N. 208 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 maggio 2016

Ordinanza  del 2 maggio 2016 della Commissione tributaria provinciale
di Roma sul ricorso proposto da  Ceramica  Sant'Agostino  Spa  contro
Autorita' garante della concorrenza e del mercato. 
 
Autorita' garante della concorrenza e  del  mercato  -  Finanziamento
  degli oneri derivanti dal suo  funzionamento  -  Previsione  di  un
  contributo obbligatorio annuale a carico  delle  sole  imprese  con
  ricavi totali superiori a 50 milioni di euro -  Fissazione  di  una
  soglia massima di  contribuzione  pari  a  cento  volte  la  misura
  minima. 
- Legge  10  ottobre  1990,  n.  287  (Norme  per  la  tutela   della
  concorrenza e del  mercato),  art.  10,  commi  7-ter  e  7-quater,
  aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1,  del  decreto-legge  24  gennaio
  2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la  concorrenza,  lo  sviluppo
  delle  infrastrutture  e  la   competitivita'),   convertito,   con
  modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 
(GU n.42 del 19-10-2016 )
 
            LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI ROMA 
                              Sezione 5 
 
    riunita con l'intervento dei signori: 
    Novelli Giovanni, Presidente; 
    Destro Carlo, relatore; 
    Cacace Piero, giudice, 
    ha  emesso  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  24878/2014
depositato il 5 dicembre 2014, avverso diniego  rimborso  n.  0038273
Trib. erariali  2013,  avverso  diniego  rimborso  n.  0038273  Trib.
erariali 2014; 
    Contro: Autorita' garante della concorrenza e del mercato, difeso
da: Avvocatura generale dello Stato, via Dei Portoghesi, 12  -  00100
Roma; 
    proposto dai ricorrenti:  Ceramica  Sant'Agostino  -  S.p.a.  via
Statale n. 247 - 44047 Sant'Agostino FE; 
    difeso da: avv. Massimo Coccia, piazza Adriana, 15 - 00193 Roma; 
    difeso da: avv. Massimo Luciani, piazza Adriana, 15 - 00193 Roma; 
    difeso da: dott. Massimo Piantedosi, piazza Adriana, 15  -  00193
Roma; 
    difeso da: dott. Stefano De Angelis. 
 
                                Fatto 
 
    La Ceramica Sant'Agostino Spa ricorre avverso il diniego espresso
dall'Autorita' garante della concorrenza e del  mercato  al  rimborso
dei contributi versati dalla societa' a  norma  dell'art.  5-bis  del
decreto-legge n. 1/2012 convertito in legge n. 27/2012 per  gli  anni
2013 e 2014. 
    La ricorrente preliminarmente sostiene la giurisdizione di questa
Commissione a pronunciarsi sul ricorso sulla base di diverse pronunce
sia della Corte costituzionale sia della Suprema Corte di cassazione.
In particolare con la sentenza n. 256/2007 il giudice delle leggi  si
e'  espresso  in  merito  al  contributo  dovuto  per  le  spese   di
funzionamento dell'Autorita' per la  vigilanza  sui  lavori  pubblici
qualificandolo di indubbia natura  tributaria  per  il  carattere  di
obbligatorieta' e generalita'. Tanto premesso la ricorrente  sostiene
che la norma di legge istitutiva del contributo in questione  sia  in
contrasto tanto con il diritto dell'Unione europea quanto  con  varie
norme della  nostra  Costituzione.  Ad  opinione  del  ricorrente  il
contributo di cui chiede il rimborso contrasterebbe con gli  articoli
16 (liberta' d'impresa), 17 (diritto di proprieta'), 20  (uguaglianza
di fronte  alla  legge)  e  21  (non  discriminazione)  del  Trattato
istitutivo  dell'UE.  Cio'  perche'  la  struttura   del   contributo
introduce disparita' di trattamento a fronte di situazioni  omogenee,
ad esempio stabilendone l'obbligatorieta' solo per imprese aventi  un
volume d'affari superiore a 50  milioni  di  euro,  mentre  tutte  le
