N. 196 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 febbraio 2015

Ordinanza del 2 febbraio 2015 del Giudice istruttore del Tribunale di
Forli' nel procedimento  civile  promosso  da  V.  C.  contro  M.  G.
Equitalia Centro S.p.a.. 
 
Privilegio, pegno, ipoteca - Crediti fiscali dello Stato assistiti da
  privilegio generale, indicati dal novellato art. 2752, primo comma,
  cod. civ.  -  Collocazione  sussidiaria,  in  caso  di  infruttuosa
  esecuzione sui mobili, sul prezzo degli  immobili,  con  preferenza
  rispetto ai crediti chirografari - Estensione  di  tale  regime  ai
  crediti sorti in data anteriore al 6 luglio 2011. 
- Codice civile, art. 2776, comma terzo,  come  modificato  dall'art.
  23, comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98  (Disposizioni
  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),  convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111; decreto-legge  6
  luglio 2011, n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
  finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio
  2011, n. 111, art. 23, comma 39. 
(GU n.41 del 12-10-2016 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI FORLI' 
                           Sezione civile 
 
    Nel giudizio di merito iscritto al n. R.G. 1634/2013,  instaurato
con atto di citazione ai sensi dell'art. 618, comma 2 del  codice  di
procedura civile da V. C.,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Maria Domenica Viggiani e Paolo Volpi,  nei  confronti  di  Equitalia
Centro S.p.a.,  ora  Equitalia  Romagna  S.p.a.,  e  M.  G.,  rimasti
contumaci, trattenuto in decisione all'udienza del 25 settembre 2014,
con assegnazione alla parte attrice di termine di giorni sessanta per
deposito  di  comparsa  conclusionale,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza. 
    Rilevato in punto di fatto che, con ricorso ex  articoli  512-617
del codice di procedura civile depositato il  17  dicembre  2012,  la
predetta V. avanzava opposizione al progetto di  riparto  predisposto
all'esito  dell'esecuzione  n.  132/2008  R.G.  Es.  da  ella  stessa
promossa nei confronti di M. G. in forza di una  sentenza  penale  di
condanna che le riconosceva una provvisionale di € 200.000,00 per  un
danno derivante dal reato di  violenza  sessuale  commesso  nei  suoi
confronti (piu' precisamente, pare utile ricordare in questa sede che
veniva emessa  dal  Tribunale  di  Forli'  sentenza  n.  559/2008  di
condanna del M. ad anni quindici di reclusione e al risarcimento  del
danno cagionato alla parte  civile  costituitasi,  da  liquidarsi  in
separato giudizio, con  una  provvisionale  immediatamente  esecutiva
pari ad € 200.000,00, con la  conseguenza  che  il  sequestro  penale
concesso dal G.I.P. in data 14 giugno 2007, debitamente  annotata  la
pronuncia, si  convertiva  in  pignoramento,  e  che  detta  sentenza
trovava poi sostanziale conferma, quanto alla posizione  della  V.  ,
sia per gli effetti penali, sia per quelli civili, e dunque anche per
la provvisionale, in grado di appello e davanti alla Suprema  Corte).
All'udienza tenutasi in data 13 marzo 2013  ai  sensi  dell'art.  618
comma  1  del  codice  di  procedura  civile,  il  G.E.,  ritenendone
l'opportunita', «in attesa del giudizio di merito  da  proporre,  nel
quale valutare la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
norma contestata» sospendeva  l'esecuzione  e  la  distribuzione  del
riparto, concedendo termine di giorni sessanta per l'introduzione del
giudizio di merito. 
    Con atto di  citazione  ex  art.  618,  comma  2  del  codice  di
procedura civile ,  debitamente  notificato  al  M.  e  ad  Equitalia
Romagna S.p.a., V. C. promuoveva il presente giudizio  di  merito  al
fine  di  sentire  dichiarare  la  revoca  dell'ordinanza  datata  26
novembre 2012  con  cui  il  Giudice  dell'esecuzione  ha  dichiarato
esecutivo, con modifica, il piano di riparto datato  2  aprile  2012,
predisposto  dal  professionista  delegato  in  sede  di   esecuzione
immobiliare n. 132/2008  R.G.  Es.,  pendente  innanzi  all'intestato
Tribunale,  ed  ottenerne  la  revisione  affinche'  l'intera   somma
ricavata dall'alienazione dell'immobile le sia attribuita.  Si  duole
parte attrice dell'esito a lei sfavorevole della procedura  esecutiva
immobiliare conclusasi con l'ordinanza gravata; deduce  infatti  che,
nonostante le contestazioni dalla  stessa  legittimamente  sollevate,
Equitalia non solo affermava la sussistenza del  proprio  privilegio,
ma addirittura ne ampliava la portata, chiedendone il  riconoscimento
per l'intero proprio credito, e cio' in forza  del  decreto-legge  n.
