N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2017
Ordinanza del 12 maggio 2017 della Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile promosso da De Martino Silvio contro Ministero dell'economia e delle finanze. Giustizia amministrativa - Domanda di equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo - Soggezione alla condizione di proponibilita' della previa presentazione dell'istanza di prelievo. - Decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 54, comma 2, come modificato dall'art. 3, comma 23, dell'Allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) e dall'art. 1, comma 3, lettera a), n. 6), del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69).(GU n.24 del 13-6-2018 )
CORTE DI APPELLO DI NAPOLI prima sezione civile bis La Corte di Appello di Napoli, prima sezione civile bis, riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati: dott. Fulvio Dacomo - Presidente; dott. Michelangelo M. Petruzziello - Consigliere; dott. Giovanni Galasso - Consigliere relatore. Ha emesso la seguente: Ordinanza nel procedimento camerale iscritto al n. 40/2017 del Ruolo Generale degli affari di volontaria giurisdizione avente ad oggetto opposizione ex art. 5-ter l. 89/2001. Promosso da De Martino Silvio, nato a Vico Equense il 24 marzo 1958 (codice fiscale DMRSLV58C24L845Y), rappresentato e difeso, in virtu' di procura in calce al ricorso in opposizione ex art. 5-ter l. 89/2001, dagli avv.ti Rosa De Martino (codice fiscale DMRRS081C62L845X) e Luca Mascolo (codice fiscale MSCLCU79D15L845P) unitamente ai quali e elettivamente domiciliato in San Giorgio a Cremano, alla Via E. Gianturco n. 30 presso lo studio dell'avv. Domenico Caccavale; Opponente Nei confronti di Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro-tempore; Opposto non costituito Ragioni di fatto e motivi della decisione Con ricorso depositato in data 6 dicembre 2016, De Martino Silvio domandava l'equa riparazione dei danni subiti per effetto della durata - superiore al termine ragionevole di cui all'art. 6 § 1 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - del giudizio n. 12642/2004 R.G. svoltosi in primo ed unico grado innanzi at Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, introdotto con ricorso depositato il 24 novembre 2004 e conclusosi con la sentenza n. 3190/2015 depositata il 12 giugno 2015 e' divenuta definitiva (come risulta dal certificato depositato dal ricorrente). Con decreto del 7 dicembre 2016, depositato il 13 dicembre 2016, il ricorso veniva dichiarato improponibile, «giusto quanto previsto dall'art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008. n. 133, ancora applicabile al caso di specie in forza di quanto previsto dall'art. 6 comma 2-ter, della legge 89/2001», non avendo il ricorrente mai formulato istanza di prelievo del processo amministrativo in relazione al quale e stata domandata l'equa riparazione. Avverso tale decreto ha proposto opposizione il De Martino, con ricorso depositato l'11 gennaio 2017, deducendo che, con sentenza del 22-25 febbraio 2016 (Olivieri e altri c. Italia, ricorsi riuniti nn. 17708/12, 17717/12, 17729/12, 22994/12), la Prima sezione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato, in un caso analogo a quello oggetto del presente procedimento, lo Stato Italiano, osservando che «anche in caso di mancata presentazione dell'istanza di prelievo, sussiste la violazione dell'art. 6 della convenzione quando il processo amministrativo eccede la sua ragionevole durata» in quanto tale strumento non costituisce una tutela efficace ai sensi dell'art. 13 della Convenzione, tale da garantire l'effettiva accelerazione dei processi. A seguito della presentazione istanza, infatti, il Presidente del tribunale amministrativo regionale ha una facolta' e non un obbligo di anticipare la trattazione del processo. Ha quindi sostenuto che dovrebbe farsi luogo alla disapplicazione della norma interim per contrasto con il diritto comunitario e, conseguentemente, revocarsi il decreto con il quale e' stata dichiarata improcedibilita' del ricorso e riconoscersi l'indennizzo. Il Ministero non si e' costituito. All'udienza del 31 marzo 2017 la Corte si e' riservata