N. 54 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2018

Ordinanza  del  16  febbraio  2018  della  Corte  di  cassazione  nel
procedimento civile promosso da  Bolognesi  Davide  contro  Consob  -
Commissione nazionale per le societa' e la borsa. 
 
Borsa - Intermediazione finanziaria - Attivita'  di  vigilanza  della
  CONSOB - Inottemperanza  alle  richieste  della  CONSOB  o  ritardo
  recato all'esercizio delle sue funzioni -  Sanzione  amministrativa
  pecuniaria  -  Applicazione  della  sanzione  anche  nel  caso   di
  contestazione di abuso di informazioni privilegiate. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52),  art.
  187-quinquiesdecies, nel testo originariamente introdotto dall'art.
  9,  comma  2,  lett.  b),  della  legge  18  aprile  2005,  n.   62
  (Disposizioni   per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'   europee.   Legge
  comunitaria 2004). 
Borsa  -  Intermediazione  finanziaria  -   Abuso   di   informazioni
  privilegiate - Sanzioni amministrative pecuniarie  comminate  dalla
  CONSOB - Confisca per equivalente. 
- Decreto legislativo 24 febbraio 1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
  disposizioni in materia di intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
  degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio  1996,  n.  52),  art.
  187-sexies, introdotto dall'art. 9, comma 2, lett. a), della  legge
  18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento  di  obblighi
  derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'  europee.
  Legge comunitaria 2004). 
(GU n.14 del 4-4-2018 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        dott. Stefano Petitti - Presidente; 
        dott. Antonio Oricchio - consigliere; 
        dott. Antonello Cosentino - relatore consigliere; 
        dott. Luigi Abete - consigliere; 
        dott. Raffaele Sabato - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
8878-2014 proposto da Bolognesi Davide, elettivamente domiciliato  in
Roma, Via E. Q. Visconti 20, presso  lo  studio  dell'avvocato  Renzo
Ristuccia, che lo rappresenta e lo difende - ricorrente; 
    Contro   CONSOB   Commissione   Nazionale   Societa'   e   Borsa,
elettivamente domiciliato in Roma, V. Martini  Giovanni  Battista  3,
presso  lo  studio  dell'avvocato  Salvatore   Providenti,   che   lo
rappresenta e difende unitamente  agli  avvocati  Antonella  Valente,
Maria Letizia Ermetes, Michela Dini - controricorrente; 
    Avverso la sentenza n. 5276/2013 della Corte d'Appello  di  Roma,
depositata il 20 novembre 2013; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
13 aprile 2017 dal consigliere dott. Antonello Cosentino; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Francesco Mauro Iacoviello  che  ha  concluso  per  cassazione  senza
rinvio per la sanzione inflitta ex art. 187, rigetto nel resto; 
    Udito l'avv. Ristuccia Renzo, difensore  del  ricorrente  che  ha
chiesto l'accoglimento del ricorso; 
    Uditi gli avv.ti Valente  Antonella  e  Dini  Michela,  difensori
della resistente che hanno chiesto il rigetto del ricorso. 
 
                           Fatti di causa 
 
    1. Il sig.  Davide  Bolognesi  ha  chiesto  la  cassazione  della
sentenza della corte d'appello di Roma che ha rigettato l'opposizione
da lui proposta avverso la delibera CONSOB  n.  18199  dell'8  maggio
2012, avente ad  oggetto  l'irrogazione  a  suo  carico  di  sanzioni
amministrative previste dal decreto legislativo 24 febbraio  1998  n.
58, Testo unico delle  disposizioni  in  materia  di  intermediazione
finanziaria (di seguito: T.U.F.). 
    2.  Con  la  suddetta  delibera  la  CONSOB  aveva  adottato  nei
confronti  del   medesimo   Bolognesi   (socio   e   consigliere   di
amministrazione della societa' FMR Art'e') le seguenti misure: 
        a) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di euro 200.000  in
relazione all'illecito di cui all'art. 187-bis, comma 1,  lettera  a)
del T.U.F. (insider trading), con  riguardo  all'acquisto  di  30.000
azioni FMR Art'e', dal medesimo effettuato tra il 19 e il 26 febbraio
2009 sulla base del possesso dell'informazione privilegiata  relativa
all'imminente lancio di una OPA per delisting su  tale  societa',  da
lui stesso promossa insieme con  altri  due  soci  della  stessa  FMR
Art'e'; 
        b) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di euro 100.000  in
relazione all'illecito di cui all'art. 187-bis, comma 1, lettera  c),
T.U.F., per aver il ricorrente  indotto  la  signora  Laura  Russo  a
comprare azioni della medesima societa' FMR Art'e'; 
        c) aveva irrogato una sanzione pecuniaria di' euro 50.000  in
relazione   all'art.   187-quinquiesdecies   T.U.F.   a   causa   del
comportamento dilatorio tenuto dal ricorrente, il  quale,  dopo  aver
piu' volte rinviato la data dell'audizione cui era stato convocato in
qualita' di persona informata dei fatti,  si  era  poi  rifiutato  di
rispondere alte domande; 
        d) aveva  applicato  la  sanzione  accessoria  della  perdita
temporanea  dei  requisiti   di   onorabilita'   prevista   dall'art.
187-quater, comma 1, T.U.F., per la durata di 18 mesi; 
        e) aveva disposto la confisca per equivalente del profitto  e
dei mezzi usati per ottenerlo ai sensi dell'art.  187-sexies  T.U.F.,
fino alla concorrenza dell'importo di euro 149.760. 
    3.  Il  ricorso  per  cassazione  si  articola  in  tre   motivi,
rispettivamente riferiti alle statuizioni della sentenza  gravata  di
seguito indicate: 
        - con il  primo  mezzo  si  censura  la  statuizione  che  ha
disatteso l'impugnativa della sanzione irrogata  dalla  CONSOB  -  ai
sensi dell'art. 187-bis, comma 1, lettera c), T.U.F. -  per  aver  il
ricorrente indotto la sig.ra Laura  Russo  a  comprare  azioni  della
societa' FMR Art'e'; 
        - con il secondo mezzo  si  censura  la  statuizione  che  ha
disatteso l'impugnativa avverso la sanzione irrogata dalla  CONSOB  -
ai  sensi  dell'art.  187-quinquiesdecies  T.U.F.  -  per  avere   il
ricorrente ostacolato l'attivita' ispettiva della CONSOB; 
        - con il  terzo  mezzo  si  censura  la  statuizione  che  ha
disatteso l'impugnativa avverso la  confisca  per  equivalente  -  ai
sensi  dell'art.  187-sexies  T.U.F.  -  del  profitto  ritratto  dai
ricorrente dalle operazioni di  trading  effettuate  sulla  base  del
possesso dell'informazione privilegiata, nonche' dei mezzi usati  per
ottenerlo. 
    4. La CONSOB ha depositato controricorso. 
    5. La causa e' stata discussa alla pubblica udienza del 13 aprile
2017, per la  quale  tanto  il  ricorrente  quanto  la  CONSOB  hanno
depositato memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale
ha concluso come in  epigrafe.  Il  Collegio  si  e'  successivamente
riconvocato il 15 ottobre 2017 e, nuovamente, il 24 gennaio 2018 e la
presente ordinanza e'  stata  deliberata  all'esito  di  quest'ultima
riconvocazione. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
    6. Il primo motivo di ricorso. 
    Con il primo motivo, riferito al vizio di cui all'art. 360  n.  3
c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli
articoli 187-septies T.U.F., da interpretare alla  luce  dell'art.  6
CEDU,  in  cui  la  corte  d'appello  sarebbe  incorsa  disattendendo
l'eccezione con cui egli aveva lamentato come  la  CONSOB  lo  avesse
sanzionato per un fatto (la raccomandazione alla signora 
    Russo  di  acquistare  azioni  FMR  Art'e')  diverso  da   quello
originariamente contestatogli (la  trasmissione  alla  signora  Russo
dell'informazione privilegiata relativa al prossimo lancio di  un'OPA
sulla societa'  FMR  Art'e'),  cosi'  violando  la  prescrizione  che
l'irrogazione delle  sanzioni  avvenga  «previa  contestazione  degli
addebiti agli interessati» (art. 187-septies, primo comma, T.U.F.). 
    In proposito il ricorrente puntualizza che, con l'originario atto
di contestazione del 13 maggio 2011 e  con  il  conseguente  atto  di
accertamento, gli era stata addebitata la violazione della lettera b)
dell'art.  187-bis  T.U.F.,  che  punisce  chi  comunica   ad   altri
informazioni privilegiate al  di  fuori  del  normale  esercizio  del
lavoro,  della  professione,  della  funzione  o  dell'ufficio  (c.d.
tipping), mentre l'impugnato  provvedimento  sanzionatorio  lo  aveva
riconosciuto responsabile della violazione delta lettera c) dell'art.
187-bis T.U.F., che punisce chi raccomanda o induce altri, sulla base
di una informazione privilegiata,  al  compimento  di  operazioni  su
strumenti finanziari  (c.d.  tuyautage).  In  tal  modo,  secondo  il
ricorrente, sarebbe stato violato il principio di corrispondenza  tra
contestazione e sanzione sancito dall'art. 187-septies del T.U.F., da
interpretare anche alla luce  dell'art.  6  CEDU  (e  della  relativa
giurisprudenza della Corte di Strasburgo). 
    7. Il secondo motivo di ricorso. 
    Col secondo motivo, riferito al vizio di cui all'art.  360  n.  3
c.p.c., il ricorrente lamenta  la  violazione  e  falsa  applicazione
dell'art. 187-octies T.U.F.,  commi  3,  lettera  c),  e  7,  nonche'
dell'art. 187-quinquiesdecies T.U.F., da interpretare alla  luce  dei
principi  costituzionali  e  dell'art.  6  CEDU,  in  cui  la   corte
territoriale sarebbe  incorsa  rigettando  l'impugnativa  avverso  la
sanzione di € 50.000 irrogatagli  per  avere  ostacolato  l'attivita'
ispettiva  della   CONSOB,   differendo   immotivatamente   la   data
dell'audizione  cui  era  stato  convocato  in  qualita'  di  persona
informata dei fatti e poi rifiutandosi di  rispondere  alle  domande.
Nel mezzo di  ricorso  si  argomenta  che  la  sanzione  irrogata  al
Bolognesi  sarebbe  incompatibile  col  principio  «nemo  tenetur  se
detegere», anche in ragione dei rilievo che le dichiarazioni rese nel
corso  di  tale  audizione  possono  essere  trasmesse  al   Pubblico
Ministero, qualora vengano ravvisati  gli  estremi  di  una  condotta
penalmente rilevante  (art.  187-decies,  comma  2).  Ad  avviso  del
ricorrente, la previsione dell'obbligo di  presentarsi  all'audizione
e, ivi, di rendere  dichiarazioni,  dietro  la  comminatoria  di  una
sanzione rilevante, integrerebbe una violazione dell'art.  6  CEDU  e
dei  principi  del  giusto  processo  recepiti  all'art.  111   della
Costituzione. A chiusura del motivo di ricorso il ricorrente  solleva
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 187-octies  e
187-quinquiesdecies, per il caso non  se  ne  ritenga  possibile  una
interpretazione  conforme  alla  Costituzione,  in  riferimento  agli
articoli 3, 24, 111 e 117 Cost. e 6 CEDU, «nella  misura  in  cui  il
primo non prevede l'applicazione degli articoli 61, 63 e  198,  comma
2, codice di procedura penale ed il secondo  contempli  una  sanzione
amministrativa per il soggetto  sottoposto  ad  indagini  CONSOB  che
rifiuti di fornire risposte suscettibili  di  utilizzazione  in  sede
penale  e  comunque  in  sede  di  applicazione  di  gravi   sanzioni
amministrative». 
    8. Il terzo motivo di ricorso. 
    Col terzo motivo, riferito al vizio di  cui  all'art.  360  n.  3
c.p.c., si censura  la  violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.
187-sexies T.U.F., da interpretare alla luce dell'art.  1  del  Primo
Protocollo addizionale alla CEDU e dell'art. 6  della  CEDU,  nonche'
dell'art. 3 l. 241/1990, in merito alla sanzione della  confisca  per
equivalente (art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c.). 
    In  primo  luogo  il  ricorrente,  deducendo  il  carattere   non
obbligatorio  della  confisca  per  equivalente  ex  art.  187-sexies
T.U.F., censura la sentenza gravata per aver disatteso,  sull'erroneo
presupposto della obbligatorieta' di detta confisca, la doglianza con
cui egli  aveva  lamentato  l'omessa  motivazione  del  provvedimento
sanzionatorio  sulle   ragioni   dell'applicazione   della   confisca
medesima. 
    In ogni  caso,  secondo  il  ricorrente,  il  disposto  dell'art.
187-sexies, secondo comma, T.U.F., ove interpretato nel  senso  della
obbligatorieta' della confisca per equivalente, desterebbe  dubbi  di
legittimita' costituzionale, anche  in  relazione  alle  disposizioni
della CEDU, rilevanti, quali norme interposte, ex art. 117 Cost.. 
        1) Sotto un primo profilo il ricorrente denuncia il contrasto
con l'art. 6 CEDU, in relazione all'articolo art. 117 Cost.,  perche'
l'irrogazione automatica  della  sanzione  accessoria  vanificherebbe
qualsivoglia forma di contraddittorio. 
