N. 24 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 novembre 2016

Ordinanza  del 2  novembre  2016  del  Tribunale  di  La  Spezia  nel
procedimento civile promosso da Pellegrino Salvatore ed altri  contro
INPS. 
 
Previdenza e assistenza -  Disposizioni  in  materia  di  trattamenti
  pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni
  2012  e  2013  -  Esclusione  per   i   trattamenti   pensionistici
  complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS -
  Riconoscimento integrale per i trattamenti pensionistici fino a tre
  volte il trattamento minimo INPS e in  diverse  misure  percentuali
  per quelli compresi tra tre e cinque volte  il  trattamento  minimo
  INPS. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per  la
  crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici),
  convertito, con modificazioni, dalla legge  22  dicembre  2011,  n.
  214,  art.  24,  comma  25,  come  sostituito   dall'art.   1   del
  decreto-legge 21  maggio  2015,  n.  65  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie  TFR),
  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109. 
(GU n.9 del 1-3-2017 )
 
                       TRIBUNALE DELLA SPEZIA 
 
    Il Giudice monocratico, in funzione di Giudice del lavoro,  dott.
Gabriele Romano, ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Nel procedimento  n.  347/2016  R.G.L.,  promosso  da:  Salvatore
Pellegrino, Roberto Seligardi, Vincenzo Valente, Franco Micheletto  e
Franca Beraldi (avv. Claudio Cipollini); 
    Contro: INPS (avv. Cinzia Lolli). 
    Con  ricorso  depositato  in  data  24   marzo   2016   Salvatore
Pellegrino, Roberto Seligardi, Vincenzo Valente, Franco Micheletto  e
Franca Beraldi convenivano in giudizio  davanti  al  Tribunale  della
Spezia  l'INPS,  per  sentire  dichiarare  il   loro   diritto,   con
corrispondente condanna dell'Istituto convenuto, al  pagamento  delle
somme  richieste  a  titolo  di  arretrati  per   rivalutazione   dei
trattamenti pensionistici per gli anni 2012/2013, oltre le differenze
successivamente maturate, previa rimessione degli atti  del  giudizio
alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita'
costituzionale del comma 25, dell'art. 24, decreto-legge n.  201/2011
(convertito in legge n. 214/2011), come modificato dal  decreto-legge
n. 65/2015 (convertito in legge n. 109/2015). 
    L'INPS,  ritualmente  intimato,   si   costituiva   in   giudizio
resistendo alle domande avversarie. 
    Prima  di  affrontare  la  dedotta  questione   di   legittimita'
costituzionale,  e'  opportuno  premettere  alcuni  cenni  in  ordine
all'evoluzione del quadro normativo di riferimento. 
    La perequazione automatica, quale strumento di adeguamento  delle
pensioni al mutato potere di acquisto della moneta,  fu  disciplinata
dalla legge 21 luglio 1965, n. 903. La discrezionalita' di  cui  gode
il  legislatore  nella  scelta  del  meccanismo  perequativo  diretto
all'adeguamento delle pensioni, fondata sul disposto  degli  articoli
36 e 38 Cost., ha quindi trovato il proprio meccanismo attuativo  nel
sistema di perequazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici,
introdotto  dall'art.  19,  della  legge  30  aprile  1969,  n.   153
(Revisione degli ordinamenti pensionistici  e  norme  in  materia  di
sicurezza sociale), mediante l'agganciamento  in  misura  percentuale
degli  aumenti  delle  pensioni  all'indice  del  costo  della   vita
calcolato dall'ISTAT. 
    In considerazione di variabili  esigenze  di  contenimento  della
spesa, si sono succedute nel tempo  diverse  sospensioni  legislative
del meccanismo rivalutativo, tra le quali quella  introdotta  con  la
disposizione censurata dai ricorrenti. 
    Dopo le misure di contenimento adottate con gli articoli 16 legge
n. 843/1978 e 2 decreto-legge n. 348/1992, i successivi interventi di
cui all'art. 59, comma 13, legge n. 449/1997 e 1, comma 19, legge  n.
247/2007 sono stati ritenuti legittimi  dalla  Corte  costituzionale,
rispettivamente con ordinanza n. 256/2001 e con sentenza n. 316/2010. 
