveniva,  come  gia'
ricordato,  il  pregnante  vaglio  della  Corte  costituzionale  che,
muovendosi in modo via via piu' incisivo e rimodulando le ragioni che
avevano  originariamente  ispirato  la  norma  sottoposta  alla   sua
valutazione, ha cancellato la  previsione  assoluta  in  relazione  a
quasi tutti i delitti previsti dal decreto-legge da ultimo citato per
contrasto dell'art. 273, comma 3 codice di procedura penale  con  gli
articoli 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Cost. nella parte in  cui  impone
l'applicazione della custodia cautelare in carcere e non fa salva  la
possibilita' di valutare elementi specifici dai quali risulti che  le
esigenze cautelari del caso concreto possono essere soddisfatte anche
cori misura diversa. Cadeva cosi la presunzione assoluta con riguardo
ai delitti ex articoli 609-bis e 609-quater codice penale, al delitto
ex art. 575 codice  penale,  al  delitto  ex  art.  74,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/90, ai delitti  ex  articoli  416,
473 e 474 codice penale, al delitto  ex  art.  630  codice  penale  e
finanche in relazione a delitti che, pur con tutte le differenze  del
caso (evidenziate  dalla  Consulta  con  particolare  riferimento  al
vincolo permanente che lega  imputato  ed  organizzazione  di  stampo
mafioso sono innegabilmente contigui a quello di cui all'art. 416-bis
codice penale in senso stretto,  e  cioe'  i  delitti  aggravati  dal
metodo mafioso o dall'agevolazione mafiosa (sent. n.  57/2013)  e  il
delitto  di  concorso  esterno  in  associazione  mafiosa  (sent.  n.
48/2015). 
    Peraltro, in tali due ultime sentenze la Corte,  con  valutazione
comparativa contenuta in obiter dicta, ha fatto salva la  presunzione
assoluta di adeguatezza della custodia carceraria  per  il  reato  di
partecipazione ad associazione di stampo  mafioso  sulla  base  della
valutazione della natura del reato associativo ritenuta  di  per  se'
sola sufficiente a legittimare la presunzione assoluta  di  cui  alla
norma. 
    Questa Corte d'Appello  ritiene  che  tale  valutazione  dovrebbe
essere rivisitata e rimodulata proprio alla luce  e  sulla  scia  del
quadro evolutivo tratteggiato  sia  dalla  nuova  linea  seguita  dal
legislatore  nella  legge  n.  47/2015  con  riferimento  ai  criteri
applicativi  delle  misure  cautelari,  sia  dalle  declaratorie   di
incostituzionalita' della Consulta, in particolare come si e'  detto,
di quelle di cui alle  sentenze  n.  57  del  2013  (reati  connotati
dall'art. 7, decreto-legge n. 152/91)  e  n.  48  del  2015  concorso
esterno). 
    Nella prima di tali sentenze, con la quale  e'  stata  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3 codice penale,
con riferimento al  delitti  commessi  avvalendosi  delle  condizioni
previste dall'art. 416-bis codice penale ovvero al fine di  agevolare
l'attivita'  delle  associazioni  indicate  dallo   stesso   articolo
trasformando la presunzione de assoluta in relativa), la arte afferma
che "...il regime cautelare speciale e' collegato, nei casi in esame,
non gia' o singole fattispecie incriminatrici in rapporto alle  quali
possa valutarsi l'adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ma
a  circostanze  aggravanti  riferibili   ai   piu'   vari   reati   e
correlativamente alle piu' diverse situazioni oggettive e soggettive.
Oltre a mettere in luce le ricadute della  disciplina  in  esame  sul
criterio di proporzionalita', secondo  il  quale  «ogni  misura  deve
essere proporzionata all'entita' del fatto e alla  sanzione  che  sia
stata o si ritiene possa essere irrogata» (art. 275, comma  2  codice
di procedura penale), l'ampio numero di reati  base  suscettibili  di
rientrare nell'ambito di applicazione del regime  cautelare  speciale
segnala la possibile diversita' del "significato" di ciascuno di essi
sul piano dei pericula libertatis, il che offre un'ulteriore conferma
dell'insussistenza di una congrua "base statistica" a sostegno  della
presunzione censurata". 
    Nella, ancor piu' recente, sentenza n. 48 del 2015, con la  quale
e' stata dichiarata l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  275,
comma 3  codice  di  procedura  penale  con  riferimento  ai  delitti
commessi dal concorrente esterno, nel richiamare i principi che hanno
ispirato le precedenti declaratorie di incostituzionalita'  dell'art.