        2)  Sotto  un  secondo  profilo  il  ricorrente  denuncia  il
contrasto con l'art. 1 del Primo Protocollo  addizionale  alla  CEDU,
ancora in relazione all'articolo art.  117  Cost.,  per  mancanza  di
proporzionalita' tra il sacrificio imposto al diritto  di  proprieta'
del  destinatario  della  sanzione  e  le  finalita'   pubbliche   da
perseguire. Nel mezzo di gravame si argomenta, al  riguardo,  che  il
«considerando» n.  38  della  direttiva  2003/06/CE  prevede  che  le
sanzioni siano «proporzionate alla gravita' della violazione  e  agli
utili realizzati e dovrebbero essere applicate coerentemente»  e  che
tale precetto non viene rispettato da  una  disciplina  sanzionatoria
che  preveda  la  confisca  non  soltanto  delle  somme   equivalenti
all'importo degli utili realizzati con le  operazioni  effettuate  in
base ad informazioni privilegiate, ma anche delle  somme  equivalenti
agli importi investiti per effettuare dette operazioni. 
        3) Sotto un terzo profilo il ricorrente denuncia il contrasto
con  l'art.  42  della  Costituzione  assumendo  che  «una   sanzione
accessoria di  misura  indeterminata  e  potenzialmente  spropositata
viola il necessario e ragionevole bilanciamento di interessi  fra  il
diritto di proprieta' costituzionalmente garantito dall'art. 42 Cost.
e la finalita' della sanzione». 
        4)  Sotto  un  quarto  profilo  il  ricorrente  denuncia   il
contrasto con l'art. 27 della Costituzione, in quanto non si potrebbe
considerare educativa  una  pena  -  tale  dovendosi  sostanzialmente
ritenere la confisca - il cui importo venga determinato  in  base  ad
elementi casuali, cosi' da poter risultare in concreto sproporzionata
rispetto all'illecito commesso. 
        5)  Sotto  un  quinto  profilo  il  ricorrente  denuncia   il
contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  in  quanto,  ove  non  si
ritenesse  applicabile  alle  sanzioni  amministrative  il   disposto
dell'art.  27  Cost.,  verrebbe  in  rilievo,  in  primo  luogo,   la
irragionevolezza  di   una   sanzione   determinata   casualmente   e
potenzialmente sproporzionata; in  secondo  luogo,  la  irragionevole
disparita'  di  disciplina  tra  la  graduabilita'   della   sanzione
pecuniaria principale comminata dall'art. 187-bis  T.U.F.  e  la  non
graduabilita' della confisca per  equivalente  dei  mezzi  utilizzati
nell'operazione di trading, comminata dall'art. 187-sexies T.U.F.; in
terzo  luogo,  la  irragionevole  disparita'  di  disciplina  tra  la
obbligatorieta' della confisca di cui all'art. 187-sexies T.U.F. e la
facoltativita' della confisca ordinaria  di  cui  all'art.  20  della
legge n. 689/1981. 
    9. Sull'irrilevanza dell'esame del primo  motivo  di  ricorso  ai
fini   della   instaurazione   di   un   giudizio   incidentale    di
costituzionalita'. 
    Nel secondo motivo di ricorso viene  sollevata  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli  187-quinquiesdecies  e
187-octies T.U.F. e nel terzo motivo di ricorso  viene  sollevata  la
questione  di  legittimita'   costituzionale   in   ordine   all'art.
187-sexies T.U.F.. Le questioni  poste  in  tali  motivi  appiano  al
Collegio rilevanti e non manifestamente infondate, per le ragioni che
di seguito si illustreranno. 
    Poiche' la decisione sul primo motivo di ricorso  non  condiziona
in alcun modo la decisione sugli altri motivi,  giacche',  come  gia'
sopra evidenziato (§ 3), ognuno dei tre mezzi di impugnazione censura
un capo diverso ed autonomo della sentenza  gravata,  nella  presente
ordinanza, con la quale si va ad instaurare un  giudizio  incidentale
di costituzionalita', non si trattera' del primo motivo di ricorso. 
    10. Le  questioni  poste  dal  secondo  motivo  del  ricorso  per
cassazione. 10.1 A Davide Bolognesi e' stata  comminata  la  sanzione
amministrativa di € 50,000 sulla scorta della seguente  contestazione
della CONSOB (trascritta a pag. 18 del ricorso per cassazione): 
    «In ragione del fatto che la S.V. 
        1) nel corso delle indagini  si  sia  presentata  presso  gli
uffici della CONSOB per essere sottoposta ad audizione il 3  dicembre
2010, circa cinque mesi dopo la convocazione,  avvenuta  con  lettera
del 1° luglio 2010, posticipando piu' volte momento  in  cui  sarebbe
stata disponibile e  fornendo,  al  riguardo,  generiche  motivazioni
concernenti presunti impegni dei quali non ha fornito evidenza; 
        2)  nel  corso  della  stessa  audizione  non  abbia   inteso
rilasciare dichiarazioni. La  S.V.  ha  mancato  di  ottemperare  nei
termini alle richieste della CONSOB e provocato ritardo all'esercizio
delle sue funzioni.» 
    10.2 Ad avviso della  corte  d'appello  di  Roma,  peraltro,  «il
Bolognesi   non   risulta   sanzionato   per   l'atteggiamento    non
collaborativo tenuto in sede  di  audizione  personale  dopo  essersi
recato presso gli uffici della CONSOB, ma solamente per le  reiterate
ed ingiustificate richieste di rinvio dell'audizione.» (pag. 10 della
sentenza). Al riguardo  la  corte  territoriale  sottolinea  che  «la
violazione addebitata al Bolognesi consiste nell'aver costui  mancato
di ottemperare nei termini  alle  richieste  della  CONSOB  di  avere
quindi  ritardato  l'esercizio  delle  funzioni  della   Commissione.
L'opponente si e' infatti presentato presso gli uffici  della  CONSOB
solamente in data 3 dicembre 2010, ossia con  un  ritardo  di  cinque
mesi  dalla  convocazione,  durante  i  quali   aveva   ripetutamente
posticipato la data  in  cui  sarebbe  stato  disponibile  ad  essere
sentito, adducendo a tal fine  motivazioni  generiche  e  fondate  su
imprecisati impegni.» La corte  d'appello  dunque,  in  sostanza,  ha
ritenuto  legittima  l'applicazione  della  sanzione   amministrativa
pecuniaria prevista dall'art. 187-quinquiesdecies T.U.F. per il  solo
fatto del ritardo ingiustificato con cui l'incolpato si e' presentato
presso gli uffici della CONSOB,  giudicando  irrilevante  l'ulteriore
circostanza, pure menzionata nella contestazione  della  CONSOB,  del
silenzio da lui serbato in sede di audizione. 
    10.3 Il ricorrente ha affermato il proprio  diritto,  ex  art.  6
CEDU, di non contribuire alla propria incolpazione, argomentando  che
«sia che la sanzione faccia seguito al silenzio serbato in audizione,
sia che la sanzione faccia seguito  al  rinvio  dell'audizione,  essa
resta costituzionalmente illegittima» (pag. 20,  penultimo  cpv,  del
ricorso) ed ha sostenuto che l'art.  187-quinquiesdecies  T.U.F.  non
sarebbe applicabile al soggetto sottoposto  ad  indagini  sui  propri
comportamenti in materia di insider trading. 
    10.4 Il ricorrente, per l'ipotesi che l'esclusione dell'incolpato
dal campo applicativo dell'art. 187-quinquiesdecies  T.U.F.  non  sia
ritenuta compatibile con il tenore letterale della  disposizione,  ha
sollevato la questione di legittimita' costituzionale della stessa in
riferimento agli articoli 3, 24, 111 e  117  Cost.  (quest'ultimo  in
riferimento all'art. 6 CEDU). 
    In relazione ai medesimi parametri costituzionali  il  ricorrente
ha  altresi'  sollevato  la  questione  di   legittimita'   dell'art.
187-octies  T.U.F.,  che  disciplina  i  poteri  della  CONSOB,   con
riferimento alla lettera c) del comma 3 (che attribuisce alla  CONSOB
il potere di procedere  all'audizione  personale  di  chiunque  possa
essere informato dei fatti), nonche' con riferimento al comma 7  (che
fa salva l'applicazione delle disposizioni degli articoli  199,  200,
201,  202  e  203  del  codice  di  procedura   penale,   in   quanto
compatibili), nella parte in  cui  tale  comma  non  fa  salva  anche
l'applicazione degli articoli 61, 63  e  198,  secondo  comma,  dello
stesso codice di procedura penale. 
    10.5  La  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  187-octies
T.U.F. e' priva di rilevanza, giacche', ai fini della decisione,  non
viene in questione il potere della CONSOB di procedere  all'audizione
(anche) dell'incolpato, bensi' il potere della CONSOB  di  sanzionare
l'incolpato qualora costui, non ritenendo  conveniente  alla  propria
difesa sottoporsi all'audizione,  ne  ostacoli  lo  svolgimento;  ne'
viene in questione  l'applicazione  degli  articoli  61,  63  e  198,
secondo comma c.p.p., giacche' si tratta di disposizioni estranee  al
tema del decidere; il sig. Bolognesi, infatti,  non  ha  reso  alcuna
dichiarazione nel corso della sua audizione davanti  alla  CONSOB  e,
d'altra  parte,  la  sentenza   impugnata   ha   ritenuto   legittima
l'applicazione  della  sanzione  amministrativa  pecuniaria  prevista
dall'art. 187-quinquiesdecies T.U.F. per  il  ritardo  ingiustificato
con cui l'incolpato si e' presentato presso gli uffici della  CONSOB,
non per il silenzio da lui serbato in sede di audizione. 
    11.  La  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
187-quinquiesdecies 
    11.1  Nel  presente  giudizio  appare  invece  rilevante  e   non
manifestamente infondata la questione di costituzionalita'  sollevata
dal ricorrente in relazione agli articoli 24, 111 e  117  Cost.,  con
riferimento   all'art.   6   CEDU,   nonche'    le    questione    di
costituzionalita', rilevata di ufficio  dal  Collegio,  in  relazione
all'art. 117 Cost., con riferimento all'art. 14, comma 3, lettera g),
del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New
York il 16 dicembre 1966, reso esecutivo in Italia con  la  legge  25
ottobre 1977, n. 881, e in relazione agli articoli 11  e  117  Cost.,
con riferimento  all'art.  47  CDFUE,  dell'art.  187-quinquiesdecies
T.U.F., nel testo originario, introdotto dall'art. 9, comma 2 lettera
b), della legge  18  aprile  2005  n.  62,  vigente  all'epoca  della
commissione della  violazione  e  della  irrogazione  della  sanzione
(«Fuori dai casi previsti dall'art. 2638 del codice civile,  chiunque
non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB ovvero  ritarda
l'esercizio  delle  sue  funzioni   e'   punito   con   la   sanzione
amministrativa pecuniaria da euro cinquantamila ad euro un milione»),
nella parte in cui detto articolo sanziona  la  condotta  consistente
nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel
ritardare l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui
al quale la medesima CONSOB, nell'esercizio  delle  sue  funzioni  di
vigilanza, contesti un abuso di informazioni privilegiate. 
    11.2 La rilevanza della questione. 
    11.2.1 Sulla rilevanza della enunciata questione di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  187-quinquiesdecies  T.U.F.,   nel   testo
originario, va prima di tutto evidenziato che la sanzione  della  cui
legittimita' si controverte nel presente giudizio e'  stata  irrogata
al ricorrente, ai sensi del  disposto  di  tale  articolo,  per  aver
ritardato  lo   svolgimento   di   un   procedimento   amministrativo
sanzionatorio concernente le violazioni amministrative,  ascritte  al
medesimo ricorrente, di cui all'art. 187-bis, comma 1, lettera  a)  e
lettera b), T.U.F.. Per queste  ultime  violazioni  il  Bolognesi  ha
subito la sanzione  amministrativa  pecuniaria  (non  opposta)  di  €
200.000 e, rispettivamente,  la  sanzione  amministrativa  pecuniaria
(opposta) di € 100.000. Ai  fini  della  pronuncia  sul  ricorso  per
cassazione  sarebbe   quindi   direttamente   rilevante   l'eventuale
declaratoria    di    illegittimita'     costituzionale     dell'art.
187-quinquiesdecies T.U.F., nel testo applicabile  nella  fattispecie
dedotta in giudizio, nella parte in cui detto  articolo  sanziona  la
condotta  consistente  nel  non  ottemperare   tempestivamente   alle
richieste della CONSOB o nel ritardare l'esercizio delle sue funzioni
anche nei confronti di colui al quale la medesima CONSOB contesti  un
abuso  di  informazioni  privilegiate  proprio  nell'esercizio  delle
funzioni di vigilanza ostacolate dal comportamento  inottemperante  o
dilatorio. 
    Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene opportuno svolgere  le
due seguenti precisazioni. 
    11.2.2 La formulazione letterale della disposizione  in  esame  -
nel testo vigente prima delle modifiche recate dal  decreto-legge  18
ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla  legge  17
dicembre 2012, n. 221 - e, in particolare, la potenza  semantica  del
pronome indefinito  «chiunque»  non  consente  di  pervenire  ad  una
interpretazione (orientata in senso conforme alla Costituzione,  alla
CEDU ed alla CDFUE) che  escluda  dall'ambito  applicativo  di  detta
disposizione il  soggetto  che  ostacoli  le  funzioni  di  vigilanza
esercitate dalla CONSOB (rendendosi inottemperante alle richieste  di
quest'ultima, o ritardando in altro modo il  relativo  esercizio)  in
relazione a condotte di abuso  di  informazioni  privilegiate  a  lui
stesso ascritte. 
