N. 21 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 luglio 2016

Ordinanza del 22 luglio 2016 del Tribunale di Napoli nel procedimento
civile promosso da Iannace Carlo contro Presidenza del Consiglio  dei
ministri e Todisco Francesco. 
 
Elezioni  -  Testo   unico   delle   disposizioni   in   materia   di
  incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche  elettive  e  di
  Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna  per  delitti
  non colposi - Previsione che sono sospesi di diritto  dalla  carica
  di consigliere regionale coloro che hanno  riportato  una  condanna
  non definitiva per taluni delitti. 
- Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235  (Testo  unico  delle
  disposizioni  in  materia  di  incandidabilita'  e  di  divieto  di
  ricoprire cariche elettive e  di  Governo  conseguenti  a  sentenze
  definitive  di  condanna  per  delitti   non   colposi,   a   norma
  dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre  2012,  n.  190),
  art.  8,  comma  1,  lett.  a);  legge  6  novembre  2012,  n.  190
  (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della  corruzione
  e dell'illegalita' nella pubblica amministrazione) [recte:  decreto
  legislativo 31 dicembre 2012, n. 235], art. 7, comma 1,  lett.  c),
  in relazione all'art. 8, comma 1, lett. a), del decreto legislativo
  31 dicembre 2012, n. 235. 
(GU n.9 del 1-3-2017 )
 
                         TRIBUNALE DI NAPOLI 
                          I Sezione Civile 
 
    Il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, nella persona
dei Magistrati: 
    dott. Carlo Imperiali - Presidente; 
    dott. Raffaele Sdino - Giudice rel.; 
    dott.ssa Angela Arena - Giudice, 
riunito in Camera di  consiglio,  all'esito  della  riserva  espressa
all'udienza del 15 luglio 2016; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza, nella causa civile iscritta
al n. 16927 del ruolo generale  degli  affari  contenziosi  dell'anno
2016 avente ad oggetto: contenzioso elettorale nonche'  nel  giudizio
cautelare in corso di causa rubricato al n. 16927-1/2016, 
    tra Carlo Iannace, elettivamente domiciliato in Napoli  alla  via
Peppino  Impastato  n.  19  presso  lo  studio   dell'avv.   Raffaele
Anatriello  unitamente  agli  avv.ti  Giacomo  Papa  e  Anton  Giulio
Giallonardi i quali lo rappresentano e difendono in virtu' di procura
a margine del ricorso, ricorrente; 
    e Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona  del  legale
rapp.te  in  carica  pro  tempore  rappresentata  e  difesa  ex  lege
dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Napoli  presso   cui
domicilia  ope  legis  in  Napoli  alla  via  Armando  Diaz  n.   11,
resistente; 
    e Francesco Todisco, elettivamente domiciliato presso  lo  studio
dell'avv. Enrico Soprano il quale lo rappresenta e difende in  virtu'
di  procura  agli  atti   unitamente   all'avv.   Marco   Longobardi,
interventore; 
    nonche' il pubblico ministero presso il Tribunale  di  Napoli  in
persona del Sostituto procuratore delle Repubblica  dott.ssa  Valeria
Gonzalez y Reyero, interventore ex lege; 
    letto il ricorso ex art. 22 decreto legislativo  n.  150/2011  ed
art. 702-bis c.p.c. presentato nell'interesse di Carlo Iannace con il
quale il ricorrente ha chiesto: 
        «accertare e dichiarare sussistente, previa rimessione  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  comma  1,
decreto legislativo n. 235/2012 alla Corte  costituzionale  e  previa
disapplicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
del 5 maggio 2016 e/o  annullamento  dello  stesso,  il  diritto  del
ricorrente a svolgere le funzioni di consigliere regionale;» 
    letto il successivo ricorso  ex  art.  700  codice  di  procedura
civile, depositato il 1° giugno 2015 in corso di causa,  con  cui  il
ricorrente ha chiesto; 
        a) «in via principale,  di  sospendere  e/o  disapplicare  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2016 e
conseguentemente reintegrare/conservare, con  effetto  immediato,  il
dott.  Carlo  Iannace  nella  carica  di  consigliere  regionale  con
esercizio dei connessi poteri e funzioni,  fino  alla  decisione  del
giudizio di merito; 
        b)  in  via  subordinata,  di  rimettere  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 8 del  decreto  legislativo  n.