    Un ulteriore blocco della perequazione e'  stato  introdotto  con
l'art. 24,  comma  25,  decreto-legge  n.  201/2011,  convertito  con
modificazioni  in  legge  n.  214/2011  che  aveva  previsto  che  la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici  disciplinata
dall'art. 34, comma 1, legge n. 448/1998, per gli anni 2012  e  2013,
fosse riconosciuta, nella misura del 100%,  per  i  soli  trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS. 
    Con sentenza n. 70 del 30 aprile 2015 la Corte costituzionale  ha
dichiarato l'incostituzionalita', per violazione  degli  articoli  3,
36, primo comma, e 38, secondo comma, Costituzione, del predetto art.
24, comma 25, decreto-legge n. 201/2011  cit.,  nella  parte  in  cui
prevede  che,  in   considerazione   della   contingente   situazione
finanziaria,   la   rivalutazione    automatica    dei    trattamenti
pensionistici, ai sensi dell'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del
1998, e' riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, nella misura del 100
per cento esclusivamente  ai  trattamenti  pensionistici  di  importo
complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. 
    A seguito di tale sentenza, veniva emanato  il  decreto-legge  n.
65/2015, convertito in legge n. 109/2015, che ha modificato il  comma
25 dell'art. 24 del citato decreto-legge  n.  201/2011  nei  seguenti
termini: 
      «La rivalutazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici,
secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23
dicembre  1998,  n.  448,  relativa  agli  anni  2012  e   2013,   e'
riconosciuta: 
        a)  nella  misura  del  100  per  cento  per  i   trattamenti
pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il  trattamento
minimo INPS. Per le pensioni di importo  superiore  a  tre  volte  il
trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato  della
quota di rivalutazione automatica  spettante  sulla  base  di  quanto
previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
        b)  nella  misura  del  40  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici complessivamente superiori a tre volte  il  trattamento
minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento  minimo
INPS  con  riferimento  all'importo   complessivo   dei   trattamenti
medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  quattro  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
        c)  nella  misura  del  20  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici  complessivamente  superiori   a   quattro   volte   il
trattamento minimo  INPS  e  pari  o  inferiori  a  cinque  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore  a  cinque
volte il predetto  trattamento  minimo  e  inferiore  a  tale  limite
incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante  sulla
base  di  quanto  previsto  dalla  presente  lettera,  l'aumento   di
rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del  predetto
limite maggiorato; 
        d)  nella  misura  del  10  per  cento  per   i   trattamenti
pensionistici  complessivamente   superiori   a   cinque   volte   il
trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento
minimo INPS con riferimento all'importo complessivo  dei  trattamenti
medesimi. Per le  pensioni  di  importo  superiore  a  sei  volte  il
predetto trattamento minimo e inferiore a  tale  limite  incrementato
della quota di  rivalutazione  automatica  spettante  sulla  base  di
quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e'
comunque  attribuito  fino  a   concorrenza   del   predetto   limite
maggiorato; 
        e)  non  e'  riconosciuta  per  i  trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi». 