98/2011, convertito nella legge n. 111/2011, che aveva modificato  il
terzo comma dell'art. 2776 del codice civile estendendo il privilegio
previsto dalle disposizioni di cui agli  articoli  2752  e  2776  del
codice civile ai crediti per  imposte  dirette  e  connesse  sanzioni
sorti anche in epoca anteriore al 6 luglio 2011, data di  entrata  in
vigore  della  nuova  normativa.  Ricorda  e  sottolinea  la  V.  che
Equitalia   interveniva   tardivamente,   con   piu'   ricorsi,   nel
procedimento  esecutivo  da  lei  instaurato,  senza  vantare   alcun
privilegio  sussidiario,  non  avendo  i  requisiti   richiesti   per
l'attribuzione, e che,  infatti,  in  sede  di  riparto  parziale,  i
suddetti interventi, tutti successivi alla data di disposizione della
vendita  (12  marzo   2009),   non   trovarono   accoglimento.   Solo
successivamente, in virtu' del portato di cui al novellato art. 2776,
comma 3 del codice civile,  che  solo  Equitalia  puo'  attivare,  il
medesimo  ente  acquisiva  un  verbale  di  pignoramento   mobiliare,
negativo che, con poche  righe  redatte  da  un  suo  dipendente,  le
attribuiva un privilegio al credito  e  sanava  la  tardivita'  degli
interventi nell'esecuzione  immobiliare.  Secondo  la  prospettazione
attorea, l'ordinanza in  questione,  applicativa  del  mutato  quadro
normativo, integra chiaramente un caso  di  ingiustizia  sostanziale,
ingenerando  ragionevoli  dubbi   sulla   conformita'   ai   principi
costituzionali dell'intervento legislativo da 2011;  appare  infatti,
secondo  l'assunto  attoreo,  del  tutto   paradossale,   oltre   che
manifestamente  iniquo  ed  irragionevole,  che  l'ipoteca  (garanzia
principe  in  sede  immobiliare)  iscritta  da  Equitalia   dopo   la
trascrizione del sequestro penale  effetuata  dalla  V.  in  data  14
giugno 2007 non abbia potuto  prendere  grado,  mentre  un'esecuzione
mobiliare successivamente esercitata possa esplicare i propri effetti
senza qualsivoglia limite temporale e con  effetti  retroattivi  solo
per crediti dello Stato. 
    Il presente procedimento e' stato istruito solo  documentalmente,
involvendo  evidentemente  soltanto  questioni  di   diritto   e   di
interpretazione  del  sistema  normativa   e   giurisprudenziale   di
rifirimento,  ed  e'  stato  rinviato,  per  la  precisazione   delle
conclusioni ed infine trattenuto in decisione. 
    Orbene, letti gli atti ed esaminata la  documentazione  prodotta,
condividendo le prospettazioni attoree,  ritiene  il  giudicante  che
sussistano i presupposti,  ai  sensi  dell'art.  23  della  legge  n.
