N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 giugno 2016
Ordinanza del 14 giugno 2016 della Corte d'appello di Torino nel procedimento penale a carico di C. F.. Processo penale - Misure cautelari - Criteri di scelta delle misure - Obbligatorieta' della custodia cautelare in carcere quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. - Codice di procedura penale, art. 275, comma 3.(GU n.39 del 28-9-2016 )
CORTE DI APPELLO DI TORINO (Sezione Seconda Penale) La Corte d'Appello di Torino riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: Dott. Simonetta Rossotti - Presidente; Dott. Irene Strata - consigliere; Dott. Roberta Bonaudi - consigliere; sull'istanza depositata dal difensore di C.F., nato a S. (VV) il..., attualmente detenuto in custodia cautelare presso la Casa Circondariale di Voghera. Premesso: che con istanza depositata in data 13 giugno 2016 il difensore di C. F., sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all'art. 416-bis codice penale per il quale e' stato condannato da questa Corte d'Appello con sentenza in data 22 febbraio 2016, ha chiesto la sostituzione della attuale misura con quella degli arresti domiciliari, eventualmente assistita dal divieto di comunicare con persone diverse dai familiari conviventi e con applicazione di mezzi elettronici di controllo cui l'istante ha prestato il consenso; che il difensore, esposte le ragioni per cui ritiene che le esigenze cautelari a carico del C. siano diminuite e siano attualmente fronteggiabili con la misura chiesta in sostituzione, rileva che a tale sostituzione e' di ostacolo la previsione di cui all'art. 275, comma 3, secondo periodo codice di procedura penale e ritiene che tale norma si ponga in patente violazione degli articoli 3, 13 comma 1 e 27, comma 2 Cost. nella parte in cui nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416-bis codice di procedura penale e' applicata la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelali possono essere soddisfatte con altre misure; che in relazione all'indicata violazione delle norme costituzionali chiede sia sollevata questione di legittimita' costituzionale del citato art. 275, comma 3 codice di procedura penale con riferimento al delitto di cui all'art. 416-bis codice penale, sospendendo il giudizio cautelare sull'istanza presentata; che il P.G. ha espresso parere sfavorevole sull'istanza di sostituzione della misura, ritenendo che debbano anche essere disattese le prospettazioni in punto illegittimita' costituzionale; Osserva Sulla non manifesta infondatezza L'art. 275, comma 3 codice di procedura penale nella nuova formulazione di cui la legge n. 47 del 2015 pone una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in carcere allorquando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui - per quanto qui interessa - all'art. 416-bis codice penale e qualora, ponendo questa volta una presunzione relativa di pericolosita', non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Tale nuova formulazione, che ha ridotto il numero dei reati sottoposti alla presunzione assoluta i quelli previsti dagli articoli 270, 270-bis e 416-bis codice penale, risponde all'esigenza di adeguare il dettato normativo all'opera della Corte costituzionale che e' intervenuta piu' volte eliminando, per la maggior parte delle fattispecie di reato previste nella precedente enunciazione, la previsione assoluta di adeguatezza della sola misura carceraria trasformandola in presunzione relativa superabile allorche' siano acquisiti elementi specifici da cui risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Le suddette pronunce della Corte sono ispirate al principio cardine insito nella nostra carta costituzionale della massima tutela dei diritti a cui fa da contraltare il principio del minimo sacrificio possibile dei diritti fondamentali e, per cio' che riguarda la liberta' del soggetto in sede cautelare, del minor sacrificio necessario. Invero, la Consulta ha affermato piu' volte che le presunzioni assolute vanno ritenute incostituzionali per contrarieta' al principio di uguaglianza quando limitano diritti fondamentali in modo arbitrario e irrazionale e cioe' "se non rispondono a dati di' esperienza generalizzati". La stessa legge n. 47 del 2015 si e' posta in un'ottica di contrazione del ricorso alla misura carceraria delineandola, anche in ossequio alle spinte provenienti dalla CFDU (sebbene per rispondere ad altre esigenze), quale estrema