N. 21 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2016
Ordinanza del 22 luglio 2016 del Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Iannace Carlo contro Presidenza del Consiglio dei ministri e Todisco Francesco. Elezioni - Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi - Previsione che sono sospesi di diritto dalla carica di consigliere regionale coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per taluni delitti. - Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), art. 8, comma 1, lett. a); legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione) [recte: decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235], art. 7, comma 1, lett. c), in relazione all'art. 8, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235.(GU n.9 del 1-3-2017 )
TRIBUNALE DI NAPOLI I Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, nella persona dei Magistrati: dott. Carlo Imperiali - Presidente; dott. Raffaele Sdino - Giudice rel.; dott.ssa Angela Arena - Giudice, riunito in Camera di consiglio, all'esito della riserva espressa all'udienza del 15 luglio 2016; ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa civile iscritta al n. 16927 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2016 avente ad oggetto: contenzioso elettorale nonche' nel giudizio cautelare in corso di causa rubricato al n. 16927-1/2016, tra Carlo Iannace, elettivamente domiciliato in Napoli alla via Peppino Impastato n. 19 presso lo studio dell'avv. Raffaele Anatriello unitamente agli avv.ti Giacomo Papa e Anton Giulio Giallonardi i quali lo rappresentano e difendono in virtu' di procura a margine del ricorso, ricorrente; e Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del legale rapp.te in carica pro tempore rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli presso cui domicilia ope legis in Napoli alla via Armando Diaz n. 11, resistente; e Francesco Todisco, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Enrico Soprano il quale lo rappresenta e difende in virtu' di procura agli atti unitamente all'avv. Marco Longobardi, interventore; nonche' il pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli in persona del Sostituto procuratore delle Repubblica dott.ssa Valeria Gonzalez y Reyero, interventore ex lege; letto il ricorso ex art. 22 decreto legislativo n. 150/2011 ed art. 702-bis c.p.c. presentato nell'interesse di Carlo Iannace con il quale il ricorrente ha chiesto: «accertare e dichiarare sussistente, previa rimessione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 1, decreto legislativo n. 235/2012 alla Corte costituzionale e previa disapplicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2016 e/o annullamento dello stesso, il diritto del ricorrente a svolgere le funzioni di consigliere regionale;» letto il successivo ricorso ex art. 700 codice di procedura civile, depositato il 1° giugno 2015 in corso di causa, con cui il ricorrente ha chiesto; a) «in via principale, di sospendere e/o disapplicare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2016 e conseguentemente reintegrare/conservare, con effetto immediato, il dott. Carlo Iannace nella carica di consigliere regionale con esercizio dei connessi poteri e funzioni, fino alla decisione del giudizio di merito; b) in via subordinata, di rimettere la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo n. 235/2012 alla Corte costituzionale e, medio tempore, sospendersi il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2016, con reintegrazione provvisoria del ricorrente nella carica di consigliere regionale, almeno fino alla prima udienza successiva alla decisione della Corte»; letta la comparsa di costituzione e risposta dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli e l'atto di intervento di Francesco Todisco; sentite le parti ed il pubblico ministero; Osserva Premesso che la presente ordinanza prende in esame sia la domanda di merito che quella cautelare, in via pregiudiziale, l'intervento di Francesco Todisco va ritenuto ammissibile avendo egli dedotto di essere stato nominato dal Consiglio regionale supplente del ricorrente. Va ricordato che sono legittimati all'azione elettorale, tra l'altro, anche i diretti interessati dovendosi con cio' intendere i titolari di diritti soggettivi (come i candidati non risultati eletti, e precisamente il primo di questi). Cio' premesso, il ricorrente ha invocato, a sostegno sia della domanda di merito che di quella cautelare, tre distinti profili in virtu' dei quali l'art. 8 del cit. decreto legislativo n. 235/2012 sarebbe costituzionalmente illegittimo: 1) in primo luogo, perche' la