imprese possono usufruire dei benefici derivanti  dall'attivita'  del
Garante. Inoltre  l'aliquota  fissata  sarebbe  eccessiva,  tanto  da
originare un gettito pari a quasi il doppio delle entrate stanziate a
carico  del  bilancio  dello   Stato   prima   dell'istituzione   del
contributo.  Questo,  poi,  sarebbe  superiore  al   budget   annuale
dell'omologa Direzione per la concorrenza dell'UE e di poco inferiore
a quello della corrispondente Commissione antitrust degli Stati Uniti
d'America. Il contrasto con la nostra Costituzione si  verificherebbe
in relazione ai suoi articoli 3 e  53  che  prevedono  l'obbligo  per
tutti di concorrere  alle  spese  pubbliche  in  ragione  della  loro
capacita' contributiva, mentre  il  contributo  e'  dovuto  solo  per
imprese con volume d'affari superiore ai 50  milioni.  La  ricorrente
ricorda ancora come  la  Corte  costituzionale  abbia  stabilito  con
sentenze n. 116/13 e n. 223/12 che l'irragionevolezza di  un  tributo
puo' risiedere non nell'entita' del prelievo  ma  nell'ingiustificata
limitazione della platea dei soggetti passivi; conclude chiedendo  la
disapplicazione delle norme impositive del contributo  per  contrasto
con la normativa comunitaria, annullando il  diniego  al  rimborso  e
condannando l'Autorita' al rimborso di quanto pagato o, in subordine,
di  sollevare  di  fronte  alla  Corte  costituzionale  questione  di
costituzionalita' delle norme che hanno introdotto il contributo  per
contrasto con gli articoli 3, 23, 53 e 117 della Costituzione. 
    L'Autorita'  garante  della  concorrenza  si  e'  costituita   in
giudizio e chiede la declaratoria di inammissibilita' del ricorso per
difetto di giurisdizione del giudice tributario in quanto,  ai  sensi
dell'art.  133,  comma  1,  lettera  i  del   codice   del   processo
amministrativo, rientrerebbero nella competenza  giurisdizionale  del
giudice amministrativo «le controversie aventi  ad  oggetto  tutti  i
provvedimenti compresi quelli sanzionatori... dell'Autorita'  garante
della concorrenza e del mercato». Trattandosi di ricorso  avverso  il
provvedimento di diniego  del  rimborso,  lo  stesso  avrebbe  dovuto
essere proposto al TAR. Cita giurisprudenza a sostegno della  propria
tesi e conclude chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile e in
subordine la nullita' della notifica del ricorso introduttivo perche'
notificato  presso  la  sede  dell'Autorita'  e  non  presso   quella
dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  domiciliataria   ai   sensi
dell'art. 1 del regio decreto n. 1611/1933. 
 
                               Diritto 
 
    Pur prendendosi  atto  come  numerose  sentenze  dei  TAR  e  del
Consiglio di Stato abbiano affermato la giurisdizione  amministrativa
in materia di contributi all'Autorita' per la  concorrenza  sembra  a
questa Commissione come la questione della giurisdizione debba essere
rivista alla luce della  considerazione  che  i  contributi  all'AGCM
hanno indubbia natura tributaria. 
    Sembra  ovvio  che  non  si  possa  affermare  che  i  contributi
richiesti dall'AGCM alle societa' con piu' di 50 milioni di  euro  di
fatturato siano di natura paritetica, contrattuale o associativa  del
tipo correlato all'adesione libera e spontanea  ad  un  organismo  di
carattere associativo (quasi si trattasse di  contributi  liberamente
versati ad un'organizzazione sindacale alla quale si puo' decidere  o
meno di partecipare). Si tratta invece  sicuramente  di  imposte  che
sono state articolate in un  determinato  modo  dal  legislatore  per
cercare di ridurre  i  costi  diretti  a  carico  dell'erario  e  far
ricadere l'impegno di spesa sui destinatari obbligati del servizio. 