275, comma 3 codice di procedura penale (in particolare  la  sentenza
n.  57/2013),  la  Corte  ribadisce  che  a  determinare   i   vulnus
costituzionali non era "la presunzione in se', ma  il  suo  carattere
assoluto, che implicava una  indiscriminata  e  totale  negazione  di
rilievo al principio del "minimo sacrificio necessario"; nel rifarsi,
quindi, ai medesimi criteri di cui alla sentenza  n.  57/2013  ed  in
particolare a quello della "congrua base statistica", afferma  che  i
delitti  all'esame  "...  si  connotano  come  fattispecie  "aperte",
qualificate solo  dalla  tipologia  dei  reati-fine  e  non  gia'  da
particolari  caratteristiche  del  vincolo  associativo,   cosi'   da
abbracciare  situazioni  marcatamente  eterogenee  sotto  il  profilo
considerato: donde  l'impossibilita'  di  «enucleare  una  regola  di
esperienza, ricollegabile ragionevolmente a  tutte  le  "connotazioni
criminologiche" del fenomeno, secondo la quale la custodia carceraria
sarebbe  l'unico  strumento  idonea  a   fronteggiare   le   esigenze
cautelari» (sentenza n. 231 del 2011; analogamente  sentenza  n.  110
del 2012)". 
    Cio' che accomuna tali due pronunce di  incostituzionalita'  sono
il forte richiamo alla necessaria proporzionalita' delle misure  alla
luce del principio del minimo sacrifico necessario ed il rilievo  che
l'eterogenita' delle situazioni  che  possono  ricadere  nei  delitti
posti all'esame non permette di  farle  rientrare  nella  presunzione
assoluta dei regime cautelare speciale previsto dall'art. 275,  comma
3 codice di procedura penale 
    Cio' nonostante la Corte in  entrambe  le  pronunce,  palesemente
discostandosi dai  criteri  enunciati  e  posti  a  fondamento  della
decisione di incostituzionalita' dell'art. 275,  comma  3  codice  di
procedura penale in relazione  alle  fattispecie  sottoposte  al  suo
giudizio, affermava che altra cosa era  il  delitto  di  appartenenza
all'associazione mafiosa  che  riteneva  rispondente  ai  criteri  di
generalizzazione  richiesti  per  l'applicazione  della   presunzione
assoluta in quanto "l'appartenenza ad associazioni  di  tipo  mafioso
implica un'adesione permanente ad un  sodalizio  criminoso  di  norma
fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta  rete
di   collegamenti   personali   e   dotato   di   particolare   forza
intimidatrice"  tale  da  rendere  necessario  ricorrere  alla   sola
custodia in carcere per  reciderli.  In  sostanza,  riteneva  che  le
condotte di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso,  per
le peculiari caratteristiche che le connotano, non sono  equiparabili
a quelle specificamente oggetto delle pronunce di incostituzionalita'
in quanto solo alle condotte  partecipative  "e'  collegato  il  dato
empirico, ripetutamente constatato," - la "congrua base statistica" -
"della inidoneita' del processo e delle  stesse  misure  cautelari  a
recidere il vincolo associativo  e  a  far  venir  meno  la  connessa
attivita' collaborativa" che solo la custodia in carcere e' idonea  a
contrastare. 
    Come gia' accennato, questa affermazione appare risolversi in una
sostanziale forzatura dettata da, seppur comprensibili,  esigenze  di
politica criminale e non congruente con i principi che hanno ispirato
le pronunce  di  incostituzionalita'  citate,  in  particolare  delle
fattispecie dell'agevolazione mafiosa e del concorso esterno. 
    Invero, pur prendendosi atto delle peculiarita' del  vincolo  che
caratterizza il reato di associazione mafiosa, nonche' della gravita'
indiscussa della fattispecie di cui all'art. 416-bis  codice  penale,
non puo' non ritenersi illogica l'affermazione secondo  cui  non  sia
possibile  effettuare  e  stabilire  una   diversa   graduazione   di
pericolosita' all'interno  del  reato  stesso  fra  le  condotte  dei
singoli partecipi in rapporto a parametri di  gravita'  desunti,  per
fare alcuni esempi, dalla portata intimidatoria della condotta  posta
in   essere   in   nome   dell'associazione,   dall'intensita'   dei,
collegamenti  con  i  sodali,  dal  grado  effettivo   di   messa   a
disposizione, dalla stessa tipologia delle condotte, e cosi' via.  In
questa prospettiva,  non  puo'  non  rilevarsi  come  sia  lo  stesso
legislatore ad effettuare una  prima  differenziazione  di  posizioni
laddove prevede pene edittali differenti per i meri partecipi  e  per
le  posizioni  apicali,  di  talche'  gia'  da  questo  dato  risulta
incongruente   che   sia   prevista   per   tutti    tali    soggetti
indiscriminatamente in via di presunzione assoluta la medesima misura
cautelare. 