norma, nell'ancorare la sospensione dalla carica anche in caso di condanna con sentenza non definitiva, avrebbe disatteso il limite imposto dall'art. 1, comma 64, lettera m) della legge delega che, invece, disponeva che cio' sarebbe dovuto avvenire solo al momento dell'emissione di una sentenza definitiva di condanna; 2) in secondo luogo, la norma sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. poiche' determinerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra i consiglieri regionali ed i membri del Parlamento, per i quali non e' prevista alcuna ipotesi di sospensione, pur avendo entrambi funzioni legislative; 3) infine, la norma sarebbe viziata da incostituzionalita' per contrasto con gli articoli 122, comma 1, e 117 Cost. poiche' la legge statale sarebbe intervenuta su materia riservata alla competenza regionale. Sia ai fini del giudizio cautelare che di quello di merito, la decisione delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale e' decisiva in quanto non risulta possibile in nessun altro modo, dato il chiarissimo tenore letterale delle norme in commento, adottare un'interpretazione costituzionalmente orientata che sia risolutiva della fattispecie in esame. 1) Ritiene questo Collegio che non sia manifestamente infondata la prima delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate dal ricorrente ovvero l'illegittimita' dell'art. 8, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235 per contrasto con l'art. 1, comma 64 della legge delega n. 190/2012 (cfr. ordinanza di questo Tribunale del 22 luglio 2015 relativa al Presidente della Regione, confermata in sede di reclamo con ordinanza del 12-24 agosto 2015). Infatti, come e' noto, la legge delega attribuiva al Governo un potere di riordino delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire nuove cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi (art. 8 del disegno di legge). L'oggetto della delega al comma 63 prevedeva l'adozione di un testo unico in materia di incandidabilita' a cariche elettive e il divieto di assunzione di alcune cariche elettive e di Governo ed in entrambi i casi le disposizioni dovevano riguardare soggetti per i quali erano state pronunciata sentenze definitive di condanna. In aderenza a tale impostazione, il successivo comma 64 alla lettera m) delegava il Governo a disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza dal diritto dalle cariche in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica (recita testualmente la norma: «disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all'affidamento della carica»). Nei lavori preparatori della Camera l'art. 8 del progetto di legge 513, comma 2 lettere l) ed m) dettava disposizioni comuni ( «principi e criteri direttivi di carattere generale»). La lettera l), in particolare, prevedeva, in ossequio alle tecniche di redazione degli atti normativi, l'abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili con quelle recate nel testo di legge. Nella seconda (la lettera m) si legge: «disciplina le ipotesi di incandidabilita' sopravvenuta ossia il caso in cui la condanna definitiva per delitti non colposi che causa l'incandidabilita' o l'interdizione sopraggiunga in un momento successivo alla candidatura (in caso di cariche elettive) o all'affidamento della carica (in caso di cariche non elettive). Il principio di delega prevede che in questi casi si procede a sospensione o alla decadenza di diritto dalla carica. La disposizione non fornisce ulteriori dettagli in ordine ai casi in cui si applica l'una o l'altra delle fattispecie anche se sembrerebbe plausibile l'applicazione della sospensione in caso di cariche elettive (anche in relazione alla temporaneita' dell'incandidabilita' prevista dalle lettere a) e b) e di decadenza per le cariche non elettive (di governo)». Come ritenuto dalla Corte costituzionale: «La legge delegata e' una delle due forme eccezionali con cui si esercita il potere normativo del Governo. Il relativo procedimento consta di due momenti: nella prima fase il Parlamento con una norma di delegazione prescrive, i requisiti e determina la sfera entro cui deve essere contenuto l'esercizio della funzione legislativa delegata (art. 76); successivamente, in virtu' di tale delega, il potere esecutivo emana i "decreti che hanno forza di legge ordinaria" (art. 77, comma 1). Queste fasi si inseriscono nello stesso iter, e ricollegando la norma delegata alla disposizione dell'art. 76, attraverso la legge di delegazione, pongono il processo formativo della legge delegata, come una eccezione al principio dell'art. 70. La norma dell'art. 76 non rimane