    Va a tale fine rilevato come la Corte costituzionale  abbia  gia'
dichiarato  (sentenza  n.  256  del  2007),  in  considerazione   dei
caratteri  di  generalita'  e  obbligatorieta',  con  riferimento  al
sistema di  finanziamento  dell'Autorita'  di  vigilanza  sui  lavori
pubblici, la natura tributaria delle prestazioni poste a carico della
platea di soggetti individuati come destinatari di  contribuzione  (i
partecipanti alle  gare)  ed  essendo  il  sistema  di  finanziamento
dell'Autorita' per la concorrenza ed il mercato del tutto  analogo  a
quello ora indicato non puo' ricorrere  dubbio  circa  la  natura  di
tributo anche per gli analoghi contributi  richiesti  agli  operatori
economici che superino una certa entita' di fatturato. Del  resto  la
natura tributaria di detti contributi la  si  ricava  altresi'  dalla
considerazione  che  originariamente  i  finanziamenti  all'Autorita'
avevano la loro fonte in trasferimenti a carico del bilancio  statale
e solo dopo l'applicazione della cd spending rewiew si e'  articolato
un sistema di contribuzione a carico  di  alcune  (non  tutte)  ditte
beneficiarie del servizio (1) . 
    Appare indiscutibile come al di la' della terminologia utilizzata
dal legislatore i contributi a carico delle imprese altro non abbiano
che natura tributaria. 
    Una  volta  appurata  la  natura  tributaria  delle  obbligazioni
riguardate dal presente ricorso, ritiene questa Commissione come  non
ci si possa non conformare all'insegnamento delle Sezioni Unite della
Cassazione (n. 6315 del 2009 e n. 11082 del 2010) secondo  il  quale:
«La giurisdizione del giudice tributario, a  seguito  della  modifica
introdotta dall'art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001,
n. 448 all'art. 2 decreto legislativo 31 dicembre 1992,  n.  546,  ha
carattere pieno ed esclusivo, estendendosi non solo  all'impugnazione
del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimita' di tutti gli
atti del procedimento, ivi compresi gli ordini di verifica, a seguito
dei quali l'attivita' di  accertamento  inizia.  Gli  eventuali  vizi
degli  ordini  di   verifica,   in   quanto   atti   della   sequenza
procedimentale, potranno  tuttavia  essere  dedotti  soltanto  e  nel
momento in cui si impugni il provvedimento che conclude  l'"iter"  di
accertamento. 
    Con gli arresti sopra citati,  e'  vero  che  si  e'  esclusa  la
giurisdizione   tributaria   ma   unicamente   con   riferimento    a
provvedimenti  amministrativi  che  non   abbiano   dato   luogo   ad
imposizione fiscale, ma non e' il caso che  qui  ricorre  essendo  in
discussione il rimborso di imposte gia' pagate e che si affermano non
dovute. 
    Quanto all'osservazione dell'Avvocatura circa  la  previsione  di
cui all'art. 133 del codice sul processo amministrativo  che  riserva
alla  giurisdizione   amministrativa   le   impugnative   avverso   i
provvedimenti dell'Autorita' garante della concorrenza non  puo'  non
osservarsi come  tale  disposizione  si  riferisca  ai  provvedimenti
adottati dall'Autorita' nell'esercizio della sua mission,  non  certo
ai provvedimenti relativi  alla  fiscalita'  utilizzata  per  il  suo
funzionamento che, si badi bene, e'  stata  concepita  nella  attuale
forma  in  sostituzione  delle  precedente  forma  di   finanziamento
consistente anche in trasferimenti a carico del bilancio dello  Stato
ma non per questo ha perso la sua natura di imposizione. 
    A seguito della attribuzione, da parte del Legislatore, di  nuove
materie alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo,
effettuata in particolare con il decreto legislativo n. 80 del 1998 e
con la legge n. 205/2000, infatti, la Consulta  con  la  sentenza  n.
191/2006, ha specificato che la giurisdizione esclusiva  del  giudice
amministrativo,  anche  laddove  relativa   a   comportamenti,   deve
intendersi   legittimamente   attribuita   in   quanto   relativa   a
controversie   comunque   involgenti   atti    corrispondenti    alla
estrinsecazione,  diretta  o  mediata,  del   potere   specificamente
attribuito agli organi interessati. 
