N. 260 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 2016

Ordinanza del 26 aprile 2016 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il Lazio sul ricorso proposto da Nardelli Assunta contro  Azienda
ASL Roma C. 
 
Impiego pubblico -  Giurisdizione  nelle  controversie  di  lavoro  -
  Controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto
  di  lavoro  anteriore  al  30  giugno  1998  -  Attribuzione   alla
  giurisdizione  del  giudice  amministrativo  soltanto  qualora   le
  relative azioni siano state proposte, a pena di decadenza, entro il
  15 settembre 2000. 
- Decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165   (Norme   generali
  sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze  delle  amministrazioni
  pubbliche), art. 69, comma 7. 
(GU n.52 del 28-12-2016 )
 
         IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                       (Sezione Terza Quater) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  9329  del  2007,  proposto  da  Nardelli  Assunta,
rappresentata e difesa dagli avv. Salvatore Scala e Sabatino Rainone,
coi quale ha eletto domicilio in Roma, via  Ottaviano  n.  9,  presso
S.G.E. - Studio giuridico economico; 
    Contro Azienda USL Roma C, in persona del  legale  rappresentante
p.t., rappresentata e difesa dagli  avvocati  Barbara  Bentivoglio  e
Gabriella Mazzoli, con domicilio eletto presso questi in Roma,  viale
dell'Arte n. 68; 
    Per l'accertamento della responsabilita'  dell'Azienda  convenuta
nella causazione dell'infortunio sul lavoro subito  dalla  ricorrente
il 2 luglio 1997 e per il risarcimento dei danni patrimoniali  e  non
patrimoniali dalla stessa patiti; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda USL Roma C; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2016 il dott.
Alfredo Storto e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
verbale; 
    1.  La  ricorrente  ha  adito  questo  Tribunale   chiedendo   il
risarcimento dei danni subiti per un c.d. «infortunio in itinere». 
    1.1. Ha allegato a tale fine: 
    a) di essere dipendente a tempo determinato dell'AUSL Roma C (poi
ASL Roma C) sin dal 20 giugno 1997  con  la  qualifica  di  operatore
professionale, prima categoria, collaboratore infermiere; 
    b) che, il 2 luglio 1997, mentre percorreva  la  via  Palombarese
per raggiungere la propria abitazione di ritorno dal posto di lavoro,
era rimasta vittima di un incidente stradale, nel quale,  perduto  il
controllo della propria autovettura, era uscita fuori strada  andando
a sbattere contro un albero e riportando numerose lesioni  fisiche  a
causa delle quali, soltanto il 2 settembre 1997,  era  stata  dimessa
dall'Ospedale CTO; 
    c) di aver ottenuto dal Giudice del lavoro del Tribunale di  Roma
una  sentenza  (6  febbraio  2002,   n.   3932)   che,   riconosciuto
l'infortunio in itinere, aveva condannato  l'INAIL  a  corrisponderle
per quei fatti una rendita per malattia professionale per  infortunio
sul lavoro, commisurata ad una inabilita' permanente del  32%,  oltre
interessi e rivalutazione; 
    d) che, con un ulteriore  ricorso  notificato  l'8  luglio  2002,
aveva adito il giudice del lavoro del Tribunale di Roma agendo contro
la  predetta  AUSL  per  il  risarcimento  del  danno  biologico,  da
liquidarsi in €  64.702,72,  o  nella  maggiore  o  minore  somma  di
giustizia, oltre rivalutazione monetaria  ed  interessi  sulle  somme
rivalutate, da riconoscerle in quanto effetto  dell'inadempienza  del
datore di lavoro agli obblighi  imposti  dall'art.  2087  del  codice
civile; 
    e) che il predetto Tribunale, con sentenza del 9 ottobre 2002, n.
