N. 246 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 2016

Ordinanza del 16 giugno 2016 del Tribunale  amministrativo  regionale
per la Calabria, Sezione staccata  di  Reggio  Calabria  sul  ricorso
proposto  da  Quattrone  Carmela  Adele  Ester   Rosaria   ed   altri
contro Presidenza del Consiglio dei ministri e altri.. 
 
Impiego pubblico - Riforma  degli  onorari  dell'Avvocatura  generale
  dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici - Criteri per la
  determinazione dei compensi  professionali  degli  avvocati  e  dei
  procuratori dello Stato [- Computo dei compensi  professionali  del
  personale dell'Avvocatura dello Stato ai  fini  del  raggiungimento
  del  limite  massimo  retributivo  di  cui  all'art.   23-ter   del
  decreto-legge n. 201 del 2011]. 
- Decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti  per  la
  semplificazione e la trasparenza amministrativa e per  l'efficienza
  degli uffici giudiziari), art. 9, commi [1,] 3, 4 e 6. 
(GU n.49 del 7-12-2016 )
 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA 
 
 
                 Sezione Staccata di Reggio Calabria 
 
    ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 708 del 2015,
proposto da Carmela Adele Ester Rosaria Quattrone,  Roberto  Antillo,
Michele Conforti, Francesco  Triolo,  rappresentati  e  difesi  dagli
avvocati Massimo Luciani e  Caterina  Notaro,  presso  lo  studio  di
quest'ultima elettivamente domiciliati, in Reggio Calabria, alla  via
Domenico Tripepi n. 9; 
    Contro: 
        la Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente del Consiglio pro tempore; 
        il Ministero dell'economia e delle finanze,  in  persona  del
Ministro pro tempore; 
        l'Avvocatura dello Stato, in persona  dell'Avvocato  generale
pro  tempore,  rappresentati  e  difesi   ex   lege   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, con domicilio eletto  in
Reggio Calabria, alla via del Plebiscito n. 15; 
    Nei confronti di Andrea Russo,  per  l'accertamento  del  diritto
alla corresponsione dei compensi professionali senza le  decurtazioni
e limitazioni previste dall'art. 9 del decreto-legge 24 giugno  2014,
n. 90, con conseguente  condanna,  anche  in  forma  generica,  delle
amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in  giudizio  delle  amministrazioni
intimate; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2016 il  dott.
Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
verbale; 
    Premettono i ricorrenti, Avvocati e Procuratori  dello  Stato  in
servizio presso  l'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Reggio
Calabria, che ai medesimi e' affidata la rappresentanza e  la  difesa
in  giudizio  dello  Stato  e  di  altri   numerosi   enti   pubblici
territoriali, nonche' una  generale  attivita'  di  consulenza  volta
all'analisi  e  alla  soluzione   di   questioni   tecnico-giuridiche
concernenti l'attivita' di pubbliche amministrazioni. 
    Evidenziano che, fino  all'entrata  in  vigore  dell'art.  9  del
decreto-legge 24  giugno  2014,  n.  90,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 agosto  2014,  n.
114, il loro trattamento economico era regolato dal regio decreto  30
ottobre 1933, n. 1611, nonche' dalle leggi 2 aprile 1979, n. 97  e  3
aprile 1979, n. 103. 
    Tale disciplina prevedeva, in particolare: 
        una quota fissa, commisurata a  ruolo,  titolo  e  grado  del
personale  dell'Avvocatura  ed  equiparata,  per   il   quantum,   al
trattamento dei magistrati dell'ordine giudiziario; 
        una   quota   variabile,   in   funzione   dell'esito   delle
controversie patrocinate,  quando  la  pubblica  amministrazione  non
risulti soccombente; 
        l'esazione, a cura della stessa Avvocatura dello Stato, delle
competenze di avvocato nei confronti delle controparti, liquidate con
sentenza od ordinanza, oppure pattuite per rinuncia o transazione. 
    Le somme cosi' raccolte (detratto  il  12,50%  per  il  personale
amministrativo) venivano ripartite nella misura di sette  decimi  tra
gli avvocati di ciascun ufficio, in base a norme regolamentari; e  di
tre decimi, in misura uguale fra tutti gli Avvocati dello Stato. 
    Soggiungono inoltre che, nei casi di  transazione  dopo  sentenza
favorevole allo Stato, o di pronuncia con compensazione  delle  spese
in controversie nelle quali l'Amministrazione comunque non sia  stata
soccombente, l'erario corrispondeva  all'Avvocatura  la  meta'  delle
competenze che sarebbero state liquidate. 
    Il descritto quadro e' stato parzialmente modificato per  effetto
dell'art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che  ha
disposto  una  riduzione  nella  misura  del  75%,  per  il  triennio
2014-2016,  dei  compensi  liquidati  a  seguito  di   sentenza   che
riconosceva la pubblica amministrazione non soccombente. 
    E', quindi, intervenuto l'art.  9  del  decreto-legge  24  giugno
2014, n. 90, il quale cosi' ha disposto: 
        tutti i compensi professionali sono  computati  ai  fini  del
raggiungimento del limite retributivo  di  cui  all'art.  23-ter  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; 
        nell'ipotesi  di  sentenza  favorevole,  con  condanna  della
controparte alle  spese,  solo  il  50%  delle  somme  recuperate  e'
ripartito  tra  gli  Avvocati  dello  Stato  secondo  le   previsioni
regolamentari  dell'Avvocatura  dello  Stato;  mentre  il  25%  delle
suddette somme e' destinato a borse  di  studio  per  lo  svolgimento
della  pratica  forense  presso  l'Avvocatura  dello  Stato;  ed   il
rimanente 25% e' versato al fondo per la  riduzione  della  pressione
fiscale di cui all' art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre  2013,
n. 147; 
        nei  casi  di  integrale  compensazione   delle   spese,   ai
dipendenti  della  pubblica  amministrazione,   ad   esclusione   del
personale dell'Avvocatura  dello  Stato,  sono  corrisposti  compensi
professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti
e nei limiti dello stanziamento gia' previsto; 
        i regolamenti dell'Avvocatura dello Stato fissano  i  criteri
per  il  riparto  delle  somme  recuperate,  in  base  al  rendimento
individuale e secondo criteri oggettivamente misurabili  che  tengano
conto della puntualita' negli adempimenti processuali. 
    Il comma 2 dell'art. 9 del citato decreto-legge  n.  90/2014  ha,
poi, abrogato l'art. 1, comma 457, della legge  n.  147  del  2013  e
l'art. 21, comma 3, del  regio  decreto  n.  1611  del  1933:  norme,
queste, che prevedevano la misura degli onorari da corrispondere agli
Avvocati dello Stato sia nel caso di liquidazione delle spese  legali
a carico delle controparti,  sia  nel  caso  di  compensazione  delle
spese, ferma pero' restando la non soccombenza dell'Amministrazione. 
    Sostengono i ricorrenti di aver conseguito, sin  dalla  data  del
loro ingresso nel ruolo dell'Avvocatura  dello  Stato,  il  «diritto»
alla  corresponsione  dei  compensi  per  l'attivita'   professionale
esercitata ai sensi dell'art. 21 del regio decreto n. 1611 del 1933. 
    Ed evidenziano che, a seguito della entrata in vigore dell'art. 9
del decreto-legge  n.  90  del  2014,  i  compensi  professionali  ai
medesimi   spettanti   vengono    a    ragguagliarsi    ad    importi
significativamente ridotti  rispetto  a  quanto  sarebbe  stato  loro
riconosciuto in applicazione delle previgenti disposizioni, in vigore
al momento della loro assunzione e anche  al  momento  in  cui  hanno
concretamente svolto prestazioni professionali. 
    Di conseguenza -  premesso  di  appartenere  al  personale  della
pubblica amministrazione  che,  ai  sensi  dell'art.  3  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e' tuttora inquadrato in regime di
diritto  pubblico  -  con   il   presente   ricorso   essi   chiedono
l'accertamento  del  diritto  alla   corresponsione   degli   onorari
professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste  dall'art.
9 del decreto-legge n. 90 del 2014; con conseguente  condanna,  anche
in forma generica, delle amministrazioni intimate al pagamento  delle
somme dovute, anche ove nelle more illegittimamente trattenute. 
    L'accoglimento delle predette domande di accertamento e  condanna
postula, peraltro, la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla  legge
n. 114 del 2014. 
    Sostengono, al riguardo, l'illegittimita' di tutte le  previsioni
dell'art. 9 che dispongono  la  decurtazione  e  la  limitazione  dei
compensi  spettanti  agli  Avvocati  dello  Stato,  con   particolare
riferimento ai commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8 e 9. 
