N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 maggio 2018

Ordinanza del  29  maggio  2018  della  Corte  dei  conti  -  Sezione
giurisdizionale   per   la   Regione   Liguria   nel   giudizio    di
responsabilita' proposto dal Procuratore regionale  della  Corte  dei
conti per la Liguria contro C. V.. 
 
Responsabilita'  amministrativa  e  contabile   -   Procedimento   di
  responsabilita' per danno erariale - Esercizio dell'azione da parte
  della Procura della Corte dei conti per il risarcimento  del  danno
  all'immagine della pubblica amministrazione  in  esito  a  sentenze
  penali  irrevocabili  di  condanna  del   pubblico   dipendente   -
  Preclusione nelle ipotesi di reati dolosi dichiarati prescritti con
  sentenza passata in giudicato. 
- Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 176 [recte: n. 174]  (Codice
  di giustizia contabile, adottato ai sensi  dell'articolo  20  della
  legge 7 agosto 2015, n. 124), art. 51, commi 6 e 7. 
(GU n.46 del 21-11-2018 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
          Sezione giurisdizionale Regionale per la Liguria 
 
     Composta dai seguenti magistrati: 
      Mario Pischedda - Presidente; 
      Maria Riolo - Giudice; 
      Gianluca Bragho' - Giudice relatore; 
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita', iscritto al numero 19908 del registro di Segreteria,
instaurato ad istanza della Procura regionale della Corte  dei  Conti
per la Liguria nei confronti del signor C. V.,  nato  a  Roma  il...,
residente..., localita'..., alla via..., n...; 
    Esaminati gli atti e documenti di causa; 
    Sciolta la riserva assunta  nelle  camere  di  consiglio  del  14
giugno 2017 e del 7 settembre 2017; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con atto di citazione depositato in data  30  novembre  2016,  la
Procura regionale ha convenuto in giudizio il sig. V. C. in  qualita'
di comandante del VII Nucleo Antisommossa del  I  Reparto  Mobile  di
Roma, responsabile del comando in Genova nella zona di  corso  Buenos
Aires,  per  sentirlo  condannare  al  risarcimento  in  favore   del
Ministero   degli   interni   della   somma   di    euro    53.498,24
(cinquantatremilaquattrocentonovantotto/24   centesimi)   per   danno
patrimoniale   e,   previa   rimessione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale   per   la   decisione   circa   la    questione    di
costituzionalita' dell'art. 17, comma 30-ter,  secondo  periodo,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n.  78,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato  dall'art.  1  del
decreto-legge 3 agosto 2009, n.  103,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, della  somma  di  euro  50.000,00
(cinquantamila/00) a titolo di danno  all'immagine  o  della  diversa
somma che sara' liquidata  dalla  Sezione  Giurisdizionale,  oltre  a
rivalutazione monetaria e interessi legali, nonche'  alle  spese  del
giudizio. 
    La sentenza di condanna a carico del convenuto, emessa  all'esito
della camera di consiglio del 14 giugno, consegue,  quanto  al  danno
patrimoniale indiretto, alle plurime condanne al risarcimento  danni,
in solido con il Ministero degli interni, a favore delle parti civili
costituite e al rimborso delle spese legali affrontate dalle medesime
nei tre gradi di giudizio penale instaurati a carico  del  C.  per  i
reati di lesioni personali e  di  violenza  privata  aggravate  dalla
circostanza p e p. dall'art. 61 n. 9 del c.p. 
    Nel processo penale il C.  era  stato  rinviato  a  giudizio  per
rispondere: 
      a) del reato di cui agli articoli 81 cpv., 582, 585, 61 n. 2  e
9 c.p. «perche', quale comandante del VII Nucleo Antisommossa  del  I
Reparto Mobile di Roma, essendone al comando in Genova, nella zona di
corso Buenos Aires, con piu' azioni esecutive  del  medesimo  disegno
criminoso ed al fine di  commettere  il  reato  di  cui  al  capo  b,
cagionava lesioni personali a V. M., V. G., L. N. e S. M., consistite
in urticazione degli occhi, con conseguente temporaneo accecamento, e
della  pelle  del  volto,  affaticamento  respiratorio  per  V.   G.;
urticazione degli occhi, con conseguente temporaneo  accecamento  per
V. M., urticazione degli occhi,  con  temporaneo  accecamento,  forti
sudorazioni per L. N., urticazione del volto per S. M...  agendo  per
mezzo di una bomboletta spray di gas urticante  C.  S.  in  dotazione
quale armamento personale  di  servizio,  con  l'aggravante  di  aver
abusato dei poteri e di aver violato i  doveri  inerenti  la  propria
funzione di pubblico ufficiale; in Genova il 20 luglio 2001»; 
      b) del reato di cui agli articoli 81 cpv., 610, 61  n.  9  c.p.
«perche', nella medesima qualita' indicata sub a), mediante  violenza
consistita  nell'utilizzazione  di  una  bomboletta  spray   di   gas
urticante C. S. in dotazione quale armamento  personale  di  servizio
contro V. M., V. G., L.  N.,  S.  M...  in  carenza  dei  presupposti
legittimanti  l'uso  di  tale  arma,  costringeva   i   medesimi   ad
allontanarsi dal viale ove sostavano; in Genova il 20 luglio 2011». 
    Il Tribunale di Genova, con sentenza in data  11  dicembre  2008,
aveva assolto l'imputato dal reato di cui al capo  «a»  e  condannato
per il reato di cui  al  capo  «b»  alla  pena  di  mesi  quattro  di
reclusione, con pena sospesa e non menzione. 
    La Corte di Appello di Genova, con sentenza in  data  13  gennaio
2012,  aveva  dichiarato  non   doversi   procedere   nei   confronti
dell'imputato in ordine ai reati  ascritti,  in  quanto  estinti  per
prescrizione; aveva condannato il C. in solido  con  il  responsabile
civile al risarcimento dei danni nei  confronti  dette  parti  civili
costituite, da liquidarsi in separata sede; aveva condannato il C.  e
il  Ministero  dell'interno  in  solido  al  pagamento  delle   spese
sostenute dalle parti civili, liquidate in euro 7.000,00 oltre iva  e
c.p.a. a favore della Associazione Giuristi Democratici di Genova per
entrambi i gradi di giudizio, distratti a favore  del  difensore;  in
euro 7.000,00 oltre iva e c.p.a. a favore di L.  N.  per  entrambi  i
gradi di giudizio, distratti a favore del difensore; in euro 7.000,00
oltre iva e c.p.a. a  favore  di  V.  M.  per  entrambi  i  gradi  di
giudizio, distratti a favore del difensore; in  euro  8.000,00  oltre
iva e c_p.a. a favore di V. G. per  entrambi  i  gradi  di  giudizio,
distratti a favore del difensore. 
    La Corte di Cassazione, con sentenza n. 46787\13, aveva rigettato
i ricorsi proposti da C. e dal Ministero dell'interno, condannando  i
ricorrenti  al  pagamento  delle  spese  processuali,  nonche'  «alla
rifusione delle spese sostenute per  questo  giudizio  di  cassazione
dalle parti civili e liquidate per ciascuna in  euro  2.500,00  oltre
accessori come per legge». 
    L'ipotesi accusatoria ha trovato pieno riscontro  nella  sentenza
della Corte di appello (confermata in Cassazione e dunque passata  in
giudicato), la quale, pur dovendo prendere atto del maturato  termine
prescrizionale,  ha   ritenuto   comunque   integrato   comportamento
delittuoso  da  parte  del  C.,  condannandolo  in  solido   con   il
responsabile civile Ministero dell'interno al risarcimento danni  nei
confronti delle parti civili costituite e  al  rimborso  delle  spese
legali affrontate da queste ultime. 