    Appare  non  rispondente  ai  canoni  della  congruita'   e   del
richiamato principio di  adeguatezza,  nonche'  del  principio  della
limitazione della  liberta'  con  il  minimo  sacrificio  necessario,
equiparare posizioni che per  varie  caratteristiche  possono  essere
dissimili  ed  escludere  la  possibilita',  per   il   giudice   del
procedimento, di effettuare una valutazione di pericolosita' concreta
delle  diverse  condotte  in  base  ai  criteri  dettati  dal  codice
applicando a ciascuna di esse  la  misura  che  piu'  si  attaglia  a
tutelare le esigenze special-preventive specifiche. 
    Cio' tanto piu'  se  si  tiene  conto  delle  oscillazioni  della
giurisprudenza nella valutazione dell'altro parametro della norma,  e
cioe' la presunzione relativa  di  pericolosita'  ("salvo  che  siano
acquisiti elementi dai quali  risulti  che  non  sussistono  esigenze
cautelari"), laddove nel definire i presupposti in presenza dei quali
e' possibile ritenere superata la presunzione  stessa  si  va  da  un
orientamento secondo cui e' necessario  che  sia  provata  la  totale
rescissione dei legami con l'organizzazione criminosa addirittura  lo
smantellamento della  associazione),  alle  posizioni  che  ritengono
possibile la valutazione anche di altri parametri,  non  determinati,
che   facciano    ragionevolmente    escludere    la    pericolosita'
dell'indagato. Il che pone, dunque, una  obiettiva  incertezza  anche
sulla possibilita' di superamento della presunzione relativa. 
    Inoltre, in considerazione dei particolari connotati del  delitto
di associazione mafiosa, non pare fondata l'affermazione secondo  cui
solamente la misura carceraria sia in grado  di  recidere  i  vincoli
associativi che caratterizzano il reato posto che: da un lato, e' ben
possibile che misure piu' attenuate, magari anche cumulate  fra  loro
secondo le ultime disposizioni normative o corredate  da  particolari
prescrizioni (si pensi agli arresti domiciliari con l'imposizione del
divieto di comunicare in qualsiasi modo con l'esterno), siano  idonee
a recidere o sospendere o ridurre al minimo il vincolo quando  questo
si presenti con determinate caratteristiche; e dall'altro  lato,  non
corrisponde alla realta' concreta l'affermazione che il  carcere  sia
in grado di recidere davvero in modo efficace o di ridurre al  minimo
tale vincolo. 
    Il principio costituzionale della  minor  compressione  possibile
dei diritti fondamentali,  fra  i  quali  primario  e'  quello  della
liberta individuale, ed  il  criterio  base  del  nostro  ordinamento
secondo cui il carcere costituisce l'estrema ratio, riaffermato nella
legge n. 47/2015 (tant'e'  che,  con  capovolgimento  dei  precedenti
criteri ed in ossequio al precetto di cui alla prima parte del  comma
3 dell'art. 275 codice penale secondo cui la custodia in carcere puo'
trovare applicazione laddove ogni altra misura risulti inadeguata, il
nuovo comma 3-bis introdotto  dalla  legge  n.  47/2015  richiede  al
giudice di specificare le ragioni  della  mancata  concessione  della
misura degli arresti domiciliari ex art. 275-bis, comma 1  codice  di
procedura penale), non possono subire una compressione indiscriminata
ed assoluta neppure a fronte di fattispecie criminose che  richiedono
il massimo della severita' laddove il pericolo di reiterazione  possa
essere altrimenti salvaguardato. 
    Per tutte le  predette  ragioni  si  ritiene  non  manifestamente
infondata la questione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
275,  comma  3  codice  di  procedura  penale  in  riferimento   alla
previsione afferente il reato  di  cui  all'art.  416-bis  codice  di
procedura  penale   per   violazione   dell'art.   3   Cost.   stante
l'irrazionale assoggettamento ad  un  medesimo  regime  cautelare  di
situazioni che possono presentarsi diverse sotto il profilo oggettivo
e soggettivo, per violazione dell'art. 13, primo  comma  Cost.  quale
norma  di  riferimento  delle  misure   limitative   della   liberta'
personale, nonche' per violazione dell'art. 27, secondo  comma  Cost.
in relazione alla funzione che deve essere  conferita  alla  custodia
cautelare. 