per la decisione. Tanto premesso, occorre innanzi tutto evidenziare che non puo' farsi luogo alla disapplicazione del diritto interno richiesta dal ricorrente. Tale strada e' praticabile infatti esclusivamente in caso di contrasto tra diritto nazionale e norme di diritto comunitario di immediata applicazione e dunque regolamenti ovvero direttive cosiddette self executing (cfr. ex multis Corte costituzionale 64/1990; Corte costituzionale 168/1991). La natura della norma che si assume violata esclude pertanto gia' di per se' tale possibilita'. A cio' deve aggiungersi che la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non puo' comunque ritenersi pienamente integrata net sistema del diritto comunitario. Non si ignora che, per la prima volta, a seguito del Trattato di Lisbona, l'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea fa espresso richiamo alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani, ma non puo' comunque ritenersi che si tratti di una «comunitarizzazione» tout court. E' sufficiente al riguardo osservare che la norma, nell'attuale formulazione, prevede che «l'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali garantiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali». Deve pertanto continuare ad affermarsi, come piu' volte chiarito dalla Corte costituzionale, che le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali non producono effetti diretti nell'ordinamento interno, ne costituiscono autonomi parametri di legittimita' costituzionale (su tale specifico aspetto, cfr. Corte costituzionale 188/1980, n. 315/1990, n. 388/1999) con la conseguenza che gli eventuali contrasti con essa delle norme interne «non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimita' costituzionale, sicche' il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU, presentandosi incompatibilita' tra le due come una questione di legittimita' costituzionale, per eventuale violazione dell'art. 117 primo comma, Cost., di esclusiva competenza del giudice delle leggi» (C. Cost. 348/2007; nello stesso senso, Corte costituzionale 349/2007; per la giurisprudenza di legittimita' cfr., recentemente, Cassazione SS.UU. 6891/2016). Tanto chiarito, occorre verificare se, net caso di specie, possa sollevarsi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 117 comma 10 e 11 Cost. e, indirettamente, con gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione EDU. Al riguardo, deve innanzi tutto osservarsi che la norma in questione e' stata piu' volte modificata; nella formulazione originaria (risultante dalle modifiche intervenute in sede di conversione) la stessa prevedeva che «La domanda di equa riparazione non e proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2, comma I, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non e' stata presentata un'istanza ai sensi del secondo comma dell'art. 51 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642». A seguito delle modifiche introdotte con l'art. 3, comma 23 dell'allegato 4 del decreto legislativo 104/2010 il testo della norma (applicabile ai processi amministrativi pendenti alla data del 16 settembre 2010; cfr. Cassazione 3740/2013, Cassazione 16404/2016) diventava il seguente: «La domanda di equa riparazione non e proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non e stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 81. comma I, del codice del processo amministrativo, ne' con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione». Successivamente, con decreto legislativo 195/2011 (art. 1 comma 3 lettera a) n. 6)), in vigore dall'8 dicembre 2011, il testo veniva modificato con la correzione del riferimento all'art. 71 del codice del processo amministrativo, in luogo di quello errato all'art. 81: «La domanda di equa riparazione non e proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione di cui all'art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non e stata presentata l'istanza di prelievo di cui all'art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, ne con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione». Come evidenziato, la modifica in vigore dall'8 dicembre 2011 ha ad oggetto