    La condotta illecita del funzionario di Polizia ha causato quindi
all'erario  un   danno   patrimoniale   «indiretto»:   il   Ministero
dell'interno, condannato in  solido  quale  responsabile  civile,  e'
stato infatti costretto a versare alle controparti la somma  di  euro
49.483,20 a titolo  di  spese  legali,  cui  si  sono  aggiunti  euro
4.015,04 corrisposti al  V  (soggetto  maggiormente  danneggiato)  in
seguito ad accordo transattivo stipulato in  data  26  ottobre  2015:
complessivamente,                   euro                    53.498,24
(cinquantatremilaquattrocentonovantotto/24). 
    La  Procura  ha  ritenuto  sussistente  un'ulteriore  ipotesi  di
responsabilita' del C. a titolo di danno all'immagine della  Pubblica
Amministrazione, visto il rilievo assunto dall'episodio sugli  organi
di informazione, nonche' il grado del responsabile. 
    La vicenda, come e' noto,  e'  da  ascriversi  nel  coacervo  dei
terribili fatti del G8 2001 di  Genova,  cui  risvolti  giudiziari  e
mediatici  hanno  ottenuto  tristemente  gli  onori  negativi   della
risonanza mondiale. 
    Nel motivare l'entita' della  richiesta  risarcitoria  del  danno
all'immagine,   causato   dal   convenuto   all'Amministrazione    di
appartenenza  e  allo  Stato,  d  requirente  osserva  che  per   gli
appartenenti alle «Forze dell'ordine il rapporto di servizio viene ad
assumere una particolare piu' intensa connotazione che  discende  dal
dovere  di  fedelta'  di  cui  all'art.  54  della  Costituzione,  da
intendersi come fedelta' qualificata, con  contenuto  piu'  ampio  di
quello riguardante la  totalita'  dei  cittadini,  essendo  idonea  a
fondare doveri piu' impegnativi nei confronti di chi, essendo  tenuto
a prestare giuramento, contrae anche un vincolo di ordine morale, che
a quelli giuridici si aggiunge» (Corte dei conti, Sez. Friuli-Venezia
Giulia, n. 491/2007). 
    Nella fattispecie, oltre al  menzionato  art.  54  Cost.  e  alle
richiamate norme penali, ritiene la Procura essere stato  violato  in
modo diretto ed immediato l'art. 97 della Costituzione, che  sancisce
il  dovere  di  buon  andamento  ed  imparzialita'   della   Pubblica
Amministrazione. 
    L'estrema rilevanza dei compiti istituzionalmente attribuiti alla
Polizia  di  Stato  impone  che  tutti  gli  appartenenti  al   Corpo
mantengano una condotta assolutamente irreprensibile. Non solo. In un
ordinamento democratico e' di fondamentale importanza che  l'opinione
pubblica abbia un'elevata  considerazione  delle  Forze  dell'Ordine:
tale generale apprezzamento e' condizione necessaria  per  l'efficace
raggiungimento delle finalita' che lo Stato attribuisce loro. 
    Puo' aggiungersi che la Corte costituzionale (sentenza n. 112 del
2014)  nel  considerare  non  irragionevole   la   previsione   della
destituzione   di   diritto   per   gli   appartenenti    ai    ruoli
dell'Amministrazione  della  pubblica  sicurezza,  quale  conseguenza
automatica dell'applicazione di una misura di sicurezza personale, ha
sottolineato che la specialita' del censurato art.  8,  primo  comma,
lett. c), del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  737  del
1981,  e'  dovuta  alla  «peculiarita'  e  delicatezza  dei   compiti
affidati» alla predetta categoria di dipendenti pubblici e  «connessi
alla salvaguardia di diritti fondamentali».  Pertanto,  la  Corte  ha
ritenuto conforme  a  Costituzione  «una  disciplina  che  valuti  in
termini  rigorosi  le  conseguenze  che  discendono,  sul  piano  del
rapporto di  impiego,  dalla  accertata  pericolosita'  del  pubblico
dipendente, in particolar modo laddove (...)  tale  situazione  abbia
determinato  condotte  penalmente  rilevanti.  Essa  trasparentemente
riflette la preminenza attribuita dal legislatore all'interesse della
collettivita' ad essere difesa dalla pericolosita' sociale di un  suo
membro, allorche' questo sia un  dipendente  dell'Amministrazione  di
pubblica sicurezza ... omissis ...». 
    Ne' puo' essere dimenticato il contenuto del «Codice  Europeo  di
Etica per la  Polizia»  (adottato  dal  Consiglio  dei  Ministri  del
Consiglio d'Europa - Raccomandazione n. 2001/10 - nel settembre 2001,
in seguito all'ondata di sdegno per i fatti del  G8  di  Genova)  ove
vengono riaffermati i divieti assoluti - gia', peraltro, presenti  in
tutti  gli  ordinamenti  -  di  comportamenti  che  ledano  i  valori
fondamentali della  persona,  la  sacralita'  della  stessa,  sia  in
termini fisici che morali. 
    Ogni  qual  volta  l'immagine  dell'Amministrazione  e'  lesa  da
comportamenti illeciti,  si  verifica,  dunque,  una  violazione  del
diritto  all'immagine  «intesa  come  diritto  al  conseguimento,  al
mantenimento  ed  al  riconoscimento  della  propria  identita'  come
persona giuridica pubblica» (Corte dei conti, SS.RR.  n.  10/2003/QM,
confermata, rispetto ai contenuti sostanziali,  dalla  successiva  n.
1/2011/QM),   violazione   che   e'   economicamente   valutabile   e
risarcibile. 
    La quantificazione di tale danno, ad avviso del requirente,  deve
essere effettuata  in  via  equitativa,  tenuto  conto  di  tutte  le
circostanze, dei fatti e del pregiudizio  subito  -  nella  specie  -
dalla Polizia di Stato e dallo Stato stesso alla loro reputazione con
grave detrimento al prestigio acquisito attraverso la costante azione
dei propri operatori. 
    In ordine ai parametri da utilizzare per determinare  il  quantum
del danno, la Procura richiama la pregressa giurisprudenza  contabile
ed in particolare la pronuncia delle SS.RR. n. 10/QM del 2003 che  ha
analiticamente indicato i parametri ai fini della quantificazione del
danno in via equitativa. 
    Applicando, quindi, tali parametri e criteri alle fattispecie  in
esame, la Procura ritiene che  il  danno  all'immagine  possa  essere
quantificato in euro 50.000,00 (cinquantamila\00), da  risarcirsi  al
Ministero dell'interno, in considerazione del peculiare rilievo della
funzione delle Forze dell'Ordine, cui  e'  affidato  dall'ordinamento
prioritariamente il compito di far rispettare la legge e di  tutelare
i cittadini, della  gravita'  dei  fatti,  del  grado  rivestito  dal
responsabile (Comandante del  VII  Nucleo  Antisommossa  del  Reparto
Mobile di Roma), dell'attenzione dell'opinione pubblica nazionale sui
reati commessi da esponenti delle Forze dell'Ordine, della  risonanza
mediatica degli eventi. 
    Circa la proponibilita' della richiesta  risarcitoria  per  danno
all'immagine, parte attorea ha osservato che il limitato  novero  dei
reati presupposti contrasta con la Carta costituzionale sotto diversi
profili, ed occorre quindi eccepire  l'illegittimita'  costituzionale
del secondo periodo dell'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge  1°
luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto
2009, n. 102, pur prendendo atto che la Corte  costituzionale  (sent.
355 del 2010, nonche' ord. nn. 219, 220, 221 e 286 del  2011)  si  e'
gia' occupata della conformita' a Costituzione del combinato disposto
delle predette disposizioni, giudicando -  con  ampia  motivazione  -
inammissibili  o   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale sollevate  da  alcune  Sezioni  giurisdizionali  della
Corte  dei  conti  proprio  relativamente  all'  aspetto   in   esame
(esclusione del danno all'immagine della P.A. in  presenza  di  reati
diversi da quelli «contro la pubblica amministrazione»  previsti  nel
capo I del titolo II del libro secondo del codice penale). 