235/2012 alla Corte costituzionale e, medio tempore,  sospendersi  il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 maggio  2016,
con  reintegrazione  provvisoria  del  ricorrente  nella  carica   di
consigliere regionale, almeno fino alla prima udienza successiva alla
decisione della Corte»; 
    letta la comparsa  di  costituzione  e  risposta  dell'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato  di  Napoli  e  l'atto  di  intervento  di
Francesco Todisco; 
    sentite le parti ed il pubblico ministero; 
 
                               Osserva 
 
    Premesso che la presente ordinanza prende in esame sia la domanda
di merito che quella cautelare, in via pregiudiziale, l'intervento di
Francesco Todisco va ritenuto  ammissibile  avendo  egli  dedotto  di
essere  stato  nominato  dal  Consiglio   regionale   supplente   del
ricorrente. Va ricordato che sono legittimati all'azione  elettorale,
tra l'altro, anche i diretti interessati dovendosi con cio' intendere
i titolari di diritti soggettivi  (come  i  candidati  non  risultati
eletti, e precisamente il primo di questi). 
    Cio' premesso, il ricorrente ha invocato, a  sostegno  sia  della
domanda di merito che di quella cautelare, tre  distinti  profili  in
virtu' dei quali l'art. 8 del cit. decreto  legislativo  n.  235/2012
sarebbe costituzionalmente illegittimo: 1) in primo luogo, perche' la
norma, nell'ancorare la sospensione dalla carica  anche  in  caso  di
condanna con sentenza non definitiva,  avrebbe  disatteso  il  limite
imposto dall'art. 1, comma 64, lettera m)  della  legge  delega  che,
invece, disponeva che cio' sarebbe dovuto avvenire  solo  al  momento
dell'emissione di una sentenza definitiva di condanna; 2) in  secondo
luogo, la norma sarebbe in contrasto con il principio di  uguaglianza
ex art. 3 Cost. poiche' determinerebbe una ingiustificata  disparita'
di  trattamento  tra  i  consiglieri  regionali  ed  i   membri   del
Parlamento,  per  i  quali  non  e'  prevista   alcuna   ipotesi   di
sospensione, pur avendo entrambi funzioni legislative; 3) infine,  la
norma sarebbe viziata da incostituzionalita' per  contrasto  con  gli
articoli 122, comma 1, e 117 Cost. poiche' la legge  statale  sarebbe
intervenuta su materia riservata alla competenza regionale. 
    Sia ai fini del giudizio cautelare che di quello  di  merito,  la
decisione delle prospettate questioni di legittimita'  costituzionale
e' decisiva in quanto non risulta possibile  in  nessun  altro  modo,
dato  il  chiarissimo  tenore  letterale  delle  norme  in  commento,
adottare  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata  che  sia
risolutiva della fattispecie in esame. 
    1) Ritiene questo Collegio che non sia  manifestamente  infondata
la prima delle questioni di legittimita'  costituzionale  prospettate
dal ricorrente ovvero l'illegittimita' dell'art. 8, comma 1,  lettera
a) del decreto legislativo n. 235 per contrasto con l'art.  1,  comma
64 della legge delega n. 190/2012 (cfr. ordinanza di questo Tribunale
del 22 luglio 2015 relativa al Presidente della  Regione,  confermata
in sede di reclamo con ordinanza del 12-24 agosto 2015). 
    Infatti, come e' noto, la legge delega attribuiva al  Governo  un
potere di riordino delle disposizioni in materia di  incandidabilita'
e di divieto  di  ricoprire  nuove  cariche  elettive  e  di  Governo
conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi
(art. 8 del disegno di legge). L'oggetto della  delega  al  comma  63
prevedeva l'adozione di un testo unico in materia di incandidabilita'
a cariche elettive e il  divieto  di  assunzione  di  alcune  cariche
elettive e di Governo ed in entrambi i casi le disposizioni  dovevano
riguardare soggetti per i  quali  erano  state  pronunciata  sentenze
definitive di condanna. 