    In proposito, affermano l'illegittimita': 
        del comma 1, nella  parte  in  cui  dispone  che  i  compensi
professionali corrisposti agli avvocati pubblici siano  da  computare
nel tetto  massimo  degli  emolumenti  di  cui  all'art.  23-ter  del
decreto-legge n. 201 del 2011; 
        del comma 2, nella parte in cui abroga parzialmente l'art. 21
del regio decreto n. 1611 del 1933 e l'art. 1, comma 457, della legge
n. 147 del 2013 (recanti il precedente e piu' favorevole  regime  dei
compensi); 
        dei commi 3 e 6, nella parte in cui dettano per gli  Avvocati
dello Stato un regime  diverso  da  quello  della  generalita'  degli
avvocati dipendenti della pubblica amministrazione; 
        del comma 4, nella parte in  cui  riduce,  nei  termini  gia'
ricordati, i compensi degli Avvocati dello Stato; 
          del  comma  5,  nella  parte  in  cui  si  conferisce  alle
competenti amministrazioni la  potesta'  regolamentare  necessaria  a
determinare   le   modalita'   della   decurtazione   dei    compensi
professionali degli avvocati, ivi compresi gli Avvocati dello Stato; 
        del comma  8,  nella  parte  in  cui  fissa  il  dies  a  quo
dell'applicazione del nuovo regime dei compensi  professionali  e  in
cui reca (addirittura) una clausola  di  minor  favore  nel  caso  di
mancata attuazione regolamentare dell'art. 9 medesimo; 
        del  comma  9,  nella  parte  in  cui  pone  la  clausola  di
invarianza dei risparmi conseguiti dalla finanza pubblica. 
    In proposito, i ricorrenti hanno prospettato  svariate  questioni
di  legittimita'   costituzionale   della   disciplina   come   sopra
individuata, assumendone il contrasto con i seguenti parametri: 
        art.  3  (principio  di  ragionevolezza)  ed  art.  97  (buon
andamento della pubblica amministrazione), in una con  la  violazione
dell'art. 36; 
        art. 3 (principi di eguaglianza e di ragionevolezza); 
        articoli 3, 23 e 53 (prelievo tributario); 
        articoli 3, 4, 23, 36, 42 e  117,  comma  1,  in  riferimento
all'art. 1 del Primo protocollo aggiuntivo della Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo; 
        art. 77; 
        articoli 2 e 117, in relazione agli articoli 6 e 13 CEDU, per
il profilo del diritto all'affidamento e della certezza giuridica. 
    Le  amministrazioni  intimate  si  sono  costituite  in  giudizio
argomentando  diffusamente  per  l'infondatezza  delle   censure   di
incostituzionalita' sopra indicate ed insistendo,  pertanto,  per  la
reiezione del ricorso. 
    Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica  udienza
dell'8 giugno 2016. 
    1. La disamina delle dedotte doglianze - volte a sottolineare  il
contrasto con la normativa di cui all'art. 9 del decreto-legge n.  90
del 2014 con i parametri costituzionali  precedentemente  indicati  -
impone una previa ricognizione  del  pregresso  quadro  normativo  di
riferimento, sinotticamente riguardato con le modificazioni apportate
dalla disposizione ora citata. 
    Viene,  in  primo  luogo,  in  considerazione   quanto   previsto
dall'art. 21 del regio decreto 30 ottobre 1933, n.  1611,  che  cosi'
disponeva: 
        «L'Avvocatura  generale   dello   Stato   e   le   avvocature
distrettuali nei giudizi da esse rispettivamente trattati  curano  la
esazione delle competenze di avvocato e di procuratore nei  confronti
delle controparti quando tali competenze siano poste a  carico  delle
controparti stesse per effetto di  sentenza,  ordinanza,  rinuncia  o
transazione» (comma 1, cosi' sostituito dall'art. 27  della  legge  3
aprile 1979, n. 103); 
        «Con l'osservanza delle disposizioni contenute nel titolo  II
della legge 25 novembre 1971, numero 1041, tutte le somme di  cui  al
precedente comma e successivi vengono ripartite per sette decimi  tra
gli Avvocati e Procuratori di ciascun ufficio in base alle norme  del
regolamento e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli  Avvocati
e Procuratori dello Stato.  La  ripartizione  ha  luogo  dopo  che  i
titoli, in base ai quali le somme sono state riscosse, siano divenuti
irrevocabili: le sentenze per passaggio in giudicato, le rinunce  per
accettazione e le transazioni per approvazione»  (comma  2,  dapprima
sostituito dall'art. 27 della legge 3 aprile 1979, n. 103 e poi cosi'
modificato dal comma 1 dell'art. 43 della legge 18  giugno  2009,  n.
69); 
        «Negli altri casi di  transazione  dopo  sentenza  favorevole
alle  Amministrazioni  dello  Stato  e  nei   casi   di   pronunciata
compensazione di spese in cause nelle quali le Amministrazioni stesse
non  siano  rimaste  soccombenti,   sara'   corrisposta   dall'erario
all'Avvocatura  dello  Stato,  con   le   modalita'   stabilite   dal
regolamento, la meta' delle competenze di avvocato e  di  procuratore
che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente.  Quando  la
compensazione delle spese sia parziale, oltre la quota degli  onorari
riscossa in confronto del soccombente sara'  corrisposta  dall'Erario
la meta' della quota di competenze di avvocato e di procuratore sulla
quale  cadde  la  compensazione»  (comma  3,  abrogato  dal  comma  2
dell'art. 9, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114). 
    La disciplina come sopra indicata  ha  subito  una  modificazione
temporalmente circoscritta per effetto dell'entrata in  vigore  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, il cui  art.  1,  al  comma  457,  ha
disposto che «A decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al  31  dicembre
2016, i compensi professionali liquidati, esclusi, nella  misura  del
50 per cento,  quelli  a  carico  della  controparte,  a  seguito  di
sentenza favorevole per le pubbliche  amministrazioni  ai  sensi  del
regio decreto-legge  27  novembre  1933,  n.  1578,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  22  gennaio  1934,  n.  36,  o  di  altre
analoghe disposizioni  legislative  o  contrattuali,  in  favore  dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art.  1,  comma
2, del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  e  successive
modificazioni, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello  Stato,
sono corrisposti nella misura del 75 per cento. Le somme  provenienti
dalle riduzioni di spesa  di  cui  al  presente  comma  sono  versate
annualmente dagli enti e dalle amministrazioni  dotate  di  autonomia
finanziaria ad apposito capitolo di bilancio dello Stato». 
    Sia il comma 3 dell'art. 21 del regio decreto n.  1611/1933,  che
il comma 457 dell'art. 1 della legge n. 147/2013, sono stati, quindi,
abrogati  per  effetto  dell'entrata  in  vigore  dell'art.   9   del
decreto-legge n. 90 del 2014; il quale ha  completamente  ridisegnato
la disciplina dei compensi  spettanti  agli  Avvocati  e  Procuratori
dello Stato, secondo quanto infra riportato: 
        «1.    I    compensi    professionali    corrisposti    dalle
amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive  modificazioni,  agli
avvocati dipendenti delle  amministrazioni  stesse,  ivi  incluso  il
personale dell'Avvocatura dello Stato, sono  computati  ai  fini  del
raggiungimento del limite retributivo  di  cui  all'art.  23-ter  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni,
dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni. 
        2. Sono abrogati il comma 457  dell'art.  1  della  legge  27
dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma dell'art. 21 del testo  unico
di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.  L'abrogazione  del
citato  terzo  comma  ha  efficacia   relativamente   alle   sentenze
depositate  successivamente  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. 
        3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole  con  recupero  delle
spese legali a carico delle controparti,  le  somme  recuperate  sono
ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al
comma 1, esclusi gli Avvocati e  i  Procuratori  dello  Stato,  nella
misura e con le modalita'  stabilite  dai  rispettivi  regolamenti  e
dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e  comunque  nel
rispetto dei limiti di cui al  comma  7.  La  parte  rimanente  delle
suddette somme e' riversata nel bilancio dell'amministrazione. 
        4. Nelle ipotesi di sentenza favorevole  con  recupero  delle
spese legali a carico delle controparti, il 50 per cento delle  somme
recuperate e' ripartito tra gli Avvocati e  Procuratori  dello  Stato
secondo le  previsioni  regolamentari  dell'Avvocatura  dello  Stato,
adottate ai sensi del comma  5.  Un  ulteriore  25  per  cento  delle
suddette somme e' destinato a borse  di  studio  per  lo  svolgimento
della pratica forense presso l'Avvocatura dello Stato, da  attribuire
previa procedura di valutazione  comparativa.  Il  rimanente  25  per
cento e' destinato al Fondo per la riduzione della pressione fiscale,
di cui all'art. 1, comma 431, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e
successive modificazioni. 