    I ricorrenti, richiamando la sentenza della Corte  costituzionale
n. 70 del 2015, lamentano l'incostituzionalita' della  disciplina  da
ultimo indicata sotto i seguenti profili: 
      1) Violazione del principio di cui all'art. 38, comma 2, Cost.,
poiche' la mancata rivalutazione impedisce la conservazione nel tempo
del valore della pensione, menomandone l'adeguatezza; 
      2) Violazione del principio di cui all'art. 36, comma 1, Cost.,
poiche'   la   mancata   rivalutazione   viola   il   principio    di
proporzionalita' tra pensione (che costituisce il prolungamento della
retribuzione goduta in costanza  di  lavoro)  e  retribuzione  goduta
durante l'attivita' lavorativa; 
      3) Violazione del principio derivante  dal  combinato  disposto
degli articoli 36, 38 e 3 Cost., poiche'  la  mancata  rivalutazione,
violando il principio di proporzionalita' tra pensione e retribuzione
e quello di adeguatezza della prestazione  previdenziale,  altera  il
principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando  una  irrazionale
discriminazione in danno della categoria dei pensionati; 
      4) Violazione del principio di  universalita'  dell'imposizione
di cui all'art. 53 Cost., nonche' di quello di non discriminazione ai
fini dell'imposizione, di ragionevolezza nell'esercizio del potere di
imposizione, nonche'  del  principio  della  parita'  di  prelievo  a
parita' di presupposto di imposta di cui al combinato disposto  degli
articoli 3, 23 e 53 Cost., poiche' la misura  adottata  si  configura
quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente  tributaria,
in  quanto  doverosa,  non  connessa  all'esistenza  di  un  rapporto
sinallagmatico tra le parti e collegata esclusivamente alla  pubblica
spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante; 
      5)  Violazione   dell'art.   136   Cost.,   avendo   la   Corte
costituzionale da sempre sostenuto il principio secondo cui  una  sua
sentenza ha efficacia vincolante anche per il Parlamento, al quale e'
preclusa la possibilita' di ripristinare l'efficacia di una norma  di
legge gia' precedentemente dichiarata incostituzionale. 
    Ritiene questo giudice  che  la  questione  d'incostituzionalita'
sollevata  dai  ricorrenti  sia  rilevante   e   non   manifestamente
infondata. 
    Come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  70
del 2015, «la perequazione automatica dei  trattamenti  pensionistici
e' uno strumento di natura tecnica, volto a garantire  nel  tempo  il
rispetto del criterio di adeguatezza  di  cui  all'art.  38,  secondo
comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare  il
principio di sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36 Cost.,
principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte,  ai
trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione  differita  (fra
le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013). 
    Per le sue caratteristiche di neutralita' e obiettivita' e per la
sua strumentalita'  rispetto  all'attuazione  dei  suddetti  principi
costituzionali,  la  tecnica  della  perequazione  si  impone,  senza
predefinirne   le   modalita',   sulle   scelte   discrezionali   del
legislatore, cui spetta intervenire per determinare  in  concreto  il
quantum di tutela di volta in volta necessario.  Un  tale  intervento
deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui  agli  articoli  36,
primo comma,  e  38,  secondo  comma,  Cost.,  principi  strettamente
interconnessi, proprio in ragione delle finalita' che perseguono. 
    La ragionevolezza di tali finalita'  consente  di  predisporre  e
perseguire  un  progetto  di  eguaglianza  sostanziale,  conforme  al
dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost. cosi' da evitare disparita'
di   trattamento   in   danno   dei   destinatari   dei   trattamenti
pensionistici.   Nell'applicare   al   trattamento   di   quiescenza,
configurabile  quale   retribuzione   differita,   il   criterio   di
proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato  (art.
36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza
(art. 38,  secondo  comma,  Cost.),  questa  Corte  ha  tracciato  un
percorso coerente  per  il  legislatore,  con  l'intento  di  inibire
l'adozione di misure  disomogenee  e  irragionevoli  (fra  le  altre,
sentenze n. 208 del  2014  e  n.  316  del  2010).  Il  rispetto  dei
parametri citati si fa  tanto  piu'  pressante  per  il  legislatore,
quanto piu' si allunga la speranza di vita e con essa  l'aspettativa,
diffusa  fra  quanti  beneficiano  di  trattamenti  pensionistici,  a
condurre  un'esistenza  libera  e  dignitosa,  secondo   il   dettato
dell'art. 36 Cost. 
    Non a caso, fin dalla sentenza n. 26 del 1980,  questa  Corte  ha
proposto una lettura sistematica degli articoli 36 e 38 Cost., con la
finalita' di offrire «una particolare protezione per il  lavoratore».