    11.2.3   Le   modificazioni    recate    al    testo    dell'art.
187-quinquiesdecies T.U.F., prima, dal decreto-legge 18 ottobre 2012,
n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre  2012,
n. 221 e, poi, dal decreto legislativo 3  agosto  2017,  n.  129  non
incidono sul giudizio di rilevanza della  questione  di  legittimita'
costituzionale prospetta  in  relazione  al  testo  originario  della
disposizione. La prima modifica, infatti, si e' limitata ad estendere
nei confronti  della  Banca  d'Italia  il  dovere  di  collaborazione
originariamente previsto solo nei confronti della CONSOB. La  seconda
modifica, per contro, pur articolando diversamente la  fattispecie  e
rimodulando il trattamento sanzionatorio (con diminuzione del  minimo
ed aumento del massimo edittale), ha tuttavia mantenuto inalterata la
sanzionabilita' dell'inottemperanza alle richieste della CONSOB o del
ritardo all'esercizio delle sue funzioni di vigilanza, diversificando
il trattamento sanzionatorio a seconda che la violazione sia commessa
da una persona fisica o giuridica ed ampliando la forbice tra  minimo
e massimo edittale. 
    Con  specifico  riguardo  alle  modifiche  apportate   al   testo
dell'art.  187-quinquiesdecies  T.U.F.  dal  decreto  legislativo  n.
129/2017  il  Collegio  ritiene  peraltro  necessarie   le   seguenti
puntualizzazioni, volte a chiarire come  tale  jus  superveniens  sia
privo di incidenza ai fini dell'apprezzamento della  rilevanza  della
prospettata questione  di  legittimita'  costituzionale  e,  cio',  a
prescindere da qualunque approfondimento  sull'eventuale  pertinenza,
nella specie, del principio della  applicabilita'  della  lex  mitior
fissato  dall'articolo  2,  terzo  comma,  c.p.  per  le  ipotesi  di
successione di leggi penali nel tempo. 
    11.2.4 Sotto un primo aspetto va sottolineato che la precisazione
normativa alla cui stregua  il  ritardo  recato  all'esercizio  delle
funzioni della CONSOB e' sanzionato solamente  con  riferimento  alle
funzioni «di vigilanza» (il  nuovo  testo  recita:  «Fuori  dai  casi
previsti dall'articolo 2638 del codice civile, e' punito ai sensi del
presente articolo chiunque non ottempera nei termini  alle  richieste
della Banca d'Italia e  della  Consob,  ovvero  non  coopera  con  le
medesime autorita' al fine dell'espletamento delle relative  funzioni
di vigilanza, ovvero ritarda l'esercizio delle  stesse»)  non  incide
sulla punibilita' della condotta per la quale all'odierno  ricorrente
e' stata inflitta la sanzione di cui si discute. 
    A tale riguardo va in  primo  luogo  rilevato  che  l'inserimento
della specificazione «di vigilanza» nel testo della  disposizione  in
esame  ha  una  valenza   meramente   esplicativa,   giacche'   anche
l'originaria formulazione  dell'articolo  187-quinquiesdecies  T.U.F.
andava intesa con riferimento  alle  «funzioni  di  vigilanza»,  come
fatto palese dalla rubrica dell'articolo («Tutela  dell'attivita'  di
vigilanza della CONSOB»), lasciata inalterata, salva  l'aggiunta  del
riferimento alla Banca d'Italia, dalle novellazioni successive. Sotto
altro aspetto, va poi considerato che l'attivita' di  vigilanza  (che
si declina  in  vigilanza  regolamentare,  informativa,  ispettiva  e
sanzionatoria) costituisce, insieme all'attivita' di regolazione,  il
principale strumento attraverso cui la  CONSOB  persegue  il  proprio
scopo istituzionale di tutela degli investitori e che  l'accertamento
delle  condotte  integranti  abuso   di   informazioni   privilegiate
costituisce  esercizio  tipico  delle  funzioni  di  vigilanza  sulla
trasparenza dei mercati e sul rispetto delle regole di condotta degli
operatori. 
    11.2.5 In  secondo  luogo,  va  sottolineato,  da  un  lato,  che
l'accennata   modifica   dei   limiti   edittali    della    sanzione
amministrativa pecuniaria si e' risolta in un abbassamento del minimo
ed in un aumento del massimo,  cosicche'  la  sanzione  concretamente
irrogata  al  ricorrente  continua  a  collocarsi  all'interno  della
forbice tra minimo e massimo;  d'altro  lato,  che  nel  ricorso  per
cassazione  non  viene  proposta  alcuna   censura   concernente   la
quantificazione  della  sanzione  irrogata  dalla   CONSOB   per   la
violazione di cui all'articolo 187-quinquiesdecies T.U.F. 
    11.3 La non manifesta infondatezza della questione. 
    11.3.1 La questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
187-quinquiesdecies T.U.F.,  nel  testo  originario,  si  palesa  non
manifestamente  infondata  con  riferimento  ai   parametri   interni
dell'articolo 24 e dell'articolo 111 Cost., nonche'  con  riferimento
all'articolo 117 Cost., in relazione all'articolo 6 CEDU, ed all'art.
14, comma 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili  e
politici adottato a New York e, infine, con riferimento agli articoli
11 e 117 Cost., in relazione 47 CDFUE. 
    11.3.2 Il parametro dell'articolo 24 Cost. 
    11.3.2.1 Il Collegio  preliminarmente  osserva  che  le  condotte
integranti     illecito     amministrativo     secondo     l'articolo
187-quinquiesdecies T.U.F. nel testo originario, vale a dire  la  non
ottemperanza  alle  richieste  della  CONSOB  o  il  ritardo   recato
all'esercizio delle relative funzioni, costituiscono diverse facce di
un unico dovere di cooperazione all'esercizio  delle  funzioni  della
CONSOB  (dovere  reso  esplicito,   nella   sua   portata   generale,
dall'espressa previsione della condotta di colui  che  «non  coopera»
contenuta nella piu' ampia e generica formulazione della disposizione
introdotta dal decreto legislativo n. 129/2017), 
    Tanto premesso, il Collegio ritiene che l'imposizione del  dovere
di cooperare all'esercizio delle funzioni di vigilanza  della  CONSOB
(ossia  di  non  ritardarne   lo   svolgimento   e   di   ottemperare
tempestivamente alle richieste provenienti dalla  Commissione)  anche
in capo al soggetto al quale, nell'esercizio  di  dette  funzioni  di
vigilanza, la stessa CONSOB ascriva illeciti amministrativi  relativi
all'abuso di informazioni privilegiate desti un dubbio  di  contrasto
con il diritto di difesa riconosciuto come inviolabile  dall'articolo
24 della Costituzione. 
    Da una lato, infatti, il diritto di non collaborare alla  propria
incotpazione deve ritenersi un corollario del diritto di difesa (cfr.
C. cost. ord., 26 giugno 2002, n. 291;  C.cost.,  sent.,  2  novembre
1998, n. 361, Cass. pen., sent. 27 gennaio 2015 n. 8958). 
    D'altro lato, l'attivita' svolta dalla CONSOB per  l'accertamento
delle violazioni amministrative connesse  all'abuso  di  informazioni
privilegiate, pur avendo natura amministrativa e non giurisdizionale,
deve ritenersi coperta dalla previsione dell'articolo 24  Cost..  per
le due seguenti ragioni. 
    11.3.2.2  Sotto  un  primo  profilo,  si  deve  considerare   che
l'accertamento delle violazioni amministrative connesse all'abuso  di
informazioni   privilegiate   e'   potenzialmente   prodromico   alla
instaurazione di  un  procedimento  penale  per  il  delitto  di  cui
all'articolo 184 T.U.F., in quanto,  per  il  disposto  dell'articolo
187-decies, comma 2, T.U.F., il presidente della CONSOB ha il  dovere
di trasmettere al pubblico ministero la documentazione raccolta nello
svolgimento   dell'attivita'   di   accertamento   delle   violazioni
concernenti l'abuso di' informazioni privilegiate. 
    In proposito, il Collegio rileva come nel caso  del  procedimento
amministrativo per l'accertamento di violazioni relative all'abuso di
informazioni    privilegiate    non    puo'    utilmente    spendersi
l'argomentazione, concernente il  procedimento  tributario,  in  base
alla quale la Corte Costituzionale ha escluso, nella sentenza  n.  33
del 2002, la illegittimita' costituzionale dell'articolo 51,  secondo
comma, n. 2,  d.P.R.  n.  633/72,  in  riferimento  all'articolo  24,
secondo comma, Cost., ossia che «l'alternativa in  cui  si  trova  il
contribuente,  secondo   quanto   lamentato   dal   remittente,   fra
l'avvalersi  pienamente  del  «diritto  al  silenzio»  di  cui   egli
usufruisce in sede  penale  e  il  fornire  elementi  che  potrebbero
giovargli in sede tributaria ma, in ipotesi, nuocergli in altra sede,
non realizza alcuna situazione di contrasto con il diritto di difesa,
che si esplica in ogni procedimento  secondo  le  regole  proprie  di
questo: bensi' attiene  alle  personali  scelte  che,  di  fatto,  il
contribuente-indagato puo' compiere circa le modalita' e le strategie
con le quali difendersi in ciascuno dei distinti procedimenti,  fermo
restando, in  ciascuno  di  essi,  il  rispettivo  regime  probatorio
stabilito dalla legge».  Nel  caso  del  procedimento  relativo  alla
applicazione delle  sanzioni  di  cui  all'articolo  187-bis  T.U.F.,
infatti, l'alternativa in cui si trova il soggetto verso il quale  si
rivolgono gli accertamenti della CONSOB e' tra subire la sanzione  di
cui all'articolo 187 quinquiesdecis e fornire  alla  CONSOB  elementi
che potrebbero pregiudicarlo nella sede penale in cui essi  dovessero
trasmigrare secondo il disposto dell'articolo 187 decies T.U.F. 
    11.3.2.3 Sotto un secondo profilo - che prescinde dalle possibili
utilizzazioni delle acquisizioni dell'istruttoria  amministrativa  in
sede  (anche)  formalmente  penale  -  si  deve  considerare  che  il
procedimento sanzionatorio che al  ricorrente  si  addebita  di  aver
ritardato concerneva  le  violazioni  amministrative,  a  lui  stesso
ascritte, di cui all'articolo 187-bis, comma 1, lettera a) e  lettera
b),  T.U.F.,  per  le  quali  il  Bolognesi  ha  subito  la  sanzione
amministrativa   pecuniaria   (non   opposta)   di   €   200.000   e,
rispettivamente, la sanzione amministrativa pecuniaria (opposta) di €
100.000.  Entrambe  tali  violazioni  sono  punite  con  la  sanzione
pecuniaria da € 100.000 €  15.000.000  (suscettibile  di  aumento  ai
sensi del quinto comma dello stesso articolo 187-bis), oltre che  con
le sanzioni accessorie di cui all'articolo 187-quater T.U.F. e con la
confisca del  prodotto  o  del  profitto  dell'illecito  e  dei  beni
utilizzati per commetterlo. 
    Le sanzioni previste per le violazioni per  le  quali  la  CONSOB
procedeva nei confronti del Bolognesi, pur  qualificate  dalla  legge
come amministrative, sono tuttavia  connotate  da  gravita'  tale  da
doversi alle stesse riconoscere carattere sostanzialmente penale, nei
sensi di cui all'articolo 7 CEDU, in base ai criteri elaborati  dalla
Corte EDU nella sentenza 8 giugno  1976,  Engel;  si  veda  anche  la
sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens, emessa proprio con riferimento
al sistema normativo italiano in tema di abusi di  mercato,  dove  si
precisa (§94) che i c.d.  «criteri  Engel»  sono  alternativi  e  non
cumulativi. 
    Al riguardo va sottolineato che,  se  e'  vero  che  la  sentenza
Grande Stevens qualifica come sostanzialmente penale la  sanzione  di
cui all'articolo 187 ter T.U.F. e non tratta della  sanzione  di  cui
all'articolo  187-bis,  T.U.F.,   e'   pure   vero   che   la   Corte
costituzionale ha chiarito, nella sentenza n. 68/2017, § 7, come  sia
«da respingere l'idea che l'interprete non possa applicare  la  CEDU,
se non con riferimento ai  casi  che  siano  gia'  stati  oggetto  di
puntuali pronunce da parte della Corte di Strasburgo.  Al  contrario,
«l'applicazione  e  l'interpretazione  del  sistema   di   norme   e'
attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati  membri»
(sentenze n. 49 del 2015 e n. 349 del  2007).  Il  dovere  di  questi
ultimi di evitare violazioni della CEDU li obbliga ad  applicarne  le
norme, sulla base dei principi di diritto espressi dalla  Corte  EDU,
specie  quando  il  caso  sia  riconducibile   a   precedenti   della
giurisprudenza del giudice europeo (sentenze  n.  276  e  n.  36  del
2016).» 
    Tanto premesso, il  Collegio  ritiene  che  dalla  qualificazione
della sanzione di  cui  all'articolo  187-bis  T.U.F.  come  sanzione
penale ex art. 7  CEDU  discenda  l'applicabilita'  dell'articolo  24
Cost.. 
    Se, infatti, e' vero che la qualificazione di una  sanzione  come
penale alla  stregua  della  CEDU  trascina  (tutte  e)  soltanto  le
garanzie previste dalle pertinenti  disposizioni  della  Convenzione,
come elaborate dalla  Corte  di  Strasburgo,  mentre  la  definizione
dell'ambito di applicazione delle ulteriori  tutele  predisposte  dal
diritto nazionale rimane nel margine  di  apprezzamento  degli  Stati
aderenti (in termini, tra le varie, C.Cost. 24 febbraio 2017 n. 43  §
3.4.),  e'  vero  pure  che  la  garanzia  del  diritto   di   difesa
sinteticamente scolpita nel  secondo  comma  nell'articolo  24  della
Costituzione  trova  piena   corrispondenza   nel   complesso   delle
analitiche previsioni contenute nel terzo comma dell'articolo 6 CEDU. 