    La successiva giurisprudenza della Corte dei  conti  non  si  e',
tuttavia, costantemente uniformata all'interpretazione che  la  Corte
costituzionale ha dato della norma in questione. Invero, in  base  al
principio pacifico secondo il quale  le  sentenze  interpretative  di
rigetto del  Giudice  delle  leggi  sono  vincolanti  (e  nemmeno  in
assoluto) solo per il giudice a quo numerose sentenze  delle  Sezioni
territoriali e delle Sezioni centrali di Appello  hanno  ammesso,  in
base  ad  una  «interpretazione  costituzionalmente  orientata»   del
cosiddetto «Lodo Bernardo»  l'azionabilita'  del  danno  all'immagine
della Pubblica amministrazione in presenza di reati diversi da quelli
contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo  II
del libro secondo del codice penale (ex multis:  Sezione  Liguria  n.
107 in data 25 giugno 2013 e n. 212 in data 6  dicembre  2013  e,  da
ultimo, Sez. Prima Giurisdizionale Centrale  379/2014/A  in  data  11
marzo 2014 e n. 522/2014/A in data 3 aprile  2014).  Altre  decisioni
sono state, invece, di segno opposto. 
    Anche la Corte  di  Cassazione,  chiamata  a  pronunciarsi  sulla
questione, ha  adottato  sentenze  contrastanti.  Fra  le  ultime  si
possono ricordare la sentenza n. 5481 del 4 febbraio 2014, favorevole
all'interpretazione ampliativa della tutela  risarcitoria  del  danno
all'immagine  della  Pubblica  amministrazione,  e,  all'opposto,  la
sentenza   n.   14605   del   28   marzo   2014,   che   ha   accolto
l'interpretazione, adottata dalla Corte costituzionale, aderente alla
lettera della legge. 
    Da ultimo, sul contrasto giurisprudenziale interno alla Corte dei
conti sono intervenute le Sezioni Riunite della stessa Corte  con  la
sentenza n. 8/2015/QM, che ha  enunciato  il  seguente  principio  di
diritto: «l'art. 17, comma 30-ter, va inteso nel senso che le Procure
della Corte dei conti possono esercitare l'azione per il risarcimento
del danno all'immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo
II del Libro Secondo del codice penale». 
    Con tale  pronuncia  l'interpretazione  contenuta  nell'enunciato
principio di diritto puo' considerarsi del tutto dominante,  tale  da
configurarsi come «diritto vivente» a  livello  di  legge  ordinaria.
Cio' determina, ad avviso del  Procuratore  regionale,  un  contrasto
insanabile della disposizione  in  esame  con  la  Costituzione,  non
potendosi    piu'    proporre     una     diversa     interpretazione
«costituzionalmente orientata» della norma in esame. 
    Ne  consegue  che  il   requirente   prospetta   l'eccezione   di
incostituzionalita'  proponendo  esclusivamente  argomentazioni   non
ancora   scrutinate   dalla   Corte   costituzionale    ed    avendo,
prevalentemente, riguardo a novita' legislative  e  giurisprudenziali
intervenute successivamente alle predette pronunce del Giudice  delle
leggi. 
    Parte attorea stima necessario considerare  che,  successivamente
al «Lodo Bernardo», sono state introdotte dal legislatore  -  fra  le
altre numerose fattispecie «tipizzate» di danno erariale - tre  nuove
fattispecie  «tipizzate»  di  danno   all'immagine   della   Pubblica
amministrazione. 
    La  prima  e'  correlata  alla  previsione  del  reato  di  false
attestazioni o certificazioni  non  ricondotto  dal  legislatore  nei
reati del codice penale,  bensi'  introdotto  dall'art.  55-quinquies
comma 2 del decreto legislativo n. 165/2001. 
    La  seconda  fattispecie  tipizzata  e'  relativa  alla  condotta
colposamente   omissiva,   non   costituente   reato,   ascritta   al
responsabile della prevenzione della corruzione, che viene sanzionato
in caso di omessa predisposizione del piano ed  omessa  vigilanza  ed
osservanza delle prescrizioni contenute  nel  medesimo,  in  caso  di
commissione di delitto di corruzione accertato con  sentenza  passata
in giudicato emessa nei confronti di un  pubblico  impiegato  interno
all'amministrazione (art. 1, comma 12, della legge 6  novembre  2012,
n. 190). 
    La terza fattispecie tipizzata e' prevista dall'art. 46, comma 1,
del decreto legislativo 14 marzo 2013, n.  33,  e  pone  in  capo  al
responsabile  le  conseguenze  derivanti   dall'inadempimento   degli
obblighi  di  pubblicazione  e  della  mancata  predisposizione   del
Programma triennale per la trasparenza. 
    Anche tale fattispecie di  danno  all'immagine  non  consegue  da
fatto di reato. A fronte del mutato quadro normativo,  parte  attorea
ritiene che la citata sentenza della Corte costituzionale n. 355/2010
sia stata in parte superata dall'intenzione del  Legislatore  che  ha
per cosi' dire «spezzato il  cerchio»  della  limitazione  del  danno
all'immagine a determinati reati presupposto, estendendo  le  ipotesi
di responsabilita' risarcitoria in presenza di' condotte omissive non
costituenti  reato  e  sanzionando   comportamenti   non   penalmente
rilevanti non connotati, persino, da gravita' della colpa. 
    La   rottura    dell-a    coerenza    sistematica    dell'assetto
ordinamentale,  nella  tesi  attorea,  impone  una  revisione   della
compatibilita' costituzionale del c.d. «Lodo Bernardo»  in  relazione
ai principi di ragionevolezza, eguaglianza, equita' sostanziale, alla
luce del complesso sistematico-argomentativo derivante dalle sentenze
della Corte costituzionale nn. 421/1991, 1/2012, 87/2012, 162/2014. 
    L'irragionevolezza  della   limitazione   della   responsabilita'
risarcitoria ai soli delitti commessi dal pubblico  ufficiale  contro
la  Pubblica  amministrazione  produce  sperequazioni   sanzionatorie
manifestamente irragionevoli e inique, laddove  sanziona  fatti  meno
gravi rispetto a condotte causative di danni all'immagine di maggiore
impatto  ed  estensione  (ad  esempio  reati  colposi  di   rilevante
gravita', reati di violenza, reati commessi dal pubblico ufficiale in
concorso con soggetti  privati  a  danno  delle  finanze  pubbliche).
Limitazione ancor  piu'  irrazionale  se  si  pensi  all'affermazione
contenuta nella menzionata sentenza n. 355/2010, a tenore della quale
la  Corte  costituzionale  ha  sostenuto  che  l'assenza   di   reato
presupposto qualificante  non  conduca  ad  una  delimitazione  della
giurisdizione  contabile  rispetto  ad  altra  giurisdizione,  quanto
piuttosto una vero e proprio confine oggettivo di' determinazione del
diritto della Pubblica amministrazione di richiedere il  risarcimento
del danno  per  lesione  alla  propria  immagine  alle  sole  ipotesi
previste dal c.d. «Lodo Bernardo». 
    In conclusione, assume parte attorea che la  disposizione  recata
dall'art. 17, comma 30-ter, secondo  periodo,  del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto
2009, n. 102, deve  essere  dichiarata  incostituzionale  ed  espunta
dall'ordinamento per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto
il  profilo  della  violazione  dei  principi  di  uguaglianza  e  di
ragionevolezza delle scelte del legislatore, e  dell'art.  97  Cost.,
sotto  il  profilo  della   violazione   del   principio   di   buona
amministrazione,  in  quanto  limita  la  risarcibilita'  del   danno
all'immagine della pubblica amministrazione al pregiudizio scaturente
da determinate fattispecie di reato e, di conseguenza, non ammette il
risarcimento nel caso  di  reati  diversi  (eventualmente  ugualmente
gravi  o  addirittura  piu'  gravi)  e  net  caso  di   comportamenti
gravemente colposi, fermo restando il limite della soglia  minima  di
gravita' della lesione (individuato dalla Corte di  Cassazione  nella
sent. n. 26972 del 2008). 
