N. 72 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 novembre 2016

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 4 novembre 2016 (della Regione Lombardia). 
 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Equilibrio  dei  bilanci  delle
  Regioni e degli  enti  locali  -  Disciplina  delle  operazioni  di
  indebitamento delle Regioni e degli enti locali  -  Concorso  dello
  Stato al finanziamento dei  livelli  essenziali  e  delle  funzioni
  fondamentali nelle fasi avverse  del  ciclo  o  al  verificarsi  di
  eventi eccezionali. 
- Legge 12 agosto 2016, n. 164  (Modifiche  alla  legge  24  dicembre
  2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni  e
  degli enti locali), artt. 2, comma 1, lett. c); 3, comma  1,  lett.
  a); e 4, comma 1, lett. b) e c). 
(GU n.51 del 21-12-2016 )
    Ricorso  ex  art.  127  Cost.  della  Regione   Lombardia   (C.F.
80050050154), in persona del Presidente della  Giunta  Regionale  pro
tempore, on. Roberto  Maroni,  autorizzato  con  delibera  di  Giunta
Regionale n. X/5743 del 24 ottobre 2016  (doc.  1),  rappresentata  e
difesa  dall'avv.  prof.  Fabio   Cintioli   (C.F.   CNTFBA62M23F158G
fabiocintioli@ordineavvocatiroma.org  -   fax   0668892383),   giusta
procura  speciale  a  margine  del  presente  atto  ed  elettivamente
domiciliata presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 32. 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore (C.F.
80188230587), domiciliato per  la  carica  in  Roma,  Palazzo  Chigi,
Piazza  Colonna  n.  370,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale degli artt. 2,  comma  1,  lettera  c);  3,  comma  1,
lettera a); 4, comma 1, lettere b) e c) della legge 12  agosto  2016,
n. 164, recante «Modifiche alla legge 24 dicembre 2012,  n.  243,  in
materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli Enti Locali»,
per violazione, tra l'altro, degli articoli 117, sesto  comma,  della
Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b)
della legge costituzionale n. 1 del 2012, e del  principio  di  leale
collaborazione anche in relazione agli  artt.  5,  114  e  117  della
Costituzione. 
 
                                Fatto 
 
    Le disposizioni qui impugnate sono gli artt. 2, comma 1,  lettera
c); 3, comma 1, lettera a); 4, comma 1, lettere b) e c)  della  legge
12 agosto 2016, n. 164, recante «Modifiche  alla  legge  24  dicembre
2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci  delle  Regioni  e
degli Enti Locali»; la prima delle disposizioni per violazione  degli
articoli 117, sesto comma, 5 e 114 della  Costituzione,  nonche'  per
violazione  dell'art.  5,  comma   1,   lettera   b),   della   legge
costituzionale n.  1  del  2012,  le  altre  per  la  violazione  del
principio di leale collaborazione anche in relazione  agli  artt.  5,
114 e 117 della Costituzione. 
    Tali disposizioni hanno introdotto modifiche alla  legge  n.  243
del 2012, ed in particolare agli artt. 10 («Ricorso all'indebitamento
da parte delle Regioni e degli Enti  Locali»),  11  («Concorso  dello
Stato al  finanziamento  dei  livelli  essenziali  e  delle  funzioni
fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di  eventi
eccezionali») e 12 («Concorso delle Regioni e degli Enti Locali  alla
sostenibilita' del debito  pubblico»).  Tali  modifiche  hanno  fatto
seguito alla pronuncia della sentenza di codesta Ecc.ma Corte  n.  88
del 10 aprile 2014. 
    Tali modifiche, come si vedra' tra breve, non hanno pero'  tenuto
in  conto  quanto  deciso  da  codesta  Corte  ed  hanno   riproposto
illegittimita' costituzionali analoghe a quelle a suo tempo  rilevate
nella sentenza n. 88 del 2014. 
    Per garantire un'uniformita' di esposizione e, al  tempo  stesso,
l'opportuna sintesi, si affronteranno  partitamente  le  censure  che
riguardano le singole disposizioni impugnate, mettendo previamente  a
confronto quando necessario il testo della vecchia  disposizione,  la
relativa pronuncia resa da codesta Corte con la  citata  sentenza  n.
88/2014 e, infine, il testo della nuova disposizione.  In  tal  modo,
emergeranno con evidenza  i  vizi  di  illegittimita'  costituzionale
(anche) della nuova normativa. 
