N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 gennaio 2017
Ordinanza del 3 gennaio 2017 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Di Blasi Antonino contro Ministero della giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura e Del Boccio Anna . Impiego pubblico - Previdenza - Magistrati - Esclusione dell'applicabilita' al personale di magistratura della disciplina di cui al decreto-legge n. 90 del 2014 a tutela del conseguimento del minimo pensionistico. - Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 1, commi 1, 2, 3 e 5.(GU n.19 del 10-5-2017 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO (Sezione Prima) ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 3260 del 2016, proposto da: Antonino Di Blasi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Falcone c.f. FLCGPP44L01A887K, con domicilio eletto presso l'avv. Antonio Iorio in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 287; Contro Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, Consiglio Superiore della Magistratura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti di Anna Del Boccio, non costituita in giudizio; per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione a) della delibera del CSM del 22 dicembre 2015 prot. P23872/2015 che ha disposto il collocamento a riposo del ricorrente dal 1° gennaio 2016 per limite di eta', nonche' b) della nota ministeriale non comunicata ed ivi presupposta e richiamata n. 12610/5/FM/pv del 20 novembre 2015; c) del decreto ministeriale 30 dicembre 2015 del Ministro della giustizia, comunicato in corso di registrazione, giusta nota Ministeriale 31 dicembre 2015 prot. 14572/5/FM/pv, con cui si comunica la parziale revoca del decreto ministeriale 24 aprile 2012 di trattenimento in servizio, stante il collocamento a riposo a decorrere dal 1° gennaio 2016, disposto con la precitata delibera del CSM del 22 dicembre 2015; d) della nota del Ministero della giustizia in data 11 gennaio 2016 prot. 101/09/5, con la quale si prende atto dei pareri del Consiglio di Stato - Seconda Sezione, quali resi nella Adunanza del 2 dicembre 2015 e depositato il 3 dicembre 2015 e nella Adunanza del 22 dicembre 2015 e depositato il 23 dicembre 2015, e si dispone la sospensione della nota dell'Ufficio V Pensioni prot. n. 8830 del 21 agosto 2015; e) della delibera del CSM 27 gennaio 2016, comunicata con nota 28 gennaio 2016 prot. P1442/2016, con la quale si «delibera non luogo a provvedere sull'istanza» del 7 gennaio 2016 con la quale l'odierno ricorrente chiedeva che il CSM adottasse i provvedimenti necessari al proprio mantenimento in servizio; nonche' di ogni altro atto presupposto, antecedente e/o consequenziale a quelli impugnati anche non conosciuto e tuttavia rilevante; e per il risarcimento del danno; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visto l'art. 79, comma 1, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 novembre 2016 la dott.ssa Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato e ritenuto in fatto ed in diritto 1 - Che con il ricorso in epigrafe, il Dott. Antonino Di Blasi, Consigliere della Corte di cassazione, impugna gli atti della procedura di collocamento a riposo, posti in essere dal Ministero della giustizia e dal Consiglio Superiore della Magistratura (di seguito, anche «CSM») in applicazione del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/14, per chiederne l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione. Il ricorrente chiede altresi' il risarcimento del danno subito per effetto dei provvedimenti e dei comportamenti dell'Amministrazione. Che il ricorrente espone di essere stato nominato consigliere di cassazione all'eta' di 57 anni, ai sensi della legge 5 agosto 1998, n. 303, giusta delibera del CSM 28 ottobre 1999 e decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2000, e destinatario, in corso di rapporto, del provvedimento 2 novembre 2011 del CSM, di trattenimento in servizio, su istanza dell'interessato, fino al 75° anno di eta', e cioe' fino al 23 settembre 2017; Che con successivo provvedimento n. 8830 del 21 agosto 2015 il Ministero della giustizia ha chiesto tuttavia di acquisire i documenti per il suo collocamento in pensione a partire dal 1° gennaio 2016 e, pertanto, in data 23 settembre 2015, il dott. Di Blasi ha confermato al CSM la sua volonta' di restare in servizio fino al raggiungimento del 75° anno o, comunque, per il minor tempo sufficiente a conseguire il diritto a pensione. Che, ciononostante, il Ministero della giustizia ne ha disposto il collocamento a riposo in applicazione del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014. Che, con atto depositato in data 10 novembre 2015, il dott. Di Blasi ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di collocamento a riposo, nonche' della delibera del CSM del 30 luglio 2015, nella parte in cui veniva disposta la pubblicazione straordinaria di venticinque posti di consigliere di Cassazione e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale. Il Consiglio di Stato, nell'Adunanza del 2 dicembre 2015, esprimeva il parere che dovesse «essere accolta la domanda proposta dal ricorrente e per l'effetto sospesa l'efficacia dell'impugnato provvedimento di collocamento a riposo ...». Che, frattanto, in data 22 dicembre 2015, il CSM emetteva il provvedimento di collocamento a riposo del dott. Di Blasi alla data del 31 dicembre 2015, oggetto del presente giudizio. 