Essa ha affermato  che  proporzionalita'  e  adeguatezza  non  devono
sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo,  «ma  vanno
costantemente  assicurate  anche  nel  prosieguo,  in  relazione   ai
mutamenti  del  potere  d'acquisto  della  moneta»,  senza  che  cio'
comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello  delle
pensioni e l'ultima retribuzione, poiche' e' riservata al legislatore
una sfera di discrezionalita' per l'attuazione, anche  graduale,  dei
termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n.  106  del
1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del  1979;  n.  176  del
1975; ordinanza n. 383 del 2004). Nondimeno, dal canone dell'art.  36
Cost.  «consegue  l'esigenza  di   una   costante   adeguazione   del
trattamento di quiescenza  alle  retribuzioni  del  servizio  attivo»
(sentenza n. 501 del  1988;  fra  le  altre,  negli  stessi  termini,
sentenza  n.  30  del  2004).  Il  legislatore,  sulla  base  di   un
ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve «dettare  la
disciplina di un adeguato  trattamento  pensionistico,  alla  stregua
delle risorse finanziarie  attingibili  e  fatta  salva  la  garanzia
irrinunciabile delle esigenze minime  di  protezione  della  persona»
(sentenza n. 316 del 2010). Per scongiurare il verificarsi di «un non
sopportabile scostamento» fra  l'andamento  delle  pensioni  e  delle
retribuzioni,  il  legislatore  non  puo'  eludere  il  limite  della
ragionevolezza (sentenza n. 226 del 1993). 
    Al legislatore spetta, inoltre, individuare idonei meccanismi che
assicurino la perdurante adeguatezza  delle  pensioni  all'incremento
del costo della vita. Cosi'  e'  avvenuto  anche  per  la  previdenza
complementare, che, pur non incidendo in maniera diretta e  immediata
sulla  spesa  pubblica,  non  risulta  del  tutto  indifferente   per
quest'ultima,  poiche'  contribuisce  alla  tenuta  complessiva   del
sistema delle assicurazioni sociali (sentenza n.  393  del  2000)  e,
dunque, all'adeguatezza della prestazione previdenziale ex  art.  38,
secondo comma, Cost. 
    Pertanto, il criterio di  ragionevolezza,  cosi'  come  delineato
dalla giurisprudenza citata in relazione ai principi contenuti  negli
articoli 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive  la
discrezionalita' del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione
di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali». 
    In altre parole, il legislatore e'  vincolato  nell'an  circa  la
spettanza della perequazione,  pur  mantenendo  una  discrezionalita'
nella determinazione in  concreto  del  quantum  della  tutela.  Tale
discrezionalita' dev'essere pero' esercitata secondo  ragionevolezza,
garantendo una protezione  effettiva,  mediante  l'individuazione  di
meccanismi che, pur nel bilanciamento tra  le  esigenze  di  politica
economica e le disponibilita' finanziarie,  assicurino  un  reale  ed
effettivo adeguamento dei trattamenti di quiescenza  alle  variazioni
del costo della vita (v. anche Corte Cost., sent. n. 30/2004). 
    Cosi', il Giudice delle leggi, con sentenza n. 316 del  2010,  ha
ritenuto esercizio ragionevole della discrezionalita' del legislatore
e, dunque, legittimo l'intervento di cui all'art. 1, comma 19,  della
legge n. 247 del 2007, con il quale  era  stato  disposto  il  blocco
della perequazione automatica, per il solo anno 2008, delle  pensioni
con importo superiore a otto volte il trattamento minimo INPS, con lo
scopo dichiarato  di  contribuire  al  finanziamento  solidale  degli
interventi sulle pensioni di anzianita', contestualmente adottati con
l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge. 
    La Corte, in particolare, ha escluso che vi fosse  stata  lesione
dei principi di adeguatezza e proporzionalita'  delle  pensioni  alle
retribuzioni, di cui agli articoli 38 e 36 Cost., considerato che  le
pensioni incise dalla norma impugnata, per il loro importo  piuttosto
elevato e  per  la  limitazione  dell'intervento  ad  un  solo  anno,
presentavano  margini  di  resistenza  all'erosione  determinata  dal
fenomeno inflattivo. Quanto  alle  censure  di  irragionevolezza,  la
Corte ha osservato che  «dev'essere  riconosciuta  al  legislatore  -
all'interno di un  disegno  complessivo  di  razionalizzazione  della
precedente riforma previdenziale - la liberta'  di  adottare  misure,
come quella denunciata, di concorso solidaristico al finanziamento di
un  riassetto  progressivo  delle  pensioni   di   anzianita',   onde
riequilibrare il sistema a  costo  invariato.  In  tale  prospettiva,
neppure puo' ritenersi violato il principio di  eguaglianza,  perche'
il blocco della perequazione  automatica  per  l'anno  2008,  operato
esclusivamente sulle pensioni superiori ad  un  limite  d'importo  di
sicura rilevanza, realizza un trattamento differenziato di situazioni
obiettivamente diverse rispetto a  quelle,  non  incise  dalla  norma
impugnata, dei titolari di pensioni piu' modeste. E che si tratti  di
situazioni disomogenee trova  conferma  nella  stessa  disciplina  «a
regime» della perequazione automatica, la quale prevede una copertura
decrescente, a mano a mano che aumenta il valore  della  prestazione.