    Le disposizioni in epigrafe sono costituzionalmente illegittime e
vengono impugnate da Regione Lombardia per i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
I. Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  1  lettera  c)
della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione degli  artt.  117,
sesto comma, 5 e  114  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione
dell'art. 5, comma 1, lettera b), della legge costituzionale n. 1 del
2012 
    1. Con il primo motivo di ricorso si censura l'art. 2,  comma  1,
lettera c),  della  legge  12  agosto  2016,  n.  164,  il  quale  ha
modificato il comma 5 dell'art. 10, legge n. 243/2012. 
    L'art. 10 cit., prima della modifica, prevedeva che: 
    «1. Il ricorso all'indebitamento  da  parte  delle  regioni,  dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane e  delle  province
autonome di Trento e di  Bolzano  e'  consentito  esclusivamente  per
finanziare spese di  investimento  con  le  modalita'  e  nei  limiti
previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato. 
    2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono
effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento
di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei  quali
sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte  sui  singoli
esercizi finanziari futuri nonche' le modalita'  di  copertura  degli
oneri corrispondenti. 
    3. Le  operazioni  di  indebitamento  di  cui  al  comma  2  sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano,  per  l'anno  di  riferimento,  l'equilibrio  della
gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali  della
regione interessata, compresa  la  medesima  regione,  come  definito
dall'articolo 9, comma 1, lettera a). A tal fine, ogni anno i comuni,
le province e le citta'  metropolitane  comunicano  alla  regione  di
appartenenza ovvero alla provincia autonoma di appartenenza,  secondo
modalita' stabilite con il decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri di cui al comma 5 del presente articolo, il saldo  di  cassa
di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a), che l'ente locale prevede
di  conseguire,  nonche'  gli  investimenti  che  intende  realizzare
attraverso  il  ricorso  all'indebitamento  o  con  i  risultati   di
amministrazione degli esercizi precedenti. Ciascun ente  territoriale
puo' in ogni caso ricorrere all'indebitamento nel limite delle  spese
per  rimborsi  di  prestiti  risultanti  dal  proprio   bilancio   di
previsione. 
    4.  Qualora,  in  sede  di   rendiconto,   non   sia   rispettato
l'equilibrio di cui al comma 3,  primo  periodo,  il  saldo  negativo
concorre alla determinazione dell'equilibrio della gestione di  cassa
finale dell'anno successivo del complesso degli  enti  della  regione
interessata, compresa la medesima regione, ed e'  ripartito  tra  gli
enti che non hanno rispettato il saldo previsto. 
    5.  Con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
adottato d'intesa con la Conferenza permanente per  il  coordinamento
della finanza pubblica, sono  disciplinati  criteri  e  modalita'  di
attuazione del presente articolo». 
    2. Il comma 5 di tale disposizione era  stato  impugnato  in  via
principale dinanzi a codesta Corte per tre distinte ragioni: 
        (i) per violazione  dell'art.  117,  comma  6,  Cost.,  nella
misura in  cui  affidava  allo  Stato  un  potere  di  adottare  atti
regolamentari  oltre   i   limiti   di   competenza   segnati   dalla
Costituzione; 
        (ii) per violazione dell'art. 5, comma 2, lettera  b),  legge
Costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, il quale assegna  ad  una  legge
ordinaria rinforzata (e non certo ad un decreto  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri)  la  disciplina  sull'indebitamento   delle
Regioni; 
        (iii) per violazione del principio di  leale  collaborazione,
in quanto prevedeva che il decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri fosse adottato d'intesa non con la Conferenza  Unificata  ma
con la Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo  in  modo
parziale e con esclusione delle Regioni. 
    3. Sul punto, con la sentenza n. 88 del 2014,  codesta  Corte  ha
rilevato che, seppur l'art. 5,  comma  2,  lettera  b),  della  legge
costituzionale n. 1 del 2012 «prevede l'adozione  di  una  disciplina
statale attuativa che non appare in alcun modo limitata  ai  principi
generali e che deve avere un contenuto eguale per tutte le autonomie»
e, pertanto, che «la circostanza che la normativa censurata abbia  un
contenuto dettagliato e il fatto che  sia  piu'  rigorosa  di  quella
contenuta negli statuti delle ricorrenti  non  comportano  violazione
del parametro costituzionale», la disposizione impugnata (il comma  5
cit.) risultava nondimeno in contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost.
e con l'art. 5, legge Cost. citata. 
    Per ricavare tale illegittimita', codesta Corte  ha  proceduto  a
verificare in concreto «l'ambito  operativo  del  decreto  in  parola
(decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10,  comma
5, cit.) e, in particolare, se  esso  abbia  un  contenuto  meramente
tecnico». Ed infatti, «se  e'  indubbiamente  corretto,  infatti,  il
rilievo delle ricorrenti, secondo cui la disciplina della materia  e'
affidata  dalla  legge  costituzionale  n.  1  del  2012  alla  legge
rinforzata, e' anche vero che la natura stessa dell'atto  legislativo
esclude che esso debba farsi carico di aspetti della  disciplina  che
richiedono solo apporti tecnici, cosicche' questa Corte ha  affermato
la legittimita' di un tal genere di  disciplina  con  riferimento  al
parametro di cui all'art. 117, sesto comma, Cost.  (sentenze  n.  139
del 2012 e n. 278 del 2010)». 