        5. I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato  e  degli  altri
enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri  di  riparto
delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e  al  primo  periodo
del comma 4  in  base  al  rendimento  individuale,  secondo  criteri
oggettivamente  misurabili  che  tengano  conto  tra  l'altro   della
puntualita' negli adempimenti processuali. I suddetti  regolamenti  e
contratti collettivi definiscono altresi' i criteri  di  assegnazione
degli affari consultivi  e  contenziosi,  da  operare  ove  possibile
attraverso  sistemi  informatici,  secondo  principi  di  parita'  di
trattamento e di specializzazione professionale. 
        6. In tutti i casi  di  pronunciata  compensazione  integrale
delle  spese,  ivi  compresi  quelli  di  transazione  dopo  sentenza
favorevole alle amministrazioni pubbliche  di  cui  al  comma  1,  ai
dipendenti, ad esclusione del personale dell'Avvocatura dello  Stato,
sono  corrisposti  compensi  professionali   in   base   alle   norme
regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello  stanziamento
previsto, il quale non puo' superare il  corrispondente  stanziamento
relativo all'anno  2013.  Nei  giudizi  di  cui  all'art.  152  delle
disposizioni per  l'attuazione  del  codice  di  procedura  civile  e
disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18  dicembre  1941,
n. 1368, possono essere corrisposti compensi  professionali  in  base
alle   norme   regolamentari   o    contrattuali    delle    relative
amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il suddetto
stanziamento  non  puo'  superare  il   corrispondente   stanziamento
relativo all'anno 2013. 
        7. I compensi professionali di cui al  comma  3  e  al  primo
periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da  attribuire
a ciascun  avvocato  una  somma  non  superiore  al  suo  trattamento
economico complessivo. 
        8. Il primo periodo del comma  6  si  applica  alle  sentenze
depositate  successivamente  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
presente decreto. I commi 3, 4 e 5 e il secondo e  il  terzo  periodo
del  comma  6  nonche'  il  comma  7   si   applicano   a   decorrere
dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al
comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione  del  presente  decreto.  In  assenza  del
suddetto  adeguamento,  a  decorrere  dal   1º   gennaio   2015,   le
amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere
compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni
stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato. 
        9. Dall'attuazione del presente articolo non devono  derivare
minori risparmi  rispetto  a  quelli  gia'  previsti  a  legislazione
vigente e considerati nei saldi tendenziali di finanza pubblica''. 
        Dalla riforma dell'assetto retributivo degli  Avvocati  dello
Stato, come sopra  delineata  dall'art.  9,  muovono  le  censure  di
illegittimita' costituzionale dalla parte ricorrente  articolate  con
il presente mezzo di tutela, che  il  Collegio  intende  partitamente
affrontare ai punti che seguono». 
    2. In primo luogo, per quanto attiene la dedotta  violazione  del
parametro di cui all'art. 77 della Costituzione, si  rileva  come  la
Sede di Trento del T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, con ordinanza 10
marzo 2016, n. 138, abbia riservato  favorevole  considerazione  alle
argomentazioni di parte ricorrente, sulla base dei rilievi di seguito
riportati: 
        «l'art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede
la  possibilita'  per  il  Governo  di  adottare,  sotto  la  propria
responsabilita',  atti  con  forza  di   legge   (nella   forma   del
decreto-legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al  rispetto  di
condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa  Costituzione
come  "provvisori",  devono  risultare  fondati  sulla  presenza   di
presupposti "straordinari" di necessita' ed urgenza e  devono  essere
presentati, il giorno stesso della loro  adozione,  alle  Camere,  ai
fini della conversione in  legge,  conversione  che  va  operata  nel
termine  di  sessanta  giorni  dalla  loro  pubblicazione.   Ove   la
conversione non avvenga entro tale termine, i  decreti-legge  perdono
la loro efficacia fin  dall'inizio,  salva  la  possibilita'  per  le
Camere di regolare con legge i rapporti giuridici  sorti  sulla  base
dei decreti-legge non convertiti. 
        Al riguardo la Corte costituzionale (che, inizialmente, aveva
reputato la legge di conversione quale atto di novazione della fonte,
il  che  rendeva  impossibile  lo  scrutinio  sui   presupposti   del
decreto-legge una volta intervenuta la conversione, cfr. sentenza  n.
108 del 1986), a partire dalla meta' degli anni  novanta  del  secolo
scorso ha affermato che "la preesistenza di una situazione  di  fatto
comportante  la  necessita'  e  l'urgenza   di   provvedere   tramite
l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione
del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di  quel
presupposto configura in  primo  luogo  un  vizio  di  illegittimita'
costituzionale del decreto-legge che risulti  adottato  al  di  fuori
dell'ambito applicativo  costituzionalmente  previsto.  La  Corte  ha
altresi'  precisato  che  lo  scrutinio  di  costituzionalita'  "deve
svolgersi su un piano  diverso"  rispetto  all'esercizio  del  potere
legislativo, in  cui  "le  valutazioni  politiche  potrebbero  essere
prevalenti".  Ha  specificato  al  riguardo  che  "il   difetto   dei
presupposti di legittimita' della decretazione d'urgenza, in sede  di
scrutinio di costituzionalita'", deve  "risultare  evidente",  e  che
tale difetto di presupposti, "una volta intervenuta  la  conversione,
si traduce in un  vizio  in  procedendo  della  relativa  legge".  Ha
percio'  escluso,  con  cio',  l'eventuale   efficacia   sanante   di
quest'ultima,  dal  momento  che  "affermare  che   tale   legge   di
conversione sana in ogni caso i  vizi  del  decreto,  significherebbe
attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare
il riparto costituzionale  delle  competenze  del  Parlamento  e  del
Governo quanto alla produzione delle fonti primarie" (sentenze n. 128
del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995). 
        La   Corte   ha   poi   precisato   che   il   riconoscimento
dell'esistenza dei presupposti fattuali di cui all'art.  77,  secondo
comma, si ricollega "ad una intrinseca coerenza delle norme contenute
in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo  e  materiale,  o
dal punto  di  vista  funzionale  e  finalistico",  e  che  l'urgente
necessita' del provvedere "puo' riguardare una  pluralita'  di  norme
accomunate dalla  natura  unitaria  delle  fattispecie  disciplinate,
ovvero anche dall'intento di  fronteggiare  situazioni  straordinarie
complesse  e  variegate,  che  richiedono  interventi  oggettivamente
eterogenei,  afferenti  quindi  a  materie  diverse,  ma  indirizzati
all'unico  scopo  di   approntare   rimedi   urgenti   a   situazioni
straordinarie venutesi a determinare". In tale ottica,  la  Corte  ha
conferito rilievo anche all'art. 15, comma 3, della legge  23  agosto
1988,  n.  400,  che  "pur  non  avendo,  in  se'  e  per  se'  rango
costituzionale,  e  non  potendo  quindi  assurgere  a  parametro  di
legittimita' ... costituisce esplicitazione della ratio implicita nel
secondo comma dell'art. 77 Cost., il  quale  impone  il  collegamento
dell'intero decreto-legge  al  caso  straordinario  di  necessita'  e
urgenza, che ha indotto  il  Governo  ad  avvalersi  dell'eccezionale
potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione
da parte del Parlamento" (sentenza n.  22  del  2012  sul  cosiddetto
"decreto Milleproroghe"). 
        14.   Ora,   applicando   gli   insegnamenti   della    Corte
costituzionale, occorre  verificare  se  la  "evidente"  carenza  del
requisito della straordinarieta', del caso di necessita' e di urgenza
di provvedere, renda  la  prospettata  questione  non  manifestamente
infondata. 
        Al riguardo  si  osserva  che  l'epigrafe  del  decreto  reca
l'intestazione  "Misure  urgenti  per   la   semplificazione   e   la
trasparenza  amministrativa   e   per   l'efficienza   degli   uffici
giudiziari". 
        Il  preambolo  del  decreto  cosi'   recita:   "Ritenuta   la
straordinaria necessita' e urgenza di emanare  disposizioni  volte  a
favorire la piu' razionale utilizzazione dei dipendenti  pubblici,  a
realizzare   interventi   di   semplificazione    dell'organizzazione
amministrativa dello Stato e degli  enti  pubblici  e  ad  introdurre
ulteriori misure di semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e
delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta  la
straordinaria necessita' ed urgenza di introdurre disposizioni  volte
a garantire un miglior livello di certezza giuridica,  correttezza  e
trasparenza  delle  procedure  nei   lavori   pubblici,   anche   con
riferimento al completamento dei lavori e delle  opere  necessarie  a
garantire  lo  svolgimento  dell'evento  Expo   2015;   Ritenuta   la
straordinaria necessita'  ed  urgenza  di  emanare  disposizioni  per
l'efficiente informatizzazione del processo  civile,  amministrativo,
contabile e tributario, nonche'  misure  per  l'organizzazione  degli
uffici giudiziari, al fine di assicurare la  ragionevole  durata  del
processo attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e il piu'
efficace  impiego  delle   tecnologie   dell'informazione   e   della
comunicazione". 