33018,  accogliendo  un'eccezione  formulata  in  tal   senso   dalla
convenuta AUSL, aveva declinato la propria giurisdizione, sussistendo
quella del  giudice  amministrativo,  in  conseguenza  della  opzione
manifestata in ricorso per la responsabilita' contrattuale del datore
di lavoro  il  quale,  in  tesi,  avrebbe  serbato  un  comportamento
violativo degli obblighi contrattuali, imponendo un orario di  lavoro
massacrante. 
    1.2. Quindi,  con  l'atto  introduttivo  del  presente  giudizio,
notificato alla controparte pubblica il 12 ottobre 2007 e  depositato
nella  segreteria  il  successivo  8  novembre  2007,  la  ricorrente
riproponeva la controversia dinanzi a questo Tribunale, deducendo  la
violazione da  parte  dell'Azienda  sanitaria  locale  Roma  C  degli
obblighi scaturenti dall'art. 2087  del  codice  civile,  per  averle
imposto dei turni massacranti di lavoro nel precedente giorno del  1°
luglio 1997 (ore 6,40-22,45) e il  2  luglio  1997  (ore  6,40-14,30)
giorno nel quale, di ritorno a casa dal posto di lavoro alla fine  di
tale turno e nell'obbligato percorso verso la propria residenza  sita
in Mentana, alle 15.20, sulla via Palombarese perdeva come  detto  il
controllo della macchina che, uscita di  strada,  andava  a  sbattere
contro un albero. La ricorrente veniva  quindi  portata  all'Ospedale
Sandro Pertini di Roma dove le  venivano  riscontrate  gravi  lesioni
fisiche (trauma toracico, frattura 1ª e 2ª costola, astragalo,  radio
e ulna sx, contusioni,  sfondamento  acetabolo,  sospetta  lussazione
anca sx) ed era formulata una  prognosi  di  novanta  giorni;  veniva
successivamente sottoposta a interventi chirurgici e  dimessa  il  10
luglio 1997 per essere poi ricoverata al  CTO  e  da  li'  nuovamente
dimessa solo il 2 settembre 1997. 
    1.3. La ricorrente, ritenuti sussistenti tutti i presupposti  per
raccoglimento della  domanda  risarcitoria  (tra  i  quali  il  nesso
eziologico e la violazione  dell'art.  2087  del  codice  civile,  la
necessita' dell'uso del veicolo privato,  il  sinistro  avvenuto  nel
percorso obbligato lavoro-casa in orario strettamente  conseguente  a
quello di fine turno) e di aver assolto l'onere probatorio su di  lei
gravante, chiedeva la condanna dell'ASL  al  risarcimento  del  danno
biologico permanente (€ 135,709,55) e temporaneo  (€  7.228,80),  del
danno  patrimoniale  (€  162.617,95),  di  quello   esistenziale   (€
100.000,00) e del danno morale soggettivo (€ 50.879,27). 
    2.  Ha  resistito  l'Azienda  USL  Roma  C  eccependo,   in   via
pregiudiziale, il «difetto di giurisdizione» del  g.a.  ex  art.  45,
comma 17, del decreto legislativo n. 80/1998 e, in via preliminare di
merito,  la  prescrizione  dei  crediti  azionati,   nonche'   infine
l'infondatezza del ricorso per carenza del nesso di  causalita',  con
richiesta di chiamata in garanzia di  Assitalia  -  Le  Assicurazioni
d'Italia. 
    La ricorrente ha effettuato ulteriori produzioni documentali e ha
depositato una memoria difensiva. 
    3. All'udienza del 13 aprile 2016, per come risulta dal  relativo
verbale, la Sezione ha trattenuto la causa  in  decisione  dopo  aver
avvisato, ai  sensi  dell'art.  73,  comma  3,  codice  del  processo
amministrativo, le parti comparse in ordine alla sussistenza  di  una
questione di ricevibilita' del ricorso alla luce dell'art. 69,  comma
7, del decreto legislativo n. 165/2001. 