    Deve  inoltre  aggiungersi  che,  come  ha  chiarito   la   Corte
costituzionale (sentenze n. 49 del 2015, n. 68 del 2017 e n. 109  del
2017), le sanzioni che il legislatore costruisce come  amministrative
restano tali nel nostro ordinamento, ma sono ulteriormente  assistite
dalle garanzie previste dall'art. 7 della CEDU ove abbiano  carattere
sostanzialmente penale alla luce  della  Convenzione.  L'adozione  di
criteri sostanziali  per  la  definizione  della  materia  penale  e'
funzionale ad una piu' ampia garanzia dell'individuo: essa  si  muove
infatti «nel segno dell'incremento delle liberta' individuali, e  mai
del loro detrimento (...) come invece potrebbe accadere nel  caso  di
un definitivo assorbimento dell'illecito amministrativo nell'area di'
cio' che e' penalmente rilevante» (sentenza n. 68/2017). 
    Deve pertanto  concludersi  che  al  destinatario  degli  effetti
dell'esercizio del potere pubblico di accertamento e  sanzione  delle
violazioni di cui all'articolo 187-bis T.U.F. devono riconoscersi  le
garanzie di cui agli articoli 24 e 111 Cost.. Donde, la non manifesta
infondatezza della sollevata questione di legittimita' costituzionale
in relazione al parametro interno di' cui all'articolo 24 Cost. 
    11.3.3 Il parametro dell'articolo 111 della Costituzione. 
    Il  procedimento  volto   all'accertamento   e   sanzione   delle
violazioni di cui all'articolo  187-bis  T.U.F.  e'  un  procedimento
amministrativo al quale, tuttavia, fa  seguito  (rectius:  puo'  fare
seguito,   ad   iniziativa   del    sanzionato)    un    procedimento
giurisdizionale tendente a provocare il sindacato  sul  provvedimento
sanzionatorio  da  parte  del  giudice  (ordinario,  all'esito  della
sentenza 27 giugno 2012 n. 162 della Corte costituzionale). 
    Secondo la giurisprudenza della Corte EDU  (cfr.  sent.  4  marzo
2014,   Grande   Stevens)   la   garanzia   del    giusto    processo
nell'applicazione di sanzioni in materia di abusi di  mercato  aventi
carattere sostanzialmente penale, nei  sensi  dell'articolo  7  CEDU,
puo' essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa -
nel qual  caso,  una  successiva  fase  giurisdizionale  non  sarebbe
necessaria -  ovvero  mediante  l'assoggettamento  del  provvedimento
sanzionatorio, adottato in assenza di tali garanzie, ad un  sindacato
giurisdizionale  pieno,  di  natura  tendenzialmente  sostitutiva  ed
attuato  attraverso  un   procedimento   conforme   alle   richiamate
prescrizioni della Convenzione  (in  termini,  Cass.  8210/16,  Cass.
770/17, Cass. 30074/17). 
    Cio' posto, ad avviso del Collegio, l'imposizione del  dovere  di
cooperare all'esercizio delle  funzioni  di  vigilanza  della  CONSOB
(ossia  di  non  ritardarne   lo   svolgimento   e   di   ottemperare
tempestivamente alle richieste provenienti dalla  Commissione)  anche
in capo al soggetto al quale, nell'esercizio  di  dette  funzioni  di
vigilanza, la stessa CONSOB ascriva illeciti amministrativi  relativi
all'abuso di informazioni privilegiate desta un dubbio  di  contrasto
con  il  principio  del  giusto  processo  ex  art.  111   Cost.   e,
precisamente, con il principio della parita' delle parti fissato  nei
secondo comma di tale articolo.  Il  dovere  di  collaborare  con  la
CONSOB in capo a colui che dalla stessa CONSOB venga  sanzionato  per
l'illecito amministrativo di  cui  all'articolo  187-bis  T.U.F.  non
sembra, invero, compatibile con la  posizione  di  parita'  che  tale
soggetto e la CONSOB debbono rivestire nella fase giurisdizionale  di
impugnativa del provvedimento sanzionatorio, nella quale i meccanismi
di riparto dell'onere probatorio sono disciplinati dall'articolo 2697
c.c. 
    11.3.4  Il  parametro  dell'articolo  117  Cost.   in   relazione
all'articolo 6 CEDU. 
    L'imposizione  del  dovere  di  cooperare   all'esercizio   delle
funzioni di vigilanza  della  CONSOB  (ossia  di  non  ritardarne  lo
svolgimento  e  di   ottemperare   tempestivamente   alle   richieste
provenienti dalla Commissione) anche in capo al  soggetto  al  quale,
nell'esercizio di dette  funzioni  di  vigilanza,  la  stessa  CONSOB
ascriva illeciti amministrativi relativi  all'abuso  di  informazioni
privilegiate desta un dubbio di legittimita' costituzionale anche  in
relazione  all'articolo  117  Cost.,  con  riferimento  al  parametro
interposto dell'articolo 6 CEDU. 
    La giurisprudenza della corte EDU ha reiteratamente affermato che
il  diritto  di   non   contribuire   alla   propria   incriminazione
costituisce, al pari del diritto  di  mantenere  il  silenzio,  norma
internazionale generalmente riconosciuta che si pone al  cuore  della
nozione di processo equo consacrato dell'articolo  6  §  1  CEDU;  la
Corte di Strasburgo ha in particolare sottolineato che il diritto  di
non  contribuire  alla  propria  incriminazione  presuppone  che   le
autorita' cerchino di fondare i loro  argomenti  senza  ricorrere  ad
elementi  di  prova  ottenuti  con  costrizioni,  o  pressioni  o  in
dispregio della volonta' dell'accusato  (Corte  EDU  5  aprile  2012,
Chambaz, § 52; si vedano anche le sentenze 8 febbraio 1996 Murray  c.
Regno Unito; 17 dicembre 1996 Sauders c.  Regno  Unito;  21  dicembre
2000, Heaney e McGuinnes c. Irlanda; 3 maggio 2001, J.B. c. Svizzera;
4 ottobre 2005, Shannon c. Regno Unito; 8 ottobre  2002,  Beckles  c.
Regno Unito). 
    Ritiene il Collegio che l'imposizione  del  dovere  di  cooperare
all'esercizio delle funzioni di vigilanza della CONSOB (ossia di  non
ritardarne lo  svolgimento  e  di  ottemperare  tempestivamente  alle
richieste provenienti dalla Commissione) anche in capo al soggetto al
quale, nell'esercizio di  dette  funzioni  di  vigilanza,  la  stessa
CONSOB  ascriva  illeciti  amministrativi   relativi   all'abuso   di
informazioni privilegiate possa risultare in contrasto con l'articolo
6 § 1 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU ed assunto  come  fonte
integratrice del parametro di costituzionalita' di cui all'art.  117,
primo comma, Cost., laddove tale articolo prescrive che  la  potesta'
legislativa sia esercitata dallo Stato nel  rispetto  degli  obblighi
internazionali (cfr. C. cost. nn. 347 e 348 del 2007). 
    11.3.5  Il  parametro  dell'articolo  117  Cost.   in   relazione
all'articolo  14  del  Patto  internazionale  sui  diritti  civili  e
politici adottato a New York il 16.12.1966. 
    L'articolo 14, comma 3, lett. g), del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici adottato a New York il  16  dicembre  1966,
reso esecutivo in Italia con  la  legge  25  ottobre  1977,  n.  881,
riconosce il diritto di ogni individuo accusato di un  reato  a  «non
essere  costretto  a  deporre  contro  se  stesso  od  a  confessarsi
colpevole». Ritiene il Collegio che - alla luce della  finalita'  che
inspira l'intero Patto internazionale sui diritti civili e  politici,
tendente al «riconoscimento della dignita' inerente a tutti i  membri
della famiglia umana» (Premessa del Patto) - la suddetta disposizione
pattizia vada interpretata estensivamente, quale  espressione  di  un
diritto dell'accusato,  riconosciuto  dal  Patto  internazionale  sui
diritti  civili  e  politici,  di  non  collaborare  con  l'Autorita'
inquirente. 
    Tanto premesso, il Collegio rileva come il  dovere  di  cooperare
all'esercizio delle funzioni di vigilanza della CONSOB (ossia di  non
ritardarne lo  svolgimento  e  di  ottemperare  tempestivamente  alle
richieste provenienti dalla Commissione) da  parte  del  soggetto  al
quale, nell'esercizio di  dette  funzioni  di  vigilanza,  la  stessa
CONSOB  ascriva  illeciti  amministrativi   relativi   all'abuso   di
informazioni privilegiate possa risultare in contrasto con il diritto
dell'accusato  di  non   collaborare   con   l'Autorita'   inquirente
riconosciuto dal Patto internazionale sui diritti civili  e  politici
e, conseguentemente, con l'articolo 117, primo comma, Cost.,  laddove
tale articolo prescrive che la potesta'  legislativa  sia  esercitata
dallo Stato nel rispetto degli obblighi internazionali. 
    11.3.6 Il parametro degli articoli 11 e 117 Cost.,  in  relazione
all'articolo 47 CDFUE. 
    11.3.6.1 Va premesso che nella fattispecie in esame si  verte  in
materia che rientra nel campo di applicazione del diritto dell'Unione
europea, poiche' le norme  interne  regolatrici  della  vicenda  sono
state emanate in attuazione di direttive  comunitarie;  precisamente,
esse fanno parte del Titolo 1-bis inserito nella parte V  del  T.U.F.
dal secondo comma dell'articolo 9 della legge 18/4/2005 n. 62  (legge
comunitaria 2004), rubricato: «Recepimento della direttiva  2003/6/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa
all'abuso di  informazioni  privilegiate  e  alla  manipolazione  del
mercato - abusi di mercato - e delle direttive della  Commissione  di
attuazione 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE)». 
    Ricorre  pertanto,  nel  presente  giudizio,  il  presupposto  di
applicabilita' della  CDFUE  costituito  dall'essere  la  fattispecie
dedotta in giudizio disciplinata dal  diritto  europeo  -  in  quanto
inerente ad atti e comportamenti nazionali che  danno  attuazione  al
diritto dell'Unione - e non gia' da sole  norme  nazionali  prive  di
ogni legame con tale diritto (vedi art. 51, primo comma, CDFUE;  cfr.
C. Cost. 11/3/2011, n. 80, § 5.5, ove i richiami  a  CGUE  5/10/2010,
3.McB., C400/10 e a CGUE 12/11/2010, Krasimir, C-399/10). 
    11.3.6.2 L'articolo 47, secondo comma, primo periodo, della CDFUE
recita: «Ogni individuo ha diritto a che la sua causa  sia  esaminata
equamente, pubblicamente  ed  entro  un  termine  ragionevole  da  un
giudice indipendente  e  imparziale,  precostituito  per  legge.»  La
lettera  di  tale  disposizione  induce  a  ritenere  che  la  stessa
attribuisca un diritto, non si limiti ad enunciare un  principio  (si
veda, in proposito, il quinto comma - inserito nel testo  riformulato
a Strasburgo nel 2007  -  dell'articolo  52  della  CDFUE);  in  tale
prospettiva, dunque, si' tratta  di  una  disposizione  astrattamente
suscettibile di applicazione diretta e  immediata  negli  ordinamenti
nazionali nei paesi membri dell'Unione europea. 
    11.3.6.3 La formulazione dell'articolo 47, secondo  comma,  CDFUE
appare sostanzialmente sovrapponibile (salvo il  mancato  riferimento
al «carattere civile» delle controversie) a quella dell'art. 6, primo
comma, CEDU, il quale recita: «Ogni persona ha diritto a che  la  sua
causa sia esaminata equamente,  pubblicamente  ed  entro  un  termine
ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per
legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi  sulle  controversie  sui
suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di  ogni
accusa penale formulata nei suoi confronti.» 
    Dalla considerazione che precede discende che,  per  il  disposto
dell'articolo  52,  terzo  comma,  delta   CDFUE,   l'interpretazione
dell'articolo 17  della  stessa  CDFUE  non  puo'  prescindere  dalla
giurisprudenza elaborata dalla Corte EDU a proposito dell'articolo  6
CEDU e, dunque, dagli approdi a cui tale giurisprudenza e' giunta, da
un lato, in ordine  ai  requisiti  in  presenza  dei  quali  si  deve
attribuire natura penale ad  una  sanzione  e,  conseguentemente,  al
procedimento volto alla sua irrogazione (vedi sopra, §  11.3.2.3)  e,
d'altro, lato,  in  ordine  alla  indissolubile  connessione  tra  il
diritto di non contribuire alla propria incriminazione e  la  nozione
di processo equo fissata nell'articolo 6 § 1.  CEDU  (vedi  sopra,  §
11.3.4). 
    11.3.6.4  Anche  prima  dell'approvazione  della   CDFUE   -   e,
precisamente,  nella  sentenza  18  ottobre  1989,  Orkem,  C-374/87,
relativa ai poteri assegnati alla Commissione europea, in materia  di
accertamento di comportamenti anticoncorrenziali, dal regolamento del
Consiglio 6 febbraio 1962,  n.  17  (primo  regolamento  d'attuazione
degli artt. 85 e 86  del  trattato  CEE)  -  la  Corte  di  Giustizia
dell'Unione europea - pur affermando che l'impresa nei cui  confronti
veniva svolta  un'indagine  non  solo  non  aveva  alcun  diritto  di
sottrarvisi per il motivo che ne sarebbe potuta risultare la prova di
un'infrazione, ma aveva anzi un obbligo di attiva  collaborazione  (§
27) e pur dando atto che il menzionato regolamento n 17  non  sanciva
espressamente un diritto al silenzio (§ 28),  tuttavia  affermava  la
«necessita' di  garantire  il  rispetto  dei  diritti  della  difesa,
considerati dalla Corte un  principio  fondamentale  dell'ordinamento
giuridico  comunitario  (sentenza  9  novembre  1983,  causa  322/82,
Michelin, Racc. pag. 3461, punto 7 della motivazione)» (§32) e, sulla
scorta di tale affermazione, stabiliva che la  Commissione  non  puo'
«imporre all'impresa l'obbligo  di  fornire  risposte  attraverso  le
quali  questa  sarebbe  indotta  ad   ammettere   l'esistenza   della
trasgressione, che deve invece essere provata dalla  Commissione»  (§
35). 