2 - Che la presente controversia attiene, dunque, agli atti di collocamento a riposo del ricorrente, a far data dal 1° gennaio 2016 - adottati in conseguenza dell'abrogazione dell'istituto del c.d. «trattenimento in servizio» e della disciplina transitoria introdotta dal decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014 e modificata dal decreto-legge n. 83/2015, convertito dalla legge n. 132/2015 - che l'odierno esponente impugna con il ricorso in epigrafe unitamente a tutti gli atti presupposti e connessi, lamentando di non aver maturato, per la suddetta data, il diritto al conseguimento della pensione. 3 - Che il contenzioso in esame concerne, in definitiva, la vicenda applicativa del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, e segnatamente dell'art. 1 (Disposizioni per il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni), commi 1, 2, 3 e 5, il quale stabilisce, al comma 1: «Sono abrogati l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, l'art. 72, commi 8, 9, 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e l'art. 9, comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.» al comma 2: «Salvo quanto previsto dal comma 3, i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto sono fatti salvi fino al 31 ottobre 2014 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore. I trattenimenti in servizio disposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e non ancora efficaci alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge sono revocati.» al comma 3: «Al fine di salvaguardare la funzionalita' degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore». al comma 5: «All'art. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, il comma 11 e' sostituito dal seguente: "11. Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorita' indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012 dall'art. 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'eta' anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'art. 24. Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di eta', ai dirigenti medici e del ruolo sanitario. Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresi' ai soggetti che abbiano beneficiato dell'art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni."». 4 - Che, in attuazione della citate disposizioni, le Amministrazioni resistenti hanno provveduto a disporre a far data dal 1° gennaio 2016 il collocamento a riposo del dott. Di Blasi, nonostante che il ricorrente fosse stato destinatario di un provvedimento di trattenimento in servizio fino al 75° anno di eta', e cioe' fino al 23 settembre 2017, e avesse successivamente confermato la sua volonta' di permanere in servizio fino a quella data o, in subordine, per il minor periodo di tempo che - cumulato con gli altri periodi a diverso titolo computabili - sarebbe stato sufficiente a conseguire il diritto a pensione. Che l'odierno esponente si duole della circostanza che, per effetto del provvedimento di collocamento a riposo a far data dal 1° gennaio 2016, non sarebbe posto nelle condizioni di raggiungere il diritto al minimo della pensione, pur avendo acquisito il diritto e la legittima aspettativa a restare in servizio fino a quella data. Ne discenderebbe un pregiudizio notevole, connesso, sia alla perdita della retribuzione mensile da gennaio 2016 a settembre 2017, sia agli esborsi necessari al riscatto del periodo da gennaio 2016 a settembre 2017, sia, infine, all'impossibilita' di ottenere il riconoscimento a fini pensionistici e di buonuscita del periodo di effettivo servizio (16 anni), come anche dei 24 anni figurativamente previsti dal comma 1 dell'art. 5 della legge n. 303/1998. Che, poiche' ad avviso delle Amministrazioni resistenti l'emanazione del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, legittimerebbe il collocamento a riposo del dott. De Blasi a partire al 1° gennaio 2016, per quest'ultimo si renderebbe necessario contestare sia gli atti adottati in applicazione della normativa primaria, sia la normativa stessa, e chiedere l'annullamento dei provvedimenti impugnati oltre che la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni patiti e patiendi dall'odierno esponente, per come sopra evidenziati. 