    In altre parole, la sentenza osservava che, vuoi in relazione  ai
limiti posti dell'art. 117, comma  6,  vuoi  in  relazione  a  quelli
fissati dal  rinvio  alla  legge  ordinaria  (oltretutto  rinforzata)
disposto dall'art. 5, comma 2,  lettera  b),  poteva  si'  concedersi
l'intervento in fase esecutiva  di  un  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; a patto, pero', che esso avesse un  contenuto
meramente   tecnico,   con   esclusione   di   qualsivoglia    potere
discrezionale. 
    Tale verifica e' stata quindi effettuata esaminando il comma 5 in
questione con riferimento agli altri commi del medesimo articolo  10,
al fine di individuare «l'effettivo spazio precettivo nel quale  esso
e' chiamato a muoversi». 
    4. Nell'ambito di tale verifica «in concreto»  codesta  Corte  ha
rilevato  la  legittimita'  della  disposizione  in   questione   con
riferimento  ai  commi  1  e  2  dell'art.  10   cit.,   trattandosi,
rispettivamente, di precetti che, in larga  parte,  non  richiedevano
«l'individuazione  di  criteri  e  modalita'  di  attuazione»  e  che
sembravano compatibili col predetto contenuto meramente  tecnico  del
decreto.  Pertanto,  rispetto  ad  essi,  nessun   concreto   compito
ulteriore veniva assegnato al decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri in questione. 
    Con riferimento, invece, ai commi 3 e  4,  la  valutazione  della
Corte  e'  stata  differente,  in  quanto  tali   commi   prevedevano
adempimenti per i quali il decreto del Presidente del  Consiglio  dei
ministri avrebbe avuto natura discrezionale e non soltanto tecnica. 
    In particolare, rispetto al comma 4, la  Corte  ha  rilevato  che
esso «disciplina, in caso di  mancato  rispetto  dell'equilibrio  del
bilancio regionale allargato, la ripartizione del saldo negativo  tra
gli enti territoriali inadempienti, e in  questo  ambito  il  decreto
potrebbe  intervenire  a  specificare  i  criteri  di   riparto.   La
definizione del suo compito in termini cosi'  ampi  (l'individuazione
di "criteri e  modalita'  di  attuazione")  potrebbe  qui  comportare
l'esercizio di un potere tanto di natura meramente tecnica, quanto di
natura discrezionale. Per evitare tale ultima evenienza e quindi  per
ricondurre a legittimita' costituzionale  la  norma  impugnata,  deve
essere riservato al decreto un compito attuativo meramente tecnico». 
    La sentenza ha cosi' concluso che «per ricondurre a  legittimita'
costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato  al  decreto
un compito attuativo  meramente  tecnico»  ed  ha  pertanto  rilevato
l'illegittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 10 «nella parte
in cui non prevede la parola "tecnica", dopo  le  parole  "criteri  e
modalita'  di  attuazione"  e  prima  delle  parole   "del   presente
articolo"». 
    Ci si trovava al cospetto dunque di una sentenza additiva, con la
quale si censurava (e si integrava) l'omissione del  legislatore  per
non aver specificato che il decreto del Presidente del Consiglio  dei
ministri  avrebbe  potuto  dettare  criteri  e  modalita'   attuative
unicamente di natura tecnica. 
    5. Nonostante la norma risultasse cosi' emendata dalla violazione
costituzionale, il legislatore e'  intervenuto  con  le  disposizioni
oggi impugnate, le quali, modificando i commi 3, 4 e 5, finiscono per
perpetuare sostanzialmente la medesima illegittimita'  costituzionale
gia' rilevata. 
    Infatti,  il  nuovo  art.  10,  legge  n.  243/2012,   modificato
dall'art. 2 della legge n. 164/2016, prevede che: 
    «1. Il ricorso all'indebitamento  da  parte  delle  regioni,  dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane e  delle  province
autonome di Trento e di  Bolzano  e'  consentito  esclusivamente  per
finanziare spese di  investimento  con  le  modalita'  e  nei  limiti
previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato. 
    2. In attuazione del comma 1, le operazioni di indebitamento sono
effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento
di durata non superiore alla vita utile dell'investimento, nei  quali
sono evidenziate l'incidenza delle obbligazioni assunte  sui  singoli
esercizi finanziari futuri nonche' le modalita'  di  copertura  degli
oneri corrispondenti. 