esclusivamente la correzione dell'errore nell'indicazione della norma del codice del processo amministrativo riguardante l'istanza di prelievo, ma non ha modificato la previsione in forza della quale, in mancanza di tale istanza, non e proponibile la domanda di equa riparazione, neppure «con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione». Peraltro, secondo la giurisprudenza di legittimita', tale correzione non esclude che la norma in questione operasse fin dal 16 settembre 2010, giacche' il riferimento errato all'art. 81 comma 2 anziche' all'art. 71 comma 2 del codice del processo amministrativo non era suscettibile di dar luogo ad equivoci (Cass. 19476/14). Infine, l'art. 6 comma 2-bis l. 89/2001 introdotto dall'art. 1 comma 777 lettera m) l. 208/2015 (che ha profondamente modificato la l. 89/2001), in vigore dal 10 gennaio 2016, ha disposto che «Il comma 2 dell' art. 54 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'art. 3, comma 23, dell'allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si applica solo nei processi amministrativi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini di cui all'art. 2, comma 2-bis». Per i processi amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore della l. 208/2015 (1/1/2016) per i quali la durata, alla data del 31 ottobre 2016, non ecceda i termini previsti dall'art. 2 comma 2-bis l. 89/2001, troveranno applicazione, invece, ai fini dell'ammissibilita' della domanda, gli articoli 2, comma 1 e 1-ter, comma 3 della l. 89/2001 come stabilito dall'art. 6, comma 2-bis della stessa legge. Alla luce di quanto esposto, dunque, al caso di specie, trova applicazione l'art. 54 comma 2-bis d.l. 112/2008 conv. in l. 133/2008, come modificato dal decreto legislativo 104/2010 e, successivamente dal d.lgs. 195/2011, in quanto il processo amministrativo per il quale si chiede l'equa riparazione, pendente alla data del 16 settembre 2010, si e' concluso il 12 giugno 2015 (cfr. anche Cassazione 16404/2016). Tanto chiarito in ordine all'evoluzione della norma ed all'individuazione della versione applicabile al caso di specie, nel valutare il profilo della non manifesta infondatezza della questione occorre tener presente che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il contrasto tra le norme interne e quelle della Convenzione va valutato alla luce dell'interpretazione fornita dalla Corte EDU, anche in considerazione dell'espressa previsione dell'art. 32 § 1 della Convenzione stessa (cfr. oltre alle gia' citate sentenze n. 348 e 349/2007, le sentenze nn. 113, 181, 187, 236, 257 del 2011, 93 del 2010, 239 e 311 del 2009, 39 del 2008). Sotto tale aspetto, non sembrano esservi dubbi sul fatto che l'art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e successivamente modificato dal d.lgs. 104/2010 e dal decreto legislativo 195/2011 cagioni un vulnus agli articoli 6 e 13 della Convenzione, essendosi espressamente pronunciata sul punto la Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza 22 febbraio 2016 citata dai ricorrenti. Ed infatti «La Corte ha dichiarato nella sentenza Kudla (sopra citata, § 156) che «l'interpretazione corretta dell'art. 13 e che tale disposizione garantisce un ricorso effettivo dinanzi a un giudice nazionale che permette di lamentare una inosservanza dell'obbligo imposto dall'art. 6 § 1 di esaminare le cause entro un termine ragionevole». 50. A livello nazionale, e' la legge Pinto, n. 89 del 24 marzo 2001 che ha introdotto nel sistema giuridico italiano una via di ricorso risarcitorio contro la lunghezza eccessiva dei procedimenti giudiziari. 51. Per quanto riguarda il giudizio dinanzi al giudice amministrativo, l'art. 54, secondo comma del decreto-legge n. 112/2008 (convertito in legge n. 133 del 2008) ha introdotto una condizione di ammissibilita' del ricorso «Pinto». I giudici «Pinto» possono essere aditi solo se la parte ricorrente ha depositato, nel corso del procedimento in via principale, una istanza di prelievo. All'epoca dei fatti della presente causa tale istanza era prevista dall'art. 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907. 