    4. Quanto alla rilevanza della questione che viene sollevata  con
questa ordinanza, ritiene  infatti  il  collegio  che,  nel  caso  di
specie, debba essere fatta applicazione di tale ultima norma la quale
- sul punto in termini non  sostanzialmente  innovativi  rispetto  al
comma 1.7 dell'art. 45 del decreto legislativo n. 80/1998  -  dispone
testualmente che «Sono attribuite al giudice ordinario,  in  funzione
di giudice del  lavoro,  le  controversie  di  cui  all'art.  63  del
presente decreto, relative  a  questioni  attinenti  al  periodo  del
rapporto di lavoro successivo al  30  giugno  1998.  Le  controversie
relative a questioni attinenti al  periodo  del  rapporto  di  lavoro
anteriore a tale data restano attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a  pena
di decadenza, entro il 15 settembre 2000». 
    4.1. Secondo la giurisprudenza consolidata  delle  Sezioni  unite
della Cassazione, ai fini del riparto  di  giurisdizione  di  cui  al
citato disposto occorre, nello  specifico,  aver  riguardo  ai  fatti
materiali  o  ai  provvedimenti  della  cui  giuridica  rilevanza  si
discute, ossia ai fatti o a provvedimenti sui quali si  fonda,  o  da
cui dipende, la pretesa dedotta in giudizio  (cfr.  Cass.  SS.UU.  21
giugno 2010, n. 14895; 15 aprile 2010, n. 8984;  11  marzo  2008,  n.
6418); sicche' secondo la Cassazione, se la lesione del  diritto  del
lavoratore e' prodotta da un atto provvedimentale  o  negoziale  deve
farsi riferimento all'epoca della sua emanazione, mentre  qualora  la
pretesa abbia origine, come nella fattispecie,  da  un  comportamento
illecito del datore di lavoro,  deve  farsi  riferimento  al  momento
della realizzazione del fatto dannoso (cfr Cass. SS.UU.  24  febbraio
2000, n. 41). 
    4.2. Cio' premesso, nel caso di specie e' emerso che il  sinistro
stradale e' avvenuto in data 2 luglio 1997, mentre il ricorso con  il
quale il ricorrente ha manifestato per  la  prima  volta  la  propria
pretesa risarcitoria dinanzi all'autorita'  giurisdizionale  (giudice
del lavoro del Tribunale di Roma) - al quale occorre far risalire gli
effetti sostanziali e  processuali  della  domanda  introduttiva  del
presente giudizio in base al principio  della  conservazione  di  cui
alla c.d. traslatio iudicii - risale alla data dell'8 luglio 2002,  e
quindi ben oltre il giorno fissato dal legislatore nel  15  settembre
2000 a pena di decadenza (cfr. su caso analogo Tar Sicilia - Catania,
sent. 13 febbraio 2015, n. 459). 
    5.  Peraltro,  la  norma  in  questione  e'  ormai  costantemente
interpretata, sia dalla Cassazione sia dal Consiglio  di  Stato,  nel
senso che la scadenza del termine  del  15  settembre  2000  preclude
definitivamente alla parte la possibilita' di far valere  il  diritto
dinanzi ad un giudice (cfr. SS.UU. 30  gennaio  2003,  n.  1511  e  3
maggio 2005, n. 9101, nonche' Ad. plen. 2 febbraio 2007, n. 4). 
    5.1.  Questo  orientamento,  per  la  verita',  e'   gia'   stato
sottoposto al vaglio della Corte costituzionale che non l'ha ritenuta
in contrasto: 
    a) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto «la  disparita'  di
trattamento tra i dipendenti privati e quelli  pubblici,  soggetti  -
relativamente ai diritti sorti anteriormente alla data del 30  giugno
1998 - ad un termine di decadenza,  e'  ragionevolmente  giustificata
dall'esigenza di contenere gli effetti, temuti dal  legislatore  come
pregiudizievoli   per   il   regolare   svolgimento    dell'attivita'
giurisdizionale,  prodotti   dal   trasferimento   della   competenza
giurisdizionale al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di
tale competenza in capo ai tribunali amministrativi, ed in quanto  e'
ampia la discrezionalita' del legislatore nell'operare le scelte piu'
opportune, purche' non manifestamente irragionevoli e arbitrarie, per
disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo»; 
    b) con l'art. 24 della Costituzione,  «dal  momento  che,  da  un
lato, non e' certamente ingiustificata la previsione di un termine di
decadenza e, dall'altro lato, tale termine (di oltre  ventisei  mesi)
non e' certamente tale da rendere oltremodo  difficoltosa  la  tutela
giurisdizionale» (cfr., tra le altre, ord. n. 382 del 2005). 