    3. Le operazioni  di  indebitamento  di  cui  al  comma  2  e  le
operazioni  di  investimento  realizzate  attraverso  l'utilizzo  dei
risultati  di  amministrazione   degli   esercizi   precedenti   sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale
che garantiscano, per l'anno di riferimento, il rispetto del saldo di
cui all'articolo 9, comma 1, del complesso  degli  enti  territoriali
della regione interessata, compresa la medesima regione. 
    4. Le operazioni  di  indebitamento  di  cui  al  comma  2  e  le
operazioni  di  investimento  realizzate  attraverso  l'utilizzo  dei
risultati  di  amministrazione   degli   esercizi   precedenti,   non
soddisfatte dalle intese di cui al comma  3,  sono  effettuate  sulla
base dei patti di solidarieta' nazionali. Resta fermo il rispetto del
saldo di cui all'articolo  9,  comma  1,  del  complesso  degli  enti
territoriali. 
    5. Con decreto del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  da
adottare d'intesa con  la  Conferenza  unificata,  sono  disciplinati
criteri e modalita' di attuazione del presente articolo, ivi  incluse
le modalita' attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di
inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Balzano. Lo schema del decreto e' trasmesso  alle  Camere
per  l'espressione  del   parere   delle   commissioni   parlamentari
competenti per i profili di  carattere  finanziario.  I  pareri  sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il
decreto puo' essere comunque adottato». 
    6.  Come  si  vede,  il  nuovo  comma  5  mantiene  le   medesime
illegittimita' gia' censurate da codesta Corte. E cio'  non  soltanto
dal punto di vista formale, nella misura in cui non conserva piu'  la
specificazione del carattere meramente tecnico (e non  discrezionale)
del decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ritenuta
necessaria dalla sentenza n. 88 del 2014, ma anche dal punto di vista
sostanziale, sol che  si  compia  una  analisi  del  tipo  di  quella
effettuata con la sentenza n. 88/2014, ovvero una analisi nella quale
la natura (meramente tecnica ovvero anche discrezionale) del  decreto
del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  viene  verificata  in
relazione agli adempimenti ad esso riservati dai commi che precedono. 
    In questo senso, allora, si osserva che il nuovo comma 3  ha  si'
eliminato  ogni  specifico  e  diretto  riferimento  al  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui  al  comma  5  (ai  fini
della comunicazione del saldo di cassa e degli  investimenti  che  si
intendono realizzare). Tuttavia, lo stesso comma 5 prevede oggi - con
formula onnicomprensiva - che il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri deve disciplinare criteri e modalita' di  attuazione  di
tutti gli adempimenti previsti nell'articolo 10 e, dunque, ancora una
volta, anche i criteri e le modalita' per garantire il rispetto dello
stesso saldo di cassa di cui all'art. 9, comma 1, legge n. 243/2012. 
    Analogamente, il nuovo comma 4 elimina la previsione del  riparto
del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti,  con  cio'
apparentemente sanando l'illegittimita' rilevata  nella  sentenza  n.
88/2014. E tuttavia, nella misura in cui prevede che «resta fermo  il
rispetto del saldo di cui all'articolo  9,  comma  1,  del  complesso
degli  enti  territoriali»  sottintende  e  rimette  al  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri il compito di definire  criteri
e modalita' per garantire tale rispetto da parte della Regione. 
    Non si dimentichi quanto appena rimarcato: ai sensi del comma  5,
il decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  competenza
per l'attuazione di tutto l'articolo 10. Ed i commi 3  e  4,  benche'
novellati, conservano il riferimento ad adempimenti che implicano che
il decreto del Presidente del Consiglio  dei  ministri  eserciti  una
qualche potesta' di tipo discrezionale. 
    In cio' si manifesta anzitutto la violazione dell'art. 117, comma
6,  della  Costituzione  nella  parte  in  cui  la  disposizione   in
questione, ancora una volta, finisce  per  concedere  allo  Stato  di
adottare atti regolamentari in una materia concorrente  e  dunque  in
una  materia  nella  quale  la  potesta'  regolamentare  spetta  alle
Regioni. 
    Si aggiunga oltretutto che, come rilevato nella  stessa  sentenza
n. 88 del  2014  (par.  6),  la  (nuova)  materia  esclusiva  statale
dell'armonizzazione   dei   bilanci   pubblici   «non   puo'   essere
interpretata  cosi'  estensivamente  da   coprire   l'intero   ambito
materiale regolato dalla legge n. 243 del 2012», dovendosi ricondurre
in  particolare  la  disciplina  dell'indebitamento  delle  autonomie
territoriali al coordinamento della finanza pubblica. 