        A sua volta,  l'art.  9  all'esame  e'  parte  del  Titolo  I
rubricato "Misure  urgenti  per  l'efficienza  della  p.a.  e per  il
sostegno dell'occupazione" e del Capo I denominato "Misure urgenti in
materia di  lavoro  pubblico".  Gli  articoli  del  Capo  dispongono,
principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle  pubbliche
amministrazioni, di semplificazione e flessibilita' nel turn-over, di
mobilita'  obbligatoria  e  volontaria,  di  assegnazione  di   nuove
mansioni,  di  divieto  di  incarichi  dirigenziali  a  soggetti   in
quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi  negli  uffici  di
diretta collaborazione. 
        15. Occorre ora ricordare che, ai sensi dell'art.  15,  comma
1, della legge n. 400 del 1988, i decreti-legge sono  presentati  per
l'emanazione "con l'indicazione,  nel  preambolo,  delle  circostanze
straordinarie  di  necessita'  e  di  urgenza  che  ne   giustificano
l'adozione", mentre  il  comma  3  sancisce  che  "i  decreti  devono
contenere misure di immediata applicazione e il loro  contenuto  deve
essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo". 
        Ebbene,  il  dubbio  di  costituzionalita'  dell'art.  9  del
decreto-legge n. 90 del 2014 insorge in  relazione  alla  circostanza
che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse  e
le  previsioni  normative  di  cui  si   prospetta   l'illegittimita'
costituzionale. 
        Difatti, il primo paragrafo del preambolo  fa  riferimento  a
interventi organizzativi e  semplificatori  nella  e  della  pubblica
amministrazione, il secondo alle procedure dei  lavori  pubblici,  il
terzo all'informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che  con  la
disposizioni di cui si discute - volta a riformare la struttura degli
onorari degli Avvocati  dello  Stato  e  degli  altri  enti  pubblici
nell'ottica del contenimento della spesa pubblica - non sembrano aver
nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto  tra  la  norma
censurata  e  l'elemento  funzionale  -  finalistico  proclamato  nel
preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale. 
        Per converso, in nessun punto del  preambolo  e'  stato  dato
conto delle  ragioni  di  necessita'  e  di  urgenza  che  imponevano
l'adozione - a mezzo di decreto-legge - delle disposizioni di riforma
strutturale degli onorari all'Avvocatura dello Stato di cui  all'art.
9. L'infrazione  dell'art.  77,  secondo  comma,  della  Costituzione
appare, quindi, questione non manifestamente infondata. 
        A  tale  stregua  occorre  ancora  rammentare  che  la  Corte
costituzionale ha specificato come "l'inserimento di norme eterogenee
all'oggetto  o  alla  finalita'  del   decreto   spezza   il   legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta  dal  Governo  dell'urgenza
del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza  di  legge»",
di cui all'art. 77, e che "il presupposto del «caso» straordinario di
necessita' e urgenza inerisce  sempre  e  soltanto  al  provvedimento
inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito  di  intrinseca
coerenza, anche se articolato e differenziato al  suo  interno",  per
cui  "la  scomposizione  atomistica  della  condizione  di  validita'
prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il  necessario
legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso»  che  lo
ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie  di
norme assemblate soltanto da mera casualita' temporale" (sentenza  n.
22 del 2012). 
        Ne discende che  l'immissione  delle  disposizioni  all'esame
(come si e' detto, di riforma strutturale degli onorari) nel corpo di
un  decreto-legge  volto,  dichiaratamente,  alla   "piu'   razionale
utilizzazione dei dipendenti pubblici,  a  realizzare  interventi  di
semplificazione  dell'organizzazione  amministrativa  dello  Stato  e
degli  enti   pubblici   e   a   introdurre   ulteriori   misure   di
semplificazione per  l'accesso  dei  cittadini  e  delle  imprese  ai
servizi della pubblica amministrazione", non vale a trasmettere  alle
stesse - che appaiono quindi dissonanti -  il  carattere  di  urgenza
proprio delle  altre  disposizioni,  legate  invece  tra  loro  dalla
comunanza di oggetto o di finalita'. 
        Per altro,  ma  correlato,  profilo,  occorre  osservare  che
l'art.   9   contiene   anche   alcune   misure    che    non    sono
"auto-applicative", ossia "di immediata  applicazione"  come  sancito
dall'art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988. 
        Sul punto si rileva che, nonostante sia previsto che la nuova
disciplina si applichi alle sentenze  pubblicate  dopo  l'entrata  in
vigore del decreto-legge n. 90 del 2014, il comma 8 stabilisce  pero'
che il nuovo regime dei compensi (nella parte che riconosce il 50 per
cento delle somme recuperate - commi  3,  4  e  5,  secondo  e  terzo
periodo del comma 6)  puo'  trovare  applicazione  solo  a  decorrere
dall'introduzione, nei regolamenti dell'Avvocatura  dello  Stato,  di
regole che prevedano criteri di  riparto  delle  somme  "in  base  al
rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che
tengano  conto  tra  l'altro  della  puntualita'  negli   adempimenti
processuali". 
        Sicche', trova ulteriore conferma il dubbio circa la concreta
sussistenza del caso straordinario di necessita'  e  di  urgenza,  il
solo che puo' legittimare il Governo  ad  avvalersi  dell'eccezionale
potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione
da parte del Parlamento». 
    Intende il Collegio pienamente aderire  ai  surriportati  rilievi
(fatti  propri   anche   dal   Tribunale   amministrativo   regionale
del Molise, ordinanza 25 marzo 2016, n. 161), dando  atto  della  non
manifesta infondatezza e della rilevanza della questione  riguardante
la compatibilita' costituzionale dell'art.  9  del  decreto-legge  n.
90/2014 rispetto al parametro di cui all'art. 77 della Costituzione. 
    3. Omogeneamente a quanto osservato dal Tribunale  amministrativo
regionale del Molise con il suindicato  provvedimento  di  rimessione
alla Corte costituzionale, ha inoltre modo questa Sezione di dubitare
della compatibilita' costituzionale della disciplina de qua  rispetto
all'ulteriore  parametro  di  cui  all'art.  3  della   Costituzione:
segnatamente,  per  quanto  concerne  la  lamentata  violazione   del
principio di uguaglianza tra la disciplina  riservata  agli  Avvocati
dello Stato e quella regolante gli avvocati di altre  amministrazioni
pubbliche, con riferimento alle ipotesi di  sentenza  favorevole  con
recupero delle spese legali  a  carico  delle  controparti  (comma  4
dell'art.  9  del  decreto-legge  n.  90/2014,  con  riferimento   al
precedente comma 3). 
    3.1 Come si e' avuto modo di  constatare  attraverso  la  lettura
delle disposizioni da ultimo riportate di cui all'art. 9 del  decreto
n. 90, i commi 3 e 4 hanno introdotto la decurtazione  degli  onorari
solo per i primi (prevedendo, in particolare, la  corresponsione  nei
limiti   del   50%   delle   somme   liquidate   nei    provvedimenti
giurisdizionali in favore dell'Amministrazione, in caso  di  vittoria
della causa). 
    Diversamente, sui punti  sopra  indicati  la  vigente  disciplina
riservata agli avvocati delle altre  Amministrazioni  dello  Stato  e
degli enti pubblici non ha  subito  modificazione  taluna:  venendosi
ora, per i profili all'esame, a configurare una  manifesta  -  quanto
ingiustificata ed ingiustificabile - difformita' di trattamento,  che
il Collegio ritiene,  sulla  base  delle  considerazioni  in  seguito
rassegnate,  priva  di   convincente   fondamento,   con   riveniente
vulnerazione del citato parametro ex art. 3 della Costituzione. 
    Ben e' a conoscenza il Collegio che la  Corte  costituzionale  ha
avuto modo di chiarire che il  contenimento  e  la  razionalizzazione
della spesa pubblica, attraverso cui puo' attuarsi  una  politica  di
riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi  «che  trovano
giustificazione nella  situazione  di  crisi  economica»;  e  che  si
giustificano sotto il profilo della ragionevolezza, «in quanto mirati
ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il  comparto  del
pubblico impiego, in una dimensione solidaristica - sia pure  con  le
differenziazioni rese necessarie dai  diversi  statuti  professionali
delle categorie che vi appartengono -  e  per  un  periodo  di  tempo
limitato,  che  comprende   piu'   anni   in   considerazione   della
programmazione  pluriennale  delle  politiche  di  bilancio»   (Corte
costituzionale, 17 dicembre 2013, n. 310). 