    In aderenza a tale impostazione,  il  successivo  comma  64  alla
lettera  m)  delegava  il  Governo  a  disciplinare  le  ipotesi   di
sospensione e decadenza dal diritto dalle cariche in caso di sentenza
definitiva di  condanna  per  delitti  non  colposi  successiva  alla
candidatura o all'affidamento della carica  (recita  testualmente  la
norma: «disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto
dalle cariche di cui al comma 63 in caso di  sentenza  definitiva  di
condanna per  delitti  non  colposi  successiva  alla  candidatura  o
all'affidamento della carica»). 
    Nei lavori preparatori della Camera  l'art.  8  del  progetto  di
legge 513, comma 2 lettere l) ed m)  dettava  disposizioni  comuni  (
«principi e criteri direttivi di carattere generale»). La lettera l),
in particolare, prevedeva, in ossequio  alle  tecniche  di  redazione
degli  atti  normativi,  l'abrogazione  espressa  delle  disposizioni
incompatibili con quelle recate nel testo di legge. Nella seconda (la
lettera m) si  legge:  «disciplina  le  ipotesi  di  incandidabilita'
sopravvenuta ossia il caso in cui la condanna definitiva per  delitti
non   colposi   che   causa   l'incandidabilita'   o   l'interdizione
sopraggiunga in un momento successivo alla candidatura  (in  caso  di
cariche elettive) o all'affidamento della carica (in caso di  cariche
non elettive). Il principio di delega prevede che in questi  casi  si
procede a sospensione o alla decadenza di diritto  dalla  carica.  La
disposizione non fornisce ulteriori dettagli in ordine ai casi in cui
si applica l'una o l'altra delle  fattispecie  anche  se  sembrerebbe
plausibile  l'applicazione  della  sospensione  in  caso  di  cariche
elettive (anche in relazione alla temporaneita' dell'incandidabilita'
prevista dalle lettere a) e b) e di  decadenza  per  le  cariche  non
elettive (di governo)». 
    Come ritenuto dalla Corte costituzionale: «La legge  delegata  e'
una delle due  forme  eccezionali  con  cui  si  esercita  il  potere
normativo  del  Governo.  Il  relativo  procedimento  consta  di  due
momenti: nella prima fase il Parlamento con una norma di  delegazione
prescrive, i requisiti e determina la sfera  entro  cui  deve  essere
contenuto l'esercizio della funzione legislativa delegata (art.  76);
successivamente, in virtu' di tale delega, il potere esecutivo  emana
i "decreti che hanno forza di legge ordinaria" (art.  77,  comma  1).
Queste fasi si inseriscono nello stesso iter, e ricollegando la norma
delegata alla disposizione  dell'art.  76,  attraverso  la  legge  di
delegazione, pongono il processo formativo della legge delegata, come
una eccezione al principio dell'art. 70. La norma  dell'art.  76  non
rimane estranea alla disciplina del rapporto tra organo delegante,  e
organo delegato, ma e' un elemento del  rapporto  di  delegazione  in
quanto, sia il precetto costituzionale dell'art.  76,  sia  la  norma
delegante  costituiscono  la  fonte  da   cui   trae   legittimazione
costituzionale la legge delegata. 
    L'inscindibilita' dei cennati momenti formativi dell'atto  avente
forza di legge si evince anche dalla disposizione dell'art. 77, comma
1, secondo cui si nega al Governo il potere  normativo,  se  non  sia
intervenuta la delegazione delle Camere: l'art. 76, fissando i limiti
del potere normativo delegato, contiene una preclusione di  attivita'
legislativa, e la legge  delegata,  ove  incorra  in  un  eccesso  di
delega, costituisce il mezzo con cui il precetto dell'art. 76  rimane
violato. La incostituzionalita' dell'eccesso di delega,  traducendosi
in una usurpazione del potere legislativo da parte  del  Governo,  e'
una conferma del principio, che soltanto il Parlamento puo'  fare  le
leggi. 