    Non solo. 
    E' evidente anche la violazione dell'art. 5, comma 2, lettera b),
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che assegna ad  una  legge
ordinaria rinforzata la disciplina sull'indebitamento delle  Regioni;
e non gia' ad un decreto del Presidente del  Consiglio  dei  ministri
che, come gia' rilevato da codesta Corte, in tanto puo'  trovare  qui
spazio, in quanto abbia un compito meramente attuativo-esecutivo,  di
natura meramente tecnica. 
    Infine, dal momento che il comma 5  conteneva  ormai  l'esplicito
riferimento alla natura tecnica del  decreto  grazie  alla  addizione
fatta dalla sentenza n.  88  del  2014,  il  fatto  che  la  volonta'
legislativa  trasfusa  nel  nuovo  comma  5  abbia  eliminato  questo
aggettivo sembra ancor piu' avallare l'interpretazione che al decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri si sia voluto assegnare, in
realta',  un  contenuto  che  va  oltre  questo  ristretto   confine;
riassegnando al regolamento un potere discrezionale. 
    7. Si vuole qui ancora precisare che la  rilevata  illegittimita'
non puo' certo dirsi sanata  dalla  previsione  che  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 10 comma 5 sia adottato
all'esito di Intese con la Conferenza  Unificata,  cosi'  modificando
l'originario tenore della disposizione, che si riferiva ad una intesa
da raggiungere in sede di Conferenza permanente. 
    Infatti   codesta   Corte,   nel   dichiarare    l'illegittimita'
costituzionale del comma 5  nella  sua  vecchia  formulazione,  aveva
ritenuto di poter prescindere da questo profilo,  affermando  che  la
previsione di un'intesa con la Conferenza  permanente  appariva  «una
garanzia procedimentale in se' sufficiente del  coinvolgimento  delle
autonomie». La violazione dell'art. 5, legge Cost. n.  1/2012  dunque
sussisteva - e sussiste ancora oggi -  per  il  solo  fatto  di  aver
riservato la disciplina attuativa sull'indebitamento delle Regioni ad
una fonte di natura regolamentare (non esplicitamente confinata entro
un ristretto contenuto tecnico),  anziche'  ad  una  legge  ordinaria
rinforzata. Questa illegittimita' non e' in alcun modo eliminata  per
via della comparsa della Conferenza unificata. 
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettere b)  e
c) della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione  del  principio
di leale collaborazione  e  con  esso  degli  artt.  5  e  114  della
Costituzione 
    1. Con il secondo motivo di ricorso si censura l'art. 4, comma 1,
lettere b) e c), della legge 12 agosto 2016,  n.  164,  il  quale  ha
modificato il comma 2, dell'art. 12, legge n. 243/2012 ed abrogato il
comma 3 del medesimo articolo. 
    Anche in questo caso, pare  opportuno  partire  dall'esame  della
vecchia formulazione dei commi 2 e 3 dell'art. 12, secondo cui: 
    «... 2. Nelle fasi favorevoli del ciclo economico, i documenti di
programmazione finanziaria e di bilancio, tenendo conto  della  quota
di  entrate  proprie  degli  enti  di  cui  al  comma  1  influenzata
dall'andamento  del  ciclo  economico,  determinano  la  misura   del
contributo  del  complesso   dei   medesimi   enti   al   Fondo   per
l'ammortamento dei titoli di Stato. Tale contributo e' incluso tra le
spese di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a). 
    3. Il contributo di cui al comma 2 e' ripartito tra gli  enti  di
cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
sentita la Conferenza permanente per il coordinamento  della  finanza
pubblica, tenendo conto della quota di  entrate  proprie  di  ciascun
ente influenzata dall'andamento del ciclo economico.  Lo  schema  del
decreto e' trasmesso alle Camere  per  l'espressione  del  parere  da
parte  delle  Commissioni  competenti  per  i  profili  di  carattere
finanziario.  I  pareri  sono  espressi  entro  trenta  giorni  dalla
trasmissione,  decorsi  i  quali  il  decreto  puo'  essere  comunque
adottato». 
    Risulta chiaro che il comma 2, dell'art.  12,  prevedeva  che  la
misura complessiva del contributo delle Regioni e degli  Enti  locali
al Fondo per l'Ammortamento dei titoli di Stato fosse determinato con
legge dello  Stato.  A  sua  volta,  il  comma  3  stabiliva  che  la
ripartizione fra gli Enti  interessati  di  tale  contributo  sarebbe
avvenuta con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
sentita la Conferenza permanente. 