    Per le ragioni innanzi esposte, la Procura regionale ha  eccepito
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma  30-ter,  secondo
periodo, del decreto-legge 1° luglio  2009,  n.  78,  convertito  con
modificazioni dalla legge 3 agosto  2009,  n.  102,  come  modificato
dall'art. 1, comma 1,  del  decreto-legge  3  agosto  2009,  n.  103,
convertito con modificazioni dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141,  per
contrasto:  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  violazione  dei
principi  di  uguaglianza  e  di   ragionevolezza,   di   conformita'
dell'ordinamento a valori di giustizia  e  di  equita',  di  coerenza
logica,  teleologica  e  storico-cronologica   dell'ordinamento,   di
ragionevolezza intrinseca della  disposizione,  di  congruita'  della
scelta legislativa  rispetto  alla  ratio  dell'intervento  normativo
(Corte costituzionale sent. 421 del 1991, n. 81 del 1992, n.  46  del
1993, n. 245 del 2007, n. 87 del 2012, n. 162 del 2014); ancora,  con
l'art.  3  della  Costituzione  per  violazione  del   principio   di
uguaglianza  sotto  il  profilo  che   a   situazioni   eguali   deve
corrispondere  l'identica  disciplina  e,   all'inverso,   discipline
adeguatamente   differenziate   andranno   coniugate   a   situazioni
differenti,  ovvero  sotto  il  profilo  della  doverosita'   di   un
trattamento perlomeno uguale di situazioni a  cui  anzi  legislatore,
nella sua discrezionalita', potrebbe dare un  trattamento  disegnale,
tal  che  la  fattispecie  meno  grave  non  riceva  un   trattamento
nettamente piu' sfavorevole di quella connotata da maggior  disvalore
(Corte costituzionale sent. n. 1009 dei 1988, n. 89 del  1996,  n.  1
del 2012, n. 143 del 2014, n. 162 del 2014, n. 241 del 2014); sempre,
con l'art. 3  della  Costituzione  per  violazione  dei  principi  di
uguaglianza e di  ragionevolezza  sotto  d  profilo  del  trattamento
sanzionatorio (comparativamente) equo di situazioni uguali o  diverse
(Corte costituzionale sent. n. 68 del 2012, n. 47 del  2010,  n.  273
del 2010, n. 251 del 2012, n. 80 del  2014);  sempre,  con  l'art.  3
della Costituzione per violazione  del  principio  di  ragionevolezza
sotto  i  profili   dell'adeguata   giustificazione   della   portata
retroattiva della norma non penale, della  certezza  dell'ordinamento
giuridico,  della  sicurezza  giuridica  con  riguardo  a  situazioni
sostanziali  fondate  su  disposizioni  di  leggi  precedenti  (Corte
costituzionale sent. n. 374 del 2002, n. 234 del  2007,  n.  209  del
2010, n. 41 del 2011, n. 93 del 2011, n. 271  del  2011,  n.  78  del
2012, n. 92 del 2013, n. 160 del 2013, n. 170 del 2013); infine,  con
l'art. 97 della Costituzione per violazione  del  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione. 
    La Procura erariale fa presente che l'art.  17  citato  e'  stato
gia' oggetto di rimessione alla Corte costituzionale, da parte  della
Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Liguria,
con ordinanza 19 aprile 2016 (proc. n. 58\13, giudizio nei  confronti
dei signori V., N., B., C.). 
    Per quel che concerne il richiamo  alla  portata  precettiva  del
summenzionato art. 17, comma 30-ter, applicabile,  in  tesi,  ratione
temporis, va precisato che la Corte costituzionale con  ordinanza  n.
145/2017, depositata il 21 giugno 2017, ha disposto  la  restituzione
degli atti a questa Sezione regionale remittente, poiche' ha ritenuto
che «le sopravvenute modifiche, anche tenendo  conto  della  data  di
entrata in vigore delle stesse, hanno  inciso  sul  citato  art.  17,
comma  30-ter,  e,   comunque,   hanno   determinato   una   profonda
trasformazione del quadro normativo di  riferimento  (soprattutto  in
considerazione della disposta abrogazione dell'art. 7 della legge  n.
97 del 2001), realizzata con modalita' tali da influire sul contenuto
e sulla prospettazione  delle  censure  e  che,  quindi,  ne  rendono
ineludibile il riesame da parte del rimettente, cui  spetta  valutare
le ricadute delle modifiche, procedendo ad una nuova  valutazione  in
ordine  alla  rilevanza  e  alla  non  manifesta  infondatezza  della
sollevata questione (per tutte, ordinanze n. 25 del 2017 e n. 115 del
2016). 
    Nulla ha dedotto  il  convenuto  essendo  rimasto  contumace  nel
giudizio di responsabilita' a suo carico. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Con riferimento alla normativa nella quale sussumere il  caso  in
esame,   il   mutamento   del   quadro   normativo   che   disciplina
l'ammissibilita' dell'azione  erariale  induce  Collegio  a  ritenere
applicabile nel giudizio in atto la normativa codicistica in tema  di
danno erariale e non gia' il citato art. 17 comma 30-ter. 
    L'accertamento della normativa applicabile al caso  in  esame  si
riverbera  direttamente  sulla   verifica   della   rilevanza   della
questione,   quale   presupposto   per   sollevare   il   dubbio   di
costituzionalita'. 
    Con decorrenza dal 7 ottobre 2016, trova applicazione  il  codice
di giustizia contabile, introdotto con decreto legislativo 24  agosto
2016, n. 174. 
    Al riguardo va evidenziato che il legislatore  ha  selettivamente
determinato quale corpus di norme e'  immediatamente  applicabile  ai
giudizi in corso, alla stregua di valutazioni sulla regolazione degli
assetti processuali pienamente rientranti  nella  potesta'  normativa
esercitata, che si assume scevra da scelte irrazionali o arbitrarie. 
    La disciplina ad hoc dettata  dal  legislatore  per  il  graduale
inserimento  applicativo  delle  norme  codicistiche,   elidendo   la
questione circa la valenza sostanziale o processuale della disciplina
abrogante rispetto  alla  previgente  previsione  normativa,  di  cui
all'art. 17 comma-ter  del  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78,
convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102. 
    E' infatti il legislatore medesimo che ha inteso regolare i  casi
riferiti a fatti commessi prima dell'entrata in  vigore  del  codice,
orientando   l'interprete   nell'individuazione   della    disciplina
applicabile. 
    Al contrario, laddove il legislatore ha ritenuto di applicare gli
istituti  codicistici,  a  valenza  sostanziale  -  come   gli   atti
interrottivi della prescrizione -  ai  soli  fatti  commessi  e  alle
omissioni avvenute a decorrere dalla data di entrata  in  vigore  del
codice, ne ha espressamente fatto menzione (art. 2,  comma  2,  delle
disposizioni transitorie con riferimento all'art. 66 del c.g.c.).  Si
evince  dall'art.  2  delle  norme  transitorie  al  c.g.c.  che   le
disposizioni di cui alla Parte II, Titolo I, Capi I,  II  e  III  del
codice  (articoli  da  51  a  70),  disciplinanti  l'istruttoria  del
Pubblico Ministero, si applicano alla data di entrata in  vigore  del
codice,  fatti  salvi  gli  atti  gia'  compiuti  secondo  il  regime
previgente, mentre le disposizioni di cui alla Parte II,  Titoli  II,
III, IV e V (articoli da 73 a 103) si applicano anche ai  giudizi  in
corso. 
    Orbene,  nel  caso  di  specie,  l'atto  di  citazione  e'  stato
regolarmente  notificato  presso  la  residenza  del  convenuto,  con
procedimento di notifica  perfezionato  mediante  il  deposito  nella
cassetta postale degli avvisi  successivi  al  primo  tentativo,  non
andato a buon  fine  per  la  temporanea  assenza  del  destinatario,
nonche' mediante la compiuta giacenza del plico nei termini di  legge
presso l'ufficio postale  di  competenza  ed  allegato  al  fascicolo
processuale con deposito avvenuto in data 30 novembre 2016. 