Inoltre,  la  chiara  finalita'  solidaristica  dell'intervento,   in
contrappeso all'espansione  della  spesa  pensionistica  dovuta  alla
graduazione dell'entrata in vigore di nuovi piu' rigorosi criteri  di
accesso al pensionamento di  anzianita',  offre  una  giustificazione
ragionevole alla soppressione annuale della rivalutazione  automatica
prevista a scapito dei titolari dei trattamenti medio - alti. Il loro
sacrificio, infatti, serve ad attuare la scelta  non  arbitraria  del
legislatore  di  soddisfare  -  cancellando  la   brusca   elevazione
dell'eta'  minima  pensionabile  -  le   aspettative   maturate   dai
lavoratori,  i  quali,  in  base  alla  piu'  favorevole   disciplina
previgente, erano prossimi al raggiungimento del prescritto requisito
anagrafico». 
    Respinte le  censure  di  incostituzionalita'  portate  alla  sua
attenzione, la Corte, in chiusura della pronuncia, non ha mancato  di
lanciare un monito al legislatore, segnalando espressamente  che  «la
sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo,  ovvero
la  frequente  reiterazione  di   misure   intese   a   paralizzarlo,
esporrebbero il sistema ad evidenti  tensioni  con  gli  invalicabili
principi di ragionevolezza e proporzionalita' (su cui, nella  materia
dei trattamenti di quiescenza, v. sentenze n. 372 del 1998 e  n.  349
del 1985), perche' le pensioni, sia  pure  di  maggiore  consistenza,
potrebbero  non  essere  sufficientemente  difese  in  relazione   ai
mutamenti del potere d'acquisto della moneta». 
    Tale monito non e' stato tuttavia ascoltato dal legislatore, come
evidenziato  dalla  stessa  Corte  costituzionale  nella   successiva
sentenza n. 70 del 2015. 
    In effetti, con l'intervento di cui al comma 25 dell'art. 24  del
decreto-legge n. 201 del  2011,  e'  stata  introdotto  un  ulteriore
blocco del meccanismo rivalutativo  secondo  una  disciplina  che  si
discosta sotto diversi profili  da  quella  precedentemente  ritenuta
conforme a Costituzione. 
    Ed invero, l'intervento adottato nel  2011,  rispetto  al  blocco
della perequazione per il 2008,  incide  su  trattamenti  di  importo
inferiore rispetto a quelli di cui all'intervento precedente, per  un
periodo di tempo piu' lungo (un biennio, in luogo di un solo anno)  e
per motivazioni  riconducibili  a  generiche  esigenze  di  bilancio,
laddove  la  legge  n.  247/2007  aveva  disposto  il  blocco   della
rivalutazione  per  espresse  finalita'  solidaristiche   legate   al
complessivo riequilibrio del sistema pensionistico. 
    La   Corte   costituzionale,   chiamata   ad   esprimersi   sulla
legittimita' dell'intervento in questione, ha  quindi  osservato  che
«La censura relativa al comma 25, dell'art. 24, del decreto-legge  n.
201 del 2011, se vagliata sotto i profili  della  proporzionalita'  e
adeguatezza del trattamento  pensionistico,  induce  a  ritenere  che
siano stati valicati i limiti di ragionevolezza  e  proporzionalita',
con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento
stesso  e  con   «irrimediabile   vinificazione   delle   aspettative
legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo  successivo  alla
cessazione della propria attivita'» (sentenza n. 349 del 1985). 
    Non  e'  stato  dunque  ascoltato  il   monito   indirizzato   al
legislatore con la sentenza n. 316 del 2010. 