estranea alla disciplina del rapporto tra organo delegante, e organo delegato, ma e' un elemento del rapporto di delegazione in quanto, sia il precetto costituzionale dell'art. 76, sia la norma delegante costituiscono la fonte da cui trae legittimazione costituzionale la legge delegata. L'inscindibilita' dei cennati momenti formativi dell'atto avente forza di legge si evince anche dalla disposizione dell'art. 77, comma 1, secondo cui si nega al Governo il potere normativo, se non sia intervenuta la delegazione delle Camere: l'art. 76, fissando i limiti del potere normativo delegato, contiene una preclusione di attivita' legislativa, e la legge delegata, ove incorra in un eccesso di delega, costituisce il mezzo con cui il precetto dell'art. 76 rimane violato. La incostituzionalita' dell'eccesso di delega, traducendosi in una usurpazione del potere legislativo da parte del Governo, e' una conferma del principio, che soltanto il Parlamento puo' fare le leggi. Ne' per sottrarre le leggi delegate al controllo costituzionale si dica che, nella specie, mancherebbe il presupposto per la esistenza della controversia di legittimita' costituzionale; cioe' un contrasto diretto tra norma ordinaria e precetto costituzionale, in quanto soltanto tale contrasto potrebbe dar luogo ad un accertamento di conformita' o di divergenza costituzionale. Giacche' se di regola il rapporto di costituzionalita' sorge tra un precetto costituzionale e una legge ordinaria, non e' da escludere che, in piena aderenza al sistema, possa egualmente verificarsi una violazione di un precetto costituzionale, come per le leggi delegate, qualora nello esercizio del potere normativa eccezionalmente attribuito al Governo non siano osservati i limiti prescritti. Anche in siffatta ipotesi si verifica un caso di mancanza di potere normativa delegato, che non puo' fuggire al sindacato di questa Corte. La tesi opposta, che considera la legge delegante e la legge delegata, come leggi ordinarie, porterebbe a negare la competenza di questa Corte a conoscere di eventuali contrasti tra le due norme, attribuendone l'esame al giudice ordinario. Non puo' inoltre sostenersi che, considerando la norma delegata come provvedimento di esecuzione della legge delegante, le eventuali esorbitanze debbano essere conosciute dal giudice ordinario, al pari degli eccessi dei regolamenti esecutivi; perche', non trovandosi la legge delegata sullo stesso piano costituzionale del regolamento esecutivo, non si puo' relativamente ai vizi dell'atto avente forza di legge ordinaria negare la particolare piu' efficace tutela disposta dalla Costituzione. Sarebbe in contrasto col principio organizzativo posto a base della formazione delle leggi, negare per le leggi delegate, aventi anche esse carattere generale e che pur possono essere mancanti di elementi essenziali, sia la tutela costituzionale predisposta per le leggi del potere legislativo, sia la possibilita' di una decisione con efficacia erga omnes (art. 136 Costituzione). Pertanto non e' a dubitare, che la violazione delle norme strumentali per il processo formativo della legge nelle sue varie specie (articoli 70, 76, 77 Costituzione), al pari delle norme di carattere sostanziale contenute nella Costituzione, siano suscettibili di sindacato costituzionale: e che nelle "questioni di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge" (artt. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 comma 3 e 27 legge 11 marzo 1953, n. 87) vanno comprese le questioni di legittimita' costituzionale relative alle leggi delegate. Consegue che il sindacato e' devoluto sempre alla competenza della Corte costituzionale, ai sensi degli articoli 1 cit. legge costituzionale n. 1, 23 cit. legge 1953, n. 87: soltanto le decisioni della Corte costituzionale possono assicurare, con la certezza del diritto, la piena tutela del diritto del cittadino alla costituzionalita' delle leggi. Affermata sindacabilita' costituzionale della legge delegata, occorre precisare i rapporti tra legge delegante e legge delegata. La legge delegante va considerata con riferimento all'art. 76 della Costituzione, per accertare se sia stato rispettato il precetto che ne legittima il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro cui puo' essere conferito al Governo l'esercizio della funzione legislativa. Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in funzione di limite per lo sviluppo dell'ulteriore attivita' legislativa del Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale puo' essere emanata la legge delegata, di oggetti definiti, servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione si' da evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalita' che la determinarono: devono dall'altro consentire al potere delegato la possibilita' di valutare le particolari situazioni giuridiche della legislazione precedente, che nella legge delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la legge delegante non contiene, anche in parte, i cennati requisiti, sorge il contrasto tra norma dell'art. 76 e norma delegante, denunciabile al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo l'emanazione della legge delegata. Del pari si verifica un'ipotesi d'incostituzionalita', quando la legge delegata viola direttamente una qualsiasi norma della Costituzione (Corte costituzionale sentenza n. 3 del 1957).». In conclusione, il Governo, nel prevedere all'art 8 comma 1 del decreto legislativo n. 235/12 la sospensione di diritto dalle cariche indicate all'art. 7 comma 1) di coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dall'art. 7 comma 1 lettere a), b) e c), ha disatteso, come non avrebbe potuto fare, il limite imposto alla legge delega estendendo la sospensione anche alla diversa ipotesi della sentenza non definitiva di condanna, non previsto dalla legge delega. Come osservato nella ordinanza della Corte di appello di Bari del 27 gennaio 2014: «In altre parole il primo giudice e' incorso nella patente violazione dell'art. 12 delle preleggi, accedendo ad una lettura della norma assolutamente contraria ad un chiaro e inequivoco dettato che demandava al legislatore il compito (li disciplinare la sospensione di diritto solo in caso di sentenza definitiva di condanna. Il mandato non era ne' illogico ne' contradditorio atteso che il Parlamento, approvando il testo delle legge delega, aveva evidentemente condiviso le conclusioni rassegnate alla Commissione affari costituzionali dal relatore, che aveva sostenuto che la lettera m) del comma 64 dell'art. 1 riferiva la sospensione alle cariche elettive e la decadenza a quelle non elettive, come detta il tenore letterale della norma teste' trascritta. La portata della delega era pertanto chiara e manifesta e non era consentito al legislatore delegato di regolare la fattispecie in modo inconfutabilmente creativo secondo una logica diversa, certamente condivisibile e piu' aderente allo scopo generale che si intendeva perseguire, ma ben al di la' del mandato conferito dalla legge delega. Il legislatore delegato non poteva travalicare i limiti assegnabili». Non e' quindi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del comma 1 dell'art 8 del decreto legislativo 3 dicembre 2012, n. 235 perche', in violazione degli articoli 76 e 77 della Carta costituzionale, dispone la sospensione dalla carica di consigliere regionale a seguito di condanna non definitiva. Sulla rilevanza della questione ai fini della decisione non occorre spendere molte parole atteso che, per un verso, risulta assolutamente pacifica tra le parti ed accertata dal Collegio la piena riconducibilita' della fattispecie concreta all'ipotesi normativa (il ricorrente e' stato condannato in primo grado ad anni sei di reclusione per i reati previsti dagli articoli 110, 81 cpv, 476 cpv, 479, 61 n. 2 e 314 c.p.) e, per l'altro, nessuna interpretazione costituzionalmente orientata puo' consentire di superare la questione prospettata. Tuttavia, secondo l'Avvocatura dello Stato e l'interventore Todisco la predetta questione sarebbe stata affrontata e risolta in maniera negativa dalla Corte costituzionale con la decisione n. 236 del 2015 (relativa al Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris). Tale argomentazione difensiva non puo' essere condivisa in quanto dalla semplice lettura della sentenza si comprende chiaramente come la Corte abbia respinto la differente questione della legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235/2012, norma diversa da quella applicabile al presente giudizio. Si aggiunga, come del resto gia' osservato da questo Tribunale nell'ordinanza del 23 dicembre 2015 avente ad oggetto la richiesta di revoca dell'ordinanza di sospensione relativa al Presidente De Luca, che la questione esaminata dalla Corte costituzionale e' stata quella della prospettata irretroattivita' delle norme che disciplinano la sospensione in considerazione della natura giuridica che avrebbe l'istituto e non gia' quella della violazione della legge delega. Ne consegue che non solo la norma oggetto del sindacato di legittimita' della richiamata decisione n. 236/2015 e' differente da quella di cui questo Tribunale sospetta l'illegittimita', ma che i parametri costituzionali di riferimento sono del tutto differenti, Del resto, trattandosi di una pronuncia di rigetto la stessa esclude la sussistenza dell'ipotizzato vizio di costituzionalita' solo nei limiti del perimetro delineato dal giudice rimettente e non puo' residuare alcuna incertezza sulla constatazione che la questione prospettata in questo giudizio e del tutto al di' fuori di quel perimetro. 