52. Secondo la Corte, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008, ossia il 25 giugno 2008, il legislatore ha creato una nuova procedura per denunciare l'eccessiva durata del giudizio dinanzi al giudice amministrativo. Tale procedura si compone di due fasi: una prima fase, che prevede la presentazione della cosiddetta istanza di prelievo nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo e che costituisce una condizione per l'ammissibilita' del ricorso Pinto; una seconda fine, regolata dalla legge Pinto, che permette a chiunque di presentare una domanda di equa soddisfazione presso la corte d'appello competente ratione loci. 53. Per quanto riguarda l'istanza di prelievo, la Corte rammenta che si e' trovata varie volte a giudicare l'effettivita' di un rimedio sollecitatorio (si vedano, tra molte altre, Xynos c. Grecia, n. 30226/09, 9 ottobre 2014; Sürmeli sopra citata; Lukenda c. Slovenia, n. 23032/02, CEDU 2005 X. Horvat c. Croazia, n. 51585/99, CEDU 2001 VIII). In particolare, ha riconosciuto a questo tipo di ricorso un carattere «effettivo» in quanto permette di accelerare la decisione del giudice interessato. 54. Per quanto riguarda le presenti cause, il testo di legge che disciplinava l'istanza suddetta all'epoca dei fatti, ossia l'art. 51 del regio decreto n. 642 del 17 agosto 1907, indicava che «nel decreto di fissazione d'udienza il presidente (del TAR) puo', ad istanza di parte o d'ufficio, dichiarare il ricorso urgente». 55. In seguito all'entrata in vigore del codice di procedura amministrativa (decreto-legge n. 104 del 2010), la nuova disciplina prevede, nel suo art. 71, che «la parte puo' segnalare l'urgenza del ricorso depositando istanza di prelievo». L'art. 8, comma 2, dell'allegato n. 2 dello stesso codice stabilisce che «il presidente (del TAR) puo' derogare al criterio cronologico per ragioni d'urgenza, anche tenendo conto delle istanze di prelievo, o per esigenze di funzionalita' dell'ufficio, ovvero per connessione di materia, nonche' in ogni caso in cui il Consiglio di Stato abbia annullato la sentenza o l'ordinanza e rinviato la causa al giudice di primo grado». 56. La Corte osserva che il contenuto dei due testi di legge mostra che il presidente del tribunale amministrativo regionale ha una semplice facolta' di fissare la data dell'udienza. In secondo luogo, l'istanza di prelievo e' considerata un criterio tra gli altri previsti all'art. 8 dell'allegato n. 2 del codice di procedura amministrativa. Infine, in assenza di informazioni del Governo al riguardo, si deve osservare che non sembra che la legislazione nazionale abbia previsto delle modalita' precise per quanto riguarda l'esame dell'istanza in questione, in particolare sui criteri che il presidente del tribunale amministrativo regionale deve applicare per rigettare o accogliere l'istanza e le conseguenze, in caso di decisione favorevole alla parte sullo svolgimento del procedimento». Sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di durata eccessiva dei giudizi amministrativi e della prassi dei TAR, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha poi osservato che il tempo trascorso tra la presentazione dell'istanza e la fissazione dell'udienza e' estremamente variabile, oltre che assolutamente aleatorio, e che non vi e' alcuna garanzia che l'istanza stessa venga presa in esame. Pertanto, ha concluso che la presentazione di una istanza di prelievo non ha alcun «effetto significativo sulla durata del procedimento, portando alla sua accelerazione o impedendole di oltrepassare il limite di quanto possa essere considerato ragionevole (si veda, a contrario, Holzinger (n. 1) c. Austria, n. 23459/94, § 22, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2001-I). Si deve pertanto concludere che l'esito di tale istanza e' aleatorio. 62. La Corte osserva anche che la nuova disposizione, in assenza di un regime transitorio, si applica automaticamente a tutti i ricorsi «Pinto», indipendentemente dalla durata del procedimento amministrativo principale, il che obbliga le parti a moltiplicare le istanze volte a ottenere la conclusione di un processo la cui durata e gia' irragionevole. (...) 