    2.  Proprio  il  comma  3  appena  citato  e'  stato  oggetto  di
impugnazione dinanzi a codesta Corte per violazione del principio  di
leale collaborazione, nella misura in cui prevedeva  che  il  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri fosse adottato  sentita  la
Conferenza permanente, anziche' d'intesa con la Conferenza unificata. 
    Con la pronuncia dianzi richiamata (la n. 88 del  2014),  codesta
Corte (al punto 10.3)  ha  ritenuto  sussistente  la  violazione  del
principio di leale collaborazione per via del  mancato  e  necessario
pieno coinvolgimento delle Regioni, affermando che «e' necessario, in
primo luogo, che il procedimento  si  svolga  nell'ambito  non  della
Conferenza permanente per il coordinamento  della  finanza  pubblica,
bensi' della Conferenza unificata, in modo da garantire a  tutti  gli
enti  territoriali  la  possibilita'   di   collaborare   alla   fase
decisionale. Ed e' anche necessario che tale collaborazione assuma la
forma dell'intesa, considerate l'entita' del sacrificio imposto e  la
delicatezza del compito cui la Conferenza e' chiamata». 
    Dunque, la Corte ha  concluso  che  «il  comma  3  dell'art.  12,
pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui prevede  che  "Il  contributo  di  cui  al  comma  2  e'
ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto  del  Presidente
del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente  per  il
coordinamento della finanza pubblica", anziche' "Il contributo di cui
al comma 2 e' ripartito tra gli enti di cui al comma  1  con  decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni"». 
    Si e' trattato in questo caso di una  pronuncia  manipolativa  di
tipo  sostitutivo,  derivando  l'illegittimita'  della  norma   dalla
previsione  di  una  certa  prescrizione  anziche'  di  un'altra.  La
pronuncia conteneva in se' la decisione di incostituzionalita'  della
legge per quello che essa diceva e, al tempo  stesso,  una  decisione
aggiuntiva per quel che essa non diceva. 
    3. La nuova norma, per come risultante dalle modifiche  normative
oggetto di censura, abroga il comma 3 che era, appunto, oggetto della
sentenza sostitutiva, mantenendo tuttavia  inalterata  la  violazione
del principio di leale collaborazione gia' rilevato da codesta Corte. 
    Il nuovo comma 2, invero, prevede oggi che «Fermo restando quanto
previsto dall'articolo 9, comma 5, gli enti di cui al comma 1, tenuto
conto dell'andamento del ciclo economico, concorrono  alla  riduzione
del debito del complesso delle amministrazioni  pubbliche  attraverso
versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli  di  Stato  secondo
modalita' definite con legge dello Stato, nel rispetto  dei  principi
stabiliti dalla presente legge». In altre parole, la norma stabilisce
che  le  Regioni  concorrono  alla   riduzione   del   debito   delle
Amministrazioni con versamenti al Fondo da effettuarsi con  modalita'
definite  con  legge  dello  Stato.  Legge  che  ha  oggi  un   ruolo
onnicomprensivo perche' assorbe anche i compiti  prima  assegnati  al
decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  relativi  ai
criteri di ripartizione gia' oggetto delle valutazioni della sentenza
n. 88 del 2014. 
    4. Ora, pur potendosi apparentemente ritenere che la norma  abbia
introdotto elementi rilevanti per mettere in dubbio  l'illegittimita'
costituzionale, avendo affidato la  definizione  delle  modalita'  di
riparto ad una legge dello Stato, anziche' al decreto del  Presidente
del Consiglio dei ministri, cio' non  elimina  affatto  il  ripetersi
della violazione. 
    Ed infatti, l'aver previsto che  sia  una  legge  dello  Stato  a
definire tali aspetti non e' di per  se'  dirimente,  atteso  che  la
stessa legge dello Stato verra' adottata senza  alcun  coinvolgimento
delle Regioni e, dunque, in perpetrata violazione  del  principio  di
leale collaborazione. 
    La sentenza di  codesta  Corte,  per  cio'  che  riguarda  questo
profilo, non aveva appuntato la propria attenzione sul tipo di  fonte
utilizzata, bensi' sul fatto che le modalita' di riparto  avvenissero
senza una reale collaborazione Stato-Regioni. 
    Evidente  e'  dunque  la  violazione  del  principio   di   leale
collaborazione e con esso degli artt. 5 e 114 della  Costituzione  in
quanto  la  nuova  norma  perpetua   il   vizio   di   illegittimita'
costituzionale gia' rilevato da codesta  Corte  con  la  sentenza  n.
88/2014 (punto 10.3) nella parte in cui affida allo Stato il  compito
di definire le modalita' di  contribuzione  e  riparto,  senza  alcun
coinvolgimento delle Regioni. 