5 - Che il ricorrente sostiene l'illegittimita' degli atti impugnati, deducendo sei motivi di ricorso di seguito sintetizzati: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e dei principi in tema di motivazione dei provvedimenti amministrativi. Eccesso di potere. I provvedimenti impugnati sarebbero, sostanzialmente, privi di motivazione e non darebbero conto delle specifiche ragioni poste a base della richiesta di trattenimento in servizio, fino al raggiungimento del 75° anno di eta', e rappresentate dalla particolare necessita' del ricorrente di maturare il periodo minimo per conseguire il diritto al pensionamento; il mero riferimento al testo dell'«art. 18 comma 1 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla legge n. 132/2015, ed alla necessita', per effetto della normativa sopravvenuta, di dover disporre il collocamento a riposo dell'interessato», non risulterebbe pertinente alla posizione del dott. Di Blasi. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 69, comma 2 della legge 18 giugno 2009, n. 69. Eccesso di potere. Gli atti impugnati sarebbero illegittimi anche perche' assunti in elusione del parere del Consiglio di Stato favorevole alla sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato dal ricorrente con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, e assuntivamente avente ad oggetto il collocamento a riposo del dott. Di Blasi, e pertanto violerebbero la norma in rubrica, che limiterebbe il potere governativo di non uniformarsi al parere reso nell'Adunanza del 2 dicembre 2015 dal Consiglio di Stato. 3) Nullita' e/o illegittimita' del provvedimento di collocamento a riposo adottato dal CSM il 22 dicembre 2015 e comunicato il 30 dicembre 2015 con mail per violazione ed elusione del giudicato cautelare (art. 21-septies, legge n. 241/1990). Il provvedimento del CSM del 22 dicembre 2015 che - anziche' adeguarsi al parere espresso dal Consiglio di Stato - ha disposto il collocamento a riposo del ricorrente con effetto dal 1° gennaio 2016, si porrebbe in aperta violazione dell'art. 21-septies della legge n. 241/1990 e sarebbe, pertanto, nullo e/o illegittimo, non potendosi ammettere che la pubblica amministrazione non rispetti la misura cautelare legittimamente adottata dal Giudice per legge competente a valutare la fattispecie. 4) Nullita' e/o illegittimita' del provvedimento di collocamento a riposo per violazione degli obblighi contrattuali, dei diritti quesiti e della tutela dell'affidamento, per eccesso di potere, irragionevolezza manifesta, omessa motivazione, e per violazione dell'art. 97 e dell'art. 38 della Costituzione per non avere garantito al lavoratore le condizioni per raggiungere il diritto al minimo della pensione. Il ricorrente, nominato direttamente Consigliere della Corte di cassazione in applicazione della norma che ha dato attuazione all'art. 106 della Costituzione, ha avuto riconosciuto dal CSM il diritto ad essere trattenuto in servizio fino al 75° anno di eta' sulla base di una legge dello Stato, e avrebbe quindi acquisito il diritto e la legittima aspettativa a restare in servizio fino a quella data, al fine di creare le condizioni per raggiungere il diritto al minimo della pensione. Il diritto del lavoratore al raggiungimento del minimo della pensione sarebbe tutelato dall'art. 38 della Costituzione, come piu' volte statuito anche dalla Corte costituzionale, e non potrebbe essere scalfito da una norma successiva, la quale dovrebbe essere interpretata in senso costituzionalmente orientato al fine di garantire stabilita' alle situazioni da cui sorgono diritti fondamentali. Aggiunge il ricorrente che il provvedimento impugnato risulterebbe illegittimo anche perche' lo stesso violerebbe il principio della tutela dell'affidamento, che trova riconoscimento a livello nazionale e comunitario, e il principio del diritto a raggiungere il minimo della pensione lavorando, tutelato dall'art. 4 e dall'art. 38, comma 2, della Costituzione. A tal fine, il ricorrente richiama precedenti pronunce di incostituzionalita' di disposizioni normative, che sarebbero state introdotte dal legislatore in tema di trattenimenti in servizio funzionali al raggiungimento del minimo pensionistico (Corte costituzionale n. 33 del 2013 e n. 444 del 1990). Infine, l'odierno esponente lamenta la violazione dell'art. 97 della Costituzione, non avendo la pubblica amministrazione adottato, nel caso in esame, la soluzione che meglio l'avrebbe garantita sul piano economico e dei principi. 