    11.3.6.5 Va tuttavia anche evidenziato che nella disciplina degli
abusi di mercato  l'obbligo  di  collaborazione  con  l'autorita'  di
vigilanza e' fissato espressamente nella direttiva 2003/6/CE, il  cui
37° «considerando» enfatizza l'esigenza che le Autorita' di vigilanza
siano  dotate  di  «strumenti  e  poteri  forti»  («Il   conferimento
all'autorita' competente di ogni Stato membro di  un  insieme  minimo
comune di strumenti e poteri forti garantira' l'efficacia  della  sua
opera  di  vigilanza»)  ed  il  cui   articolo   14,   terzo   comma,
espressamente recita:  «Gli  Stati  membri  fissano  le  sanzioni  da
applicare  per  l'omessa  collaborazione   alle   indagini   di   cui
all'articolo 12». Analoga  disposizione  e'  peraltro  contenuta  nel
regolamento sugli abusi di mercato n. 596/2014 (non applicabile nella
specie  ratione  temporis,  ma  significativo  per   le   indicazioni
sistematiche che offre), il cui articolo 30, primo comma,  lett.  b),
indica «l'omessa collaborazione o il mancato seguito dato nell'ambito
di un'indagine, un'ispezione o una richiesta di cui all'articolo  23,
paragrafo 2» tra le violazioni in  relazione  alle  quali  gli  Stati
membri, conformemente al diritto nazionale, provvedono  affinche'  le
autorita' competenti  abbiano  il  potere  di  adottare  le  sanzioni
amministrative e altre misure amministrative adeguate. 
    Nella giurisprudenza successiva alla sentenza Orkem (ma  comunque
anteriore alla approvazione  della  CDFUE)  si  e'  anche  precisato,
sempre in materia di poteri della  Commissione  nell'accertamento  di
comportamenti  anticoncorrenziali,  che  «Il  riconoscimento  di   un
diritto al silenzio assoluto,  invocato  dalla  ricorrente,  andrebbe
infatti oltre  quanto  necessario  per  preservare  i  diritti  della
difesa» e che «Il fatto di essere obbligati a rispondere  ai  quesiti
di mero fatto posti dalla Commissione e di  soddisfare  le  richieste
della stessa di produzione di documenti preesistenti non e' idoneo  a
costituire una violazione del  principio  del  rispetto  dei  diritti
della difesa o del diritto a un processo equo» (Tribunale dell'Unione
europea, 20 febbraio 2001, Mannesmannröhren-Werke AG, T-112/98, §§ 66
e 78). 
    11.3.6.6 Sorge quindi il dubbio interpretativo  -  da  sciogliere
all'esito di un bilanciamento tra le esigenze di tutela  del  diritto
fondamentale espresso nel principio nemo tenetur  se  detegere  e  le
esigenze di dotare le autorita' di vigilanza di' strumenti  e  poteri
idonei a garantire l'efficacia della loro azione  -  se  il  disposto
dell'articolo 47 CDFUE vada interpretato nel senso che esso impedisca
che all'articolo 14, terzo comma,  della  direttiva  2003/6/CE  possa
attribuirsi, anche alla luce  del  37°  «considerando»  della  stessa
direttiva, il significato che il dovere, ivi  previsto,  di  prestare
collaborazione   alle   indagini   -   (e,    conseguentemente,    la
sanzionabilita' dell'omessa collaborazione) siano riferibili anche al
soggetto  nei  cui  confronti  si  stia  svolgendo   l'indagine;   e,
conseguentemente, se detto articolo 47 CDFUE osti ad una disposizione
nazionale che, come quella di  cui  all'articolo  187-quinquiesdecies
T.U.F., ponga il dovere di cooperare all'esercizio delle funzioni  di
vigilanza della CONSOB (ossia di non ritardarne lo svolgimento  e  di
ottemperare  tempestivamente   alle   richieste   provenienti   dalla
Commissione) anche in capo al soggetto al  quale,  nell'esercizio  di
dette funzioni  di  vigilanza,  la  stessa  CONSOB  ascriva  illeciti
amministrativi relativi all'abuso di informazioni privilegiate. 
    11.3.6.7  Alla  stregua  dei  rilievi  sviluppati  nel  paragrafo
precedente deve ritenersi ricorrere nella specie una ipotesi di  c.d.
doppia  pregiudizialita',  in  quanto   la   disposizione   contenuta
nell'articolo 187-quinquiesdecies T.U.F. da' luogo sia alle questioni
di legittimita' costituzionale indicate nei paragrafi 11.3.2, 11.3.3,
11.3.4  e  11.3.5  sia,  e  simultaneamente,  ad  una  questione   di
compatibilita' con il diritto dell'Unione e,  segnatamente,  con  una
disposizione (l'articolo 47) della CDFUE. 
    Cio' posto, il Collegio osserva  che,  poiche'  nella  specie  si
verte in materia che rientra nel campo di  applicazione  del  diritto
dell'Unione  europea  (vedi  sopra  §  11.3.6.1)  e,  d'altra  parte,
l'articolo 47 CDFUE e' norma immediatamente attributiva di un diritto
e,  quindi,  suscettibile  di  applicazione  diretta  (vedi  sopra  §
11.3.6.2), la doppia pregiudizialita' sarebbe stata risolvibile, alla
stregua della giurisprudenza costituzionale anteriore  alla  sentenza
n. 269/2017 (ord. 18 luglio 2013 n. 207, nonche', da ultimo,  ord.  2
marzo 2017 n. 48 e sent. 12  maggio  2017  n.  111),  verificando  la
compatibilita'   dell'articolo   187-quinquiesdecies    T.U.F.    con
l'articolo 47 CDFUE - se del  caso  dopo  aver  sollecitato  l'esatta
interpretazione dell'articolo 47 da parte della CGUE con lo strumento
del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE  (obbligatorio  per  questo
giudice di ultima istanza)  -  e  procedendo,  in  caso  di  verifica
negativa, alla non applicazione,  in  parte  qua,  dell'articolo  187
T.U.F., oppure, in caso di verifica positiva, alla  instaurazione  di
un  giudizio  incidentale  di  costituzionalita'  in   relazione   ai
parametri evocati nella presente ordinanza diversi da quello  di  cui
agli articoli 11 e 117 Cost. in relazione all'articolo 47 CDFUE. 
    Tale modus procedendi va, tuttavia, rimeditato, alla  luce  della
precisazione offerta dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  14
dicembre 2017 n. 269 (che il Collegio ha potuto esaminare in sede  di
riconvocazione del 24  gennaio  2018)  in  relazione  all'ipotesi  di
contrasto tra la norma interna  e  quelle  disposizioni  del  diritto
dell'Unione europea, suscettibili di applicazione diretta, che  siano
contenute nella CDFUE. In tale sentenza, premesso che detta Carta dei
diritti  «costituisce  parte  del  diritto  dell'Unione   dotata   di
caratteri  peculiari  in  ragione  del  suo  contenuto  di   impronta
tipicamente costituzionale ... sicche' puo'  darsi  il  caso  che  la
violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia  le
garanzie  presidiate  dalla   Costituzione   italiana,   sia   quelle
codificate dalla Carta dei diritti dell'Unione» si  afferma  che  «le
violazioni dei diritti della persona postulano la  necessita'  di  un
intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtu' del  principio
che situa il sindacato accentrato di costituzionalita' delle leggi  a
fondamento dell'architettura  costituzionale  (art.  134  Cost.)»  e,
conseguentemente, si conclude che «laddove una legge sia  oggetto  di
dubbi di illegittimita' tanto  in  riferimento  ai  diritti  protetti
dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a  quelli  garantiti
dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di
rilevanza  comunitaria,  debba  essere  sollevata  la  questione   di
legittimita'  costituzionale,  fatto  salvo  il  ricorso  al   rinvio
pregiudiziale per le questioni di interpretazione  o  di  invalidita'
del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE». 
    A sostegno della compatibilita'  dei  suddetti  principi  con  il
diritto  dell'Unione  europea  la  sentenza  n.   269/2017   richiama
l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione  europea
nella sentenza 11 settembre 2014 A c. B e  altri,  C-112/13,  laddove
si' afferma che il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 267
TFUE, deve essere interpretato nel senso che esso  non  osta  ad  una
normativa nazionale che imponga  ai  giudici  ordinari  di  sollevare
incidente di  costituzionalita',  qualora  ritengano  che  una  legge
nazionale sia contraria a disposizione della CDFUE,  «se  i  suddetti
giudici  ordinari  restano  liberi  di  sottoporre  alla  Corte,   in
qualunque fase del procedimento ritengano appropriata, e finanche  al
termine del procedimento  incidentale  di  controllo  generale  delle
leggi, qualsiasi questione pregiudiziale a loro giudizio  necessaria;
adottare  qualsiasi  misura  necessaria  per  garantire   la   tutela
giurisdizionale provvisoria dei  diritti  conferiti  dall'ordinamento
giuridico dell'Unione, e disapplicare,  al  termine  di  un  siffatto
procedimento incidentale, la disposizione  legislativa  nazionale  in
questione ove la ritengano contraria al diritto dell'Unione». E'  pur
vero che in altre pronunce della CGEU, anche successive alla sentenza
11 settembre 2014 A c. B e altri, si  e'  enfatizzato  l'obbligo  del
giudice  nazionale  di  garantire  la  piena  efficacia  del  diritto
dell'Unione  europea,  disapplicando   all'occorrenza,   di   propria
iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria, senza doverne
attendere la  previa  soppressione  in  via  legislativa  o  mediante
qualsiasi altro procedimento costituzionale  (cfr.  sentenza  CGUE  4
giugno  2015,  Kernkraftwerke  Lippe-Ems,  C-5/14,  punti  32  e  39;
sentenza CGUE 5/4/2016, PFE, C-689/13, punti  40  e  41;  sentenza  5
luglio 2016, Ognyanov, C-614/14, punto 34). Ma, a  prescindere  dalle
varie accentuazioni che il tema ha ricevuto  nelle  diverse  sentenze
della Corte di Lussemburgo succedutesi sull'argomento, il  principio,
espresso nella sentenza 11 settembre 2014 A c. B e altri  (e,  prima,
nella sentenza 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C-188/10 e  C-189/10),
che l'articolo 267 TFUE non  asta  ad  una  normativa  nazionale  che
imponga   ai   giudici   ordinari   di   sollevare    incidente    di
costituzionalita' (purche' i giudici  nazionali  mantengano  in  ogni
tempo, ed anche  all'esito  del  giudizio  di  costituzionalita',  il
potere di adire la Corte di giustizia e di dare attuazione al diritto
dell'Unione come da questa interpretato) non  e'  stato  smentito  da
pronunce successive della Corte di giustizia. 
    11.3.6.8 Nella prospettiva delineata dalla  sentenza  C.cost.  n.
269/2017 il Collegio ritiene quindi di risolvere la segnalata  doppia
pregiudizialita' privilegiando,  in  prima  battuta,  l'incidente  di
costituzionalita'   e   di   sottoporre   al   vaglio   della   Corte
costituzionale anche  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 187-quinquiesdecies T.U.F. - nella parte in  cui  detto
articolo  sanziona  la  condotta  consistente  nel  non   ottemperare
tempestivamente  alle  richieste  della  CONSOB   o   nel   ritardare
l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui al  quale
la medesima CONSOB, nell'esercizio delle sue funzioni di'  vigilanza,
contesti un abuso di informazioni privilegiate - con riferimento agli
articoli 11 e 117 Cost., in relazione all'articolo 47 CDFUE. 
    Residua, peraltro, una questione, destinata ad acquisire concreta
rilevanza  nel  presente  giudizio  soltanto  nel  caso  in  cui   la
disposizione sospettata di illegittimita'  costituzionale  superi  il
vaglio della Corte costituzionale. 
    Ci si riferisce alla questione se, alla stregua del principio  di
effettivita' della tutela garantita dal diritto dell'Unione  europea,
il potere del giudice comune di non applicare una norma  interna  che
abbia superato  il  vaglio  di  legittimita'  costituzionale  (anche,
eventualmente, sotto il profilo della conformita'  alla  CDFUE  quale
norma interposta rispetto agli articoli 11 e 117 Cost.) sia  limitato
a profili diversi da quelli esaminati dalla Corte  costituzionale  o,
al contrario, si estenda anche al caso in cui -  secondo  il  giudice
comune o secondo  la  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  dal
medesimo adita con il rinvio pregiudiziale ex  art.  267  TFUE  -  la
norma interna contrasti con la CDFUE in relazione ai medesimi profili
che la Corte costituzionale abbia gia' esaminato (senza attivare essa
stessa il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE). 