    Ne' per sottrarre le leggi delegate al  controllo  costituzionale
si  dica  che,  nella  specie,  mancherebbe  il  presupposto  per  la
esistenza della controversia di legittimita' costituzionale; cioe' un
contrasto diretto tra norma ordinaria e precetto  costituzionale,  in
quanto soltanto tale contrasto potrebbe dar luogo ad un  accertamento
di conformita' o di divergenza costituzionale. Giacche' se di  regola
il rapporto di costituzionalita' sorge tra un precetto costituzionale
e una legge ordinaria, non e' da escludere che, in piena aderenza  al
sistema, possa egualmente verificarsi una violazione di  un  precetto
costituzionale, come per le leggi delegate, qualora  nello  esercizio
del potere normativa eccezionalmente attribuito al Governo non  siano
osservati i limiti prescritti. Anche in siffatta ipotesi si  verifica
un caso di mancanza  di  potere  normativa  delegato,  che  non  puo'
fuggire al sindacato di questa Corte. 
    La tesi opposta, che considera la  legge  delegante  e  la  legge
delegata, come leggi ordinarie, porterebbe a negare la competenza  di
questa Corte a conoscere di eventuali contrasti  tra  le  due  norme,
attribuendone l'esame al giudice ordinario. 
    Non puo' inoltre sostenersi che, considerando la  norma  delegata
come provvedimento di esecuzione della legge delegante, le  eventuali
esorbitanze debbano essere conosciute dal giudice ordinario, al  pari
degli eccessi dei regolamenti esecutivi; perche', non  trovandosi  la
legge delegata sullo  stesso  piano  costituzionale  del  regolamento
esecutivo, non si puo' relativamente ai vizi dell'atto  avente  forza
di  legge  ordinaria  negare  la  particolare  piu'  efficace  tutela
disposta dalla Costituzione. 
    Sarebbe in contrasto col principio  organizzativo  posto  a  base
della formazione delle leggi, negare per le  leggi  delegate,  aventi
anche esse carattere generale e che pur possono  essere  mancanti  di
elementi essenziali, sia la tutela costituzionale predisposta per  le
leggi del potere legislativo, sia la possibilita'  di  una  decisione
con efficacia erga omnes (art. 136 Costituzione). 
    Pertanto non  e'  a  dubitare,  che  la  violazione  delle  norme
strumentali per il processo formativo della  legge  nelle  sue  varie
specie (articoli 70, 76, 77 Costituzione), al  pari  delle  norme  di
carattere   sostanziale   contenute   nella    Costituzione,    siano
suscettibili di sindacato costituzionale: e che nelle  "questioni  di
legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di
legge" (artt. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23  comma
3 e 27 legge 11 marzo 1953, n. 87) vanno  comprese  le  questioni  di
legittimita' costituzionale relative alle leggi delegate. 
    Consegue che il sindacato  e'  devoluto  sempre  alla  competenza
della Corte costituzionale, ai sensi  degli  articoli  1  cit.  legge
costituzionale n. 1, 23 cit. legge 1953, n. 87: soltanto le decisioni
della Corte costituzionale possono assicurare, con  la  certezza  del
diritto,  la  piena   tutela   del   diritto   del   cittadino   alla
costituzionalita' delle leggi. 
    Affermata sindacabilita'  costituzionale  della  legge  delegata,
occorre precisare i rapporti tra legge delegante e legge delegata. 
    La legge delegante va considerata  con  riferimento  all'art.  76
della Costituzione, per accertare se sia stato rispettato il precetto
che ne legittima il processo formativo. L'art.  76  indica  i  limiti
entro cui puo' essere conferito al Governo l'esercizio della funzione
legislativa. 
    Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo generale,
ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in  funzione
di limite per lo sviluppo dell'ulteriore  attivita'  legislativa  del
Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi, del  tempo  entro
il quale puo' essere emanata la legge delegata, di oggetti  definiti,
servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione si'  da
evitare che la delega  venga  esercitata  in  modo  divergente  dalle
finalita' che  la  determinarono:  devono  dall'altro  consentire  al
potere delegato la possibilita' di valutare le particolari situazioni
giuridiche della legislazione precedente, che  nella  legge  delegata
deve trovare una nuova regolamentazione. 
    Se la legge delegante non contiene, anche  in  parte,  i  cennati
requisiti,  sorge  il  contrasto  tra  norma  dell'art.  76  e  norma
delegante, denunciabile  al  sindacato  della  Corte  costituzionale,
s'intende dopo l'emanazione della legge delegata. 
    Del pari si verifica un'ipotesi d'incostituzionalita', quando  la
legge  delegata  viola  direttamente  una   qualsiasi   norma   della
Costituzione (Corte costituzionale sentenza n. 3 del 1957).». 
    In conclusione, il Governo, nel prevedere all'art 8 comma  1  del
decreto legislativo n. 235/12 la sospensione di diritto dalle cariche
indicate all'art. 7 comma  1)  di  coloro  che  hanno  riportato  una
condanna non definitiva per uno  dei  delitti  indicati  dall'art.  7
comma 1 lettere a), b) e c), ha disatteso, come  non  avrebbe  potuto
fare, il limite imposto alla legge delega estendendo  la  sospensione
anche alla diversa ipotesi della sentenza non definitiva di condanna,
non previsto dalla legge delega. 
    Come osservato nella ordinanza della Corte di appello di Bari del
27 gennaio 2014: 
        «In altre parole il primo giudice e'  incorso  nella  patente
violazione dell'art. 12 delle  preleggi,  accedendo  ad  una  lettura
della norma assolutamente contraria ad un chiaro e inequivoco dettato
che  demandava  al  legislatore  il  compito  (li   disciplinare   la
sospensione di  diritto  solo  in  caso  di  sentenza  definitiva  di
condanna. 
    Il mandato non era ne' illogico ne' contradditorio atteso che  il
Parlamento,  approvando  il   testo   delle   legge   delega,   aveva
evidentemente condiviso le conclusioni  rassegnate  alla  Commissione
affari costituzionali  dal  relatore,  che  aveva  sostenuto  che  la
lettera m) del comma 64 dell'art.  1  riferiva  la  sospensione  alle
cariche elettive e la decadenza a quelle non elettive, come detta  il
tenore letterale della norma  teste'  trascritta.  La  portata  della
delega era pertanto chiara  e  manifesta  e  non  era  consentito  al
legislatore   delegato   di   regolare   la   fattispecie   in   modo
inconfutabilmente creativo secondo  una  logica  diversa,  certamente
condivisibile e piu' aderente allo scopo generale  che  si  intendeva
perseguire, ma ben al  di  la'  del  mandato  conferito  dalla  legge
delega. Il legislatore  delegato  non  poteva  travalicare  i  limiti
assegnabili». 
    Non  e'  quindi  manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale  del  comma  1  dell'art  8  del  decreto
legislativo 3 dicembre 2012, n.  235  perche',  in  violazione  degli
articoli 76 e 77 della Carta costituzionale, dispone  la  sospensione
dalla carica di consigliere  regionale  a  seguito  di  condanna  non
definitiva. 
    Sulla rilevanza della  questione  ai  fini  della  decisione  non
occorre spendere molte parole  atteso  che,  per  un  verso,  risulta
assolutamente pacifica tra le parti  ed  accertata  dal  Collegio  la
piena  riconducibilita'  della   fattispecie   concreta   all'ipotesi
normativa (il ricorrente e' stato condannato in primo grado  ad  anni
sei di reclusione per i reati previsti dagli articoli  110,  81  cpv,
476  cpv,  479,  61  n.  2  e  314  c.p.)  e,  per  l'altro,  nessuna
interpretazione  costituzionalmente  orientata  puo'  consentire   di
superare la questione prospettata. 