87/1953, per sollevare la questione  di  legittimita'  costituzionale
del comma 3 dell'art. 2776 del codice civile,  cosi'  come  novellato
dall'art. 23, comma 39, del  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111,  il
quale ora stabilisce che i crediti dello Stato indicati dal  primo  e
dal terzo comma dell'art.  2752  del  codice  civile  sono  collocati
sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui  mobili,  sul
prezzo  degli  Immobili,  con  preferenza   rispetto   ai   creditori
chirografari, ma dopo i crediti  indicati  ai  commi  precedenti  (la
norma previgente prevedeva invece  la  collocazione  sussidiaria  dei
soli privilegi fiscali indicati dal terzo comma  dell'art.  2752  del
codice civile e non anche di quelli di cui al primo comma della norma
stessa),  nonche'  dello  stesso   art.   23,   comma   39,   laddove
espressamente stabilisce che la nuova disciplina si osserva anche per
i crediti sorti anteriormente al 6 luglio 2011, data  di  entrata  in
vigore della nuova  disposizione,  per  i  motivi  tutti  di  seguito
esposti. 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    Non   pare   possano   sussistere   dubbi    sulla    prevedibile
applicabilita' dell'art.  2776,  comma  3  del  codice  civile  nella
vicenda in esame, come del resto gia' avvenuto  con  l'ordinanza  del
G.E.,  e  dunque  sulla  concreta  rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale della norma ai fini della  decisione  sul
procedimento di opposizione promosso da V. C., proprio in  forza  del
novellato art. 2776 del codice civile,  espressamente  richiamato  ed
applicato dal G.E. nell'ordinanza del  26  novembre  2012,  Equitalia
S.p.a.,  avendo  dimostrato  di   avere   proceduto   all'esecuzione,
mobiliare per tutte le  cinque  cartelle  esattoriali  oggetto  degli
interventi  nella  procedura  esecutiva  in  questione  e  che   tale
esecuzione e' risultata infruttuosa per assenza di beni pignorabili e
di qualche  valore,  come  si  evince  dal  verbale  di  pignoramento
negativo del 30 marzo 2011, sussistendo quindi i presupposti  per  il
riconoscimento del privilegio sussidiario anche per i  crediti  sorti
anteriormente all'entrata in vigore del richiamato decreto-legge,  ha
visto modificate a suo favore il piano  di  riparto  predisposto  dal
professionista delegato, essendole stata assegnata l'intera somma  da
distribuire,  al  netto  delle  spese  in  prededuzione,  pari  ad  €
79.433,03. 
    Pertanto,  in   difetto   di   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della  norma  in  questione  nella  parte  in  cui  ha
stabilito che anche i  crediti  dello  stato  indicati  dal  comma  1
dell'art. 2752 del codice civile e sorti prima dell'entrata in vigore
del decreto-legge n.  98/2011  sono  collocati  sussidiariamente  sul
prezzo  degli  immobili  con   preferenza   rispetto   ai   creditori
chirografari, sussisterebbero  tutte  le  condizioni  per  far  luogo
all'assegnazione ad Equitalia e dunque allo Stato  dell'intera  somma
ricavata dall'alienazione dell'immobile, come gia'  verificatosi  con
il provvedimento contestato dall'attrice. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    In relazione ai motivi di sospetta illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2776, comma 3 del  codice  civile,  cosi'  come  modificato
dall'art. 23, comma 39,  del  decreto-legge  n.  98/2011,  reputa  il
giudicante che venga integrato il requisito di cui  sopra,  apparendo
sussistere contrasto con diverse disposizioni della Costituzione. 
    Per quanto attiene in primis al dettato dell'art. 2776,  comma  3
del codice civile laddove prevede  la  collocazione  sussidiaria  sul
prezzo  degli  immobili,  con  preferenza   rispetto   ai   creditori
chirografari, anche dei privilegi fiscali di cui al comma 1 dell'art.
2752 del codice  civile,  si  osserva  che  il  principio  della  par
condicio   creditorum,   pur   non   rivestendo   valore   di   rango
costituzionale e  pur  non  avendo  carattere  assoluto,  costituisce
comunque, nell'attuale disciplina civilistica, la chiave  di  lettura
di diversi  istituti  e  una  regola  informatrice  che  puo'  essere
derogata solo per ragioni ed interessi rilevanti  e  ragionevoli  che
consentano di superare la primaria necessita' di assicurare  che  tra
tutti i creditori vi sia l'equilibrio previsto dagli articoli 2740  e
2741 del codice civile (sentenza  Corte  costituzionale  n.  204  del
1989). Ora, l'art. 23, comma 39, del decreto-legge n. 98/2011  sembra
avere introdotto una deroga  irragionevole  al  principio  della  par
condicio creditorum, allorquando in una procedura esecutiva in  corso
tutti i creditori che vantavano  pretese  nei  confronti  del  comune
debitore vengono, di fatto, posposti  per  crediti  anteriori  di  un
creditore divenuto privilegiato. La  modifica  legislativa  in  esame
risulta costituire una violazione delle  comuni  regole  in  materia,
atteso che «il principio della par condicio creditorum impedisce  che
i crediti sorti a seguito di procedimenti di espropriazione vengano a
ricevere un trattamento diverso dagli altri e  la  nozione  di  serio
ristoro, richiamata  dai  rimettenti  in  riferimento  all'indennita'
spettante   ai   proprietari,   attiene   alla   quantificazione   di
quest'ultimo, non gia' alle modalita' di conseguimento della  stessa»
(cosi' si e' espressa  la  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.