Sulla rilevanza della questione 
    La questione si presenta rilevante  con  riferimento  all'istanza
indicata in premessa con cui si chiede la sostituzione della custodia
cautelare in carcere applicata a  C.  F.  con  quella  degli  arresti
domiciliari  eventualmente  corredata  da   ulteriori   controlli   e
prescrizioni. 
    Invero, le esigenze cautelari ravvisabili a  carico  dell'istante
non sono venute meno tenuto conto sia della  perdurante  operativita'
dell'associazione - che non ha cessato  di  esistere  nonostante  gli
arresti di numerosi sodali e stanti i collegamenti indiscussi con  la
casa madre, sia dei legami che l'imputato ha dimostrato di avere  con
i membri della associazione stessa. 
    Tuttavia, tenuto conto del lungo  periodo  di  carcerazione  gia'
subita (circa tre anni e otto mesi), del  ruolo  non  apicale  svolto
dall'imputato, della assenza  a  suo  carico  di  reati  fine,  della
attuale formale incensuratezza,  nonche'  della  disponibilita'  data
dalla convivente del C., K. D. V., ad  accogliere  l'imputato  presso
l'abitazione con cio' dimostrando resistenza di un  nucleo  familiare
stabile, dette esigenze potrebbero essere  adeguatamente  soddisfatte
con la misura meno gravosa degli  arresti  domiciliari  corredata  da
meccanismi  di  controllo  e  da   adeguate   prescrizioni   di   non
comunicazione con l'esterno. Si ritiene che la misura  degli  arresti
domiciliari cosi' strutturata risulterebbe idonea a  fronteggiare  il
pericolo di reiterazione di fatti del medesimo genere di quelli per i
quali l'istante e' stato  ritenuto  responsabile  nei  due  gradi  di
giudizio,  in  particolare  a  rendere  minime  le  possibilita'   di
mantenimento del vincolo con l'associazione criminosa. Cio' si palesa
tanto piu'  reale  tenuto  conto  della  assoluta  estraneita'  della
convivente non solo ai fatti contestati, ma anche e soprattutto  alla
famiglia  anagrafica  dell'imputato,  all'ambiente  in  cui   risulta
maturato il reato associativo ed all'area geografica di origine della
associazione criminosa cui il C. e accusato di  appartenere,  il  che
contribuisce a rendere adeguata la misura richiesta  in  sostituzione
in quanto la sua esecuzione avrebbe luogo in un contesto non connesso
con   ambienti   inquinati   da    insediamenti    o    infiltrazioni
"ndrangestiste". 
    All'accoglimento dell'istanza osta, tuttavia,  la  norma  che  si
sottopone all'esame  della  Corte  posto  che  la  stessa  impone  di
applicare la  custodia  cautelare  in  carcere  nei  confronti  della
persona raggiunta da gravi indizi  di  colpevolezza  per  il  delitto
previsto dall'art. 416-bis codice penale, salvo che  siano  acquisiti
elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. 
    Di qui la rilevanza della questione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli  3,  13
comma 1 e 27 comma 2 Costituzione, dell'art. 275, comma 3 del  codice
di procedura penale nella parte  in  cui  nel  prevedere  che  quando
sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto  di  cui
all'art. 416-bis codice di procedura penale e'  applicata  la  misura
della custodia  cautelare  in  carcere,  salvo  che  siano  acquisiti
elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non
fa  salva,  altresi',  l'ipotesi  in  cui  siano  acquisiti  elementi
specifici, in relazione al caso concreto, dai quali  risulti  che  le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla  Corte  costituzionale  e
sospende, sino alla pronuncia della Corte, la decisione  sull'istanza
di sostituzione della misura cautelare avanzata da C. F. 
    Ordina che la presente ordinanza, a cura della  Cancelleria,  sia
notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia  comunicata
ai  Presidenti  della  Camera  dei  Deputati  e  del   Senato   della
Repubblica. 
    Dispone, altresi', la comunicazione della presente  ordinanza  al
P. G. in sede, all'istante e al suo difensore. 
 
        Torino, 14 giugno 2016 
 
                       Il Presidente: Rossotti 
 
 
                                     Il consigliere estensore: Strata