ratio per la limitazione della liberta', dando nuova forza e pregnanza al principio del minor sacrifico possibile con la previsione di strumenti che consentano di fronteggiare in modo adeguato le specifiche esigenze cautelari anche con misure meno a afflittive (si pensi p.e. alla possibilita' di applicare cumulativamente piu' misure personali anche fra loro eterogenee). Da questi brevissimi cenni risulta evidente come l'ordinamento si muova nel senso di un rafforzamento del principio di adeguatezza e, in ossequio ai valori costituzionalmente garantiti, della necessita' della massima attenzione nella valutazione del periculum libertatis delineando il carcere come misura eccezionale in quanto lesiva nel massimo grado della liberta' personale. Invero, dopo alterne vicende che hanno visto la norma di cui al comma 3 dell'art. 275 codice di procedura penale ora ampliare, ora irrigidire gli spazi valutativi del giudice nella applicazione della misura carceraria, vi e' stato negli ultimi tempi, anche grazie agli interventi della Consulta, un chiaro impulso a limitare il piu' possibile non solo l'applicazione della misura di maggior rigore, ma anche la previsione della presunzione assoluta di adeguatezza di tale misura. La duplice presunzione, quella relativa di sussistenza di esigenze cautelati e quella assoluta di adeguatezza della misura carceraria, veniva inserita nel comma 3, dell'art. 275 codice di procedura penale dai decreti-legge n. 152/91 e 292/91 in relazione ad un certo numero di reati che pero', con la successiva legge n. 332/95, veniva ristretto ai soli delitti ex art. 416-bis in senso stretto ed a quelli commessi avvalendosi delle condizioni di cui a tale nonna o al fine di agevolare quel tipo di associazioni. Con riferimento all'art. 416-bis codice penale la predetta presunzione superava il vaglio della Corte costituzionale con l'ordinanza n. 450/1995 che dichiarava la manifesta infondatezza della questione ritenendo non irragionevole l'esercizio della discrezionalita' legislativa in termini generali con riferimento ai delitti di criminalita' organizzata di tipo mafioso atteso "il coefficiente di pericolosita' per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere e' connaturato". Il decreto-legge n. 11/2009 ampliava nuovamente il novero dei reati assoggettati alla duplice presunzione sopra indicata per i quali veniva prevista in via assoluta la misura carceraria, salva l'acquisizione di elementi dimostrativi della insussistenza di esigenze cautelati. Su questo nuovo assetto della norma interveniva, come gia' ricordato, il pregnante vaglio della Corte costituzionale che, muovendosi in modo via via piu' incisivo e rimodulando le ragioni che avevano originariamente ispirato la norma sottoposta alla sua valutazione, ha cancellato la previsione assoluta in relazione a quasi tutti i delitti previsti dal decreto-legge da ultimo citato per contrasto dell'art. 273, comma 3 codice di procedura penale con gli articoli 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Cost. nella parte in cui impone l'applicazione della custodia cautelare in carcere e non fa salva la possibilita' di valutare elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari del caso concreto possono essere soddisfatte anche cori misura diversa. Cadeva cosi la presunzione assoluta con riguardo ai delitti ex articoli 609-bis e 609-quater codice penale, al delitto ex art. 575 codice penale, al delitto ex art. 74, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, ai delitti ex articoli 416, 473 e 474 codice penale, al delitto ex art. 630 codice penale e finanche in relazione a delitti che, pur con tutte le differenze del caso (evidenziate dalla Consulta con particolare riferimento al vincolo permanente che lega imputato ed organizzazione di stampo mafioso sono innegabilmente contigui a quello di cui all'art. 416-bis codice penale in senso stretto, e cioe' i delitti aggravati dal metodo mafioso o dall'agevolazione mafiosa (sent. n. 57/2013) e il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa (sent. n. 48/2015). Peraltro, in tali due ultime sentenze la Corte, con valutazione comparativa contenuta in obiter dicta, ha fatto salva la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso sulla base della valutazione della natura del reato associativo ritenuta di per se' sola sufficiente a legittimare la presunzione assoluta di cui alla norma. Questa Corte d'Appello ritiene che tale valutazione