154/2013). Si ravvisa dunque una possibile non conformita' all'art. 3
della Costituzione,  *sub  specie  di  violazione  del  principio  di
ragionevolezza e  non  discriminazione,  non  risultando  sussistenti
ragioni di interesse costituzionale che giustifichino una  diversita'
di trattamento e apprezzabili motivi che consentano di sacrificare le
pretese creditorie di altri soggetti. Si rileva altresi' un probabile
contrasto con l'art. 111 della Carta costituzionale,  ove  stabilisce
che «ogni processo si svolge nel contraddittorio  tra  le  parti,  in
condizioni di parita' davanti a giudice terzo  e  imparziale»,  norma
che a sua volta  costituisce  esplicazione  dell'art.  3  nell'ambito
processuale. 
    In riferimento poi  alla  retroattivita'  sancita  dell'art.  23,
comma 39, del decreto-legge n. 98/2011, si sottolinea preliminarmente
che il  principio  della  irretroattivita'  delle  leggi  in  materia
civile, previsto dall'art. 11 delle  preleggi,  pur  non  avendo  una
valenza di carattere costituzionale al pari dell'omologo principio in
materia penale, costituisce tuttavia, valore fondamentale di civilta'
giuridica e dunque criterio di validita' della norma suscettibile  di
deroga solo in presenza  di  esigenze  costituzionalmente  rilevanti.
Secondo il Giudice delle leggi,  infatti,  anche  se  il  divieto  di
retroattivita' della legge, previsto dall'art. 11 delle  disposizioni
sulla legge  in  generale,  non  riceve  nell'ordinamento  la  tutela
privilegiata di cui all'art. 25 Cost., «il legislatore, nel  rispetto
di  tale  previsione,  puo'  emanare  norme  retroattive,  anche   di
interpretazione autentica, purche' la retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo  costituzionale,   che   costituiscono   altrettanti   motivi
imperativi di interesse generale» ai sensi della Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU)»  (Corte
costituzionale, sentenze n. 103/2013; n. 78 e n. 15 del 2012; n.  236
del 2011). 
    Ora, come noto, in forza di giurisprudenza  costituzionale  ormai
consolidata (sentenze nn. 348 e 349 del 2007), la Convenzione europea
dei   diritti   dell'uomo   costituisce   parametro   interposto   di
legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 117, comma 1 Cost. che
stabilisce come la potesta' legislativa sia esercitata dallo Stato  e
dalle regioni in conformita' altresi' agli obblighi internazionali. 
    L'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e  delle
liberta' fondamentali  sancisce  il  diritto  ad  un  equo  processo,
comprende molteplici profili e garanzie di diritto processuale sia in
ambito civile che penale, ed e' stato oggetto di numerose pronunce da
parte della Corte di Strasburgo. 