    Dall'inciso «per altri profili», contenuto nell'affermazione  con
cui nella sentenza n. 269/2017 si riconosce  il  potere  del  giudice
comune «di disapplicare,  al  termine  del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in
questione che abbia superato il vaglio di costituzionalita', ove, per
altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione» (§ 5.2,
penultimo capoverso), parrebbe  doversi  desumere  che,  nel  sistema
delineato dalla sentenza n. 269/2017, dopo  il  giudizio  incidentale
di' legittimita' costituzionale  il  potere  del  giudice  comune  di
disapplicare la disposizione legislativa nazionale che abbia superato
il vaglio di costituzionalita' sia limitato  alla  ipotesi  che  tale
giudice ravvisi - eventualmente all'esito di un rinvio  pregiudiziale
ex art. 267 TFUE -  un  contrasto  con  il  diritto  dell'Unione  per
profili diversi da quelli esaminati dalla Corte costituzionale.  Tale
limitazione, tuttavia, non sembra compatibile con  la  giurisprudenza
della CGUE, che, ancora nella recentissima sentenza 20 dicembre  2017
Global Starnet  Ltd  C-322/16,  ha  affermato  che  «l'efficacia  del
diritto dell'Unione rischierebbe di essere  compromessa  e  l'effetto
utile dell'articolo 267  TFUE  risulterebbe  sminuito  se,  a  motivo
dell'esistenza di un procedimento di controllo di  costituzionalita',
al  giudice  nazionale  fosse  impedito   di   sottoporre   questioni
pregiudiziali  alla  Corte  e  di  dare  immediatamente  al   diritto
dell'Unione  un'applicazione   conforme   alla   decisione   o   alla
giurisprudenza  della  Corte»  (§  23);  cosicche'  «l'articolo  267,
paragrafo 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che  il  giudice
nazionale le cui  decisioni  non  sono  impugnabili  con  un  ricorso
giurisdizionale e' tenuto, in linea di'  principio,  a  procedere  al
rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del  diritto
dell'Unione  anche  nel  caso  in  cui,  nell'ambito   del   medesimo
procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di
cui  trattasi  abbia  valutato  la  costituzionalita'   delle   norme
nazionali alla luce delle norme di riferimento  aventi  un  contenuto
analogo a quello delle norme del diritto dell'Unione». 
    Su tale questione sarebbe quindi auspicabile  un  chiarimento  da
parte della  stessa  Corte  costituzionale,  giacche'  -  qualora  la
disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale superasse il
vaglio della Corte costituzionale - la Corte di  cassazione  dovrebbe
misurarsi con il dovere, sulla stessa gravante  ai  sensi  del  terzo
comma dell'articolo 267 TFUE, di attivare il rinvio pregiudiziale  ex
art.  267  TFUE  (ove  gia'   non   attivato   dalla   stessa   Corte
costituzionale  nel  giudizio  incidentale)  e  di  dare  al  diritto
dell'Unione un'applicazione conforme alla decisione  conseguentemente
adottata dalla Corte di Giustizia. 
    12.  La  questione  poste  dal  terzo  motivo  del  ricorso   per
cassazione. 
    12.1 Con il terzo mezzo di ricorso il  sig.  Bolognesi  si  duole
della confisca a lui applicata dalla CONSOB,  ai  sensi  del  secondo
comma dall'articolo 187-sexies T.U.F., fino a concorrenza del  valore
del prodotto delle sue illecite operazioni di trading, corrispondente
alla  somma  del  valore  dei  beni  strumentali  impiegati  in  tali
operazioni e del valore del profitto dalle stesse  ritratto,  per  un
importo totale di euro 149.470. 
    12.2 Il ricorrente evidenzia che, in tal modo,  la  misura  della
confisca  gli  sottrae,  oltre  al  valore  equivalente  al  suddetto
profitto (€ 26.580), anche il valore  equivalente  agli  esborsi  che
egli aveva  sostenuto  per  effettuare  gli  acquisti  di  azioni  (€
123.175); che tale seconda sottrazione ha una funzione esclusivamente
sanzionatoria, la quale va ad aggiungersi alla sanzione pecuniaria (€
200.000) inflittagli per l'attivita' di insider  trading;  cosicche',
in definitiva, per operazioni che gli hanno prodotto un utile  di'  €
26.580, egli viene sanzionato per l'importo di € 323,175 (oltre  alle
sanzioni per l'addebito di tuyautage  e  per  l'addebito  di  mancata
cooperazione con la CONSOB). 
    12.3 Secondo il ricorrente la corte territoriale  avrebbe  errato
nel giudicare obbligatoria, invece  che  facoltativa,  l'applicazione
della confisca per equivalente e, conseguentemente, nel non annullare
il  provvedimento  sanzionatorio  della   CONSOB   per   la   mancata
motivazione della scelta di adottare la confisca. 
    12.4 Tale assunto non puo' essere condiviso. 
    Osserva al riguardo il Collegio che la  sequenza  dei  primi  due
commi dell'articolo 187-sexies T.U.F. rende palese che,  nel  secondo
comma, il verbo  «puo'»  conferisce  all'autorita'  di  vigilanza  un
potere di scelta tra le diverse tipologie di beni aggredibili («somme
di denaro, beni o altre utilita'») ma non il potere  di  decidere  se
applicare o meno la confisca per equivalente nel caso in cui non  sia
possibile  eseguire  la  confisca  «del  prodotto  o   del   profitto
dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo» di cui al  primo
comma. 
    In ogni caso, non si puo' non evidenziare come  la  stessa  Corte
costituzionale, occupandosi per tre volte di questa disposizione (con
la sentenza n. 186/2011,  con  la  sentenza  n.  252/2012  e  con  la
sentenza n. 68/2017), non ha mai posto  in  dubbio  l'obbligatorieta'
della confisca per equivalente (presupposta dai  giudici  rimettenti)
e, nella sentenza  n.  252/2012,  ha  qualificato  essa  stessa  come
«obbligatoria» la confisca di  cui  al  secondo  comma  dell'articolo
187-sexies  T.U.F.  (par.  4,  secondo  cpv:   «Nel   denunciare   le
conseguenze  ultra  modum  che  possono  scaturire,  in   determinati
contesti, dalla previsione della confisca obbligatoria, non solo  del
profitto,  ma   anche   dei   beni   strumentali   alla   commissione
dell'illecito, specialmente se contemplata  anche  nella  forma  «per
equivalente» - problema in  se'  reale  e  avvertito,  da  sottoporre
all'attenzione del legislatore»). 
    12.5 Cio' posto, come illustrato nell'esposizione del terzo mezzo
di gravame (vedi sopra, § 8), il ricorrente ha sollevato una serie di
dubbi   di   costituzionalita'   dell'articolo   187-sexies   T.U.F.,
denunciandone il  contrasto  con  l'articolo  27  Cost.  (e,  in  via
gradata, con l'articolo 3 Cost.),  con  l'articolo  42  Cost.  e  con
l'articolo 117 Cost., in  relazione  all'articolo  6  della  CEDU  ed
all'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU. 
    12.6 Prima di esaminare partitamente le questioni di legittimita'
costituzionale sollevate  dal  ricorrente  e'  opportuno  soffermarsi
brevemente sulla natura della confisca  per  equivalente  di  cui  al
secondo comma dell'articolo 187-sexies T.U.F. 
    I primi due commi di tale articolo recitano:  «1.  L'applicazione
delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal  presente  capo
importa sempre la confisca del prodotto o del profitto  dell'illecito
e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non  sia  possibile
eseguire la confisca a norma del comma 1, la  stessa  puo'  avere  ad
oggetto  somme  di  denaro,  beni  o   altre   utilita'   di   valore
equivalente.». 
    Come emerge dal tenore letterale delle  disposizioni  trascritte,
il primo comma  prevede  la  confisca  diretta  del  prodotto  o  del
profitto dell'illecito e dei  beni  utilizzati  per  commetterlo;  il
secondo comma prevede la confisca per equivalente, vale  a  dire  una
particolare misura di carattere ablativo che il legislatore  appronta
per il caso in cui non sia possibile eseguire la confisca diretta dei
beni che abbiano un rapporto di pertinenzialita' con l'illecito. 
    Va al riguardo sottolineato  che,  mentre  la  confisca  diretta,
reagendo alla pericolosita' indotta nell'autore  dell'illecito  dalla
disponibilita' dei beni utilizzati per commetterlo  e  dei  beni  dal
medesimo ricavati, assolve a una funzione essenzialmente  preventiva,
la confisca per equivalente, che  raggiunge  beni  di  altra  natura,
palesa una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha, dunque, una
natura eminentemente sanzionatoria. 
    Come sottolineato dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  7
aprile 2017 n. 68, la confisca per equivalente prevista dall'articolo
187-sexies T.U.F. si applica a beni che non sono collegati  al  reato
da un nesso diretto, attuale e strumentale, cosicche'  la  privazione
imposta  all'autore  dell'illecito  risponde  a  una   finalita'   di
carattere punitivo e non preventivo. Si tratta dunque di  una  misura
che, ancorche' nel diritto nazionale sia qualificata come  misura  di
sicurezza amministrativa, va considerata come pena nel senso  di  cui
all'articolo 7 CEDU; si veda, in termini, C. cost. n. 68/2017 («Posta
la natura di «pena», ai sensi dell'art. 7 della CEDU, da  riconoscere
nella specie alla confisca  per  equivalente...»  §  7)  nonche',  da
ultimo, Cass. ord. n. 26084/2017. 
    12.7 A fondamento delle questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 187-sexies T.U.F. in relazione all'articolo 117  Cost.,
con  riferimento  all'articolo  6  CEDU,  il  ricorrente  deduce  che
l'irrogazione automatica  della  sanzione  accessoria  vanificherebbe
qualsivoglia forma di contraddittorio, con conseguente violazione del
diritto ad un processo equo, previsto in tale articolo. 
    A  fondamento  delle  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 187-sexies T.U.F. in  relazione  agli  altri  parametri
sopra menzionati, il ricorrente - premesso che, nelle  operazioni  di
trading  di  strumenti  finanziari,  il   profitto   illecito   viene
normalmente conseguito mediante l'impiego di valori  economici  molto
superiori all'entita' del profitto  medesimo  -  sottolinea  come  la
previsione di una confisca non limitata a beni di valore  equivalente
al profitto, ma estesa anche a beni di valore  equivalente  a  quello
dei mezzi finanziari utilizzati per realizzare tale profitto, finisca
con  il  colpire  l'operatore  in  modo  inversamente   proporzionale
all'entita' del margine percentuale di profitto da lui realizzato sui
mezzi investiti nell'operazione; a parita' di  profitto  infatti  (ed
incoerentemente  rispetto  alle  finalita'  special-preventive  della
confisca) l'entita' dei mezzi investiti per  conseguire  il  profitto
stesso (e, quindi, l'entita' dei beni  destinati  alla  confisca  per
equivalente, ai sensi  del  secondo  comma  dell'articolo  187-sexies
T.U.F.) sara' tanto maggiore  quanto  minore  sia  stato  il  margine
percentuale   di   profitto   dell'operazione   di   trading.    Cio'
determinerebbe, per  un  verso,  l'irragionevolezza  della  sanzione,
rilevante in relazione all'articolo 27 Cost.  oppure  -  ove  non  si
ritenesse applicabile tale paramento costituzionale, in ragione della
natura amministrativa della misura  -  in  relazione  all'articolo  3
Cost.; per altro verso, la  violazione  del  diritto  di  proprieta',
rilevante in relazione all'articolo  42  Cost.  ed  all'articolo  117
Cost.,  con  riferimento  all'articolo   1   del   Primo   Protocollo
addizionale alla CEDU. 
    12.8 La questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
ricorrente con  riferimento  all'articolo  117  Cost.,  in  relazione
all'articolo 6 CEDU, sul rilievo che l'irrogazione  automatica  della
sanzione   accessoria   vanificherebbe    qualsivoglia    forma    di
contraddittorio, va giudicata manifestamente infondata. Il diritto al
contraddittorio riguarda le modalita' di svolgimento del procedimento
attraverso cui si perviene all'accertamento della  responsabilita'  e
alla  applicazione  della  sanzione;  la  predeterminazione  di   una
sanzione  in  misura  non  graduabile,  per   contro,   concerne   il
trattamento sanzionatorio, non il procedimento attraverso il quale la
stessa viene erogata. 
    12.9 La questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
ricorrente  con  riferimento  all'articolo  27  Cost.  va  pure  essa
giudicata manifestamente infondata. 
    Se, infatti, la giurisprudenza costituzionale  riconosce  che  al
principio della finalita' rieducativa della pena  fissato  dal  terzo
comma dell'articolo 27 della Costituzione si  connette  quello  della
necessita' di una proporzione tra la pena e il  disvalore  del  fatto
per il quale la stessa viene comminata e  che  tale  proporzionalita'
costituisce peculiare proiezione, nella materia penale, del principio
di ragionevolezza  della  legge,  presidiato  dall'articolo  3  della
Costituzione (per tutte, cfr. C.cost. 22  luglio  1994  n.  341),  e'
tuttavia  assorbente  la  considerazione  che  il  parametro  di  cui
all'articolo 27 Cost. non puo' essere richiamato in relazione ad  una
misura di natura amministrativa, come la confisca di cui all'articolo
187-sexies T.U.F. 
    La giurisprudenza costituzionale, infatti: 
        - per un verso, e' ferma nel ribadire che l'articolo 27 Cost.
concerne esclusivamente le sanzioni propriamente penali (C. cost.  11
maggio 2017 n. 109 e i precedenti ivi richiamati nel § 3.1), in  cio'
differenziandosi dall'articolo 25 Cost., il quale ultimo,  in  virtu'
della sua ampia formulazione («Nessuno puo' essere  punito  ...»)  e'
stato invece, talvolta, riconosciuto applicabile anche alle  sanzioni
amministrative (C. cost. n. 276/2016, n. 104/2014, n. 196/2010); 
        - per altro verso, e' ferma  nel  ribadire  che,  come  sopra
accennato nel § 11.3.2.3, l'attrazione di una sanzione amministrativa
nell'ambito della materia penale per effetto dell'art. 7  della  CEDU
trascina soltanto le garanzie previste dalle pertinenti  disposizioni
della Convenzione, come elaborate dalla Corte di  Strasburgo,  mentre
rimane  nel  margine  di  apprezzamento  degli  Stati   aderenti   la
definizione  dell'ambito  di  applicazione  delle  ulteriori   tutele
predisposte dal diritto nazionale (in termini, C.Cost. n. 49/2015, n.