    Il diniego di rimborso  relativo  ai  contributi  de  quibus,  in
quanto relativo  ad  entrata  finanziaria  di  tipo  tributario,  non
risulta adottato quale forma di manifestazione dell'Autorita'  intesa
quale  amministrazione  investita  della  cura  e  del  perseguimento
dell'interesse  pubblico  nel  settore  della   concorrenza,   bensi'
nell'ambito  delle   attivita'   svolte   come   creditore/riscossore
pubblico.  Per  tale  ragione  il  diniego   disposto   non   risulta
riconducibile all'esercizio dell'attivita' di  cura  di  un  pubblico
interesse attribuita all'Autorita' con legge istitutiva  ma  persiste
nella sua collocazione nell'ambito tributario. 
    Peraltro  va  ancora  rilevato  come  le  norme  sul  riparto  di
giurisdizione che hanno  visto  lo  svolgimento  di  un  percorso  di
rinnovazione legislativa molto articolato  (a  partire  dall'art.  34
decreto legislativo n.  80/1998,  modificato  dall'art.  7  legge  n.
205/2000,  nonche'  dall'art.  53  decreto   del   Presidente   della
Repubblica n. 327/2001 - cosi' come da leggersi anche alla luce degli
arresti del giudice delle leggi di cui alle note sentenze n. 204  del
2004 e soprattutto n. 191 del 2006) stabilivano  il  riparto  fra  la
giurisdizione  ordinaria  e  quella   amministrativa,   avendo   come
finalita' quella di evitare possibili interferenze fra la tutela  dei
diritti  soggettivi  e  quella  degli  interessi  legittimi  ma   non
prendevano in considerazione altri  interessi  meritevoli  di  tutela
come il funzionamento della res publica  da  assicurare  mediante  il
ricorso all'imposizione fiscale. La materia tributaria non ha formato
oggetto delle norme in materia di riparto fra  la  giurisdizione  dei
diritti soggettivi e quella  degli  interessi  legittimi  per  essere
riservata, da epoca antecedente alla Costituzione, agli organi  della
giustizia tributaria, giudici speciali questi di cui non puo'  essere
snaturato l'oggetto della giurisdizione (vedi  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 64/2008, n.  196/1982,  n.  215/1976,  n.  41/1957,
ordinanza n. 144 del 1998) pena la  creazione  di  un  nuovo  giudice
speciale, come tale vietato dall'art. 102 della Costituzione, in caso
di attribuzione a organi estranei  alla  giustizia  tributaria  della
competenza giurisdizionale in detta  materia.  Per  tale  ragione  il
disposto di cui all'art. 133 del codice sul  processo  amministrativo
non puo' estendersi a disciplinare la  materia  tributaria  facendola
rientrare   nella   competenza   giurisdizionale   della    giustizia
amministrativa perche' verrebbe  a  trasformare  quest'ultima  in  un
nuovo e vietato giudice speciale. 
    Come ricordato dalla Corte costituzionale  (sentenza  n.  64  del
2008)  sussiste  un  nesso  di  inscindibilita'   fra   giurisdizione
tributaria e la materia tributaria la cui  violazione  darebbe  luogo
alla violazione dell'art. 102, secondo comma,  Cost.,  come  peraltro
gia' piu' volte affermato con le ordinanze n. 395 del 2007,  n.  427,
n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006. 
    Da ultimo sul punto della disposizione di cui all'art. 133 codice
sul processo amministrativo non puo' trascurarsi come nel suo incipit
si  preveda  letteralmente  che  «sono  devoluti  alla  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori  previsioni  di
legge...» inciso quest'ultimo  che  fa  sicuramente  salva  anche  la
riserva alla giurisdizione tributaria della relativa materia. 
    Quanto alla questione di nullita'  sollevata  in  relazione  alla
notifica  del  ricorso  effettuata  direttamente  presso  l'Autorita'
Garante  anziche'  presso  l'Avvocatura  erariale  va  rilevato  come
secondo la giurisprudenza piu' accreditata la notificazione  eseguita
in luogo eventualmente diverso  da  quello  prescritto  non  comporta
inesistenza della notifica bensi' semplice nullita'  sanabile  quando
il luogo  di  avvenuta  notifica  abbia  una  qualche  relazione  col
soggetto notificando e nel caso di specie cio' non puo' assolutamente
negarsi avendo la notifica raggiunto  proprio  il  notificando  (vedi
Cassazione n. 9892 del 2005; n. 4702 del 2003). 