    Affrontando  per  la  prima  volta  il   fenomeno   delle   leggi
retroattive nel caso Raffinerie  greche  Stran  e  Stratis  Andreadis
contro Grecia (ricorso n. 13427/87, sentenza  9  dicembre  1994),  la
Corte europea dichiara senza dubbio alcuno che  «il  principio  della
preminenza del diritto e  la  nozione  di  processo  equo  consacrati
dall'art. 6 si oppongono ad ogni ingerenza del potere legislativo, al
fine  di  influire  sulla  conclusione  giudiziaria   di   una   lite
nell'amministrazione  della  giustizia»;   l'intervento   legislativo
retroattivo,  secondo  la  Corte,  avrebbe  altresi'  provocato   una
violazione del principio di parita'  tra  le  parti  all'interno  del
processo, determinando in modo decisivo l'esito della controversia  a
favore dello Stato greco. Nel caso  Papageorgiou  contro  Grecia,  di
poco successivo (ricorso n. 24628/94, sentenza 22 ottobre  1997),  la
Corte di Strasburgo ribadisce  il  proprio  indirizzo  ermeneutico  e
ravvisa, nell'intervento legislativo greco,  finalizzato  a  chiarire
con norme di interpretazione autentica il significato  di  precedenti
disposizioni legislative,  una  violazione  del  principio  dell'equo
processo: la legge interpretativa greca,  infatti,  intervenendo  nel
corso di un procedimento giurisdizionale in cui lo  Stato  greco  era
parte in  causa,  a  giudizio  della  Corte,  determinava,  in  buona
sostanza,  l'esito  della  controversia  a  danno   dei   ricorrenti,
rendendo, di  fatto,  inutile  la  prosecuzione  del  giudizio.  Tale
rigoroso orientamento giurisprudenziale, di netta condanna e  censura
della prassi comune agli Stati membri di introdurre norme retroattive
al fine di influire su procedimenti in corso, subisce un temperamento
con la pronuncia che definisce il caso Affaire National &  Provincial
Building  Society,  Leeds  Permanent  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society contro Regno Unito (ricorsi nn. 21319/93, 21449/93 e
21675/93,  sentenza  23  ottobre   1997),   laddove   si   stabilisce
chiaramente come il divieto di interferenza  del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia non debba intendersi in  maniera
assoluta; la nozione di  processo  equo  consacrata  dall'art.  6  si
oppone solo a quei provvedimenti legislativi che non  si  fondano  su
motivi cogenti di interesse pubblico.  Ugualmente  rilevante  risulta
anche la statuizione contenuta nel medesimo provvedimento secondo cui
deve sussistere un rapporto ragionevole  di  proporzionalita'  tra  i
mezzi impiegati e il fine perseguito dal  provvedimento  retroattivo,
da intendersi nel senso che  lo  scopo  di  pubblico  interesse  deve
essere raggiunto dal legislatore con il  minor  sacrificio  possibile
delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte. 
    Questa posizione mediana viene poi confermata con forza nel  caso
Zielinski e Pradal e altri  contro  Francia  (ricorsi  nn.  24846/94,
34165/96 e 34173/96, sentenza 28  ottobre  1999),  ove  la  Corte  di
Strasburgo individua, nell'adozione, da parte dello  Stato  francese,
di una lois de  validation,  una  grave  compromissione  del  diritto
all'equo processo dei ricorrenti, in ragione  del  carattere  tardivo
dell'intervento normativo statale in rapporto allo svolgimento  delle
procedure  giurisdizionali  in  corso  e  della  non   prevedibilita'
dell'intervento di sanatoria; rileva,  soprattutto,  la  mancanza  di
imperiosi motivi di  interesse  pubblico  a  sostegno  dello  stesso.
Ancora, nel caso Affaire SCM Scanner  de  l'Ouest  Lyonnais  e  altri
contro Francia (ricorso n. 12106/03,  sentenza  21  giugno  2007)  la
Corte europea dei diritti dell'uomo ribadisce nuovamente che,  mentre
in linea di principio al legislatore non e' precluso  intervenire  in
materia civile con nuove disposizioni retroattive su diritti sorti in
base alle leggi vigenti, il principio dello Stato  di  diritto  e  la
nozione di  processo  equo  sancito,  appunto  dall'art.  6,  vietano
l'interferenza del legislatore nell'amministrazione  della  giustizia
destinata ad influenzare l'esito della controversia, fatta  eccezione
che per motivi imperativi di interesse generale i quali  non  possono
consistere in mere ragioni di carattere finanziario o economico quali
quelle  invocate  dal  Governo  francese  che  aveva  indicato   come
prioritario il risanamento economico della  Securite'  Social.  Nella
pronuncia, i giudici europei hanno ricordato che il  requisito  della
«parita' delle armi»  comporta  l'obbligo  di  dare  alle  parti  una
ragionevole   possibilita'   di'   perseguire   le   proprie   azioni
giudiziarie,  senza  essere  poste  in  condizioni   di   sostanziale
svantaggio rispetto agli avversari. 
    Anche la Corte costituzionale, con la  gia'  citata  sentenza  n.
103/2013, ha provveduto ad individuare una serie di  limiti  generali
all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia  e
tutela, oltre  che  dei  principi  costituzionali,  «anche  di  altri
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica,  posti  a  tutela  dei
destinatati della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza,  che
si riflette nel divieto di introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento; la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto;  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto  delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario». 