    5.2. Tuttavia, rileva questo Tribunale,  conformemente  a  quanto
considerato dalle Sezioni unite della  Corte  di  cassazione  con  la
recente ordinanza di rimessione 8 aprile 2016, n.  6891,  che  queste
conclusioni si rivelano oggi in contrasto con il principio  declinato
dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo,  secondo
l'interpretazione  datane  dalla  Corte  EDU  di  Strasburgo  con  le
sentenze del 4 febbraio 2014 rese nel caso Mottola e altri C.  Italia
(29932/07) e nel caso Staibano e  altri  C.  Italia  (29907/07),  nel
senso che la legge italiana, nel fissare la  decadenza  prevista  dal
richiamato art.  69,  comma  7,  pone  un  ostacolo  procedurale  che
costituisce una sostanziale negazione del diritto invocato ed esclude
un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco. 
    In particolare, in quelle pronunce la Corte di Strasburgo,  preso
atto    dell'evoluzione    giurisprudenziale,    sia    civile    sia
amministrativa, nell'interpretazione della norma  in  parola  (in  un
primo momento orientatasi nel senso di ritenere  che  i  ricorsi  per
questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro anteriore al  30
giugno 1998, dopo il  15  settembre  2000,  avrebbero  dovuto  essere
proposti non al giudice amministrativo, ove operava la decadenza,  ma
al giudice  ordinario,  in  modo  da  garantire  la  fruizione  della
giurisdizione, e successivamente evolutasi nel senso che la decadenza
comminata aveva carattere sostanziale,  con  il  conseguente  difetto
assoluto di giurisdizione e la  definitiva  perdita  del  diritto  di
coloro  che  non  avessero  agito  prima  del  15  settembre   2000),
considerava il difetto di un  giusto  equilibrio  tra  gli  interessi
pubblici e privati in gioco, cosicche' la decisione del Consiglio  di
Stato,  nel  ritenere  realizzata  la  decadenza  aveva   privato   i
ricorrenti della legittima aspettativa  di  vedere  riconosciuto,  in
quel caso, il  loro  diritto  al  trattamento  previdenziale.  Tenuto
inoltre conto che il diritto  a  pensione,  pur  dando  luogo  ad  un
credito prestazione, avrebbe costituito un  bene  della  persona  ove
stabilmente riconosciuto, la Corte riteneva violati l'art.  6,  comma
1, della Convenzione e l'art. 1 del Protocollo aggiuntivo n. 1. 
    5.3. Rileva in  proposito  il  collegio  come,  a  seguito  delle
pronunce della Corte EDU, i ricorrenti in quei processi abbiano adito
il Consiglio di Stato chiedendo a quel giudice di prendere atto della
sentenza della Corte europea per i diritti umani  e  da  essa  trarre
tutte le conseguenze che, nell'ordinamento italiano, ne  derivano  ai
sensi  dell'art.  117,  primo   comma,   della   Costituzione,   come
interpretato dalla Corte costituzionale e, in conformita' al  sistema
di tutela dei diritti convenzionali previsto come interpretato  dalla
Corte  europea,  di  essere  rimessi  nei  termini   di   legge   con
applicazione dell'art. 45, comma 17, del decreto  legislativo  n.  80
del 1998, oggi art. 69, comma 7, del testo unico n.  165/2001,  nella
sola  interpretazione  resa  possibile  dalla  sentenza  della  Corte
europea,  e  cioe'   nel   senso   della   perdurante   giurisdizione
amministrativa, delle controversie riguardanti vicende  del  pubblico
impiego, precedenti  la  traslazione  della  giurisdizione  (cfr.  la
ricostruzione in fatto di Ad. plen. n. 5 del 2015 che, per parte sua,
ha rimesso alla Consulta la questione di costituzionalita'  dell'art.