2) Ritiene, ancora, questo Collegio non manifestamente infondata anche la seconda questione di legittimita' costituzionale ovvero quella relativa all'art. 7, comma 1, lettera c) della legge n. 190/12 in relazione all'art. 8, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235/2012 in violazione degli articoli 3, 51, 76 e 77 della Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento, atteso che la norma prevede solo per gli eletti al Consiglio regionale la sospensione dalla carica in caso di condanna anche con sentenza non definitiva, mentre nessuna sospensione e' prevista per i parlamentari nazionali. Non puo', in senso contrario, argomentarsi, per sostenere la razionalita' della scelta legislativa, che le cariche in questione sono differenti in quanto non vi e' ragione alcuna per trattare piu' severamente gli organi locali rispetto a quelli nazionali laddove si consideri che anche gli organi regionali hanno funzioni legislative addirittura esclusive in alcuni ambiti. Vi e' quindi una evidente e palese, nonche' ingiustificata disparita' di trattamento degli eletti (cfr. in senso conforme la gia' citata ordinanza di rimessione alla Corte del 22 luglio 2015). Sia l'Avvocatura dello Stato che l'interventore hanno addotto a sostegno della infondatezza della questione la decisione della Corte costituzionale n. 407 del 29 ottobre 1992 che avrebbe escluso l'illegittimita' per violazione dell'art. 3 Cost. dell'art. 1 della legge n. 16/1992 in quanto sarebbe giustificato un diverso trattamento dei titolari di cariche elettive in organi locali rispetto a quello riservato ai membri del Parlamento. A parte il rilievo della non diretta applicabilita' della sentenza in quanto oggetto dello scrutinio della Corte era una normativa diversa da quella da applicare al presente giudizio, va pure osservato che si trattava di un giudizio promosso in via principale dalla Provincia autonoma di Trento per cui il raffronto ha riguardato principalmente le competenze e le prerogative delle cariche elettive provinciali rispetto a quelle statali nonche' il pericolo delle infiltrazioni della criminalita' organizzativa. Ad avviso del Collegio, sarebbe forzato trarre dalla richiamata decisione argomenti, anche indiretti, a favore della infondatezza della questione in quanto non sussiste una piena omogeneita' tra le cariche elettive provinciali e quelle regionali attesa la competenza legislativa di grande importanza (e prevista dalla Costituzione) attribuita a queste ultime. 3) Secondo il Tribunale, invece, la terza questione prospettata dal ricorrente e' manifestamente infondata. Come si e' detto, l'art. 8, comma 1, del cit. decreto legislativo e' sospettato di illegittimita' perche' la predetta normativa, in violazione degli articoli 122, comma l, e 117 Cost., interverrebbe in una materia riservata, dalla Costituzione alla competenza regionale. Tale assunto trova, pero', una decisa smentita nella sentenza n. 118 del 5 giugno 2013 la quale, in relazione ad un giudizio promosso in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, avverso la legge della Regione Campania n. 16 del 2011 che introduceva una disciplina piu' rigorosa di quella statale in tema di sospensione di diritto, ha chiaramente affermato come la normativa del cit. decreto legislativo n. 235/2012 persegue l'obbiettivo «della salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, della tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una grave situazione di emergenza nazionale coinvolgente gli interessi della collettivita'». Ne deriva che la predetta disciplina va inquadrata nell'ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza» che appartiene, in virtu' dell'art. 117, comma 2, lettera h Cost., alla competenza legislativa esclusiva. In sintesi, la questione prospettata dal ricorrente e' manifestamente infondata atteso che, diversamente da quanto ipotizzato, non e' lo Stato ad avere invaso una competenza legislativa regionale, ma al contrario sono le regioni a non poter dettare alcuna disciplina in una materia che, attenendo all'ordine pubblico e sicurezza, rientra nella riserva esclusiva statale (tanto e' vero che con la ricordata sentenza la Corte ha dichiarato l'illegittimita' della legge regionale). 