    E' indubbio  dunque  che  l'istruttoria  aperta  dal  PM  si  sia
manifestata   in   proiezione   processuale,   mediante   l'esercizio
dell'azione di danno solo dopo l'entrata  in  vigore  del  codice  di
giustizia contabile, con conseguente applicazione al giudizio di  che
trattasi dell'art. 51, commi 6 e 7,  c.g.c.  richiamato  dall'art.  2
delle citate disposizioni transitorie  (Cfr.  Sezione  giur.  Marche,
sent. 7/2017; Sezione giur. Sicilia, sent. 687/2017). 
    Osserva ulteriormente il Collegio  che  il  codice  di  giustizia
contabile all'art. 4, lett. h) dell'allegato 3 (norme  transitorie  e
abrogazioni) ha espunto, a decorrere dalla data di entrata in  vigore
della novella codicistica,  il  primo  periodo  dell'art.  17,  comma
30-ter, decreto-legge n. 78 del 2009 cit.,  lasciando  intatto  testo
successivo  della  norma,  a  tenore  della  quale  razione  per   il
risarcimento del danno all'immagine  della  Pubblica  Amministrazione
puo' essere esercitata dal Pubblico Ministero contabile - a  pena  di
nullita' - soltanto a fronte di una  sentenza  penale  definitiva  di
condanna del pubblico dipendente per uno  dei  delitti  dei  pubblici
ufficiali contro la P.A. richiamati dall'art. 7, legge 27 marzo 2001,
n. 97. 
    Anche quest'ultima disposizione e' stata parimenti  abrogata  dal
predetto art. 4 dell'allegato 3 del Codice (vedasi lett. g),  venendo
cosi' meno la previgente limitazione del novero  dei  delitti  per  i
quali e' perseguibile danno all'immagine. 
    Nel determinare la portata della  disciplina  relativa  ai  danno
all'immagine, il Collegio evidenzia  che  il  richiamo  compiuto  dal
comma 2 del  citato  art.  4  identifica  la  norma  di  riferimento,
necessaria ad individuare il  «corrispondente  istituto»  codicistico
che subentra in luogo di quello abrogato. 
    Il «corrispondente istituto» e' rinvenibile  in  modo  univoco  e
onnicomprensivo nella nozione di danno  erariale  disciplinato  dagli
articoli 51 e seguenti del c.g.c., ovvero, con riferimento  al  danno
all'immagine, il danno erariale, perpetrato dai  dipendenti  pubblici
per delitti commessi a danno delle  Pubbliche  amministrazioni  (cfr.
Sezione giur. Lombardia, sentenza n. 201/2016). 
    Si  evidenzia  che   danno   all'immagine   viene   espressamente
contemplato solo all'art. 51, comma 6, del codice, il quale prescrive
che la  nullita'  per  violazione  delle  norme  sui  presupposti  di
proponibilita' dell'azione per danno all'immagine e' rilevabile anche
d'ufficio.  «Sicche',  in  mancanza   di   ulteriori   specificazioni
normative, tali nuovi "presupposti" di proponibilita'  della  domanda
di risarcimento del danno all'immagine  (alla  luce  dell'abrogazione
del cennato Lodo Bernardo e del menzionato art. 7 della legge  n.  97
del 2001) non possono che essere individuati in quelli  previsti  dal
medesimo art. 51, al comma  7  (unica  disposizione  del  Codice  che
appare colmare il vuoto normativo determinatosi in conseguenza  delle
suddette abrogazioni), ai sensi del quale: La  sentenza  irrevocabile
di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle  pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi e degli enti  da  esse
controllati,  per  i  delitti  commessi  a  danno  delle  stesse,  e'
comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei  conti
affinche' promuova l'eventuale procedimento  di  responsabilita'  per
danno erariale nei  confronti  del  condannato.  Resta  salvo  quanto
disposto dall'art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento  e
transitorie del codice di procedura  penale,  approvate  con  decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271». 
    Poiche', dunque,  nell'art.  51,  comma  6,  del  Codice,  si  fa
espresso riferimento al danno all'immagine,  il  contenuto  di  detta
norma, in combinato con il generale richiamo, nel successivo comma 7,
a delitti commessi a danno della P.A. accertati con  sentenza  penale
irrevocabile, conduce a ritenere che, ai fini dell'individuazione dei
"presupposti" di che trattasi, tali reati siano da  individuare,  sul
piano testuale e logico, senza la previgente delimitazione, in  tutti
i  delitti  commessi  a  danno  delle  pubbliche  amministrazioni  da
dipendenti pubblici (o da soggetti legati da  rapporto  di  servizio,
secondo notori approdi di questa Corte).  Ad  avviso  della  Sezione,
dunque, dopo la novella del decreto  legislativo  n.  174  del  2016,
qualsiasi delitto commesso da  pubblici  dipendenti  (o  da  soggetti
legati da rapporto di  servizio  alla  P.A.)  in  danno  della  P.A.,
accertato con sentenza penale definitiva e' idoneo  a  configurare  -
senza piu' la limitazione tipologica di cui all'abrogato art. 7 della
legge n. 97 del 2001 - il presupposto  per  l'eventuale  promovimento
dell'azione risarcitoria per il danno all'immagine di cui al comma  6
dell'art. 51 del  menzionato  Codice»  (cosi'  testualmente,  Sezione
giur. Lombardia cit.). 
    L'individuazione della norma applicabile non muta, se si  intenda
seguire  l'orientamento  giurisprudenziale   che   identifica   nella
disciplina del danno all'immagine  i  presupposti  di  proponibilita'
della domanda,  da  intendersi  quali  condizioni  dell'azione  (Cfr.
Sezione giur. Veneto, sent. n. 219/2016). 
    Orbene, le condizioni detrazione (irrevocabilita' della  sentenza
di condanna in sede  penale  per  un  fatto  di  reato  commesso  dal
pubblico ufficiale a danno  della  Pubblica  Amministrazione)  devono
essere valutate al momento  della  proposizione  delta  citazione  al
convenuto. 
    In conclusione, sotto il profilo della rilevanza della questione,
il Collegio  ritiene  di  aver  dimostrato,  che  pur  applicando  la
disciplina codicistica (sub specie art. 51, commi 6 e 7  c.g.c.),  il
presupposto per il promovimento dell'azione risarcitoria a titolo  di
danno all'immagine della P.A. si rinviene nell'acclarata  sussistenza
di condanna irrevocabile pronunciata  nei  confronti  del  dipendente
pubblico per i delitti commessi a danno delle stesse. 
    La persistenza della pregiudiziale pronuncia penale di  condanna,
quale  presupposto  dell'azione  erariale,  e'  peraltro   confermata
dall'attuale vigenza dell'art. 17 comma 30-ter, secondo periodo,  del
decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, a tenore del quale si  prescrive
che «le procure della Corte dei  conti  esercitano  l'azione  per  il
risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti
dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine,  il
decorso del termine di prescrizione di cui al  comma  2  dell'art.  1
della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e' sospeso fino alla  conclusione
del procedimento penale. Qualunque  atto  istruttorio  o  processuale
posto in essere in violazione delle disposizioni di cui  al  presente
comma, salvo che  sia  stata  gia'  pronunciata  sentenza  anche  non
definitiva alla data di entrata in vigore della legge di  conversione
del presente decreto, e' nullo e la  relativa  nullita'  puo'  essere
fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi
alla competente sezione giurisdizionale della Corte  dei  conti,  che
decide nel termine perentorio di trenta  giorni  dal  deposito  della
richiesta». 
    I mutamenti legislativi conseguenti  all'entrata  in  vigore  del
codice di giustizia  contabile  non  hanno  snaturato  i  presupposti
dell'azione per far valere il  danno  all'immagine,  ma  hanno  fatto
convergere  l'apparato  risarcitorio   verso   forme   di   contrasto
ordinamentale a comportamenti devianti  dal  corretto  esercizio  dei
poteri funzionali. 