    Tuttavia,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato  e  l'interventore
Todisco la predetta questione sarebbe stata affrontata e  risolta  in
maniera negativa dalla Corte costituzionale con la decisione  n.  236
del 2015 (relativa al Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris). 
    Tale argomentazione difensiva non puo' essere condivisa in quanto
dalla semplice lettura della sentenza si comprende  chiaramente  come
la Corte abbia respinto la differente  questione  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  11,  comma  1,  lettera  a)  del   decreto
legislativo n. 235/2012,  norma  diversa  da  quella  applicabile  al
presente giudizio. 
    Si aggiunga, come del resto gia' osservato  da  questo  Tribunale
nell'ordinanza del 23 dicembre 2015 avente ad oggetto la richiesta di
revoca dell'ordinanza di sospensione relativa al Presidente De  Luca,
che la questione esaminata dalla Corte costituzionale e' stata quella
della prospettata irretroattivita' delle norme  che  disciplinano  la
sospensione in considerazione  della  natura  giuridica  che  avrebbe
l'istituto e non gia' quella della violazione della legge delega. 
    Ne consegue che non  solo  la  norma  oggetto  del  sindacato  di
legittimita' della richiamata decisione n. 236/2015 e' differente  da
quella di cui questo Tribunale sospetta l'illegittimita',  ma  che  i
parametri costituzionali di riferimento sono del tutto differenti, 
    Del resto, trattandosi di una  pronuncia  di  rigetto  la  stessa
esclude la sussistenza  dell'ipotizzato  vizio  di  costituzionalita'
solo nei limiti del perimetro delineato dal giudice rimettente e  non
puo' residuare alcuna incertezza sulla constatazione che la questione
prospettata in questo giudizio e del  tutto  al  di'  fuori  di  quel
perimetro. 
    2) Ritiene, ancora, questo Collegio non manifestamente  infondata
anche la seconda  questione  di  legittimita'  costituzionale  ovvero
quella relativa all'art. 7, comma 1, lettera c) della legge n. 190/12
in relazione all'art. 8, comma 1, lettera a) del decreto  legislativo
n. 235/2012 in violazione  degli  articoli  3,  51,  76  e  77  della
Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento, atteso che  la
norma  prevede  solo  per  gli  eletti  al  Consiglio  regionale   la
sospensione dalla carica in caso di condanna anche con  sentenza  non
definitiva, mentre nessuna sospensione e' prevista per i parlamentari
nazionali. 
    Non puo', in senso  contrario,  argomentarsi,  per  sostenere  la
razionalita' della scelta legislativa, che le  cariche  in  questione
sono differenti in quanto non vi e' ragione alcuna per trattare  piu'
severamente gli organi locali rispetto a quelli nazionali laddove  si
consideri che anche gli organi regionali hanno  funzioni  legislative
addirittura esclusive in alcuni ambiti. 
    Vi e'  quindi  una  evidente  e  palese,  nonche'  ingiustificata
disparita' di trattamento degli eletti (cfr.  in  senso  conforme  la
gia' citata ordinanza di rimessione alla Corte del 22 luglio 2015). 
    Sia l'Avvocatura dello Stato che l'interventore hanno  addotto  a
sostegno della infondatezza della questione la decisione della  Corte
costituzionale n.  407  del  29  ottobre  1992  che  avrebbe  escluso
l'illegittimita' per violazione dell'art. 3 Cost. dell'art.  1  della
legge  n.  16/1992  in  quanto  sarebbe   giustificato   un   diverso
trattamento  dei  titolari  di  cariche  elettive  in  organi  locali
rispetto a quello riservato ai membri del Parlamento. 
    A  parte  il  rilievo  della  non  diretta  applicabilita'  della
sentenza in quanto  oggetto  dello  scrutinio  della  Corte  era  una
normativa diversa da quella da applicare  al  presente  giudizio,  va
pure osservato che  si  trattava  di  un  giudizio  promosso  in  via
principale dalla Provincia autonoma di Trento per cui il raffronto ha
riguardato  principalmente  le  competenze  e  le  prerogative  delle
cariche elettive provinciali rispetto a  quelle  statali  nonche'  il
pericolo delle infiltrazioni della criminalita' organizzativa. 