5) In via subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, nella parte in cui, conservando - nell'art. 72 decreto-legge n. 112/2008 riformulato - il potere dell'Amministrazione di risolvere il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti «a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento», facendo in questo modo salvo il diritto a pensione, ha escluso da questa disciplina il personale della magistratura, per evidente contrasto di queste norme con gli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione. Il ricorrente, in via subordinata, chiede che l'adito Giudice voglia sollevare la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, delle disposizioni normative in rubrica, nella parte in cui escludono i magistrati dal novero delle persone alle quali lo Stato garantisce la possibilita' di maturare il diritto a pensione. 6) In via ulteriormente subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2 e 3 del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, per contrasto con l'art. 81 e con l'art. 97 della Costituzione. In via ulteriormente subordinata, chiede che l'adito Giudice voglia sollevare la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 81 della Costituzione, delle disposizioni normative in rubrica, in quanto l'eliminazione dell'istituto del trattenimento in servizio prevista dall'art. 1 del decreto-legge n. 90 del 2014 comporterebbe una rilevante nuova spesa, e per contrasto con l'art. 97 della Costituzione, nella parte in cui verrebbe in rilievo il nuovo parametro costituito dal criterio di economicita' e nella parte in cui verrebbero altresi' in rilievo il buon andamento e l'efficienza dell'amministrazione. 6 - Che le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio per difendere la piena legittimita' e doverosita' del proprio operato a termini di legge, legge le cui disposizioni sono state altresi' argomentatamente ritenute scevre dai dedotti vizi di legittimita' costituzionale; 7 - Che alla Camera di consiglio del 6 aprile 2016 convocata per l'esame della domanda cautelare, con ordinanza n. 1576/2016 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati ai soli fini della fissazione, per la trattazione del merito, dell'udienza pubblica del 9 novembre 2016; 8 - Che con memoria del 22 settembre 2016 il ricorrente ha variamente articolato le censure proposte e maggiormente dettagliato, documentandole, le richieste risarcitorie gia' avanzate con il ricorso; 9 - Che all'esito dell'udienza pubblica del 9 novembre 2016 il ricorso e' stato quindi introitato dal Collegio per la decisione; 10 - Che, a fini di un corretto inquadramento della fattispecie, e' opportuno premettere un sintetico richiamo al quadro normativo di riferimento. L'art. 16, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 503/1992 riconosceva alle categorie di personale di cui all'art. 1 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, tra cui sono ricompresi i magistrati ordinari, la facolta' di permanere in servizio sino al compimento del settantacinquesimo anno di eta'. L'art. 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha tuttavia abrogato, tra gli altri, l'art. 16 anzidetto, prevedendo al 3° comma che, «Al fine di salvaguardare la funzionalita' degli uffici giudiziari, i trattenimenti in servizio, pur se ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla data di entrata in vigore del presente decreto ne abbiano i requisiti ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino alla loro scadenza se prevista in data anteriore». Con la modifica in seguito introdotta in materia dal decreto-legge n. 83/2015 (in vigore dal 27 giugno 2015), l'art. 18 (Proroga degli effetti del trattenimento in servizio dei magistrati ordinari) ha disposto: «1. Al fine di salvaguardare la funzionalita' degli uffici giudiziari e garantire un ordinato e graduale processo di conferimento, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, degli incarichi direttivi e semidirettivi che si renderanno vacanti negli anni 2015 e 2016, gli effetti dell'art. 1, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, sono differiti al 31 dicembre 2016 per i magistrati ordinari che non abbiano compiuto il settantaduesimo anno di eta' alla data del 31 dicembre 2015 e che debbano essere collocati a riposo nel periodo fra lo stesso 31 dicembre 2015 ed il 30 dicembre 2016. Per gli altri magistrati ordinari che abbiano compiuto almeno il settantaduesimo anno di eta' alla data del 31 dicembre 2015, resta fermo il termine ultimo di permanenza in servizio stabilito dal citato art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 90 del 2014». Il ricorrente, che alla data del 31 dicembre 2015 avrebbe compiuto il settantatreesimo anno di eta', essendo nato il 23 settembre 1942, e al quale pertanto non risultava applicabile la proroga di cui al richiamato art. 18, e' rimasto assoggettato alla normativa transitoria introdotta dal decreto-legge n. 90/2014, con l'effetto che il provvedimento impugnato (la delibera del CSM del 22 dicembre 2015) ne ha deliberato il collocamento a riposo per raggiunto limite di eta'. 