    Si  tratta,  quindi,  di  provvedimenti  che,  pur   diversamente
modulati, «devono applicarsi all'intero comparto pubblico e impongono
limiti e restrizioni generali», in una dimensione  che  la  Corte  ha
connotato in senso solidaristico (citata sentenza n.  310  del  2013,
punto 13.5; e sentenza n. 178 del 2015). 
    Alla luce delle riportate  coordinate,  destano  perplessita'  le
specifiche deroghe specificamente riferite  all'Avvocatura  di  Stato
dal comma 4 dell'art. 9 del decreto-legge n. 90/2014, atteso che: 
        se agli avvocati delle amministrazioni pubbliche non  statali
e' accordata la possibilita'  di  acquisire  le  somme  liquidate  in
favore dell'Amministrazione patrocinata, anche  in  misura  integrale
secondo quanto previsto nei regolamenti dei rispettivi enti; 
        diversamente, per Avvocati dello Stato una tale  possibilita'
e' limitata ex ante al  50%  per  i  (soli)  giudizi  conclusisi  con
condanna  alle  spese  in   favore   dell'Amministrazione   da   essi
patrocinata. 
    3.2 Ritiene il  Collegio  che  una  tale  diversificazione  della
disciplina non trovi giustificazione nel  livello  della  «componente
fissa» della retribuzione degli Avvocati  dello  Stato,  non  potendo
addursi a pretesa giustificazione la  circostanza  per  cui  siffatta
componente fissa sarebbe superiore, in media, a quella degli avvocati
delle amministrazioni pubbliche. 
    Va innanzi tutto rilevato come la commisurazione della componente
retributiva fissa non possa  assumere  dirimente  rilevanza  ai  fini
dello scrutinio di compatibilita' costituzionale di disposizioni  che
hanno inciso sulla spettanza di compensi  che,  pur  suscettibili  di
essere sussunti nel genus della «remunerazione», non possono tuttavia
essere assimilati a componenti «retributive» in senso proprio. 
    Infatti, ancorche' i compensi di che trattasi siano preordinati a
«remunerare» prestazioni professionalmente rese nell'esercizio  delle
funzioni istituzionalmente rimesse ad Avvocati  e  Procuratori  dello
Stato, nondimeno essi non rientrano nel concetto di «retribuzione  in
senso proprio», atteso il carattere di variabilita' che ne assiste la
commisurazione  (diversamente  dalla  «fissita'»   che   connota   le
componenti retributive) e la non assimilabilita' del relativo  regime
contributivo/pensionistico. 
    Cio' preliminarmente posto, si osserva  che  gli  avvocati  delle
Amministrazioni  pubbliche  diverse  dallo  Stato  hanno  statuti   e
inquadramenti che mutano da un ente all'altro senza  possibilita'  di
individuazione di una  disciplina  giuridico/economica  unitaria,  di
modo  che  l'assegnazione  ai  soli  Avvocati  dello  Stato   di   un
trattamento variabile, peggiorativo rispetto agli  altri,  assume  il
carattere di una  penalizzazione  discriminante,  soprattutto  se  il
trattamento deteriore consegue alla mera appartenenza  all'Avvocatura
dello  Stato  e  non  sia  «collegata»  ad  una  soglia   stipendiale
specifica. 
    I dubbi di costituzionalita' non si sarebbero  posti  qualora  il
provvedimento contestato, anziche' identificare specificamente  -  ed
esclusivamente - negli  Avvocati  dello  Stato  i  destinatari  della
deroga, avesse stabilito  la  limitazione  del  riconoscimento  delle
competenze nei confronti di tutti gli Avvocati di enti  pubblici  che
superassero nella quota fissa una determinata retribuzione;  cio'  in
linea con la richiamata giurisprudenza costituzionale, secondo cui la
prioritaria azione di risanamento  delle  finanze,  pur  legittimando
l'adozione di misure che comportano sacrifici  per  le  categorie  di
volta in volta incise, non puo' non essere condotta nel rispetto  del
fondamentale principio di ragionevolezza  e  deve  avere  riguardo  a
tutto il comparto del  pubblico  impiego  sia  pure  valorizzando  le
distinzioni  statutarie  esistenti   (cfr.:   Corte   costituzionale,
sentenza n. 310 del 2013, cit.). 
    Nella fattispecie, l'art.  9  del  decreto-legge  n.  90/2014  e'
rivolto alla riforma della parte  variabile  dei  compensi  non  solo
dell'Avvocatura dello Stato ma di tutte le avvocature  pubbliche,  di
modo che la coerenza e ragionevolezza dell'intervento normativo  deve
essere letta nel contesto piu' generale in cui l'intervento e'  posto
in essere, con la conseguenza che ogni differenziazione del  relativo
trattamento, quale e' quello deteriore riservato all'Avvocatura dello
Stato, dovrebbe fondarsi su circostanze obiettive, nella  fattispecie
non ravvisabili. 
    Va,  inoltre,  considerato  il  particolare  status  che   regola
l'attivita' degli Avvocati dello Stato: i quali, a  differenza  degli
avvocati delle altre Amministrazioni pubbliche,  appartengono  ad  un
plesso organizzativo distinto rispetto a quello dell'ente (lo  Stato)
che  essi  sono  chiamati  a  difendere  in  sede  giudiziale   (tale
circostanza rilevando al fine di garantire una posizione di  maggiore
indipendenza ai primi, ma non di giustificarne la  sottoposizione  ad
un trattamento economico deteriore rispetto  a  quello  goduto  dalle
altre avvocature pubbliche, soprattutto nei casi in cui queste godano
del medesimo trattamento economico di parte fissa). 
    3.3 Nel ribadire, conseguentemente,  i  dubbi  di  compatibilita'
costituzionale della disciplina come sopra introdotta dall'art. 9 del
decreto-legge n. 90/2014 con riferimento al diversificato trattamento
riservato agli Avvocati e Procuratori dello Stato rispetto ai  legali
delle altre Amministrazione pubbliche, intende il Collegio dissentire
dalle argomentazioni, sul punto, esposte dal Tribunale amministrativo
regionale della Puglia, Lecce, sezione I, 20 gennaio 2016, n. 170). 
    Nella pronunzia da ultimo indicata si afferma che: 
        «la parte fissa del  trattamento  economico  assicurato  agli
Avvocati dello Stato (pari ... al trattamento economico assicurato ai
magistrati)  deve  ritenersi  adeguata   anche   al   rilievo,   alla
complessita'  e  all'impegno  connessi  alla  tutela  giudiziale   ed
extragiudiziale degli interessi  della  pubblica  amministrazioni  da
parte degli Avvocati dello Stato ai quali, peraltro, anche  in  forza
dell'art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014,  continua  comunque  ad
essere  garantito,  sebbene  in  misura  minore  rispetto  a   prima,
un'ulteriore compenso in quota variabile (pari  al  50%  delle  somme
recuperate dallo Stato nel caso di vittoria  dell'Amministrazione  in
giudizio con condanna della controparte alla rifusione delle spese di
lite), aggiuntivo rispetto a quello fisso  pari  al  trattamento  dei
magistrati  ordinari,  che  trova  la  propria  ragion  d'essere  nel
beneficio economico che l'attivita' difensiva ha portato  alle  casse
pubbliche e nella ripartizione che di tale beneficio ha  voluto  dare
il legislatore, ferma restando l'adeguatezza per l'attivita' prestata
della parte fissa di trattamento economico loro riconosciuta»; 
        «... gli avvocati pubblici diversi da quelli dello Stato sono
stati anch'essi  colpiti  da  misure  di  riduzione  del  trattamento
economico e, in ogni caso, risultano destinatari di una  parte  fissa
della retribuzione molto  piu'  bassa  di  quella  riconosciuta  agli
Avvocati dello Stato ...». 
    Le sopra esposte considerazioni, ad avviso del Collegio prive  di
pregio   giuridico,   non    soltanto    muovono    dall'inconferente
argomentazione in ordine alla ritenuta «adeguatezza» del  trattamento
economico riservato agli Avvocati  e  Procuratori  dello  Stato,  sol
perche' «pari al trattamento riservato ai magistrati»; ma  escludono,
vieppiu',  la   configurabilita'   stessa   di   una   ingiustificata
diversificazione di disciplina rispetto  agli  avvocati  delle  altre
amministrazioni ed enti dello Stato, a fronte del calcolo «medio»  di
una retribuzione fissa a questi ultimi  spettante  significativamente
«piu' bassa» rispetto a quella in atto riconosciuta ai primi. 