    Ad avviso del Collegio, sarebbe forzato trarre  dalla  richiamata
decisione argomenti, anche indiretti,  a  favore  della  infondatezza
della questione in quanto non sussiste una piena omogeneita'  tra  le
cariche elettive provinciali e quelle regionali attesa la  competenza
legislativa di grande  importanza  (e  prevista  dalla  Costituzione)
attribuita a queste ultime. 
    3) Secondo il Tribunale, invece, la terza  questione  prospettata
dal ricorrente e' manifestamente infondata. 
    Come si e' detto, l'art. 8, comma 1, del cit. decreto legislativo
e' sospettato di illegittimita' perche'  la  predetta  normativa,  in
violazione degli articoli 122, comma l, e 117 Cost., interverrebbe in
una materia riservata, dalla Costituzione alla competenza regionale. 
    Tale assunto trova, pero', una decisa smentita nella sentenza  n.
118 del 5 giugno 2013 la quale, in relazione ad un giudizio  promosso
in via  principale  dalla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
avverso  la  legge  della  Regione  Campania  n.  16  del  2011   che
introduceva una disciplina piu' rigorosa di quella statale in tema di
sospensione di diritto, ha chiaramente affermato  come  la  normativa
del cit. decreto legislativo n. 235/2012 persegue l'obbiettivo «della
salvaguardia dell'ordine e della  sicurezza  pubblica,  della  tutela
della libera determinazione degli organi elettivi, il buon  andamento
e la  trasparenza  delle  amministrazioni  pubbliche  allo  scopo  di
fronteggiare una grave situazione di emergenza nazionale coinvolgente
gli interessi della collettivita'». 
    Ne deriva che la predetta disciplina  va  inquadrata  nell'ambito
della materia «ordine pubblico e sicurezza» che appartiene, in virtu'
dell'art. 117, comma 2, lettera h Cost., alla competenza  legislativa
esclusiva. 
    In  sintesi,  la  questione   prospettata   dal   ricorrente   e'
manifestamente  infondata  atteso   che,   diversamente   da   quanto
ipotizzato,  non  e'  lo  Stato  ad  avere  invaso   una   competenza
legislativa regionale, ma al contrario sono le regioni  a  non  poter
dettare alcuna disciplina in una materia  che,  attenendo  all'ordine
pubblico e sicurezza, rientra nella riserva esclusiva statale  (tanto
e' vero  che  con  la  ricordata  sentenza  la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' della legge regionale). 
    4) Sulla compatibilita' della tutela cautelare  atipica  ex  art.
700  codice  di  procedura  civile  ed  il  giudizio  elettorale   e'
sufficiente rinviare all'ampia motivazione dell'ordinanza  di  questo
Tribunale del 24 agosto 2015 (cfr. pag 7 e segg.) non senza  ribadire
che,  proprio  quando  i  tempi  della  decisione  di   merito   sono
necessariamente dilatati dalla necessita' di attendere  la  decisione
della Corte  su  questioni  non  ritenute  manifestamente  infondate,
sussiste un concreto periculum in mora  rappresentato  dalla  mancata
partecipazione  al  consiglio  regionale  e   dalla   necessita'   di
assicurare l'effettivita' del mandato elettivo. 
    Il periculum in mora, contestato dall'Avvocatura dello Stato,  e'
legato al pregiudizio irreparabile che  una  illegittima  sospensione
(rectius una sospensione basata su norme illegittime) arrecherebbe al
ricorrente. 
    Infatti, la sospensione riguardante il  ricorrente  comporterebbe
la lesione irreversibile del suo  diritto  soggettivo  all'elettorato
passivo,  posto   il   limite   temporale   del   mandato   elettivo.