    Quanto alla possibile sanatoria di' una  notifica  irregolarmente
eseguita va poi tenuto presente che (vedi ad es. Cass. n.  10495  del
2004) «Poiche' lo scopo della notificazione degli atti di "vocatio in
ius" e' quello di attuare  il  principio  del  contraddittorio,  tale
finalita'  e'  raggiunta  con  la  costituzione   in   giudizio   del
destinatario dell'atto, rimanendo conseguentemente sanato con effetto
"ex tunc" qualsiasi  eventuale  vizio  della  notificazione  stessa».
Anche secondo Cass. n. 1184 del 2001 il  principio,  sancito  in  via
generale dall'art. 156, comma  terzo,  codice  di  procedura  civile,
secondo cui «la nullita' non puo' essere mai pronunciata se l'atto ha
raggiunto  lo  scopo  a  cui  e'  destinato»  vale   anche   per   le
notificazioni, in relazione alle quali - pertanto - la  nullita'  non
puo'  essere  dichiarata  tutte  le  volte   che   l'atto,   malgrado
l'irritualita' della  notificazione,  sia  venuto  a  conoscenza  del
destinatario. Da cio' consegue che  la  costituzione  del  convenuto,
ancorche' tardiva ed effettuata al fine dichiarato di far rilevare il
vizio, preclude la declaratoria  di  nullita',  dal  momento  che  la
convalidazione della notifica da essa indotta opera «ex tunc». 
    La considerazione svolta dall'Autorita' circa  la  decadenza  del
potere impositivo nel caso in cui l'avviso di  accertamento  che  non
sia stato notificato tempestivamente  nelle  forme  previste  sarebbe
comunque sanato solo ove la costituzione del ricorrente avvenga entro
i termini di  decadenza  e  non  dopo  il  loro  spirare  non  appare
rilevante nel caso di specie perche', come detto, non e'  mancata  in
assoluto una notifica ma la stessa e' stata eseguita  tempestivamente
nei confronti di  persona  che  aveva  un  qualche  collegamento  col
notificando (essendo proprio il soggetto interessato). 
    Cosi' risolta la questione della  giurisdizione  e  la  questione
relativa alla sanatoria della notifica introduttiva,  ritiene  questa
commissione come sia sicuramente da invertire l'esame delle richieste
del  ricorrente  il  quale   ha   in   principalita'   richiesto   la
disapplicazione delle norme impositive del tributo per contrasto  con
la normativa comunitaria e in subordine che venga sollevata questione
di legittimita' costituzionale delle norme stesse. 
    Appare infatti piu' aderente al sistema giuridico complessivo nel
quale si colloca la normativa in discussione che prima se ne scrutini
la conformita' al diritto interno e quindi anche la sua  aderenza  ai
principi costituzionali e che, solo in esito ad un giudizio positivo,
se ne debba valutare la conformita' ai principi comunitari. Del resto
il primo comma  dell'art.  117  della  Costituzione  prevede  che  la
potesta' legislativa sia esercitata (nell'ordine) nel rispetto  della
Costituzione,  nonche'   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali. 
    Orbene   dovendosi   valutare   la   conformita'   ai    principi
costituzionali  delle  norme  di  cui  all'art.  10,  commi  7-ter  e
7-quater, legge n. 287/1990 in relazione alla questione sollevata dal
ricorrente, si deve in primo luogo rilevare come la questione  stessa
sia  assolutamente  rilevante  in  quanto  l'eventuale   accoglimento
dell'istanza di rimborso dei contributi versati per gli anni  2013  e
2014 presuppone che non venga data applicazione alle norme citate che
non a caso sono state espressamente richiamate nel  provvedimento  in
data 31 luglio 2014 col quale  il  segretario  generale  della  detta
Autorita' ha comunicato il rigetto dell'istanza di rimborso. 
    Dal momento che il ricorso proposto dalla Ceramica  Sant'Agostino
Spa non puo' essere deciso  prescindendo  dall'applicazione  di  tali
norme   ne   deriva   l'assoluta   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita' delle norme ora indicate in ordine  alle  quali  il
sollevato  dubbio  di  costituzionalita'  non  appare  manifestamente
infondato in relazione agli indicati parametri costituzionali di  cui
agli articoli 3 e 53, commi 1 e 2, Cost. 