64. Secondo la Corte, la condizione di ammissibilita' di un ricorso «Pinto» prevista dall'art. 54, comma 2 della legge n. 112/2008 risulta essere una condizione formale che produce l'effetto di ostacolare l'accesso alla procedura «Pinto». Essa considera che l'inammissibilita' automatica dei ricorsi «Pinto»), basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non hanno presentato l'istanza di prelievo, ha privato questi ultimi della possibilita' di ottenere una ripartizione adeguata e sufficiente (si veda a contrario Misfud c. Francia (dec.) [GC]. n. 57220/00, § 16-17, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali 2002 VIII). 65. Ad abundantiam, la Corte osserva che il legislatore ha modificato nel 2010 la disposizione contestata, confermando i dubbi sollevati dalla Corte nella sua decisione Daddi (sopra citata). 66. Nella versione del testo applicabile alle presenti cause, l'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevedeva che una domanda di equa soddisfazione ai sensi della legge Pinto potesse essere presentata soltanto se la parte del giudizio dinanzi al giudice amministrativo aveva precedentemente depositato una istanza di prelievo. Tale previsione lasciava aperta al giudice nazionale la possibilita' di includere, nel calcolo della durata eccessiva, il periodo antecedente alla data di entrata in vigore della norma contestata. 67. In seguito, il decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010 introduceva il codice di procedura amministrativa modificando la disposizione in questione. (...). 68. A tale proposito, la Corte ha ritenuto che una prassi di interpretazione e applicazione dell'art. 54, secondo comma, di detto decreto-legge che ha per effetto quello di opporsi all'ammissibilita' dei ricorsi «Pinto» relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008 solo in quanto non e' stata presentata un'istanza di prelievo, potrebbe essere di natura tale da esonerare i ricorrenti interessati dall'obbligo di esperire il ricorso «Pinto». Lo stesso varrebbe per quanto riguarda i procedimenti ancora pendenti in cui la fissazione d'urgenza dell'udienza sia stata richiesta solo dopo l'entrata in vigore della disposizione in questione. In questi casi non si puo' escludere che essa sia interpretata dai giudici nazionali nel senso di escludere dalla determinazione della durata soggetta a indennizzo i periodi anteriori al 25 giugno 2008. Una tale prassi potrebbe infatti privare sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilita' di ottenere, nell'ambito «Pinto», una riparazione adeguata e sufficiente» (Daddi sopra citata). 69. Questa stessa conclusione si applica alla nuova formulazione dell'art. 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 (come modificato dal decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010). 70. La Corte ribadisce che l'art. 13 della Convenzione si fonda sull'ipotesi che l'ordinamento interno offra un ricorso effettivo per quanto riguarda la violazione dedotta (Selmouni sopra citata, § 74, e Kudla sopra citata, § 152). Essa rammenta che un ricorso di cui dispone la parte per lamentare l'eccessiva durata del procedimento e' «effettivo», ai sensi dell'art. 13 della Convenzione, se permette di evitare che si verifichi o si protragga la violazione dedotta o se permette di «fornire all'interessato una riparazione adeguata per tutte le violazioni che si siano gia' verificate» (ibidem § 158). Il che non e avvenuto nelle presenti cause. 71. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che la procedura per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dalla lettura dell'art. 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 in combinato disposto con la legge Pinto, non possa essere considerata un ricorso effettivo ai sensi dell'art. 13 della Convenzione. E' dunque opportuno rigettare l'eccezione di mancato esaurimento sollevata dal Governo e concludere che vi e' stata violazione dell'art. 13 della Convenzione». E' evidente, quindi, come dalla sentenza in questione si ricavi che l'art. 