L'applicazione della sospensione, nell'elevato dubbio di legittimita'
costituzionale delle norme sopra  indicate,  comprimendo  l'esercizio
delle  facolta'  connesse  all'elettorato  passivo   ed   il   libero
svolgimento  del  mandato  elettorale,  comporterebbe  un  danno  non
riparabile ne' risarcibile. 
    La tutela cautelare  non  puo',  dunque,  che  anticipare  alcuni
effetti della decisione di  merito  adottando  la  sospensione  degli
effetti della sospensione in virtu' di un provvedimento dalla  chiara
natura interinale. 
    Al riguardo, va  ricordato  che  la  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 151/2009, richiamando la pregressa  giurisprudenza  della
stessa Corte, ammette la possibilita' che siano  sollevate  questioni
di legittimita' costituzionale in  sede  cautelare,  sia  quando  il,
giudice non provveda sulla domanda, sia quando  conceda  la  relativa
misura, purche'  tale  concessione  non  si  risolva  nel  definitivo
esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il  giudice
fruisce (sentenza n. 161 del 2008 e ordinanze n. 393 del 2008 e n. 25
del 2006, sentenza n. 274/14). 
    Si  impone  pertanto,  in  attesa  della  decisione  della  Corte
costituzionale,  la   sospensione   cautelativa   del   provvedimento
sospensivo del Presidente del Consiglio dei ministri  con  previsione
della  prosecuzione  del  presente  giudizio   alla   prima   udienza
successiva alla pronuncia della Corte. 
    5) Nella domanda cautelare il ricorrente ha chiesto,  oltre  alla
sospensione del provvedimento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, anche  la  «reintegrazione»  nella  carica  di  consigliere
regionale. 
    In primo luogo, va  osservato  che  il  petitum  immediato  della
domanda cautelare e' diverso e piu' ampio di quello della domanda  di
merito. In secondo luogo, anche laddove  si  volesse  prescindere  da
tale assorbente rilievo, nell'esposizione dei fatti e  delle  ragioni
di diritto, il ricorrente non ha mai fatto riferimento alla  delibera
del consiglio regionale  del  31  maggio  2016  che  ha  affidato  la
supplenza al  dott.  Francesco  Todisco.  Tale  deduzione  e'  stata,
infatti, svolta per la prima volta dall'interventore volontario. 
    Ne deriva che la richiesta di «reintegrazione» in via provvisoria
esula dal presente giudizio sia rispetto alla causa  petendi  che  al
petitum di merito. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le
questioni di legittimita' costituzionale: 
    1) dell'art. 8, comma 1, lettera a) del  decreto  legislativo  n.
235/2012 per contrasto con l'art. 1, comma 64 della legge  delega  n.
190/2012 perche', in violazione degli articoli 76 e  77  della  Carta
costituzionale, dispone la sospensione dalla carica  del  consigliere
regionale  (per  quanto  qui  rileva)  a  seguito  di  condanna   non
definitiva cosi' eccedendo i limiti della delega conferita  dall'art.
1, comma 64, lettera m) della legge n. 190 del 6 dicembre 2012; 
    2) dell'art. 7, comma 1, lettera c) legge n. 190/12 in  relazione
all'art. 8, comma 1, lettera a) del  decreto  legislativo  n.  235/12
perche' -  in  violazione  degli  articoli  3,  51,  76  e  77  della
Costituzione ed in evidente disparita' di trattamento - prevede  solo
per gli eletti al consiglio regionale la sospensione dalla carica  in
caso di condanna con sentenza non definitiva a differenza  di  quanto
previsto per i parlamentari  per  i  quali  non  e'  prevista  alcuna
sospensione; 
    accoglie provvisoriamente la domanda  cautelare  e  sospende  gli
effetti  dell'impugnato  provvedimento  fino   alla   prima   udienza
successiva  alla  definizione   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale; 
    dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Si comunichi. 
    Cosi' deciso nella Camera di consiglio del 15 luglio 2016. 
 
                      Il Presidente: Imperiali 
 
 
                                          Il giudice estensore: Sdino 
 
                          Il giudice: Arena