    Si  profila  con  chiarezza,  a   questo   riguardo,   il   nesso
inscindibile che lega il dettato degli articoli 36,  primo  comma,  e
38, secondo comma, Cost. (fra le piu' recenti, sentenza  n.  208  del
2014, che richiama la sentenza n. 441 del 1993). Su questo terreno si
deve   esercitare   il   legislatore   nel   proporre   un   corretto
bilanciamento, ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di
spesa, nel rispetto di un ineludibile vincolo di scopo  «al  fine  di
evitare  che  esso  possa  pervenire  a  valori  critici,  tali   che
potrebbero rendere inevitabile l'intervento correttivo  della  Corte»
(sentenza n. 226 del 1993). La disposizione concernente l'azzeramento
del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24, dell'art. 25, del
decreto-legge  n.  201  del  2011,  come  convertito,  si  limita   a
richiamare genericamente  la  «contingente  situazione  finanziaria»,
senza che emerga dal disegno  complessivo  la  necessaria  prevalenza
delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento,  nei
cui confronti si effettuano  interventi  cosi'  fortemente  incisivi.
Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non e'
dato  riscontrare  alcuna  documentazione  tecnica  circa  le  attese
maggiori entrate, come previsto dall'art. 17, comma 3, della legge 31
dicembre 2009, n. 196,  recante  «Legge  di  contabilita'  e  finanza
pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art.  17
quale «puntualizzazione tecnica» dell'art. 81 Cost.). 
    L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari
di trattamenti previdenziali modesti, e' teso alla conservazione  del
potere di acquisto delle somme  percepite,  da  cui  deriva  in  modo
consequenziale il diritto a una prestazione  previdenziale  adeguata.
Tale diritto, costituzionalmente fondato,  risulta  irragionevolmente
sacrificato nel  nome  di  esigenze  finanziarie  non  illustrate  in
dettaglio.  Risultano,  dunque,  intaccati  i  diritti   fondamentali
connessi  al  rapporto  previdenziale,  fondati   su   inequivocabili
parametri costituzionali:  la  proporzionalita'  del  trattamento  di
quiescenza, inteso  quale  retribuzione  differita  (art.  36,  primo
comma, Cost.)  e  l'adeguatezza  (art.  38,  secondo  comma,  Cost.).
Quest'ultimo e' da intendersi quale espressione certa, anche  se  non
esplicita, del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e al
contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale  di  cui
all'art. 3, secondo comma, Cost.». 
    Nei confronti delle disposizioni introdotte con il decreto  legge
n. 65/2015, censurate dagli odierni ricorrenti,  si  ritiene  possano
porsi i medesimi dubbi di legittimita' costituzionale gia'  ravvisati
dalla Corte con riferimento alla  previgente  formulazione  dell'art.
25, comma 24, del decreto-legge n. 201 del 2011. 
    Anche la disciplina attualmente vigente, infatti, analogamente  a
quanto disposto con l'intervento dichiarato incostituzionale: 
      esclude in toto la rivalutazione nei confronti  di  trattamenti
pensionistici di importo inferiore (sei volte il  trattamento  minimo
INPS) rispetto a quelli (di importo pari ad otto volte il minimo) che
la Corte,  con  sentenza  n.  316/2010,  aveva  ritenuto  «di  sicura
rilevanza» e che «presentavano  margini  di  resistenza  all'erosione
determinata dal fenomeno inflattivo»; vengono poi individuate, con la
disciplina in esame, fasce intermedie di valore, nei cui confronti la
rivalutazione viene comunque pesantemente incisa (in particolare, per
le pensioni di valore compreso tra tre e quattro volte il minimo,  la
rivalutazione e' limitata nell'importo del 40% di quella che  sarebbe
dovuta, limitazione che si eleva al 20% per  i  trattamenti  compresi
tra quattro e cinque volte il minimo ed al 10% per i trattamenti  tra
cinque e sei volte il minimo); 
      conferma  il  blocco  della  perequazione  automatica  per   un
biennio,  introducendo  ulteriori  limitazioni  anche  per  gli  anni
successivi (in virtu' della disposizione  che  limita  l'operativita'
della rivalutazione  relativa  al  biennio  al  20%  per  il  biennio
seguente, 2014/2015, ed al 50% per il 2016); 
      come in occasione dell'intervento precedente - ed a  differenza
del  blocco  per  il  2008,   motivato   per   specifiche   finalita'
solidaristiche   interne   al   sistema   previdenziale   -   difetta
dell'indicazione  di  puntuali  ragioni  giustificative,  risultando,
anche in questo caso, il diritto dei pensionati sacrificato  in  nome
di   obiettivi   generici,   quali   il   «rispetto   del   principio
dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica»  e
la  «salvaguardia  della  solidarieta'   intergenerazionale»,   ossia
enunciazioni che - come efficacemente evidenziato  dall'ordinanza  di
rimessione del Tribunale di Genova del 9 agosto 2016 - hanno riguardo
a finalita' gia' insite di per se' (ex articoli 81  e  38  Cost.)  in
ogni iniziativa legislativa adottata nella materia pensionistica. 