    Invero, ad onta del principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3
della Costituzione, e del generale obbligo di concorrere  alle  spese
pubbliche in ragione della  rispettiva  capacita'  contributiva  come
previsto dall'art. 53 della Carta, sono state escluse dall'obbligo di
contribuzione le categorie non imprenditoriali, quali  i  consumatori
che pure fruiscono e sono i beneficiari della  attivita'  regolatrice
dell'Autorita' (il rispetto della libera concorrenza e' rilevante per
tutti i cittadini) e quali le pubbliche amministrazioni, che svolgono
la loro attivita' con  efficacia  diretta  o  indiretta  sul  mercato
creando  o  eliminando  distorsioni  alla  concorrenza.  Gia'  questa
limitazione della platea dei soggetti chiamati a  contribuire  appare
sostanziare il dubbio  di  contrasto  delle  norme  in  esame  con  i
principi costituzionali sopra indicati. 
    Oltre  alla  limitazione  della  platea  dei  contribuenti   alla
categoria dei soli imprenditori si deve rilevare altresi' l'ulteriore
dubbio  di  costituzionalita'   derivante   dall'assoggettamento   al
contributo solo di una percentuale ridotta  di  imprenditori,  quella
con volume di affari superiore a 50 milioni  di  euro.  Sotto  questo
profilo appare poi dubbia la conformita' con  gli  indicati  principi
costituzionali del parametro del volume di affari  che  non  coincide
necessariamente  col  criterio  di  redditivita'  di  un'impresa  ben
potendo a parita' di fatturato essere ben diversi i profitti e quindi
la redditivita' fra imprese operanti in settori diversi. 
    Non puo' neppure escludersi che ad un  elevato  fatturato  faccia
poi riscontro un  saldo  negativo  del  conto  economico  che  quindi
chiuderebbe in perdita. Complessivamente considerando  la  previsione
legislativa la stessa  non  sembra  corrispondere  con  sicurezza  al
principio della capacita' contributiva ma anzi sembra  idonea  a  non
determinare corrispondenze  fra  redditivita'  dell'impresa  e  costi
fiscali che la stessa viene chiamata a sostenere. 
    Ulteriore dubbio  di  costituzionalita'  appare  ravvisabile  con
riferimento al principio di progressivita'  dell'imposizione  fissato
dal secondo comma  dell'art.  53  Cost.  in  quanto  i  soggetti  con
maggiore  capacita'  contributiva  possono  essere   destinatari   di
obblighi di contribuzione  in  proporzione  meno  gravosi  di  quelli
gravanti sui contribuenti con minore capacita' contributiva:  a  tale
effetto appare condurre la limitazione del contributo nel  senso  che
il suo massimo non puo' essere superiore  a  cento  volte  la  misura
minima. 
    Nella sostanza puo' avvenire allora  che  il  tributo  non  venga
applicato  in  modo  progressivo   secondo   la   diversa   capacita'
contributiva delle imprese ma in misura proporzionale (e solo  al  di
sopra di  una  certa  soglia)  senza  tener  conto  delle  piu'  alte
capacita'  contributive  per  poi  divenire  regressivo   una   volta
raggiunta una certa soglia. 
    Pur tenendosi presente come  il  legislatore  possa  diversamente
modulare l'imposizione fiscale fra diverse aree economiche o  diverse
tipologie di contribuenti, pur  tuttavia  ogni  diversificazione  per
tipologia  di  contribuenti  deve  essere  supportata   da   adeguate
giustificazioni in assenza delle quali la  differenziazione  degenera
in  arbitraria  discriminazione  (Corte  cost.  n.   10/2015).   Come
affermato dal giudice delle leggi  (sentenza  n.  142  del  2014)  le
differenziazioni  impositive  devono  essere  ancorate  ad   adeguata
giustificazione  oggettiva  la  quale  deve   essere   coerentemente,
proporzionalmente  e   ragionevolmente   tradotta   nella   struttura
dell'imposta.  Sotto  questo  profilo,  a  parte  le  esenzioni   per
tipologia di contribuenti sopra  indicate,  non  sembrerebbe  trovare
spiegazione un'esenzione di  imposta  per  gli  imprenditori  con  48
milioni di euro di fatturato cioe' poco al di sotto della  soglia  di
tassabilita' ne' troverebbe giustificazione  che  l'imprenditore  con
fatturato di oltre cento volte superiore al minimo  previsto  per  la
tassabilita' sia chiamato a versare una somma meno che proporzionale. 