11 - Che l'odierno esponente censura variamente gli atti impugnati, deducendone l'illegittimita' sotto i diversi profili del difetto di motivazione (primo motivo di ricorso), della contrarieta' al parere espresso dal Consiglio di Stato nell'adunanza del 2 dicembre 2015 (motivi secondo e terzo), della contrarieta' a principi e norme costituzionali (quarto motivo); e, solo in subordine, chiede all'adito giudice sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014), quanto ai commi 1, 2, 3 e 5, per contrasto con gli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, quanto ai commi 1, 2 e 3, per ulteriore contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione (motivi quinto e sesto di ricorso); 12 - Che, ai fini della decisione delle complesse e delicate questioni evocate dal ricorrente, hanno priorita' logica le censure svolte con i primi quattro motivi di gravame, perche' volte a far valere l'illegittimita' degli atti di collocamento a riposo del dott. Di Blasi e quindi maggiormente satisfattive dell'interesse al bene della vita azionato con il ricorso; mentre, solo nel caso di mancato accoglimento delle predette censure e, quindi, di ritenuta legittima applicazione al caso concreto della normativa transitoria di cui decreto-legge n. 90/2014, deve farsi luogo allo scrutinio delle ulteriori censure, concernenti le proposte questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni normative richiamate; 13 - Che, con la sentenza non definitiva n. 12384/2016 del 13 dicembre 2016, il Collegio ha escluso la fondatezza delle censure di illegittimita' degli atti impugnati dedotte con i motivi primo, secondo, terzo e quarto di ricorso, e ha disatteso la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli 81 e 97 della Costituzione, proposta con il sesto motivo di ricorso; 14 - Che al Collegio restano, dunque, da esaminare le questioni di possibile illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, per la possibile violazione degli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, sollevate dal ricorrente con il quinto motivo del ricorso, ma deducibili anche d'ufficio e, a fortiori, integrabili da questo giudice; 15 - Che la rilevanza delle indicate questioni di legittimita' costituzionale per la decisione del giudizio a quo non appare dubbia alla luce dell'esposizione dei fatti di causa, atteso che i provvedimenti impugnati con il ricorso trovano un'indefettibile base normativa nel citato art. 1 del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014 - norma che, in concreto, impedisce di fare salvo il provvedimento di trattenimento in servizio fino a 75 anni che garantirebbe al dott. Di Blasi il raggiungimento del minimo di pensione - di modo che il suo eventuale annullamento per illegittimita' costituzionale comporterebbe l'illegittimita' derivata degli atti predetti, con il conseguente accoglimento del ricorso che altrimenti - alla stregua delle pregresse considerazioni - dovrebbe essere respinto. 16 - Che ben piu' complesso e' il vaglio della «non manifesta infondatezza» dei numerosi profili di illegittimita' costituzionale sopra indicati, riservato al giudice a quo; 17 - Che occorre in primo luogo rammentare il fondamentale canone ermeneutico secondo il quale «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime» [o «una disposizione non puo' essere ritenuta costituzionalmente illegittima»] perche' e' possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perche' e' impossibile darne interpretazioni costituzionali" (sentenza n. 356/1996 e pronunce successive) per giustificare, insieme, il potere-dovere dei giudici di interpretare secundum constitutionem e l'inammissibilita' dell'incidente costituzionale promosso senza esercitarlo; Che, sulla scorta del suddetto canone, al giudice comune viene richiesto di sperimentare preventivamente la possibilita' di dare al testo legislativo un significato compatibile con il parametro costituzionale, e - ove il tentativo risulti infruttuoso - di offrire adeguata motivazione, nell'ordinanza di rimessione, delle ragioni che impediscono di pervenire in via interpretativa alla soluzione ritenuta costituzionalmente corretta; e, per l'effetto, la dichiarazione di inammissibilita' o di manifesta inammissibilita', con cui la Corte sanzionasse le questioni incidentali sollevate senza farsi carico di tali oneri, sarebbe, a rigore, determinata da una lacuna dell'ordinanza di rimessione, che trascurasse di motivare su un punto essenziale ai fini della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione e si risolvesse in una inammissibile «richiesta di parere alla Corte costituzionale, incompatibile con la funzione istituzionale di questo Collegio (cfr. la sentenza n. 123 del 1970)»; 18 - Che, venendo al vaglio della «non manifesta infondatezza» dei profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione, le proposte questioni si prestano a conclusioni piu' articolate, peraltro gia' sviluppate dalla Corte, in situazioni