    L'ottica ampliativa  dell'area  della  risarcibilita'  del  danno
all'immagine  non  comprende  tutti   indistintamente   le   condotte
ascrivibili a delitti commessi dal pubblico ufficiale. 
    Esulano dal circuito normativo le  condotte  delittuose  commesse
per fatti privati o per eventi non connessi  con  l'esecuzione  delle
funzioni istituzionali del dipendente, ma vi  rientrano  i  fatti  di
reato plurioffensivi che sono commessi nei confronti  di  privati  in
occasione dello  svolgimento  di  funzioni  istituzionali  incise  da
comportamento deviante e infedele del pubblico ufficiale (abuso delle
pubbliche funzioni). 
    E dunque nel caso sottoposto al vaglio giurisdizionale, che  vede
protagonista un funzionario  di  Polizia,  nel  pieno  dell'esercizio
delle sue funzioni  di  tutela  dell'ordine  pubblico,  nell'atto  di
spruzzare  uno  spray  urticante  ad  altezza  viso  (in  assenza  di
circostanze che ne  giustificassero  l'utilizzo)  per  costringere  i
signori V., V., L. e S. ad allontanarsi dal luogo ove  sostavano  (da
qui la contestazione del reato di violenza privata ex art. 610 c.p.),
la condotta pregiudizievole ha, nel medesimo  contesto  di  luogo  ed
azione,  provocato  conseguenze  fisiche,   nei   soggetti   colpiti,
integranti il delitto di lesione personale (ai sensi  degli  articoli
582  e  585  c.p.),  ed  ha   inferto   alla   reputazione   pubblica
dell'Amministrazione della Polizia di Stato un grave  pregiudizio  di
immagine. 
    Duplice  e'  il  bene  giuridico  leso  dal   fatto   di   reato:
l'integrita'  fisica  dei   pacifici   astanti   e   la   reputazione
dell'Autorita' di Polizia dello Stato, da intendersi  quale  soggetto
pubblico cui e' affidata la tutela dell'ordine e della sicurezza  dei
cittadini nell'atto di esercitare le liberta' civili. La  lesione  di
entrambi i beni giuridici tutelati dall'ordinamento proviene  proprio
dal soggetto cui era demandata la funzione pubblica di protezione. 
    Gli esiti del  processo  penale  hanno  riscontrato  l'illiceita'
della condotta posta in essere dal  pubblico  ufficiale.  La  Suprema
Corte di Cassazione, pur dovendo prendere atto del  maturato  termine
prescrizionale,  ha  ritenuto  comunque  integrato  il  comportamento
delittuoso da parte dell'imputato, condannandolo  in  solido  con  il
responsabile civile Ministero dell'interno al risarcimento danni  nei
confronti delle parti civili costituite e  al  rimborso  delle  spese
legali affrontate da queste ultime. 
    La carenza del requisito della condanna penale  irrevocabile,  in
presenza di una sentenza  dichiarativa  della  prescrizione  che  ha,
invero, pienamente accertato le responsabilita' dei  fatti  di  reato
ascritti  al  funzionario  di  Polizia,  pone   il   remittente   nel
convincimento  che  la  questione  non  possa  essere  decisa   senza
sollevare  il  dubbio  di  costituzionalita',  poiche'  l'esito   del
giudizio  contabile  muta  a  seconda  dell'esistenza  o   meno   del
prerequisito  teste'   descritto,   oltremodo   necessario   per   la
proponibilita' dell'azione di danno. 
    Il riferimento testuale  al  prerequisito  conduce  ad  escludere
interpretazioni dell'art. 51 commi 6 e  7  c.g.c.,  che  possano  far
ritenere esperibile l'azione della Procura contabile anche  nei  casi
di danni all'immagine dell'amministrazione  conseguenti  a  fatti  di
reato  commessi  da  pubblico  ufficiale  nell'esercizio  delle   sue
funzioni avverso i quali e' maturato il  termine  prescrizionale  per
l'inflizione della sanzione penale. 
    Ne' puo' soccorrere alcun'altra interpretazione convergente con i
principi   di   eguaglianza   sostanziale,    di    buon    andamento
dell'amministrazione pubblica e di effettivita'  della  giurisdizione
contabile, che possa parificare la sentenza  di  proscioglimento  per
prescrizione alla formale irrogazione sanzione penale derivante dalla
sentenza di condanna, trattandosi di esiti del giudizio penale  dagli
effetti,  penali  ed  extra  penali,  del  tutto  diversificati.   La
previsione testuale della previa condanna  penale  irretrattabile  si
pone quale limite  legislativo  invalicabile  e  imprescindibile  per
l'interprete. Nessun'altro surrogato normativo e'  rinvenibile  nella
palese intenzione del legislatore. 
    La questione proposta e'  da  ritenersi  rilevante  nel  presente
giudizio,  in  quanto  l'applicazione  della  disposizione  censurata
determinerebbe l'improponibilita' della domanda di  risarcimento  del
danno  all'immagine,  per   insussistenza   della   condanna   penale
irrevocabile, precludendone l'esame. 
    Esaurito  il  tema  della  rilevanza,  il  Collegio  procede   ad
analizzare  il  profilo  della  non  manifesta   infondatezza   della
questione. 
    Alla  luce  dei  principi  che  presiedono  alla  verifica  della
ragionevolezza degli  interventi  del  legislatore,  elaborati  dalla
stessa giurisprudenza costituzionale, il remittente  ritiene  che  il
contrasto delle disposizioni censurate con gli articoli 3, 76,  97  e
103 della Cost. non sia manifestamente infondato, con riferimento  ai
profili, di seguito illustrati. 
    1. Intrinseca irragionevolezza dell'art. 51 commi 6  e  7,  nella
parte in cui esclude l'esercizio dell'azione del P.M.  contabile  per
il risarcimento del danno all'immagine  conseguente  a  reati  dolosi
commessi   da   pubblici   dipendenti   a   danno   delle   pubbliche
amministrazioni,  dichiarati  prescritti  con  sentenza  passata   in
giudicato pienamente accertativa della responsabilita' dei  fatti  ai
fini della condanna dell'imputato al risarcimento  dei  danni  patiti
dalle parti civili costituite. 
    E' jus receptum che la giurisprudenza costituzionale ha  «desunto
dall'art. 3 Cost. un canone di "razionalita'" della legge  svincolato
da  una  normativa  di  raffronto,  rintracciato   nell'esigenza   di
conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' ed  a
criteri di coerenza logica, teleologica  e  storico-cronologica,  che
costituisce un presidio contro l'eventuale manifesta irrazionalita' o
iniquita' delle conseguenze  della  stessa»  (Corte  Cost.  sent.  n.
87/2012). 
    La reiterata scelta, operata dal  legislatore  con  le  censurate
disposizioni, di non estendere l'azione risarcitoria in  presenza  di
condotte infedeli costituenti un reato  originato  in  violazione  di
doveri funzionati per il quale, put nel pieno accertamento dei  fatti
materiali e dell'elemento  soggettivo  doloso,  l'imputato,  pubblico
ufficiale, e' prosciolto per maturazione del termine  prescrizionale,
e', infatti,  smentita  dallo  stesso  legislatore  che  prima  della
disciplina codicistica  (ma  in  momenti  successivi  all'entrata  in
vigore dell'art. 17, comma 30-ter del decreto-legge n.  78/2009),  ha
introdotto    ulteriori    fattispecie    di    danno    all'immagine
dell'amministrazione - anche di fatti che  non  costituiscono  reato,
con conseguente irrazionalita' della disciplina dettata dal  predetto
art. 51 commi 6 e 7 c.g.c. 