dovrebbe essere rivisitata e rimodulata proprio alla luce e sulla scia del quadro evolutivo tratteggiato sia dalla nuova linea seguita dal legislatore nella legge n. 47/2015 con riferimento ai criteri applicativi delle misure cautelari, sia dalle declaratorie di incostituzionalita' della Consulta, in particolare come si e' detto, di quelle di cui alle sentenze n. 57 del 2013 (reati connotati dall'art. 7, decreto-legge n. 152/91) e n. 48 del 2015 concorso esterno). Nella prima di tali sentenze, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3 codice penale, con riferimento al delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni indicate dallo stesso articolo trasformando la presunzione de assoluta in relativa), la arte afferma che "...il regime cautelare speciale e' collegato, nei casi in esame, non gia' o singole fattispecie incriminatrici in rapporto alle quali possa valutarsi l'adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ma a circostanze aggravanti riferibili ai piu' vari reati e correlativamente alle piu' diverse situazioni oggettive e soggettive. Oltre a mettere in luce le ricadute della disciplina in esame sul criterio di proporzionalita', secondo il quale «ogni misura deve essere proporzionata all'entita' del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata» (art. 275, comma 2 codice di procedura penale), l'ampio numero di reati base suscettibili di rientrare nell'ambito di applicazione del regime cautelare speciale segnala la possibile diversita' del "significato" di ciascuno di essi sul piano dei pericula libertatis, il che offre un'ulteriore conferma dell'insussistenza di una congrua "base statistica" a sostegno della presunzione censurata". Nella, ancor piu' recente, sentenza n. 48 del 2015, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3 codice di procedura penale con riferimento ai delitti commessi dal concorrente esterno, nel richiamare i principi che hanno ispirato le precedenti declaratorie di incostituzionalita' dell'art. 275, comma 3 codice di procedura penale (in particolare la sentenza n. 57/2013), la Corte ribadisce che a determinare i vulnus costituzionali non era "la presunzione in se', ma il suo carattere assoluto, che implicava una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del "minimo sacrificio necessario"; nel rifarsi, quindi, ai medesimi criteri di cui alla sentenza n. 57/2013 ed in particolare a quello della "congrua base statistica", afferma che i delitti all'esame "... si connotano come fattispecie "aperte", qualificate solo dalla tipologia dei reati-fine e non gia' da particolari caratteristiche del vincolo associativo, cosi' da abbracciare situazioni marcatamente eterogenee sotto il profilo considerato: donde l'impossibilita' di «enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le "connotazioni criminologiche" del fenomeno, secondo la quale la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idonea a fronteggiare le esigenze cautelari» (sentenza n. 231 del 2011; analogamente sentenza n. 110 del 2012)". Cio' che accomuna tali due pronunce di incostituzionalita' sono il forte richiamo alla necessaria proporzionalita' delle misure alla luce del principio del minimo sacrifico necessario ed il rilievo che l'eterogenita' delle situazioni che possono ricadere nei delitti posti all'esame non permette di farle rientrare nella presunzione assoluta dei regime cautelare speciale previsto dall'art. 275, comma 3 codice di procedura penale Cio' nonostante la Corte in entrambe le pronunce, palesemente discostandosi dai criteri enunciati e posti a fondamento della decisione di incostituzionalita' dell'art. 275, comma 3 codice di procedura penale in relazione alle fattispecie sottoposte al suo giudizio, affermava che altra cosa era il delitto di appartenenza all'associazione mafiosa che riteneva rispondente ai criteri di generalizzazione richiesti per l'applicazione della presunzione assoluta in quanto "l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un'adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice" tale da rendere necessario ricorrere alla sola custodia in carcere per reciderli. In sostanza, riteneva che le condotte di partecipazione ad un'associazione di stampo mafioso, per le peculiari caratteristiche che le connotano, non sono equiparabili a quelle specificamente oggetto delle pronunce di incostituzionalita' in quanto solo alle condotte partecipative "e' collegato il dato