    Il tutto abrogando un comma che era stato  oggetto  di  pronuncia
sostitutiva da parte di  codesta  Corte  proprio  per  assicurare  il
rispetto delle prerogative regionali. 
    Di qui la denunciata illegittimita' costituzionale. 
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, lettera  a),
della legge 12 agosto 2016, n. 164, per violazione del  principio  di
leale  collaborazione  e  con  esso  degli  artt.  5  e   114   della
Costituzione 
    1.   Con   il   presente   motivo   si   impugna,   denunciandone
l'illegittimita' costituzionale, l'articolo 3, comma  1,  lettera  a)
della legge 12 agosto 2016, n. 164, col quale  e'  stato  interamente
sostituito il comma 1 dell'art. 11 della legge n. 243  del  2012,  il
cui tenore e' divenuto il seguente: «Fermo restando  quanto  previsto
dall'articolo 9, comma 5, e dall'articolo 12, comma 1, lo  Stato,  in
ragione dell'andamento del ciclo economico o al verificarsi di eventi
eccezionali, concorre al finanziamento dei livelli  essenziali  delle
prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti  civili
e sociali, secondo modalita' definite  con  leggi  dello  Stato,  nel
rispetto dei principi stabiliti dalla presente legge».  Questo  comma
oggi esaurisce il contenuto del medesimo art. 11, dato che gli  altri
due commi sono stati nel contempo  abrogati  dall'art.  3,  comma  1,
lettera b), della medesima legge n. 164 del 2016. 
    Nel suo tenore precedente l'art. 11, che pur esso  era  stato  in
parte scrutinato da codesta Corte nella richiamata sentenza n. 88 del
2014 (par. 10.1 e 10.2), disciplinava il funzionamento  di  un  Fondo
straordinario per il concorso dello Stato, per le  fasi  avverse  del
ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, da  destinare
al finanziamento dei livelli essenziali  delle  prestazioni  e  delle
funzioni  fondamentali  inerenti  ai  diritti   civili   e   sociali,
alimentato  da  quota  parte  delle  risorse  derivanti  dal  ricorso
all'indebitamento consentito dalla correzione  per  gli  effetti  del
ciclo economico  del  saldo  del  conto  consolidato.  Si  prevedeva,
altresi', nell'originario primo comma, il riferimento ad una quota di
entrate proprie degli enti territoriali «di cui  all'art.  10,  comma
1». Inoltre, dopo aver previsto nel  comma  2  un  raccordo  con  gli
obiettivi programmatici indicati all'art. 6, si aggiungeva al comma 3
che il riparto a favore degli enti territoriali sarebbe avvenuto  con
decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  sentita  la
Conferenza permanente per il coordinamento  della  finanza  pubblica,
tenendo  conto  della  quota  di  entrate  proprie  di  ciascun  ente
influenzata dall'andamento del ciclo economico e degli effetti  degli
eventi. 
    In altre parole, l'art. 11 della legge n. 243 del 2012 recava una
misura di accantonamento finanziario imperniata sull'azione  e  sulle
risorse dello Stato, evidentemente tenendo anche conto delle  entrate
proprie degli enti territoriali,  con  la  finalita'  di  tutelare  i
livelli essenziali delle prestazioni  e  l'esercizio  delle  funzioni
fondamentali inerenti ai diritti civili  e  sociali.  Una  finalita',
sottolineava oltretutto la sentenza n. 88 del 2014 (par.  10.2.)  che
non puo' andare disgiunta da quella che  attiene  alla  garanzia  del
rigore finanziario.  La  disposizione  si  saldava  cosi',  osservava
codesta Corte, con l'originario  testo  dell'art.  12,  rivelando  la
«connessione esistente fra i due  articoli»  e,  per  quanto  attiene
all'art. 11, essa era considerata una norma  «favorevole»  all'allora
ricorrente  Provincia  autonoma  di  Trento,  che  l'aveva  impugnata
esclusivamente per coerenza organica con le  censure  rivolte  contro
l'art. 12. 
    Ebbene,  la  modifica  introdotta  con  la  norma  qui  impugnata
modifica in modo profondo il contenuto dell'articolo. 
    In esso, ormai, la provvista  per  far  fronte  alla  tutela  dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali vede  unicamente  il
concorso dello Stato (lo Stato,  appunto,  concorre)  mentre  restano
viceversa fermi  e  appositamente  richiamati  ex  novo:  (i)  quanto
previsto dall'art. 9, comma 5, che prevede  la  facolta'  statale  di
imporre ulteriori obblighi a carico  degli  enti  territoriali;  (ii)
quanto previsto dall'art. 12, comma 1, che  ribadisce  il  necessario
concorso degli enti territoriali ad assicurare la sostenibilita'  del
debito  del  complesso  delle  amministrazioni   pubbliche,   secondo
modalita' definite con legge dello Stato. 