analoghe, a partire dalla sentenza n. 444 del 1990 fino, piu' di recente, alla sentenza n. 33 del 2013, tutte aventi ad oggetto la tutela del conseguimento del minimo pensionistico, quale bene oggetto di protezione ai sensi dell'art. 38, comma 2, della Costituzione; 19 - Che, in particolare, il comma 5 dell'art. 1 del decreto-legge n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014), nel sostituire l'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008 - in evidente aderenza anche alla previsione di cui all'art. 38, comma 2, della Costituzione - ha ancorato la possibilita' per le Amministrazioni pubbliche di recedere anticipatamente dal rapporto di pubblico impiego, all'avvenuta maturazione del requisito di anzianita' contributiva per l'accesso al pensionamento dei pubblici dipendenti. La nuova formulazione dell'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008, tuttavia, esclude l'applicazione del principio anche al personale della magistratura, determinando un rilevante vulnus al diritto dei magistrati a maturare i requisiti minimi per la pensione; 20 - Che, nel caso all'esame, dunque, il collocamento a riposo del dott. Di Blasi, disposto in virtu' dell'art. 1 del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, preclude al ricorrente di raggiungere il periodo minimo indispensabile per maturare il proprio diritto al pensionamento e pertanto ne viola in maniera irreparabile il diritto a maturare i requisiti minimi per la pensione di vecchiaia, che trova una tutela primaria, rispettivamente, nell'art. 4 e nell'art. 38, comma 2, della Costituzione; 21 - Che l'applicazione della normativa transitoria di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, conduce a risultati analoghi a quelli di consimili disposizioni di legge, gia' dichiarate incostituzionali dalla Suprema Corte, nella parte in cui le stesse non consentivano «al personale ivi contemplato, che al raggiungimento del limite massimo di eta' per il collocamento a riposo, non avesse compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianita' minima» (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013). Gia' in passato, con riferimento al personale della scuola, la Corte medesima aveva affermato che non potesse essere preclusa, senza violare l'art. 38, secondo comma, della Costituzione, la possibilita', per coloro che al compimento del 65° anno (prescritto per il collocamento a riposo) - e quale che fosse la data di assunzione - non avessero ancora maturato il diritto a pensione, di derogare a tale limite per il collocamento a riposo, al solo scopo di completare il periodo minimo di servizio richiesto dalla legge per il conseguimento di tale diritto (Corte costituzionale, sentenza n. 444 del 1990); 22 - Che, avuto riguardo al consolidato orientamento espresso dalla Corte costituzionale in tema di tutela del conseguimento del minimo pensionistico, la lamentata esclusione del personale della magistratura dal campo di applicazione della disciplina recata dall'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008 - come modificato dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014 - pone seri dubbi di compatibilita' della disposizione con gli articoli 2, 4 e 38 della Costituzione; 23 - Che, come chiaramente evidenziato e costantemente ribadito dalla Corte medesima, norme analoghe a quelle impugnate «rispondono a finalita' sociali di particolare pregio costituzionale, in quanto tendenti a conferire il massimo della effettivita' alla garanzia del diritto sociale alla pensione, riconosciuto a tutti i lavoratori dall'art. 38, comma 2, della Costituzione» (Corte costituzionale, sentenze n. 238 del 1988 e n. 444 del 1990). Che, «nella prospettiva di una piu' ampia attuazione del diritto garantito dall'art. 38, comma 2, l'interesse del lavoratore ad essere trattenuto in servizio per il tempo necessario al conseguimento della pensione normale e' meritevole di considerazione, tanto piu' che la presunzione secondo cui al compimento dei 65 anni di eta' si pervenga ad una diminuita disponibilita' di energia incompatibile con la prosecuzione del rapporto e' destinata ad essere vieppiu' inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacita' di lavoro» (Corte costituzionale, sentenza n. 444 del 1990); 24 - Che il Collegio ritiene di fondamentale rilievo il richiamo al costante orientamento della Suprema Corte, secondo il quale il problema della tutela del conseguimento del minimo pensionistico «e' strettamente connesso a quello dei limiti di eta'; la previsione di questi ultimi e' rimessa «al legislatore nella sua piu' ampia discrezionalita'» (sentenza n. 195 del 2000) e quest'ultima puo' incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti di eta' ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico» (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013). Che «anche la deroga ai limiti di eta' al fine del conseguimento del bene primario del minimo pensionistico incontra a sua volta dei limiti fisiologici» e la Corte «ha avuto modo di definirli come «energia compatibile con la prosecuzione del rapporto» (sentenza n. 444 del 1990), oltre la quale neppure l'esigenza di tutelare detto bene primario puo' spingersi. Nel tempo, detto limite fisiologico si e' spostato in avanti, di modo che, mentre fino al 1989 (sentenza n. 461 del 1989) esso e' stato individuato a sessantacinque anni, successivamente con la citata sentenza n. 444 del 1990 questa Corte ha affermato che «la presunzione secondo cui al compimento dei sessantacinque anni si pervenga ad una diminuita disponibilita' di energia incompatibile con la prosecuzione del rapporto "e' destinata ad essere vieppiu' inficiata dai riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di salute dei lavoratori sulla loro capacita' di lavoro"». (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013); 25 - Che conclusivamente, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, risulta ben ferma e netta «la distinzione tra la tutela della pensione minima e l'intangibile discrezionalita' del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in relazione alle diverse figure professionali interessate. Mentre il conseguimento della pensione al minimo e' un bene costituzionalmente protetto, altrettanto non puo' dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori (ex plurimis, sentenza n. 227 del 1997)» (Corte costituzionale, sentenza n. 33 del 2013); 26 - Che nemmeno la previsione normativa di cui all'art. 6, comma 2, della legge n. 303/1998, che richiama la legge n. 45/1990 - nel caso di specie applicabile al dott. Di Blasi - del ricongiungimento dei periodi di contribuzione per il caso di pregresso esercizio dell'attivita' forense, e' sufficiente a superare i dubbi di costituzionalita' prospettati con riferimento all'art. 1, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli 4 e 38 della Costituzione, perche' il ricongiungimento predetto attiene alla mera facolta' di unificare tutti i periodi di contribuzione maturati presso le diverse forme previdenziali ai fini di un'unica pensione, laddove il prospettato dubbio di costituzionalita' concerne il possibile vulnus al diritto del lavoratore di conseguire il minimo pensionistico lavorando, ed e' dovuto alla lamentata esclusione del personale della magistratura dalla nuova formulazione dell'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008, come sopra enunciata; 27 - Che, sotto ulteriore profilo, l'esclusione del personale della magistratura dal campo di applicazione della disciplina recata dall'art. 72 del decreto-legge n. 112/2008 - come modificato dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014 - risulta ingiustificata e irrazionale, in quanto esclude i magistrati dal novero dei soggetti ai quali lo Stato garantisce la possibilita' di maturare - nei limiti della ragionevolezza - il diritto a pensione, e collide con evidenti ragioni di giustizia e di civilta'. Che la suddetta esclusione viola pertanto l'art. 3 della Costituzione, venendosi a configurare, nella specie, un'irrazionale disparita' di trattamento in danno del personale della magistratura, alla luce della irredimibile circostanza che «l'esigenza di raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione e' un interesse di tutti i lavoratori» (Corte costituzionale, sentenza n. 444 del 1990); 28 - Che l'accertata rilevanza e non manifesta infondatezza della predetta questione incidentale di legittimita' costituzionale del citato art. 1, commi 1, 2, 3, e 5, del decreto-legge, n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, nei termini sopra evidenziati, determina la necessita' di rimettere gli atti di causa alla Corte costituzionale, con sospensione parziale del presente giudizio fino alla sua decisione.
P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3260/2016, come in epigrafe proposto, visti gli articoli 1 della legge 9 febbraio 1948 n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, riservata ogni altra pronuncia nel merito e sulle spese, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, meglio evidenziata in motivazione, dell'art. 1, commi 1, 2, 3, e 5 del decreto-legge n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114/2014, in relazione agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione. Dispone la sospensione parziale del presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva al definitivo ogni altra statuizione in rito, nel merito e sulle spese. Cosi' deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 9 novembre 2016 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe, Presidente; Rosa Perna, consigliere, estensore; Roberta Cicchese, consigliere. Il Presidente: Volpe L'estensore: Perna