empirico, ripetutamente constatato," - la "congrua base statistica" - "della inidoneita' del processo e delle stesse misure cautelari a recidere il vincolo associativo e a far venir meno la connessa attivita' collaborativa" che solo la custodia in carcere e' idonea a contrastare. Come gia' accennato, questa affermazione appare risolversi in una sostanziale forzatura dettata da, seppur comprensibili, esigenze di politica criminale e non congruente con i principi che hanno ispirato le pronunce di incostituzionalita' citate, in particolare delle fattispecie dell'agevolazione mafiosa e del concorso esterno. Invero, pur prendendosi atto delle peculiarita' del vincolo che caratterizza il reato di associazione mafiosa, nonche' della gravita' indiscussa della fattispecie di cui all'art. 416-bis codice penale, non puo' non ritenersi illogica l'affermazione secondo cui non sia possibile effettuare e stabilire una diversa graduazione di pericolosita' all'interno del reato stesso fra le condotte dei singoli partecipi in rapporto a parametri di gravita' desunti, per fare alcuni esempi, dalla portata intimidatoria della condotta posta in essere in nome dell'associazione, dall'intensita' dei, collegamenti con i sodali, dal grado effettivo di messa a disposizione, dalla stessa tipologia delle condotte, e cosi' via. In questa prospettiva, non puo' non rilevarsi come sia lo stesso legislatore ad effettuare una prima differenziazione di posizioni laddove prevede pene edittali differenti per i meri partecipi e per le posizioni apicali, di talche' gia' da questo dato risulta incongruente che sia prevista per tutti tali soggetti indiscriminatamente in via di presunzione assoluta la medesima misura cautelare. Appare non rispondente ai canoni della congruita' e del richiamato principio di adeguatezza, nonche' del principio della limitazione della liberta' con il minimo sacrificio necessario, equiparare posizioni che per varie caratteristiche possono essere dissimili ed escludere la possibilita', per il giudice del procedimento, di effettuare una valutazione di pericolosita' concreta delle diverse condotte in base ai criteri dettati dal codice applicando a ciascuna di esse la misura che piu' si attaglia a tutelare le esigenze special-preventive specifiche. Cio' tanto piu' se si tiene conto delle oscillazioni della giurisprudenza nella valutazione dell'altro parametro della norma, e cioe' la presunzione relativa di pericolosita' ("salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari"), laddove nel definire i presupposti in presenza dei quali e' possibile ritenere superata la presunzione stessa si va da un orientamento secondo cui e' necessario che sia provata la totale rescissione dei legami con l'organizzazione criminosa addirittura lo smantellamento della associazione), alle posizioni che ritengono possibile la valutazione anche di altri parametri, non determinati, che facciano ragionevolmente escludere la pericolosita' dell'indagato. Il che pone, dunque, una obiettiva incertezza anche sulla possibilita' di superamento della presunzione relativa. Inoltre, in considerazione dei particolari connotati del delitto di associazione mafiosa, non pare fondata l'affermazione secondo cui solamente la misura carceraria sia in grado di recidere i vincoli associativi che caratterizzano il reato posto che: da un lato, e' ben possibile che misure piu' attenuate, magari anche cumulate fra loro secondo le ultime disposizioni normative o corredate da particolari prescrizioni (si pensi agli arresti domiciliari con l'imposizione del divieto di comunicare in qualsiasi modo con l'esterno), siano idonee a recidere o sospendere o ridurre al minimo il vincolo quando questo si presenti con determinate caratteristiche; e dall'altro lato, non corrisponde alla realta' concreta l'affermazione che il carcere sia in grado di recidere davvero in modo efficace o di ridurre al minimo tale vincolo. Il principio costituzionale della minor compressione possibile dei diritti fondamentali, fra i quali primario e' quello della liberta individuale, ed il criterio base del nostro ordinamento secondo cui il carcere costituisce l'estrema ratio, riaffermato nella legge n. 47/2015 (tant'e' che, con capovolgimento dei precedenti criteri ed in ossequio al precetto di cui alla prima parte del comma 3 dell'art. 275 codice penale secondo cui la custodia in carcere puo' trovare applicazione laddove ogni altra misura risulti inadeguata, il nuovo comma 