    Pertanto, in luogo del Fondo a cura dello Stato compare nell'art.
11 il piu' blando concorso statale, in una con la rivendicazione  del
potere  dello  Stato  stesso  di  imporre  agli   enti   territoriali
rilevantissimi oneri finanziari. 
    Se  pure  le  finalita'  solidaristiche   che   sono   prese   in
considerazione da questa riforma possano  richiedere,  anche  per  la
specifica  funzione  dell'art.  11,  un  sacrificio  delle  autonomie
territoriali  e  l'incidenza  sulla   loro   autonomia   finanziaria,
nondimeno risulta evidente  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione, e con esso, degli artt. 5 e 114 Cost., nella parte in
cui non prevedono il loro  coinvolgimento  nelle  relative  decisioni
sulla provvista  da  assicurare  per  provvedere  alla  garanzia  dei
livelli  essenziali  e  delle  funzioni  fondamentali  (Corte  cost.,
sentenze n. 139 del 2012; n. 165 del 2011; ed ovviamente  n.  88  del
2014). 
    Questa illegittimita'  costituzionale  sussiste  per  almeno  tre
concorrenti profili. 
    In primo luogo, per la parte in cui  non  e'  stato  previsto  il
coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome e delle  altre
autonomie nella forma di una previa intesa in Conferenza unificata, o
quantomeno di un parere,  per  cio'  che  attiene  all'individuazione
della misura dell'accantonamento e/o della provvista da  destinare  a
questa  finalita'.  Il  che,  oltretutto,  genera  anche   gravissime
inefficienze e disfunzioni sull'ordine delle competenze, dal  momento
che le Regioni, specialmente per le funzioni da esse svolte nel campo
sanitario, hanno la visione e la disponibilita' di  dati  conoscitivi
ed elementi di valutazione che sono cruciali per calibrare  l'entita'
dei livelli essenziali e  delle  funzioni  fondamentali.  Essenziale,
quindi, sarebbe stato prevedere l'intesa o quantomeno  un  parere  da
acquisire nella sede della Conferenza unificata. 
    In  secondo  luogo,   l'imposizione   di   questi   obblighi   di
contribuzione delle Regioni e degli enti territoriali  (e  quindi  la
fissazione del  loro  importo  totale),  lapidariamente  fondati  sul
richiamo all'art. 9, comma 5 ed all'art. 12, comma 1, della  medesima
legge  n.  243  del  2012,  genera  una  compressione  dell'autonomia
finanziaria tale che potrebbe giustificarsi, ancora una  volta,  solo
rispettando il principio di  leale  collaborazione  e  quindi  previa
intesa in sede di Conferenza unificata. 
    In terzo luogo, il rispetto del principio di leale collaborazione
avrebbe dovuto altresi' essere  garantito  per  quanto  attiene  alla
scelta  -  comunque  necessaria,  benche'   non   esplicitata   nella
disposizione - di come ripartire l'onere del concorso  finanziario  a
carico degli enti territoriali. Possono ancora una volta  richiamarsi
in proposito le considerazioni svolte da codesta Corte nella sentenza
n.  88  del  2014,  a   proposito   della   rilevata   illegittimita'
costituzionale del testo originario  dell'art.  12,  comma  3,  della
legge n. 243 del 2012. Il necessario  e  pieno  coinvolgimento  delle
Regioni richiede allora sia un previo  passaggio  procedimentale  che
coinvolga la Conferenza unificata sia una collaborazione  che  assuma
la forma dell'intesa. 
    Per questi motivi, Regione Lombardia chiede  che  sia  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il  ricorso
e per l'effetto,  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  degli
artt. 2, comma 1, lettera c); 3, comma 1, lettera  a);  4,  comma  1,
lettere b)  e  c)  della  legge  12  agosto  2016,  n.  164,  recante
«Modifiche alla legge  24  dicembre  2012,  n.  243,  in  materia  di
equilibrio dei bilanci  delle  Regioni  e  degli  Enti  Locali»,  per
violazione  dell'articolo  117,  sesto  comma,  della   Costituzione,
nonche' per violazione dell'art. 5, comma 1, lettera b), della  legge
costituzionale n. 1 del 2012, e del principio di leale collaborazione
e con esso degli artt. 5,  114  e  117  della  Costituzione,  per  le
ragioni sopra esposte. 
    Si produce la delibera di  Giunta  Regionale  n.  X/5743  del  24
ottobre 2016 (doc. 1). 
        Roma, addi' 27 ottobre 2016 
 
                         Prof. avv. Cintioli