106 del codice del processo amministrativo e degli articoli 395 e 396
del codice di procedura civile, in relazione agli articoli 117, primo
comma, 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non  prevedono
un diverso  caso  di  revocazione  della  sentenza  quando  cio'  sia
necessario, ai sensi dell'art. 46,  paragrafo  1,  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  per
conformarsi ad  una  sentenza  definitiva  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo). 
    5.4. Ora, essendo l'evidente  contrasto  tra  norma  nazionale  e
norma convenzionale insuperabile in sede interpretativa,  in  ragione
della  ormai   consolidata   interpretazione   sopra   riferita   che
costituisce diritto vivente, viene in rilievo la  questione  relativa
ad un insanabile contrasto della norma di cui all'art. 69,  comma  7,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 con l'art.  117,  primo
comma, della Costituzione nella parte in cui prevede che la  potesta'
legislativa sia esercitata dallo Stato nel  rispetto  degli  obblighi
internazionali,  quale  l'obbligo   assunto   con   l'adesione   alla
Convenzione EDU, ratificata e posta in  esecuzione  con  la  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    5.5. Di fronte a tale dubbio il giudice e' tenuto a risolvere  il
contrasto   sollevando    apposita    questione    di    legittimita'
costituzionale della disposizione  di  legge,  in  ragione  del  noto
principio piu' volte affermato dalla  Corte  costituzionale,  secondo
cui le norme della Convenzione, cosi' come interpretate  dalla  corte
di Strasburgo,  assumono  rilevanza  nell'ordinamento  interno  quali
norme interposte, assumendo esse un'efficacia intermedia tra legge  e
Costituzione, idonea a  dare  corpo  agli  «obblighi  internazionali»
costituenti parametro normativo cui l'art. 117,  primo  comma,  della
Costituzione ricollega l'obbligo di conformazione (vedi  le  sentenze
numeri 348 e 349 del 2007, nonche' Ad. Plen. n. 2 del 2015). 
    6. In conclusione, e' rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma  7,  del
decreto legisaltivo, 30 marzo 2001, n. 165, per contrasto con  l'art.
117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede  che
le  controversie  relative  a  questioni  attinenti  al  periodo  del
rapporto di lavoro anteriore al 30  giugno  1998  restano  attribuite
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo  qualora
siano state proposte, a pena di  decadenza,  entro  il  15  settembre
2000. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione terza
quater), visti l'art. 134 della Costituzione, l'art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
1953, n. 87, art. 23: 
    - dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di costituzionalita', dell'art. 69, comma 7, del decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 163, in relazione all'art. 117, primo comma,  della
Costituzione, nella parte in cui prevede che le controversie relative
a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore  al
30 giugno 1998 restano attribuite alla  giurisdizione  esclusiva  del
giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a  pena  di
decadenza, entro il 15 settembre 2000; 
    - dispone la  sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina  la
trasmissione  di  questa  ordinanza   e   degli   atti   alla   Corte
costituzionale; 
    -  ordina  che,   a   cura   della   segreteria   del   tribunale
amministrativo, la presente ordinanza sia notificata  alle  parti  in
causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; 
    - riserva al definitivo ogni altra decisione. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  13
aprile 2016 con l'intervento dei magistrati: 
    Giuseppe Sapone, Presidente; 
    Pierina Biancofiore, consigliere; 
    Alfredo Storto, consigliere, estensore. 
 
                        Il Presidente: Sapone 
 
 
                                                  L'estensore: Storto