43/2017, n. 68/2017, n. 109/2017); e,  d'altra  parte,  il  principio
della finalita' rieducativa  della  pena  espresso  nel  terzo  comma
dell'art. 27 Cost. (a cui si connette, in correlazione con  l'art.  3
Cost., il principio di proporzionalita' della pena)  non  trova  -  a
differenza dal principio di  inviolabilita'  del  diritto  di  difesa
(vedi sopra, § 11.3.2.3) - specifico riconoscimento nella CEDU. 
    12.10 La questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
ricorrente con riferimento  all'art.  3  Cost.  (per  la  ipotesi  di
ritenuta inapplicabilita' del paramento di cui all'art. 27 Cost.)  va
anch'essa essa giudicata manifestamente infondata in  relazione  alla
seconda ed alla terza delle tre articolazioni in cui la stessa  viene
proposta, rispettivamente concernenti: 
        a) il profilo della irragionevole  disparita'  di  disciplina
tra la graduabilita' della sanzione pecuniaria  principale  comminata
dall'art. 187-bis T.U.F. e la non graduabilita'  della  confisca  per
equivalente  dei  mezzi  utilizzati   nell'operazione   di   trading,
comminata dall'art. 187-sexies T.U.F.; 
        b) il profilo della irragionevole  disparita'  di  disciplina
tra la obbligatorieta' della confisca  di'  cui  all'art.  187-sexies
T.U.F. e la facoltativita' della confisca ordinaria di  cui  all'art.
20 della legge n. 689/1981. 
    Il  primo  profilo  e'  manifestamente   inammissibile,   perche'
tenderebbe a trasformare la confisca obbligatoria  di'  cui  all'art.
187-sexies  T.U.F.  in  una  confisca  (non  facoltativa,  ma)   «non
obbligatoriamente integrale», in tal modo sollecitando un  intervento
- volto  ad  inserire  una  «novita'  di  sistema»  -  che  la  Corte
costituzionale ha gia'  giudicato  estraneo  all'ambito  del  proprio
sindacato di legittimita' (cfr. Corte costituzionale n. 252/2012). 
    Il secondo profilo e' manifestamente infondato, in ragione  della
specificita' della situazione regolata  all'art.  187-sexies  T.U.F.,
che impedisce di  ritenere  irragionevole  la  scelta,  adottata  dal
legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita', di dettare una
disciplina speciale della confisca ivi contemplata. 
    13.  La  questione  di  legittimita'   costituzionale   dell'art.
187-sexies T.U.F. 
    13.1.  Nel  presente  giudizio  appare  invece  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 187-sexies T.U.F., sollevata dal ricorrente,  in  relazione
agli articoli 3 (in  riferimento  all'irragionevolezza  della  misura
della confisca), 42 e 117 Cost., con riferimento all'art. 1 del Primo
Protocollo addizionale alla CEDU, nonche', come rilevato  di  ufficio
dal Collegio,  in  relazione  agli  articoli  11  e  117  Cost.,  con
riferimento all'art. 17 e 49 CDFUE, nella parte in cui detto articolo
assoggetta alla confisca per equivalente (in denaro o  altri  beni  o
utilita')  non  soltanto  il  profitto  dell'illecito,  ma   l'intero
prodotto dell'illecito, vale a dire  l'equivalente  della  somma  del
profitto dell'illecito (ossia la plusvalenza ritratta delle  illecite
operazioni  di  trading)  e  dei  mezzi  impiegati   per   realizzare
l'illecito (ossia il denaro o le altre utilita' impiegate dall'agente
per finanziare dette operazioni di trading). 
    13.2 La rilevanza della questione. 
    Il  ricorrente,  grazie  all'informazione  privilegiata  di   cui
disponeva, ha speso €  123.175,07  (beni  utilizzati  per  commettere
l'illecito) per acquistare  titoli  da  cui  ha  ricavato  €  149.760
(prodotto dell'illecito), ritraendo dall'operazione  di  trading  una
plusvalenza di € 26.580 (profitto dell'illecito). 
    La  CONSOB,  in  applicazione  dell'art.  187-sexies  T.U.F.,  ha
assoggetto a confisca per equivalente € 149.760, ossia  l'equivalente
del prodotto dell'illecito, pari alla  somma  del  profitto  ritratto
dall'illecito e dei mezzi impiegati per commetterlo. Tale  misura  e'
stata confermata dalla corte di  appello  di  Roma  con  la  sentenza
impugnata in questo giudizio. 
    La  declaratoria  di  illegittimita'   costituzionale   dell'art.
187-sexies T.U.F. nella  parte  in  cui  assoggetta  a  confisca  per
equivalente non soltanto il profitto dell'illecito ma anche  i  mezzi
impiegati per commetterlo  (ossia  l'intero  prodotto  dell'illecito)
imporrebbe  la  rideterminazione  della  misura  della  confisca  per
equivalente e la limitazione di tale misura alla somma di  €  26.580.
Donde, la rilevanza della questione. 
    13.3 La non manifesta infondatezza della questione. 
    13.3.1 La  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
187-sexies T.U.F. nella parte in cui esso assoggetta a  confisca  per
equivalente non soltanto il profitto dell'illecito ma anche  i  mezzi
impiegati per commetterlo  (ossia  l'intero  prodotto  dell'illecito)
appare non manifestamente infondata in relazione agli articoli 3,  42
e 117 Cost.,  quest'ultimo  con  riferimento  all'art.  1  del  Primo
Protocollo addizionale alla CEDU, nonche'  agli  articoli  11  e  117
Cost., con riferimento agli articoli 17 e 49 CDFUE. 
    Il  vulnus  ai  principi  espressi  dagli  evocati  parametri  di
costituzionalita'  discende,   in   sostanza,   dalla   mancanza   di
proporzionalita' tra la misura del sacrificio imposto al sanzionato e
le finalita' pubbliche da perseguire. La confisca dei mezzi impiegati
dall'agente per effettuare l'operazione di trading impone infatti  al
sanzionato una pena che: 
        aggiungendosi alla sanzione amministrativa  pecuniaria,  puo'
in concreto produrre un effetto sanzionatorio sproporzionato rispetto
at profitto che l'agente ha tratto dalla sua illecita condotta; 
        assume una misura che, in relazione al profitto realizzato in
una   specifica   operazione   di   trading,   risulta   inversamente
proporzionale al vantaggio concretamente derivato all'agente dall'uso
di  una  informazione  privilegiata,   vale   a   dire   inversamente
proporzionale al tasso di profitto dell'operazione  stessa;  infatti,
il tasso di profitto generato da una operazione di trading realizzata
abusando di informazioni privilegiate e' tanto maggiore quanto minore
e' l'entita' dei mezzi che l'agente ha impiegato (e pertanto  vengono
assoggettati a confisca) per  conseguire  il  profitto  concretamente
ritratto dall'operazione stessa. 
    13.3.2 II parametro dell'art. 3 della Costituzione. 
    La confisca per equivalente prevista dall'art. 187-sexies T.U.F.,
in quanto non limitata al profitto ricavato dalle illecite operazioni
di trading, ma estesa anche ai mezzi impiegati  per  effettuare  tali
operazioni, desta dubbi in ordine alla sua conformita'  al  principio
di ragionevolezza presidiato dall'art. 3 Cost.; dubbi connessi  tanto
alle caratteristiche di potenziale eccessivita'/non  proporzionalita'
che in  concreto  puo'  essere  assunta  dalla  misura,  quanto  alla
mancanza  di  un  rapporto  predefinito  tra  il  valore   dei   beni
suscettibili di confisca e il profitto realizzato  dall'agente  (vedi
sopra § 13.3.1). Dubbi la cui consistenza sembra trovare una conferma
nel rilievo, di carattere sistematico, che la  legge  di  delegazione
europea 2016-2017 (legge n. 25 ottobre 2017  n.  163),  nell'art.  8,
lettera g), ha delegato il Governo a «rivedere l'art. 187-sexies  del
testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in
modo tale da assicurare l'adeguatezza della confisca, prevedendo  che
essa abbia ad oggetto, anche per equivalente,  il  profitto  derivato
dalle violazioni delle previsioni del regolamento (UE) n.  596/2014»,
in tal modo procedendo verso la rimozione dei  riferimenti,  presenti
nel testo attualmente in vigore, al  «prodotto»  dell'illecito  e  ai
«beni utilizzati per commetterlo». 
    13.3.3 I parametri degli articoli 42 e 117 Cost. (quest'ultimo in
relazione all'art. 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU). 
    La  potenziale  eccessivita'/non  proporzionalita'  della  misura
della confisca per equivalente dei  mezzi  impiegati  per  effettuare
illecite operazioni di trading, prevista dall'art. 187-sexies T.U.F.,
desta dubbi anche in ordine alla  sua  conformita'  con  le  esigenze
della tutela del diritto  di  proprieta'  riconosciuto  dall'art.  42
Cost. e dall'art. 1 del Primo Protocollo addizionale  alla  CEDU,  in
particolare sotto il profilo  dell'inadeguato  bilanciamento  tra  la
tutela del diritto di proprieta' e le ragioni di  interesse  generale
che giustificano la misura della confisca. Per quanto in  particolare
riguarda il parametro interposto dell'art.  1  del  Primo  Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali  va  sottolineato  come,  sul
tema della proporzionalita' delle  sanzioni,  la  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo abbia affermato, nella sentenza  Silickiene'  comma
Lituanie, 10 aprile 2012, che «deve esserci una ragionevole relazione
di  proporzionalita'  tra  le  misure  adottate  e  le  finalita'  da
realizzare. In altre parole, la Corte  deve  determinare  se  vi  sia
equilibrio tra le esigenze di  pubblico  interesse  e  gli  interessi
dell'individuo» (§ 63); si vedano anche le sentenze 20 gennaio  2009,
Sud Fondi e altri comma  Italia  e  29  ottobre  2013  Varvara  comma
Italia. 
    13.3.4 I parametri degli articoli 11 e  117  Cost.  in  relazione
agli articoli 17 e 49 CDFUE. 
    13.3.4.1 Richiamate preliminarmente le considerazioni svolte  nel
precedente  paragrafo  11.3.6.1  in  ordine  alla   sussistenza   del
presupposto di applicabilita' della CDFUE costituito  dall'essere  la
fattispecie dedotta in giudizio  disciplinata  dal  diritto  europeo,
Collegio rileva che: 
        a) il primo comma  dell'art.  17  della  CDFUE  recita:  Ogni
individuo ha il diritto di godere della proprieta' dei  beni  che  ha
acquistato legalmente, di usarli,  di  disporne  e  di  in  eredita'.
Nessuno puo' essere privato della proprieta'  se  non  per  causa  di
pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro
pagamento in tempo utile di una  giusta  indennita'  per  la  perdita
della stessa. L'uso dei beni puo' essere  regolato  dalla  legge  nei
limiti imposti dall'interesse generale»; 
        b) il  terzo  comma  dell'art.  49  CDFUE  recita:  «Le  pene
inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». 
    La disposizione sub a) e' sostanzialmente analoga, ancorche'  non
del  tutto  sovrapponibile,  al  disposto  dell'art.  1   del   Primo
Protocollo addizionale alla Convenzione europea per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (Il quale recita: 
        «1. Ogni persona fisica o giuridica ha  diritto  al  rispetto
dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della  sua  proprieta'  se
non per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste  dalla
legge e dai principi generali del diritto internazionale. 
        2. Le disposizioni  precedenti  non  portano  pregiudizio  al
diritto degli Stati di porre in vigore  le  leggi  da  essi  ritenute
necessarie  per  disciplinare  l'uso  dei  beni  in   modo   conforme
all'interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte  o
di altri contributi o delle ammende.»).  L'interpretazione  dell'art.
17 CDFUE, pertanto, risente - in forza del gia'  ricordato  art.  52,
terzo comma, della stessa  CDFUE  -  della  giurisprudenza  elaborata
dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a proposito dell'art. 1 del
Primo Protocollo addizionale alla CEDU, sopra  richiamata  alla  fine
del precedente paragrafo 13.3.3. 
    La disposizione sub b) esprime un principio fortemente  sintonico
con   l'elaborazione   giurisprudenziale   sviluppata   dalla   Corte
costituzionale  con  riguardo   all'art.   27   della   Costituzione,
richiamata nel precedente paragrafo  12.9  (potendosi  aggiungere,  a
Corte costituzionale n. 341/94, ivi citata, Corte  costituzionale  n.
313/90, Corte costituzionale n.  343/1993,  Corte  costituzionale  n.
144/2005).  Cio'  posto,  il  Collegio  osserva  che   -   se   detta
elaborazione  non  e'  direttamente  applicabile  alla  confisca  per
equivalente ex art. 187-sexies  T.U.F.,  non  essendo  le  misure  di
sicurezza amministrative riconducibili sotto la  copertura  dell'art.