    L'art. 1, comma 12, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  ha
previsto    che    «In    caso    di     commissione,     all'interno
dell'amministrazione,  di  un  reato  di  corruzione  accertato   con
sentenza passata in giudicato, il responsabile individuato  ai  sensi
del comma 7 del presente articolo risponde ai sensi dell'art. 21  del
decreto  legislativo  30   marzo   2001,   n.   165,   e   successive
modificazioni, nonche' sul piano disciplinare, oltre che per il danno
erariale e all'immagine della  pubblica  amministrazione,  salvo  che
provi tutte le seguenti circostanze: a) di avere  predisposto,  prima
della commissione del fatto, il piano di cui al comma  5  e  di  aver
osservato le prescrizioni di  cui  ai  commi  9  e  10  del  presente
articolo; b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del
piano». 
    Inoltre, l'art. 46, comma 1, del  decreto  legislativo  14  marzo
2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante  gli  obblighi  di
pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte  delle
pubbliche amministrazioni) ha introdotto una ulteriore fattispecie di
danno all'immagine  risarcibile,  prevedendosi  che  «l'inadempimento
degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente o la
mancata predisposizione del Programma triennale per la trasparenza  e
l'integrita'   costituiscono   elemento    di    valutazione    della
responsabilita' dirigenziale, eventuale causa di responsabilita'  per
danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque  valutati  ai
fini della corresponsione  della  retribuzione  di  risultato  e  del
trattamento accessorio collegato  alla  performance  individuale  dei
responsabili». 
    La previsione di due ipotesi di danno  all'immagine  risarcibile,
relative a fatti che  addirittura  non  costituiscono,  di  per  se',
reato, ma solo una condotta omissiva rilevante sotto il profilo extra
penale, incrina decisamente la  coerenza  interna  della  scelta  del
legislatore  tradottasi  dapprima  nell'art.  17,  comma   30-ter   e
successivamente nel combinato disposto  dell'art.  51  commi  6  e  7
c.g.c.,  rendendo   irragionevole   e,   quindi,   costituzionalmente
illegittima, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto  il
profilo della intrinseca  irrazionalita'  della  disciplina  e  della
disparita' di trattamento  risultante,  l'esclusione  della  generale
azione risarcitoria nelle ipotesi di danno all'immagine causato dalla
commissione di fatti di  reato  non  piu'  punibili  per  intervenuta
prescrizione, pur nel compiuto accertamento degli eventi imputati  al
pubblico ufficiale responsabile. 
    L'azione risarcitoria per danno all'immagine dell'amministrazione
risulta, infatti, prevista per  fatti  dannosi  di  minore  gravita',
(tenuto conto del tipo di sanzione prevista dal legislatore  in  caso
di violazione) quali quelli  relativi  alle  due  ultime  fattispecie
citate, che in astratto non costituiscono neppure reato  (art.  comma
12, della legge 6 novembre 2012, n. 190  e  art.  46,  comma  1,  del
decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33), mentre risulta esclusa per
danni all'immagine causati dai piu' gravi fatti di reato,  produttivi
della stessa tipologia di danno  e  per  di  piu'  recanti  carattere
plurioffensivo, derivante dalla concorrenza  di  aggressione  a  piu'
beni  giuridici  tutelati,  individuali  e   collettivi   (integrita'
personale, liberta' civili di manifestare pacificamente e senz'armi). 
    Se  a  quanto  evidenziato  si  aggiungono   le   diversita'   di
trattamento,  ingiustificate  sul  piano  giuridico,  che  la   norma
censurata  determina,  non  puo'  non  dubitarsi  della  legittimita'
costituzionale  della  medesima  disposizione,  per  violazione   del
principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. che impone parita'
di trattamento di situazioni analoghe e per violazione del canone  di
ragionevolezza intrinseca, desunto dallo stesso  art.  3,  che  esige
conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e di equita' dallo
stesso tutelati ed  a  criteri  di  coerenza  logica,  teleologica  e
storico-cronologica, e che costituisce un presidio contro l'eventuale
manifesta irrazionalita' o iniquita' delle  conseguenze  della  norma
(Corte Cost. sent. n. 46 del 1993 e n. 81 del  1992),  principio  che
risulta  violato  nel  momento  in.  cui  la   tutela   dell'immagine
dell'amministrazione  non  viene  accordata  o   negata   a   seconda
dell'uniforme accertamento sulla sussistenza o meno del danno, bensi'
sulla diversita' del fatto generatore, rilevante ora  penalmente  ora
extra penalmente, alla  stregua  di  una  individuazione,  di  fatto,
affidata al mero arbitrio del legislatore ordinario. 
    Non solo. La violazione del principio di eguaglianza  sostanziale
e' configurabile con riferimento  al  diverso  trattamento  giuridico
riservato ai privati cittadini lesi nell'integrita'  fisica  rispetto
al diritto alla reputazione della Pubblica amministrazione. I  primi,
nella vicenda sottoposta all'odierno esame, hanno potuto ottenuto  il
ristoro delle spese processuali di costituzione nel  giudizio  penale
(uno di  essi  anche  il  ristoro  dei  danni  patiti  a  seguito  di
transazione), mentre il Ministero dell'interno e' stato  chiamato  in
sede penale, quale responsabile civile ai sensi dell'art. 28 comma  2
Cost., a rispondere dei danni cagionati dal funzionario  infedele  in
violazione dei doveri istituzionali. 
    In buona sostanza,  il  medesimo  fatto  storico,  generatore  di
responsabilita' civile per contatto  amministrativo,  in  assenza  di
condanna penale irrevocabile (ma in presenza  di  pieno  accertamento
sul fatto a cura del giudice penale  sfociato  in  una  pronuncia  di
prescrizione) inibisce alta Pubblica amministrazione razione  diretta
volta al ristoro dei danni alla propria pubblica reputazione, per  un
fatto doloso divenuto non punibile e, per  l'effetto,  inopinatamente
non risarcibile. 
    La irragionevole  limitatezza  della  previsione  legislativa  si
configura altresi' distonica rispetto al  condivisibile  orientamento
espresso dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (sentenza  Rigolio
vs Italia, depositata il 14 maggio 2014), la  quale  ha  ribadito  la
natura risarcitoria e non sanzionatoria del danno all'immagine. Ergo,
il superamento del termine prescrizionale, necessario per  assicurare
la punibilita' del fatto penalmente rilevante, non dovrebbe impingere
alla  risarcibilita'   del   medesimo   fatto   storico   per   danno
all'immagine. 
    In estrema sintesi sulla questione - e a tacer il rilievo che  la
preclusione  processuale  riferita  alla  prescrizione  del   delitto
ingenera nel  reo  comportamenti  processuali  dilatori  di  indebita
valenza premiale  -  puo'  mai  essere  ragionevole  l'esclusione  di
responsabilita' civile nei confronti  dell'autore  dell'atto  doloso,
solo per il sopraggiungere della prescrizione penale? 
    2. L'intrinseca irragionevolezza insita nella norma censurata, si
rinviene inoltre nella violazione del principio di buon  andamento  e
l'imparzialita' della Pubblica amministrazione ai sensi dell'art.  97
Cost. 
    L'organo giurisdizionale costituzionale ha identificato il  danno
derivante dalla  lesione  del  diritto  all'immagine  della  Pubblica
amministrazione nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa
ha  nella  sua  dimensione  pubblica  ed  esterna  (reputazione)   in
conformita' al modello delineato dall'art.  97  Cost.,  individuando,
pertanto,  sostanzialmente  in   questa   norma   costituzionale   il
fondamento della rilevanza di tale diritto (Corte Cost. sent. n.  355
del 2010). 
    La Corte ha statuito  che  il  riconoscimento  dell'esistenza  di
diritti "propri" degli enti pubblici tra cui il diritto  all'immagine
«deve necessariamente tenere conto della  peculiarita'  del  soggetto
tutelato e  della  conseguente  diversita'  dell'oggetto  di  tutela,
rappresentato  dall'esigenza   di   assicurare   il   prestigio,   la
credibilita' e il corretto funzionamento degli uffici della  pubblica
amministrazione (sentenza n.  172  del  2005),  ritenendo  in  questa
prospettiva,    non    manifestamente    irragionevole     ipotizzare
differenziazioni  di  tutele,  che  si  possono  attuare  a   livello
legislativo,  anche  mediante  forme  di   protezione   dell'immagine
dell'amministrazione pubblica a fronte di  condotte  dei  dipendenti,
specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate
alla persona fisica». (sentenza n. 355 del 2010). 