    Deve inoltre prendersi atto di come l'intervento in esame rientri
in un disegno complessivo - quale quello stigmatizzato da Corte cost.
n.  316/2010  -  di  frequente  reiterazione  di  misure   intese   a
paralizzare il meccanismo perequativo, tali da esporre il sistema  ad
evidenti tensioni con gli invalicabili principi di  ragionevolezza  e
proporzionalita',  «perche'  le  pensioni,  sia  pure   di   maggiore
consistenza,  potrebbero  non  essere  sufficientemente   difese   in
relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta». 
    Risulta pertanto non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dai ricorrenti, con riferimento
al rispetto dei  principi  di  proporzionalita'  del  trattamento  di
quiescenza, inteso  quale  retribuzione  differita  (art.  36,  primo
comma, Cost.) e di adeguatezza del  trattamento  medesimo  (art.  38,
secondo  comma,  Cost.),  quest'ultimo  da  intendersi  anche   quale
espressione del principio di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost.  ed
al contempo attuazione del principio di  eguaglianza  sostanziale  di
cui all'art. 3, secondo comma, Cost. 
    Parimenti, non emerge l'infondatezza prima  facie  dell'eccezione
di illegittimita' costituzionale della disciplina in esame  sotto  il
profilo della violazione dell'art. 136 Cost. 
    Nel chiarire la portata dell'art. 136, comma 1, Cost., la  Corte,
con sentenza n. 223 del 1983, ha richiamato alcuni  propri  risalenti
precedenti, quali la sentenza n. 73 del 1963, in cui si e'  precisato
che  il  rigore  del  citato  precetto   costituzionale   impone   al
legislatore di  «accettare  la  immediata  cessazione  dell'efficacia
giuridica della norma illegittima», anziche'  «prolungarne  la  vita»
sino all'entrata in vigore di una nuova disciplina del  settore;  nel
medesimo senso, ha ricordato la sentenza n. 88 del 1966, la' dove  la
Corte ha riaffermato che  le  decisioni  di  accoglimento  hanno  per
destinatario il legislatore stesso, al quale e' quindi  precluso  non
solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la
propria efficacia, bensi' il  perseguire  e  raggiungere,  «anche  se
indirettamente», esiti corrispondenti a quelli gia'  ritenuti  lesivi
della Costituzione. 
    Recentemente, la Corte e' tornata a stigmatizzare le disposizioni
con cui il legislatore, statale o regionale, interviene per  mitigare
gli effetti di una pronuncia di  illegittimita'  costituzionale,  per
conservare o ripristinare, in tutto o in  parte,  gli  effetti  della
norma dichiarata illegittima (v., ad es., sentenza n. 169 del 2015 e,
da ultimo, sentenza n. 224 del 20 ottobre 2016). 
    Nella specie, il legislatore del  decreto  legge  n.  65/2015  ha
introdotto, con riferimento alle pensioni di importo superiore a  sei
volte il minimo, un  blocco  totale  della  perequazione  identico  a
quello che,  per  il  medesimo  periodo  temporale,  era  gia'  stato
introdotto nel 2011 per  il  tramite  della  disposizione  dichiarata
costituzionalmente illegittima  con  sentenza  n.  70  del  2015.  E'
evidente quindi la violazione del giudicato costituzionale. 