    L'art. 23, comma 39, del decreto-legge  n.  98/2011,  attribuendo
efficacia  retroattiva  alle  modifiche  apportate  al  terzo   comma
dell'art.  2776  del  codice  civile,  sembrerebbe  dunque  porsi  in
contrasto con l'art. 117, comma 1 Cost. in relazione all'art. 6 della
CEDU,  in  ragione  della  non  ravvisata  sussistenza   di   «motivi
imperativi di interesse generale» atti  a  giustificare  l'intervento
legislativo retroattivo; lo  stesso  articolo  risulta  altresi'  non
conforme al dettato  dell'art.  24  della  Carta  costituzionale,  in
quanto la disposta retroattivita' viene evidentemente a  menomare  il
diritto di difesa e di azione della parte. 
    Peraltro, si osserva che  il  Giudice  delle  leggi,  chiamato  a
decidere della legittimita' costituzionale dell'art.  23,  commi  37,
ultimo  periodo,  e  40,  proprio  del  decreto-legge   n.   98/2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2011, ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di tali norme;  ha  infatti  rilevato
che  «a  differenza  di  altre  discipline  retroattive  recentemente
scrutinate dalla Corte costituzionale (sentenza n. 264 del 2012),  le
disposizioni censurate non sono volte a perseguire interessi di rango
costituzionale, che possano giustificarne la retroattivita'.  L'unico
interesse e' rappresentato da quello economico dello Stato, parte del
procedimento concorsuale. Tuttavia un simile intervento e'  inidoneo,
di  per  se',  nel  caso  di  specie,  a  legittimare  un  intervento
normativo, come quello in esame,  che  determina  una  disparita'  di
trattamento, a scapito dei ereditari  concorrenti  con  lo  Stato,  i
quali vedono ingiustamente frustrate le aspettative  di  riparto  del
credito  che  essi  avevano  legittimamente  maturato.  Pertanto,  la
disciplina impugnata palesa la sua illegittimita' sia per  violazione
dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza  di  cui  all'art.  3
Cost., sia per violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 6 della CEDU, in  considerazione  del  pregiudizio
che essa  arreca  alla  tutela  dell'affidamento  legittimo  e  della
certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di  motivi  imperati
«di interesse generale costituzionalmente rilevante (sentenza n.  170
del 2013). 
    Rileva infine il giudicante  che  l'interpretazione  delle  norme
come sopra indicate sia l'unica possibile, non essendo  prospettabile
un'interpretazione costituzionalmente orientata delle  stesse,  anche
tenendo conto della loro chiara portata precettiva. 
    Va dunque sottoposta  all'esame  della  Corte  costituzionale  la
questione di legittimita' della norma per i motivi sopra esposti. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953. 
    Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza,  solleva
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2776,  comma  3
del codice civile, cosi' come modificato dall'art. 23, comma 39,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in  cui  prevede  che
sono collocati sussidiariamente, in caso  di  infruttuosa  esecuzione
sui mobili, sul prezzo degli immobili,  con  preferenza  rispetto  ai
crediti chirografari, anche i crediti dello Stato indicati dal  primo
comma dell'art. 2752 del codice civile, nonche' dello stesso art. 23,
comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, laddove stabilisce
che la nuova  disciplina  «si  osserva  anche  per  i  crediti  sorti
anteriormente alla data di entrata in vigore del  presente  decreto»,
per contrasto con gli articoli 3, 117, comma 1 in relazione  all'art.
6 della CEDU, 111 e 24 Cost. nei termini di cui in motivazione. 
    Sospende il giudizio di merito  in  corso,  instaurato  ai  sensi
dell'art. 618, comma 2 del codice di procedura civile. 
    Ordina la trasmissione alla Corte costituzionale  della  presente
ordinanza, degli atti del processo nonche' del  verbale  dell'udienza
del 13 marzo 2013 relativo all'esecuzione immobiliare iscritta al  n.
R.G. Es. 132/2008. 
    Manda alla cancelleria di notificare la presente  ordinanza  alle
parti e alla Presidenza del Consiglio dei ministri e  di  comunicarla
ai Presidenti dei due rami del Parlamento. 
 
      Forli', 2 febbraio 2015 
 
                   Il Giudice istruttore: Orlandi