    Dal momento che il ricorso in esame postula la applicazione delle
norme di cui al novellato art. 10 legge n. 287/1990, di  cui  non  e'
possibile un'interpretazione costituzionalmente orientata, se ne deve
rimettere alla Corte costituzionale il giudizio circa la  conformita'
o meno agli indicati principi della Carta costituzionale. Per  quanto
possa rilevare, e' appena il caso di segnalare come analoga questione
sia stata sollevata nel novembre 2015  dal  Tribunale  amministrativo
regionale Piemonte con riferimento a contributi da  versarsi  per  il
funzionamento dell'Autorita' Garante in materia di trasporti. 

(1) Piu' precisamente il comma 7 dell'originario art. 10 della  legge
    n. 287 del 1990 statuiva che: "L'Autorita' provvede  all'autonoma
    gestione delle spese per il proprio funzionamento nei limiti  del
    fondo  stanziato  a  tale  scopo  nel  bilancio  dello   Stato.."
    Successivamente, con l'art. 5-bis del decreto-legge n. 1/2012  si
    aggiungevano i commi 7-ter e 7-quater con i quali  si  prevedeva:
    "7-ter.  All'onere  derivante  dal  funzionamento  dell'Autorita'
    garante della concorrenza e del mercato si provvede  mediante  un
    contributo di importo pari allo  0,08  per  mille  del  fatturato
    risultante  dall'ultimo  bilancio  approvato  dalle  societa'  di
    capitale, con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro, fermi
    restando i criteri stabiliti  dal  comma  2  dell'art.  16  della
    presente legge. La soglia massima di contribuzione  a  carico  di
    ciascuna impresa non puo'  essere  superiore  a  cento  volte  la
    misura minima. 7-quater. Ferme restando, per l'anno  2012,  tutte
    le attuali forme di finanziamento,  ivi  compresa  l'applicazione
    dell'art. 2, comma 241, della legge 23 dicembre 2009, n. 191,  in
    sede di' prima applicazione, per l'anno 2013,  il  contributo  di
    cui al comma 7-ter e' versato direttamente all'Autorita'  con  le
    modalita'  determinate  dall'Autorita'   medesima   con   propria
    deliberazione, entro il 30 ottobre 2012. Per gli anni successivi,
    a decorrere dall'anno 2014, il contributo e' versato, entro il 31
    luglio di ogni anno, direttamente all'Autorita' con le  modalita'
    determinate dall'Autorita' medesima  con  propria  deliberazione.
    Eventuali  variazioni  della  misura   e   delle   modalita'   di
    contribuzione possono essere adottate dall'Autorita' medesima con
    propria deliberazione, nel limite massimo dello 0,5 per mille del
    fatturato  risultante  dal  bilancio  approvato   precedentemente
    all'adozione della delibera, ferma restando la soglia massima  di
    contribuzione di cui al comma 7-ter" 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23 legge n. 87 del 1953; 
    La  Commissione  tributaria  provinciale  di   Roma   (sez.   5),
ritenutane la rilevanza e non manifesta  infondatezza,  rimette  alla
Corte costituzionale  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990  in
relazione agli  articoli  3  e  53,  primo  e  secondo  comma,  della
Costituzione nella parte in  cui,  per  assicurare  il  funzionamento
dell'Autorita' garante  della  concorrenza  e  del  mercato,  vengono
applicati contributi a carico dei  soli  imprenditori  con  fatturato
superiore a 50 milioni di euro e prevedendosi un limite  massimo  per
tale contributo. 
    Sospende il giudizio e  dispone  l'immediata  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone che la presente ordinanza sia  notificata  a  cura  della
segreteria alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia
comunicata ai presidenti delle due camere del Parlamento. 
        Roma, 18 marzo 2016 
 
                       Il Presidente: Novelli 
 
 
                                                  L'estensore: Destro