    Disattesa la giuridica consistenza - ai fini in discorso -  della
constatata equiparabilita' del trattamento  (parte  fissa)  riservato
agli Avvocati dello Stato rispetto a quello riconosciuto al personale
di  magistratura,  atteso  che  non  vengono  qui  in  considerazione
astratte rivendicazioni  di  carattere  retributivo  intercategoriale
(quanto,  piuttosto,  la  verifica  in  ordine  alla   compatibilita'
costituzionale di una  disciplina  che  ha  introdotto  differenziati
livelli retributivi per soggetti -  gli  Avvocati  ed  i  Procuratori
dello Stato - rivelanti medesima sostanza prestazionale rispetto agli
Avvocati di altre amministrazioni ed enti dello  Stato),  il  giudice
pugliese, nella sentenza ora in rassegna, ha affatto omesso: 
        di considerare  le  peculiarita'  ordinamentali/organizzative
che assistono la configurazione istituzionale  dell'Avvocatura  dello
Stato   rispetto   alla    collocazione    organica/funzionale    dei
professionisti officiati dell'assistenza legale degli altri  enti  ed
amministrazioni; 
        di evidenziare (almeno) plausibili argomentazioni a  conforto
della modificazione in pejus del regime dei compensi che ha vulnerato
i  soli  Avvocati   e   Procuratori   dello   Stato,   mantenendo   -
inspiegabilmente, quanto (ad avviso del Collegio) illegittimamente  -
inalterato il  previgente  regime  per  i  soli  legali  delle  altre
amministrazioni ed enti pubblici. 
    3.4 Le frettolose,  apodittiche  ed  inconferenti  argomentazioni
esposte dal Tribunale amministrativo regionale di  Lecce  a  conforto
dell'affermata  insussistenza   del   profilo   di   incompatibilita'
costituzionale della disciplina introdotta dall'art. 9, comma 4,  del
decreto n. 90, rafforzano vieppiu' il convincimento di questo Giudice
remittente a rivolgere allo scrutinio della Corte  costituzionale  la
normativa  di  che  trattasi  sotto  il  profilo  della  verifica  di
compatibilita' con il parametro di cui all'art. 3 della Costituzione,
in ragione delle considerazioni precedentemente rassegnate. 
    4. Ritiene ulteriormente il Collegio, sulla base  delle  medesime
argomentazioni esposte al precedente punto 3., che la disciplina come
sopra introdotta dall'art. 9 evidenzi profili di contrasto con l'art.
3 della Costituzione anche per quanto riguarda la previsione  dettata
dal comma 6. 
    In  esso,  si  dispone  che  «In  tutti  i  casi  di  pronunciata
compensazione  integrale  delle  spese,  ivi   compresi   quelli   di
transazione dopo sentenza favorevole alle  amministrazioni  pubbliche
di cui al  comma  1,  ai  dipendenti,  ad  esclusione  del  personale
dell'Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi  professionali
in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei  limiti
dello  stanziamento  previsto,  il  quale  non   puo'   superare   il
corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013.  Nei  giudizi  di
cui all'art. 152 delle disposizioni per l'attuazione  del  codice  di
procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio  decreto
18 dicembre  1941,  n.  1368,  possono  essere  corrisposti  compensi
professionali in base alle norme regolamentari o  contrattuali  delle
relative amministrazioni e nei limiti dello stanziamento previsto. Il
suddetto   stanziamento   non   puo'   superare   il   corrispondente
stanziamento relativo all'anno 2013». 
    Tale fattispecie delinea, con accentuata valenza discriminatoria,
il diversificato trattamento riservato  -  ad  avviso  del  Collegio,
ingiustificatamente  -  agli  Avvocati  e  Procuratori  dello   Stato
rispetto agli altri avvocati pubblici,  atteso  che  soltanto  per  i
primi e' affatto esclusa, in  presenza  di  sentenza  favorevole  con
compensazione delle spese, la previsione di compenso alcuno,  laddove
per  i  secondi  e'  all'uopo  individuato  il  solo  limite  massimo
rappresentato dallo stanziamento di bilancio per l'anno 2013. 
    5.  Viene,  quindi,  in  considerazione  l'ulteriore  censura  di
illegittimita' costituzionale  delle  normativa  de  qua,  che  parte
ricorrente ricongiunge all'affermata violazione dei parametri di  cui
agli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione. 
    5.1 Nella disamina  dell'eccezione  di  che  trattasi,  non  puo'
omettere la Sezione dal prendere in considerazione le  argomentazioni
dalla Corte costituzionale esplicitate con sentenza 11 ottobre  2012,
n. 223. 
    Con tale pronunzia, si e'  dato  atto  che  la  decurtazione  del
trattamento economico  riconosciuto  al  personale  di  magistratura,
operata ai sensi dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge n.  78  del
2010, «nonostante il riferimento testuale ad una "riduzione" e ad  un
"contenimento delle spese", rivesta carattere tributario, trattandosi
all'evidenza di  una  prestazione  patrimoniale  imposta,  realizzata
attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio,  destinata  a
sovvenire le pubbliche spese». 
    Nell'osservare come la ratio della  disposizione  precedentemente
citata risiedesse nell'esigenza «di reperire  risorse  per  l'erario»
(in cio' ravvisandosi una evidente  giustapponibilita'  di  finalita'
rispetto alle ragioni ispirative della «riforma» attuata con l'art. 9
del decreto-legge n. 90/2014),  il  Giudice  delle  leggi  ha,  nella
pronunzia  ora   in   rassegna,   evidenziato   che   "gli   elementi
indefettibili della fattispecie tributaria sono  tre:  la  disciplina
legale deve essere  diretta,  in  via  prevalente,  a  procurare  una
(definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo;
la decurtazione non  deve  integrare  una  modifica  di  un  rapporto
sinallagmatico (nella specie, di una voce retributiva di un  rapporto
di lavoro ascrivibile ad un dipendente  di  lavoro  pubblico  statale
"non contrattualizzato");  le  risorse  connesse  ad  un  presupposto
economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono
destinate a sovvenire pubbliche spese». 
    I requisiti come  sopra  riportati,  congiuntamente  considerati,
anche nella dedotta fattispecie ricorrono, atteso che: 
        se  il  riconoscimento  dei  compensi  professionali  di  che
trattasi partecipa, con ogni evidenza,  di  una  natura  remunerativa
(trovandosi  essi  inscindibilmente  connessi  con   lo   svolgimento
dell'attivita' ratione officii  rimessa  ad  Avvocati  e  Procuratori
dello Stato); 
        e se la novella del 2014 non ha introdotto una  modificazione
di un rapporto sinallagmatico, atteso che i compensi di che trattasi,
ancorche'    consistentemente    ridotti,    purtuttavia    rimangono
riconosciuti ai dipendenti inquadrati nei ruoli dell'Avvocatura dello
Stato; 
        la disposta decurtazione  risulta  espressamente  ricongiunta
dal legislatore del 2014 a finalita'  di  risanamento  delle  finanze
pubbliche (si veda, in proposito, quanto disposto dal comma  4  dello
stesso art. 9, laddove -  per  i  casi  di  sentenza  favorevole  con
recupero delle spese legali a carico delle controparti, un 25%  delle
relative disponibilita' finanziarie "e' destinato  al  Fondo  per  la
riduzione della pressione fiscale, di  cui  all'art.  1,  comma  431,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni). 
    5.2 Ritenuta, quindi, la natura tributaria della misura in esame,
essa non e' immune dalle censure di illegittimita' costituzionale con
riferimento agli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione. 
    Il  tributo  che  interessa  incide  su  una   particolare   voce
remunerativa, che e' parte di un reddito lavorativo complessivo  gia'
sottoposto ad imposta in condizioni di parita' con  tutti  gli  altri
percettori di reddito di lavoro; e introduce,  quindi,  senza  alcuna
giustificazione, un elemento di  discriminazione  soltanto  in  danno
della   particolare   categoria    di    dipendenti    statali    non
contrattualizzati  che  beneficia  della  titolarita'  dei   compensi
professionali in discorso. 
    Con la applicazione delle disposizioni  introdotte  dall'art.  9,
come si e' avuto modo di constatare, vengono ad essere  vulnerati,  a
parita'  di   capacita'   contributiva   per   redditi   di   lavoro,
esclusivamente gli Avvocati e Procuratori dello Stato. 