4) Sulla compatibilita' della tutela cautelare atipica ex art. 700 codice di procedura civile ed il giudizio elettorale e' sufficiente rinviare all'ampia motivazione dell'ordinanza di questo Tribunale del 24 agosto 2015 (cfr. pag 7 e segg.) non senza ribadire che, proprio quando i tempi della decisione di merito sono necessariamente dilatati dalla necessita' di attendere la decisione della Corte su questioni non ritenute manifestamente infondate, sussiste un concreto periculum in mora rappresentato dalla mancata partecipazione al consiglio regionale e dalla necessita' di assicurare l'effettivita' del mandato elettivo. Il periculum in mora, contestato dall'Avvocatura dello Stato, e' legato al pregiudizio irreparabile che una illegittima sospensione (rectius una sospensione basata su norme illegittime) arrecherebbe al ricorrente. Infatti, la sospensione riguardante il ricorrente comporterebbe la lesione irreversibile del suo diritto soggettivo all'elettorato passivo, posto il limite temporale del mandato elettivo. L'applicazione della sospensione, nell'elevato dubbio di legittimita' costituzionale delle norme sopra indicate, comprimendo l'esercizio delle facolta' connesse all'elettorato passivo ed il libero svolgimento del mandato elettorale, comporterebbe un danno non riparabile ne' risarcibile. La tutela cautelare non puo', dunque, che anticipare alcuni effetti della decisione di merito adottando la sospensione degli effetti della sospensione in virtu' di un provvedimento dalla chiara natura interinale. Al riguardo, va ricordato che la Corte costituzionale nella sentenza n. 151/2009, richiamando la pregressa giurisprudenza della stessa Corte, ammette la possibilita' che siano sollevate questioni di legittimita' costituzionale in sede cautelare, sia quando il, giudice non provveda sulla domanda, sia quando conceda la relativa misura, purche' tale concessione non si risolva nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice fruisce (sentenza n. 161 del 2008 e ordinanze n. 393 del 2008 e n. 25 del 2006, sentenza n. 274/14). Si impone pertanto, in attesa della decisione della Corte costituzionale, la sospensione cautelativa del provvedimento sospensivo del Presidente del Consiglio dei ministri con previsione della prosecuzione del presente giudizio alla prima udienza successiva alla pronuncia della Corte. 5) Nella domanda cautelare il ricorrente ha chiesto, oltre alla sospensione del provvedimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, anche la «reintegrazione» nella carica di consigliere regionale. In primo luogo, va osservato che il petitum immediato della domanda cautelare e' diverso e piu' ampio di quello della domanda di merito. In secondo luogo, anche laddove si volesse prescindere da tale assorbente rilievo, nell'esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto, il ricorrente non ha mai fatto riferimento alla delibera del consiglio regionale del 31 maggio 2016 che ha affidato la supplenza al dott. Francesco Todisco. Tale deduzione e' stata, infatti, svolta per la prima volta dall'interventore volontario. Ne deriva che la richiesta di «reintegrazione» in via provvisoria esula dal presente giudizio sia rispetto alla causa petendi che al petitum di merito.
P.Q.M. Il Tribunale dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale: 1) dell'art. 8, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235/2012 per contrasto con l'art. 1, comma 64 della legge delega n. 190/2012 perche', in violazione degli articoli 76 e 77 della Carta costituzionale, dispone la sospensione dalla carica del consigliere regionale (per quanto qui rileva) a seguito di condanna non definitiva cosi' eccedendo i limiti della delega conferita dall'art. 1, comma 64, lettera m) della legge n. 190 del 6 dicembre 2012; 2) dell'art. 7, comma 1, lettera c) legge n. 190/12 in relazione all'art. 8, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 235/12 perche' - in violazione degli articoli 3, 51, 76 e 77 della Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento - prevede solo per gli eletti al consiglio regionale la sospensione dalla carica in caso di condanna con sentenza non definitiva a differenza di quanto previsto per i parlamentari per i quali non e' prevista alcuna sospensione; accoglie provvisoriamente la domanda cautelare e sospende gli effetti dell'impugnato provvedimento fino alla prima udienza successiva alla definizione delle questioni di legittimita' costituzionale; dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Si comunichi. Cosi' deciso nella Camera di consiglio del 15 luglio 2016. Il Presidente: Imperiali Il giudice estensore: Sdino Il giudice: Arena