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 sia prima che dopo le modifiche introdotte con il decreto legislativo n. 104 del 2 luglio 2010 sia in contrasto con gli articoli 13 e 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani. Sul punto deve solo aggiungersi che, in considerazione della perentoria formulazione della norma, che esclude radicalmente la possibilita' di ottenere l'equa riparazione per l'eccessiva durata dei giudizi in caso di omessa presentazione dell'istanza di prelievo, va esclusa la possibilita' di pervenire ad un'interpretazione della stessa tale da garantire il rispetto dei principi sopra esposti, condizione necessaria, ad avviso della Corte costituzionale, perche' possa farsi luogo alla questione di legittimita' della norma interna (cfr. sentenze nn. 39 del 2008, 138 e 87 del 2010, 236, 113, 80 e 1 del 2011). Deve ancora osservarsi che in un'occasione la S.C. (Cass. 26262/2013) ha riconosciuto come manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma in esame; tuttavia, il profilo esaminato dalla Corte di Cassazione era diverso e riguardava il contrasto con gli articoli 24 e 111 Cost., dovuto al fatto che la norma (nella formulazione successiva alle modifiche introdotte con il decreto legislativo 104/2010) impedisce, in caso di mancata presentazione dell'istanza, l'ottenimento dell'indennizzo anche per la parte di giudizio svoltosi anteriormente al 16 settembre 2010. Appare dunque non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 come modificato dal d.lgs. 104/2010 e successivamente dal decreto legislativo 195/2011 con gli articoli 117 comma 1° e 11 Cost. (e, indirettamente con gli articoli 6 e 13 CEDU) nei termini sopra indicati. Venendo all'esame della rilevanza della questione con riguardo al caso di specie, deve osservarsi che essa e in re ipsa, atteso che ove si facesse applicazione di tale norma dovrebbe rigettarsi l'opposizione proposta dal De Martino, la cui vicenda assolutamente sovrapponibile a quella sottoposta al vaglio della Corte EDU. Anzi, nel caso di specie, troverebbe applicazione la norma nella versione risultante dalla modifica introdotta con il decreto legislativo 104/2010, operante per i giudizi pendenti alla data del 16 settembre 2010, sicche' l'indennizzo risulterebbe escluso anche per il periodo anteriore, laddove nel vigore della precedente formulazione precedente, si riteneva quanto meno salvo il diritto per il periodo anteriore al 25 giugno 2008 (cfr. Cassazione 15303/2012; Cassazione 5914/2012; 5317/2011). Infine, neppure potrebbe escludersi che la norma in questione trovi applicazione alla vicenda in esame, avendo il De Martino presentato in due occasioni (21 novembre 2004 e 17 maggio 2013) istanza di fissazione di udienza; quest'ultima istanza, infatti, ha natura e funzione differenti rispetto all'istanza di prelievo e non e' dunque idonea a consentire la proponibilita' del ricorso per equa riparazione secondo le ripetute pronunce al riguardo rese dalla S.C. (Cassazione 25572/2010; Cassazione 780/2015; Cassazione 16404/2016). Occorre pertanto sospendere il presente processo e rimettere gli atti alla Corte costituzionale affinche' sciolga la prospettata questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133 come modificata dal decreto legislativo 104/2010 e, successivamente dal decreto legislativo 195/2011.
P.Q.M. cosi' provvede: 1) dichiara nella specie rilevante e non manifestamente infondata la questione concernente la legittimita' costituzionale - per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione (in relazione agli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali) - dell'art. 54, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133 come modificata dall'art. 3 comma 23 dell'allegato 4 del decreto legislativo 104/2010 e, successivamente, dall'art. 1 comma 3 lettera a) n. 6) del decreto legislativo 195/2011 nei termini sopra esposti; 2) per l'effetto, dispone la sospensione del presente procedimento e, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed alle parti costituite e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e quindi immediatamente trasmessa, insieme agli atti del procedimento ed alla prova delle predette notificazioni e comunicazione, alla Corte costituzionale ai fini della risoluzione della predetta questione incidentale di legittimita' costituzionale. Cosi deciso in Napoli, il 21 aprile 2017. Il Presidente: Dacomo