    Quand'anche  si  potesse  prescindere  da   tale   pur   decisiva
considerazione,  la   previsione   di   siffatto   tributo   speciale
comporterebbe comunque una ingiustificata disparita'  di  trattamento
con  riguardo  alle  indennita'  percepite  dagli  altri   dipendenti
statali, non assoggettate, negli stessi periodi d'imposta,  ad  alcun
prelievo tributario aggiuntivo. 
    Ne' puo' ragionevolmente sostenersi che l'intervento attuato  dal
decreto n.  90  si  riproponga  il  conseguimento  di  una  finalita'
«perequativa», trattandosi di una disciplina che, in  quanto  rivolta
ad un'unica categoria di percettori di  reddito,  viene  a  vulnerare
esclusivamente questi ultimi e con esclusivo riferimento ai  compensi
di che trattasi,  mediante  applicazione  di  parametri  di  prelievo
suscettibili  di   incidere,   con   carattere   ingiustificabilmente
discriminante del prelievo stesso, su una fonte  reddituale  peraltro
gia' incisa dall'ordinaria applicazione delle  ritenute  sul  reddito
complessivamente maturato dal contribuente. 
    5.3 Sotto altro profilo, va osservato come la disciplina  oggetto
di censura, proprio in ragione del carattere,  ad  essa  proprio,  di
prelievo  «a  regime»,  consenta  di  escluderne  la   compatibilita'
costituzionale, altrimenti ravvisabile a fronte  della  temporaneita'
degli effetti indotti dall'intervento legislativo sul reddito. 
    Non ignora il Collegio come la Corte costituzionale  (sentenza  9
febbraio  2015,  n.  10)  abbia  rilevato  che  casi  di  «temporaneo
inasprimento dell'imposizione» - quand'anche (limitatamente) operante
per «determinati settori produttivi  o  a  determinate  tipologie  di
redditi e cespiti»  -  siano  stati  «ritenuti  non  illegittimi  ...
proprio in forza della loro limitata durata». 
    Nella  fattispecie  all'esame,  il  «prelievo»  consumatosi   per
effetto della rimodulata disciplina riguardante il riconoscimento dei
compensi professionali in favore  di  Avvocati  e  Procuratori  dello
Stato, lungi dall'atteggiarsi con carattere di  temporaneita'  (cosi'
come puo' predicarsi a proposito  della  decurtazione  operata  sugli
onorari professionali ai sensi dell'art. 1, comma 457, della legge 27
dicembre 2013, n.  147,  limitata  al  triennio  1°  gennaio  2014-31
dicembre 2016), risulta strutturalmente connotata quale modificazione
sine   die:   a   tale   elemento   dovendosi   annettere   ulteriore
configurazione di illegittimita' costituzionale, sempre con  riguardo
ai suindicati parametri ex articoli 3, 23 e 53. 
    6.  Da   ultimo,   intende   il   Collegio   interrogarsi   sulla
compatibilita' costituzionale della disposizione (art.  9,  comma  1,
del decreto n. 90) che ha assoggettato gli emolumenti in questione  -
nei  limiti  in  cui  risultano  (rispetto  al  previgente   sistema,
residualmente) percepibili da parte di Avvocati e  Procuratori  dello
Stato - ai vigenti limiti ai trattamenti economici ed agli emolumenti
corrisposti ai dipendenti pubblici, ai titolari di cariche elettive e
ai titolari di  incarichi  con  emolumenti  a  carico  della  finanza
pubblica. 
    6.1 Come e' noto, l'art. 23-ter  del  decreto-legge  n.  201  del
2011, convertito dalla legge n. 214  del  2011,  al  comma  1,  primo
periodo, ha stabilito che «con decreto del Presidente  del  Consiglio
dei   ministri,   previo   parere   delle   competenti    Commissioni
parlamentari, entro novanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore
della legge di conversione  del  presente  decreto,  e'  definito  il
trattamento economico annuo  onnicomprensivo  di  chiunque  riceva  a
carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni  nell'ambito
di  rapporti  di  lavoro  dipendente   o   autonomo   con   pubbliche
amministrazioni statali, di cui all'art.  1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e  successive  modificazioni,  ivi
incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'art.  3
del  medesimo  decreto  legislativo,  e   successive   modificazioni,
stabilendo come  parametro  massimo  di  riferimento  il  trattamento
economico del primo presidente della Corte di cassazione». 
    In attuazione di tale disposizione, il Presidente  del  Consiglio
dei ministri ha adottato il decreto 23 marzo  2012,  recante  «Limite
massimo retributivo per  emolumenti  o  retribuzioni  nell'ambito  di
rapporti  di  lavoro  dipendente  o   autonomo   con   le   pubbliche
amministrazioni statali», il quale ha disposto, all'art.  3,  che  «a
decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il trattamento
retributivo percepito annualmente, comprese le indennita' e  le  voci
accessorie nonche' le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori
o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella
di appartenenza, dei soggetti di cui all'art. 2 non puo' superare  il
trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica  al
Primo Presidente della Corte di cassazione,  pari  nell'anno  2011  a
euro 293.658,95. Qualora superiore, si riduce al predetto limite». 
    In  seguito,  il  legislatore  e'  nuovamente  intervenuto  sulla
materia con l'art. 1, comma 489, della legge  27  dicembre  2013,  n.
147, disponendo che, ai fini del raggiungimento del  predetto  tetto,
devono esser computati anche i  trattamenti  pensionistici  pregressi
eventualmente percepiti a carico di gestioni previdenziali pubbliche. 
    Il  terzo  periodo  della  medesima  disposizione,  al  fine   di
armonizzare     il     nuovo     regime     con     le      posizioni
retributivo-previdenziali in  essere  alla  sua  entrata  in  vigore,
aggiunge che «sono fatti salvi i contratti e gli incarichi  in  corso
fino alla loro  naturale  scadenza  prevista  negli  stessi»,  mentre
l'ultimo periodo prevede che «gli organi costituzionali  applicano  i
principi  di  cui  al  presente  comma  nel   rispetto   dei   propri
ordinamenti». 
    Da ultimo l'art. 13 del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66
(convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n.  89),  ha
ridotto il tetto massimo  fissato  dal  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 23 marzo 2012, prevedendo che «a decorrere dal
1° maggio 2014  il  limite  massimo  retributivo  riferito  al  primo
presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e
23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,  n.  214,  e  successive
modificazioni e integrazioni, e' fissato in  euro  240.000  annui  al
lordo dei contributi previdenziali ed  assistenziali  e  degli  oneri
fiscali a carico del dipendente». 
    6.2 Sulla questione, il Tribunale  amministrativo  regionale  del
Lazio, con una serie di ordinanze rese nel 2016 (numeri  4153,  4199,
4200, 4201, 4202, 4203, 4204, 4205, 4220,  4250)  ha  avuto  modo  di
interrogarsi sulla compatibilita'  della  disciplina  del  cosiddetto
«tetto retributivo» (di cui alle disposizioni riportate al precedente
punto 6.1) con riferimento  alla  cumulabilita'  del  trattamento  di
pensione (gia' maturato) e la remunerazione inerente  alla  qualifica
di Consigliere di Stato. 
    Il giudice remittente, con le pronunzie sopra indicate, ha -  fra
l'altro -  prospettato  condivisibili  perplessita'  in  ordine  alla
conformita' della sopra indicata disciplina rispetto ai parametri  ex
articoli 3 e 97 della Costituzione, osservando che: 
        «posto che il sistema  di  reclutamento  dei  Consiglieri  di
Stato per nomina governativa  ...  mira  a  valorizzare  le  migliori
competenze  professionali   disponibili   nell'Amministrazione,   che
generalmente si rinvengono in coloro che  hanno  accumulato  maggiore
anzianita' e accantonato un montante contributivo tale da  dar  luogo
ad un trattamento di quiescenza destinato a sommarsi  al  trattamento
retributivo»; 
        ed ulteriormente constatato  come  «la  censurata  disciplina
finisca per penalizzare proprio le figure  di  maggiore  spicco,  con
l'effetto di disincentivare la nomina di coloro che possono vantare i
migliori titoli e le migliori esperienze, perche' costoro  dovrebbero
esercitare le funzioni di Consigliere di Stato senza una retribuzione
adeguata»; 
        allora, «il Governo sarebbe costretto ad indirizzare  altrove
le  proprie  scelte,  con  evidente  violazione  del   principio   di
ragionevolezza e del  principio  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione (articoli 3 e  97  della  Costituzione),  perche'  le
scelte non sarebbero indirizzate alla selezione dei migliori, e della
norma che affida al Governo l'indirizzo politico-amministrativo (art.
95 della Costituzione), che  viene  distolto  dal  suo  approdo  piu'
coerente e mortificato nella liberta' della sua esplicazione». 