27 Cost. - a diversa soluzione si deve invece  pervenire  per  quanto
riguarda il disposto dell'art. 49 CDFUE. Da un  lato,  infatti,  come
gia' piu' volte sottolineato, la disciplina degli  abusi  di  mercato
rientra nel campo del  diritto  dell'Unione  europea,  cosicche',  in
relazione a tale disciplina, l'art. 49 CDFUE si affianca all'art.  27
Cost. nel disegnare lo statuto  costituzionale  delle  pene.  D'altro
tato, come pure gia' sottolineato,  l'art.  52,  terzo  comma,  della
stessa CDFUE sollecita una convergenza interpretativa tra Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali e  CFDUE  che  sembra  legittimare  una  interpretazione
sostanzialistica, secondo i «criteri Engel», delle nozioni di  «pena»
e «reato» contenute nel terzo comma dell'art. 49 CDFUE. 
    Da qui il dubbio di compatibilita' dell'art. 187-sexies T.U.F.  -
nella parte in cui esso assoggetta a  confisca  per  equivalente  non
soltanto il profitto dell'illecito ma anche  i  mezzi  impiegati  per
commetterlo - con gli articoli 17 e 49 CDFUE. 
    13.3.4.2 Sui contenuti di un possibile  rinvio  pregiudiziale  ex
art. 267 TFUE. 
    13.3.4.2.1 Ai fini della valutazione della compatibilita' con gli
articoli 17 e 49 CDFUE dell'art. 187-sexies T.U.F.,  nella  parte  in
cui esso assoggetta  a  confisca  per  equivalente  non  soltanto  il
profitto dell'illecito ma anche i mezzi  impiegati  per  commetterlo,
sarebbe peraltro  necessario,  ad  avviso  del  Collegio,  un  rinvio
pregiudiziale ex art.  267  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea per porre alla CGUE i seguenti quesiti. 
    13.3.4.2.2 In primo luogo, si dovrebbe porre alla CGUE il quesito
(non  necessario  con  riferimento   all'art.   47   CFDUE,   essendo
quest'ultimo  evidentemente  norma  attributiva  di  diritti  e   non
dichiarativa di principi, ai sensi  dei  quinto  comma  dell'art.  52
CDFUE, vedi sopra § 11.3.6.2)  se  alle  disposizioni  dettate  dagli
articoli 17 e 49 CDFUE (e specificamente, per quanto concerne  l'art.
17 CDFUE, alla disposizione di' cui  al  secondo  periodo  del  primo
comma) debba o meno riconoscersi efficacia  diretta  nell'ordinamento
degli Stati membri, con conseguente dovere di non applicazione  delle
norme interne con le stesse contrastanti. 
    13.3.4.2.3 In secondo luogo,  si  dovrebbe  porre  alla  CGUE  il
quesito se le nozioni di «pena» e di «reato» utilizzate nell'art. 49,
terzo comma, CDFUE  vadano  riferite  alle  previsioni  sanzionatorie
formalmente qualificate  come  penali  nell'ordinamento  dei  singoli
stati membri, oppure vadano intese in  conformita'  alla  nozione  di
«materia penale» elaborata dalla Corte europea dei diritti  dell'uomo
in riferimento agli articoli 6 e 7 CEDU. 
    13.3.4.2.4 In terzo luogo, si dovrebbe porre alla CGUE il quesito
se gli articoli 17 e 49 della CDFUE vadano interpretati nel senso che
essi  impongano  di  ritenere  non  proporzionata  una  confisca  per
equivalente il cui  oggetto  non  sia  limitato  all'equivalente  del
profitto ricavato delle illecite operazioni di trading, ma si estenda
anche  all'equivalente  dei  mezzi  impiegati  per  realizzare   tali
operazioni. 
    Quest'ultimo quesito, in particolare, dovrebbe investire la  CGUE
anche  della  richiesta  di  un  chiarimento  sulla   portata   delle
menzionate  disposizioni  della  CDFUE   ai   fini   della   corretta
interpretazione  del  primo  comma  dell'art.  14   della   direttiva
2003/06/CE («Fatto salvo il diritto degli  Stati  membri  di  imporre
sanzioni  penali,  gli  Stati  membri  sono   tenuti   a   garantire,
conformemente al  loro  ordinamento  nazionale,  che  possano  essere
adottate le opportune misure amministrative o irrogate  le  opportune
sanzioni amministrative  a  carico  delle  persone  responsabili  del
mancato rispetto delle  disposizioni  adottate  in  attuazione  della
presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali
misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive»), con  particolare
riguardo alla previsione del secondo periodo di tale  comma,  per  il
quale tali misure devono essere «proporzionate e dissuasive»; nonche'
di una illustrazione degli effetti che le medesime norme della  CDFUE
spiegano   ai   fini   della   corretta   interpretazione   del   38°
«considerando»  della  stessa  direttiva,  che  recita  «le  sanzioni
dovrebbero essere  sufficientemente  dissuasive,  proporzionate  alla
gravita' della violazione e agli utili realizzati e dovrebbero essere
applicate coerentemente». 
    Si tratterebbe quindi, in definitiva,  di  Individuare  in  quale
modo le suddette disposizioni degli articoli 17 e 49 CDFUE  orientino
la  individuazione  del  punto  di  equilibrio   da   ricercare   nel
bilanciamento tra  l'esigenza  della  proporzionalita'  e  l'esigenza
della dissuasivita', entrambe richiamate dall'art. 14 della direttiva
2003/06/CE, al fine di chiarire se la confisca per  equivalente,  ove
debba qualificarsi come «pena» nel senso dell'art.  49  CFDUE,  possa
ritenersi una misura  proporzionata  quando  debba  obbligatoriamente
applicarsi non solo  al  profitto  dell'illecito  ma  anche  ai  beni
utilizzati per commetterlo. 
    Tale bilanciamento - ai cui fini sara' in  definitiva  necessario
chiarire se il criterio della «gravita' della  violazione»,  che  nel
38° «considerando» della direttiva 2003/06/CE si affianca al criterio
degli «utili realizzati», consenta di valorizzare, nella  valutazione
di proporzionalita' della sanzione, il criterio della  quantita'  dei
mezzi impiegati per commettere l'illecito  -  dovra'  poi  tenere  in
considerazione le  indicazioni  sistematiche  ricavabili  dall'intero
corpus del diritto dell'Unione europea, tra cui  appaiono  rilevanti,
in particolare: 
        il regolamento del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  16
aprile 2014, n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato (che  abroga
la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio  e  le
direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE  della  Commissione),
per il cui recepimento l'art. 8, lettera g), della legge italiana  25
ottobre 2017 n. 163  (Legge  di  delegazione  europea  2016-2017)  ha
delegato il Governo a rivedere l'art. 187-sexies T.U.F.  nei  termini
gia' indicati nel precedente paragrafo 13.3.2; 
        la  direttiva  2014/57/UE  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio del 16 aprile 2014, relativa alle sanzioni penali  in  caso
di abusi di mercato, il cui 24° «considerando»  recita  l'irrogazione
delle sanzioni penali dovrebbe essere  proporzionata,  tenendo  conto
dei profitti ritratti o delle perdite evitate dalle persone giudicate
responsabili, nonche' del danno cagionalo dal reato a  terzi  e,  ove
possibile,  di  quello  cagionato  al  funzionamento  dei  mercati  o
all'economia in generale.»); 
        la  direttiva  2014/42/UE  del  Parlamento  europeo   e   del
Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca
dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea,  il
cui  19°   «considerando»   recita:   Allo   scopo   di   contrastare
efficacemente le attivita' della criminalita' organizzata, vi possono
essere situazioni in cui e' opportuno  che  la  condanna  penale  sia
seguita dalla confisca non solo dei beni associati a un  dato  reato,
ma anche di' ulteriori beni che  l'autorita'  giudiziaria  stabilisca
costituire proventi da altri reati. Questo approccio e' definito come
confisca estesa. ...» ed n  cui  art.  4  recita  «Gli  Stati  membri
adottano le misure necessarie  per  poter  procedere  alla  confisca,
totale o parziale, di beni strumentali e proventi da reato, o di beni
di valore corrispondente a detti beni strumentali o proventi, in base
a una condanna penale definitiva, che puo' anche essere pronunciata a
seguito di un procedimento in contumacia». 
    13.3.4.3. L'opzione per l'instaurazione del giudizio  incidentale
di costituzionalita'. 
    Cosi' individuati i temi di  un  possibile  coinvolgimento  della
Corte di giustizia dell'Unione europea  nella  interpretazione  degli
articoli 17 e 49 CDFUE e nella individuazione delle ricadute di  tale
interpretazione sulla direttiva 2003/06/CE e  sulle  norme  nazionali
che alla stessa abbiano dato attuazione, si  deve  tuttavia  rilevare
che anche in relazione  all'art.  187-sexies  T.U.F.,  come  gia'  in
relazione all'art. 187-quinquiesdecies T.U.F,, ricorra una ipotesi di
c.d. doppia pregiudizialita', in  quanto  la  disposizione  contenuta
nell'art.  187-sexies  T.U.F.  da'  luogo  sia  alle  questioni   di'
legittimita' costituzionale indicate nei paragrafi  13.3.2  e  13.3.3
sia, e simultaneamente, ad una questione  di  compatibilita'  con  il
diritto dell'Unione  e,  segnatamente,  con  disposizioni  (contenute
negli articoli 17 e 49) della CDFUE. 
    Cio' posto, il Collegio ritiene, per le ragioni gia' esposte  nel
precedente paragrafo  11.3.6.8,  di  risolvere  la  segnalata  doppia
pregiudizialita'  privilegiando  in  prima  battuta  l'incidente   di
costituzionalita'  -  secondo  le  indicazioni   offerte   da   Corte
costituzionale 269/2017 - e  di  sottoporre  al  vaglio  della  Corte
costituzionale la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
187-sexies T.U.F. - nella parte in cui esso assoggetta a confisca per
equivalente non soltanto il profitto dell'illecito ma anche i'  mezzi
impiegati per commetterlo (ossia l'intero prodotto  dell'illecito)  -
anche con riferimento agli articoli 11 e 117 Cost., in relazione agli
articoli 17 e 49 CDFUE. 
    Rientra poi  nelle  prerogative  della  Corte  costituzionale  la
valutazione  sulla  opportunita'  di'  attivare  -  nel  «quadro   di
costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi  di  garanzia,
nel quale le Corti costituzionali  sono  chiamate  a  valorizzare  il
dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo,  ordinanza  n.  24  del
2017), affinche' sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a
livello sistemico (art. 53 della CDFUE)» (cosi  Corte  costituzionale
n. 269/2017 § 5.2) - il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Trattato sul
funzionamento   dell'Unione   europea   nell'ambito   del    giudizio
incidentale  di  costituzionalita',  sempreche'   la   stessa   Corte
costituzionale ritenga che l'esame delta questione della  conformita'
delta denunciata disposizione agli articoli 17 e 49 COFUE non risulti
irrilevante in ragione dei contenuti della propria decisione. Restano
peraltro ferme, anche in relazione  alla  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies T.U.F., le considerazioni  svolte
sopra, nel paragrafo 11.3.6.8, in ordine alla  auspicabilita'  di  un
chiarimento sull'ambito dei profili in relazione ai quali il  giudice
comune - e, segnatamente, il giudice di ultima istanza - mantenga  il
potere (se del caso, previo rinvio pregiudiziale ex  art.  267  TFUE,
ove tale rinvio non fosse gia'  stato  azionato  dalla  stessa  Corte
costituzionale) di non applicare una norma interna che abbia superato
il vaglio di legittimita' costituzionale (anche, eventualmente, sotto
il profilo  della  conformita'  alla  CDFUE  quale  norma  interposta
rispetto agli articoli 11 e 117 Cost.). 
 
                               P.Q.M. 
 
    La Corte, visti gli articoli 134 della Costituzione  e  23  della
legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione     di      legittimita'      costituzionale      dell'art.
187-quinquiesdecies  T.U.F.,  nel  testo  originariamente  introdotto
dall'art. 9, comma 2, lettera b), della legge 18 aprile 2005 n. 62  -
nella parte in cui detto articolo sanziona  la  condotta  consistente
nel non ottemperare tempestivamente alle richieste della CONSOB o nel
ritardare l'esercizio delle sue funzioni anche nei confronti di colui
al quale la medesima CONSOB, nell'esercizio  delle  sue  funzioni  di
vigilanza, contesti  un  abuso  di  informazioni  privilegiate  -  in
relazione agli  articoli  24,  111  e  117  Cost.,  quest'ultimo  con
riferimento all'art. 6 Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e  con  riferimento
all'art. 14, comma  3,  lettera  g),  del  Patto  internazionale  sui
diritti civili e politici adottato a New York il  16  dicembre  1966,
reso esecutivo in Italia con  la  legge  25  ottobre  1977,  n.  881,
nonche' in relazione agli articoli 11 e 117  Cost.,  con  riferimento
all'art. 47 CDFUE; 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies T.U.F.,
introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera a), della  legge  18  aprile
2005 n. 62 - nella parte  in  cui  esso  assoggetta  a  confisca  per
equivalente non soltanto il profitto dell'illecito ma anche  i  mezzi
impiegati per commetterlo, ossia l'intero prodotto dell'illecito - in
relazione  agli  articoli  3,  42  e  117  Cost.,  quest'ultimo   con
riferimento all'art. 1 del Primo Protocollo  addizionale  alla  CEDU,
nonche' agli articoli 11 e 117 Cost., con riferimento  agli  articoli
17 e 49 CDFUE. 
        dispone la sospensione dei presente giudizio; 
        ordina che, a cura della cancelleria, la  presente  ordinanza
sia notificata alle parti del giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
        ordina,  altresi',  che  l'ordinanza  venga  comunicata   dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti,  comprensivi
della documentazione attestante il perfezionamento  delle  prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio della II  Sezione
civile della Corte di cassazione, nella riconvocazione del 24 gennaio
2018. 
 
                       Il Presidente: Petitti