3-bis introdotto dalla legge n. 47/2015 richiede al giudice di specificare le ragioni della mancata concessione della misura degli arresti domiciliari ex art. 275-bis, comma 1 codice di procedura penale), non possono subire una compressione indiscriminata ed assoluta neppure a fronte di fattispecie criminose che richiedono il massimo della severita' laddove il pericolo di reiterazione possa essere altrimenti salvaguardato. Per tutte le predette ragioni si ritiene non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 275, comma 3 codice di procedura penale in riferimento alla previsione afferente il reato di cui all'art. 416-bis codice di procedura penale per violazione dell'art. 3 Cost. stante l'irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare di situazioni che possono presentarsi diverse sotto il profilo oggettivo e soggettivo, per violazione dell'art. 13, primo comma Cost. quale norma di riferimento delle misure limitative della liberta' personale, nonche' per violazione dell'art. 27, secondo comma Cost. in relazione alla funzione che deve essere conferita alla custodia cautelare. Sulla rilevanza della questione La questione si presenta rilevante con riferimento all'istanza indicata in premessa con cui si chiede la sostituzione della custodia cautelare in carcere applicata a C. F. con quella degli arresti domiciliari eventualmente corredata da ulteriori controlli e prescrizioni. Invero, le esigenze cautelari ravvisabili a carico dell'istante non sono venute meno tenuto conto sia della perdurante operativita' dell'associazione - che non ha cessato di esistere nonostante gli arresti di numerosi sodali e stanti i collegamenti indiscussi con la casa madre, sia dei legami che l'imputato ha dimostrato di avere con i membri della associazione stessa. Tuttavia, tenuto conto del lungo periodo di carcerazione gia' subita (circa tre anni e otto mesi), del ruolo non apicale svolto dall'imputato, della assenza a suo carico di reati fine, della attuale formale incensuratezza, nonche' della disponibilita' data dalla convivente del C., K. D. V., ad accogliere l'imputato presso l'abitazione con cio' dimostrando resistenza di un nucleo familiare stabile, dette esigenze potrebbero essere adeguatamente soddisfatte con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari corredata da meccanismi di controllo e da adeguate prescrizioni di non comunicazione con l'esterno. Si ritiene che la misura degli arresti domiciliari cosi' strutturata risulterebbe idonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione di fatti del medesimo genere di quelli per i quali l'istante e' stato ritenuto responsabile nei due gradi di giudizio, in particolare a rendere minime le possibilita' di mantenimento del vincolo con l'associazione criminosa. Cio' si palesa tanto piu' reale tenuto conto della assoluta estraneita' della convivente non solo ai fatti contestati, ma anche e soprattutto alla famiglia anagrafica dell'imputato, all'ambiente in cui risulta maturato il reato associativo ed all'area geografica di origine della associazione criminosa cui il C. e accusato di appartenere, il che contribuisce a rendere adeguata la misura richiesta in sostituzione in quanto la sua esecuzione avrebbe luogo in un contesto non connesso con ambienti inquinati da insediamenti o infiltrazioni "ndrangestiste". All'accoglimento dell'istanza osta, tuttavia, la norma che si sottopone all'esame della Corte posto che la stessa impone di applicare la custodia cautelare in carcere nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per il delitto previsto dall'art. 416-bis codice penale, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Di qui la rilevanza della questione.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Costituzione, dell'art. 275, comma 3 del codice di procedura penale nella parte in cui nel prevedere che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 416-bis codice di procedura penale e' applicata la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresi', l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende, sino alla pronuncia della Corte, la decisione sull'istanza di sostituzione della misura cautelare avanzata da C. F. Ordina che la presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Dispone, altresi', la comunicazione della presente ordinanza al P. G. in sede, all'istante e al suo difensore. Torino, 14 giugno 2016 Il Presidente: Rossotti Il consigliere estensore: Strata