    6.3 Ben e' a conoscenza questo Giudice remittente  che  la  Corte
costituzionale, con sentenza 14 luglio 2015, n. 153, ha rigettato  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1, 2,  3
e 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, sollevata dalla Regione Campania in riferimento agli articoli  3,
97, 117 primo, terzo e quarto  comma,  118,  119,  120  e  123  della
Costituzione. 
    Cosi' come e' consapevole che, nella pronunzia da ultimo  citata,
la stessa Corte ha avuto modo di  osservare  che  «la  spesa  per  il
personale costituisce un importante aggregato della  spesa  di  parte
corrente (sentenze n. 69  del  2011  e  n.  169  del  2007),  sicche'
disposizioni dirette al suo contenimento attraverso  l'individuazione
di limiti generali ad essa, anche  con  la  fissazione  di  un  tetto
massimo al trattamento economico annuo onnicomprensivo del personale,
costituiscono  legittima  espressione  della  competenza  legislativa
riservata allo Stato dall'art. 117, terzo comma, della  Costituzione,
di  determinazione  dei  principi  fondamentali  nella  materia   del
''coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario''». 
    Nondimeno, il rigetto della questione di costituzionalita', nella
sentenza in rassegna, e' stato dal giudice delle leggi veicolato, nel
quadro della questione al medesimo prospettata, dalla disamina  della
compatibilita' costituzionale di una  previsione  «con  la  quale  e'
stato imposto alle regioni  di  estendere  al  proprio  personale  il
vincolo  del   tetto   massimo   al   trattamento   economico   annuo
onnicomprensivo,  gia'  introdotto  per  il  personale  statale»:  in
proposito essendosi osservato come siffatta «estensione», si collochi
«nel contesto di un piu' ampio intervento di  revisione  della  spesa
pubblica,  concorrendo,   quale   misura   di   razionalizzazione   e
trasparenza dell'organizzazione degli apparati politico istituzionali
(dello Stato e delle autonomie  territoriali),  alla  stabilizzazione
della finanza pubblica complessiva. 
    Questa «scelta di fondo» del legislatore statale (sentenza n. 151
del 2012)  va  qualificata  dunque  come  principio  fondamentale  di
coordinamento della finanza pubblica,  idoneo,  in  quanto  tale,  ad
attrarre  alla  stessa  competenza   legislativa   dello   Stato   la
definizione  delle  particolari  regole  che  ne   costituiscono   il
necessario svolgimento tecnico». 
    La disamina che, ora, questo  Tribunale  intende  rimettere  alla
Corte e' - diversamente - incentrata (non gia' sulla questione  della
estensibilita' della normativa de qua anche al  personale  regionale,
ma)  sulla  compatibilita'  con  il  parametro  ex  art.  97  di  una
disciplina che, deprimendo (o, in talune ipotesi, affatto  azzerando)
le previgenti disposizioni premiali ricongiungenti il  riconoscimento
dei compensi professionali all'esito del contenzioso, non perseguono,
nell'ottica  della  citata  previsione  costituzionale,  il   miglior
conseguimento    della    finalita'    pubblica     di     efficienza
dell'Amministrazione, con indubbi riflessi di finanza pubblica. 
    6.4  Ed  allora,  sulla  base  delle   suesposte   considerazioni
rassegnate all'attenzione della Corte costituzionale  dal  remittente
Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,  e'  affatto  agevole
mutuare omogeneo fondamento argomentativo al  fine  di  rimettere  al
vaglio di compatibilita' costituzionale la previsione di cui all'art.
9, comma 1, del decreto n. 90/2014, nella parte in cui, assoggettando
(anche) il riconoscimento dei  compensi  professionali  spettanti  ad
Avvocati e Procuratori dello Stato  al  «tetto  retributivo»  di  che
trattasi (pur  trattandosi  di  emolumenti,  spettanti  a  titolo  di
remunerazione per  attivita'  professionale,  non  sussumibili,  come
rilevato, nel genus della «retribuzione» in senso  proprio"),  induce
un  effetto  (non  solo  potenzialmente)  «disincentivante»  ai  fini
dell'immissione nei ruoli  dell'Avvocatura  dello  Stato  delle  piu'
elevate e qualificate risorse professionali (depotenziando  l'appeal,
segnatamente nei  confronti  degli  avvocati  del  libero  foro,  del
concorso per la qualifica dell'Avvocato dello Stato), con  riveniente
vulnerazione dei principi: 
        di cui all'art. 97 della Costituzione, nella  misura  in  cui
tale  disciplina  determina  un  meno  efficace  perseguimento  delle
finalita' pubbliche intrinseche alla tutela delle ragioni dello Stato
e degli enti patrocinati dalla stessa Avvocatura; 
        e di cui all'art. 3 della Costituzione, nella  parte  in  cui
l'assoggettamento al «limite retributivo» di che trattasi integra  la
presenza di un elemento discriminante, atteso  che  la  pur  omogenea
applicazione di siffatto «limite» a  tutti  i  legali  dipendenti  da
pubbliche amministrazioni (ex art. 9,  comma  1),  assume  accentuato
rilievo «penalizzante» per gli Avvocati e  Procuratori  dello  Stato,
rispetto agli altri avvocati «pubblici»,  proprio  in  ragione  della
maggiormente limitata partecipazione alla ripartizione  dei  compensi
che differenzia, in pejus, il  trattamento  ora  riservato  ai  primi
rispetto ai secondi. 
    Tutto cio', soprattutto laddove si consideri  l'evidente  valenza
«premiante»  e/o  «incentivante»  propria  della  configurazione  del
sistema di corresponsione  dei  compensi  de  quibus  nell'originario
assetto di cui al  regio  decreto  n.  1611/1993,  che  prevedeva  il
riconoscimento dei compensi professionali: 
        per la totalita' delle somme recuperate, in caso di  condanna
alle spese della soccombente controparte; 
        per la meta' delle competenze che sarebbero  state  liquidate
nei  confronti  della  parte  soccombente,  in  caso  di   conclusiva
compensazione delle spese  di  lite,  purche'  l'amministrazione  non
fosse risultata soccombente. 
    Tale elemento di «premialita'», praticamente «eclissato»  per  la
sola Avvocatura dello Stato, viene a porre la definizione dei giudizi
- quanto, ovviamente, alla liquidazione delle spese - su una curva di
sostanziale indifferenza; determinando, fra l'altro, conseguenze  non
irrilevanti anche per cio' che concerne la definizione stragiudiziale
o transattiva delle controversie, in  ordine  alla  quale  l'Avvocato
dello Stato, sulla base della riforma all'esame,  non  partecipa  dei
compensi neppure in quota parte, diversamente dal  previgente  regime
(e la cui rilevanza  viene,  con  ogni  evidenza,  in  considerazione
laddove siffatta definizione  si  riveli  preordinata  a  scongiurare
eventuali rischi di soccombenza, con effetti  diretti  sulla  finanza
pubblica). 
    7.  Tanto  premesso,  il  Collegio  ritiene   rilevanti   e   non
manifestamente infondate le esposte  questioni  di  costituzionalita'
delle analizzate disposizioni di cui all'art. 9 del decreto-legge  n.
90/2014, convertito in legge n. 114/2014; e, per l'effetto,  sospende
il giudizio, mandando alla Segreteria di trasmettere  alla  Corte  la
presente  ordinanza,  di  notificarla  alle  parti  in  causa  e   al
Presidente del Consiglio  dei  ministri  nonche'  di  comunicarla  ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla sentenza di  merito  lo  scrutinio  delle  ulteriori
censure proposte da parte ricorrente. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria  -  Sezione
Staccata  di  Reggio  Calabria  -  visti  gli  articoli   134   della
Costituzione, 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non  manifestamente   infondata,   in
relazione all'art. 77, secondo comma,  e  3  della  Costituzione,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, commi 3, 4 e  6
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 11 agosto  2014,  n.
114; 
        sospende il presente giudizio, con rinvio di ogni  definitiva
statuizione nel merito e sulle spese di lite all'esito  del  promosso
giudizio  incidentale  davanti  alla  Corte  costituzionale,  cui  la
presente  ordinanza  va  immediatamente  trasmessa,  a   cura   della
Segreteria  del  tribunale,  unitamente  alla  prova  delle  previste
comunicazioni e notificazioni; 
        dispone, sempre a cura della Segreteria del tribunale, che la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente
del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata  ai  Presidenti  della
Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Reggio Calabria nella  camera  di  consiglio  del
giorno 8 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati: 
        Roberto Politi, Presidente, estensore; 
        Filippo Maria Tropiano, referendario; 
        Angela Fontana, referendario. 
 
                  Il Presidente, estensore: Politi