    Violazione che, nondimeno, puo' ravvisarsi anche con  riferimento
a quelle ipotesi intermedie (pensioni di valore compreso  tra  tre  e
sei volte il minimo) in cui il legislatore, a parziale modifica della
precedente disciplina dichiarata incostituzionale, ha  introdotto  un
blocco parziale, variabile dal 60  al  90%,  della  perequazione  che
sarebbe spettata in applicazione della disciplina generale: anche  in
dette  ipotesi,  infatti,  il  blocco  della  perequazione,   seppure
limitato nel quantum, sconta gli stessi  vizi  gia'  ravvisati  nella
sentenza del  2015,  ossia  la  durata  biennale  della  sospensione,
l'incisione su trattamenti pensionistici di  importo  non  elevato  e
l'omessa  individuazione   specifica   delle   esigenze   finanziarie
presupposte e dei motivi della loro prevalenza sui diritti oggetto di
bilanciamento. 
    Va  invece  ritenuta  manifestamente  infondata  la   prospettata
questione di legittimita' costituzionale con riferimento ai parametri
di cui al combinato disposto degli articoli 3, 23  e  53  Cost.,  sui
quali la Corte, con la piu' volte menzionata sentenza n. 70 del 2015,
ha gia' avuto modo di osservare che l'azzeramento della  perequazione
automatica oggetto di censura  sfugge  ai  canoni  della  prestazione
patrimoniale di natura tributaria, atteso che esso non da'  luogo  ad
una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso  un  atto
autoritativo di carattere ablatorio, destinato a reperire risorse per
l'erario. 
    Quanto   alla   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale, e' sufficiente rilevare che le  disposizioni  di  cui
all'art.  1,  decreto-legge  n.  65/2015,  convertito  in  legge   n.
109/2015, hanno variamente inciso sul diritto, azionato dagli odierni
ricorrenti,  ad  ottenere  la  perequazione  integrale   dei   propri
trattamenti  pensionistici,  pacifico  essendo   che   Pellegrino   e
Seligardi godono di una pensione di valore compreso tra tre e quattro
volte  il  trattamento  minimo  [ipotesi  contemplata  dall'art.  24,
decreto-legge n. 201/2011, comma 25, lettera b),  con  riconoscimento
del 40% della rivalutazione], Beraldi tra quattro e cinque  volte  il
trattamento minimo [ipotesi di cui alla lett. d) del  medesimo  comma
25, con riconoscimento della rivalutazione  nella  misura  del  20%],
mentre Micheletto e Valente, godendo di  un  trattamento  di  importo
superiore a sei volte il minimo, non si sono visti riconoscere alcuna
rivalutazione, come previsto dal comma 25 cit., lett. e). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il giudice monocratico, in funzione di giudice del lavoro: 
      1)  Dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  24,  comma  25,
decreto-legge n. 201/2011, convertito nella legge  n.  214/2011,  nel
testo sostituito dall'art. 1, decreto-legge n. 65/2015, convertito in
legge n. 109/2015), nella parte in cui prevede che «La  rivalutazione
automatica  dei  trattamenti  pensionistici,  secondo  il  meccanismo
stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge  23  dicembre  1998,  n.
448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta: [...] b)  nella
misura  del  40   per   cento   per   i   trattamenti   pensionistici
complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo  INPS  e
pari o inferiori a quattro  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; [  ...]
d) nella misura del 10 per  cento  per  i  trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo  INPS
e pari o inferiori  a  sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a sei  volte  il  predetto  trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e)  non
e' riconosciuta  per  i  trattamenti  pensionistici  complessivamente
superiori a sei volte il  trattamento  minimo  INPS  con  riferimento
all'importo complessivo dei  trattamenti  medesimi»,  per  violazione
degli articoli 3, 36 comma 1, 38 comma 2 e 136 Cost.; 
      2) Sospende il presente  giudizio  e  dispone  la  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
      3)  Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia   trasmessa   al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  comunicata  ai  Presidenti
delle Camere del Parlamento; 
      4) Manda la Cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
        La Spezia, 2 novembre 2016 
 
                         Il Giudice: Romano