    Il vaglio di ragionevolezza impone pero'  di  verificare  che  il
bilanciamento degli interessi costituzionalmente  rilevanti  non  sia
stato realizzato con modalita' tali da determinare il sacrificio o la
compressione  di  uno  di  essi  in  misura  eccessiva   e   pertanto
incompatibile con  il  dettato  costituzionale.  Tale  giudizio  deve
svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalita' dei
mezzi   prescelti   dal   legislatore   nella    sua    insindacabile
discrezionalita' rispetto alle esigenze  obiettive  da  soddisfare  o
alle finalita' che intende perseguire» (Corte cost. sent. n. 1130 del
1988) ed ha lo scopo di «valutare se la norma oggetto  di  scrutinio,
con  la  misura  e  le  modalita'  di  applicazione  stabilite,   sia
necessaria e idonea  al  conseguimento  di  obiettivi  legittimamente
perseguiti, in quanto tra piu' misure appropriate,  prescriva  quella
meno restrittiva dei diritti  a  confronto  e  stabilisca  oneri  non
sproporzionati rispetto al perseguimento di detti  obiettivi»  (sent.
n. 1 del 2014). 
    Il sindacato di «intrinseca irragionevolezza» assume la forma del
controllo circa l'adeguatezza della scelta  legislativa  rispetto  al
caso regolato. 
    Nel  respingere  le  censure  di  illegittimita'   costituzionale
riferite all'art. 17 comma 30-ter del decreto-legge 1°  luglio  2009,
n. 78, la  Corte  ha  rinvenuto  la  ratio  ispiratrice  della  norma
sottoposta  al   proprio   vaglio,   nell'intenzione   di   'limitare
ulteriormente  l'area  della  gravita'  della  colpa  del  dipendente
incorso in responsabilita', proprio all'evidente scopo di  consentire
un esercizio dell'attivita' di amministrazione della  cosa  pubblica,
oltre che piu' efficace ed efficiente, il piu'  possibile  scevro  da
appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi,  per
chi e' chiamato, appunto, a porla in essere. (Corte  cost.  sent.  n.
355  del   2010).   La   norma,   infatti,   intende   «circoscrivere
oggettivamente i casi in cui e' possibile, sul  piano  sostanziale  e
processuale, chiedere il risarcimento del  danno  in  presenza  della
lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente
di  questa»,   «sulla   base   della   considerazione   secondo   cui
l'ampliamento dei casi di responsabilita' di tali  soggetti,  se  non
ragionevolmente limitata  in  senso  oggettivo,  e'  suscettibile  di
determinare   un   rallentamento   nell'efficacia   e   tempestivita'
dell'azione amministrativa dei pubblici  poteri,  per  effetto  dello
stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro  ai
quali,  in  definitiva,  e'  demandato   l'esercizio   dell'attivita'
amministrativa.» (Corte cost. sent. n. 355 del 2010). 
    Cio' posto, il profilo  di  censura  che  viene  in  rilievo  con
riferimento  alla  «ragionevolezza  intrinseca»  della  disposizione,
attiene alla idoneita', alta proporzionalita' e alla  necessita'  del
mezzo scelto per l'attuazione dell'intento legislativo; mezzo che  al
remittente appare non solo sproporzionato ed eccessivo rispetto  allo
scopo, ma anche non  necessario  e  inidoneo  al  conseguimento,degli
obiettivi legittimamente perseguiti. 
    Giammai la finalita' di consentire «un  esercizio  dell'attivita'
di amministrazione della cosa pubblica, oltre che  piu'  efficace  ed
efficiente, il piu' possibile scevro da appesantimenti»  puo'  essere
ottenuto precludendo l'azione risarcitoria per fatti di reato  dolosi
commessi dal pubblico  ufficiale  nell'esercizio  delle  funzioni  di
ordine  pubblico,  sottrattosi  alla   sanzione   penale   solo   per
intervenuta prescrizione. 
    Rispetto a fattispecie di ben altro tenore, al fine  di  valutare
la ragionevolezza dell'intervento, non puo'  non  tenersi  conto  del
fatto che il legislatore, allo scopo di limitare  la  responsabilita'
dei  pubblici  dipendenti,  e'  gia'  piu'  volte  intervenuto,   con
provvedimenti normativi riconosciuti  legittimi  dalla  stessa  Corte
costituzionale (sentenza n. 371 del 1998; sentenza n. 453 del  1998),
finalizzati a restringere la sfera di detta  responsabilita',  (legge
14 gennaio 1994  n.  20;  decreto-legge  23  ottobre  1996  n.  543),
limitando il risarcimento alle sole  condotte  dannose  connotate  da
dolo o colpa grave e la trasmissibilita' del debito agli  eredi  solo
nel caso di illecito arricchimento del dante causa e  di  conseguente
illecito    arricchimento    degli    eredi    stessi,     prevedendo
l'insindacabilita' delle scelte discrezionali e l'obbligo  di  tenere
conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione  o  dalla
comunita'   amministrata,   fissando   la   regola   generale   della
parziarieta'  dell'obbligazione   di   risarcimento,   limitando   al
quinquennio il termine prescrizionale (art. 1 commi 1-4  della  legge
14 gennaio 1994 n. 20) e sancendo l'obbligo  di  rimborsare  in  ogni
caso al dipendente prosciolto nel  processo  per  danno  erariale  le
spese legali sostenute (art. 3,  comma  2-bis  del  decreto-legge  n.
543/1996, art. 18, comma 1,  del  decreto-legge  n.  67/1997  e  art.
10-bis, comma 10 del decreto-legge n. 203/2005). 
    La   finalita'   perseguita   dal   legislatore   risulta    gia'
abbondantemente soddisfatta da strumenti piu' consorti, quali  quelli
teste' enunciati. 
    La  scelta  di  restringere   ulteriormente   i   confini   della
responsabilita'   per   i    danni    causati    all'amministrazione,
circoscrivendo il risarcimento  dei  danni  all'immagine  nelle  sole
ipotesi in cui gli stessi siano conseguenti ad  una  condanna  penale
irrevocabile, peraltro non  raggiunta  per  intervenuta  prescrizione
(dopo condanna nel merito), e restringendo, dunque, di conseguenza, i
confini della tutela del  diritto  dell'amministrazione  all'onore  e
alla pubblica reputazione,  appare  misura  eccessiva  ed  esuberante
rispetto allo scopo e, pertanto, secondo il parametro  costituzionale
dell'art. 97, intrinsecamente irrazionale. 
    Precludere l'obbligo del  pubblico  dipendente  di  risarcire  il
danno all'immagine dell'Amministrazione causato,  come  nel  caso  di
specie,  da  funzionari  appartenenti  alla  Polizia  di  Stato   nei
confronti dei quali e' stata acclarata la  responsabilita'  materiale
dei fatti di reato ascritti loro per avere, nell'esercizio delle loro
funzioni di ordine pubblico, commesso violenza privata e  lesioni  in
pregiudizio di pacifici manifestanti, non  sembra  misura  idonea  ad
agevolare il raggiungimento dell'obiettivo del buon  andamento  dell'
Amministrazione o strumento in qualche modo funzionale all'attuazione
dei principi di legalita', di imparzialita',  di  economicita'  e  di
trasparenza  che  costituiscono  il  modello   fondante   dell'azione
amministrativa previsto dall'art. 97 Cost. 
    Appare  invero'  ragionevole  ritenere  che  l'obiettivo  di  una
amministrazione   efficiente   ed   imparziale    avrebbe    maggiori
probabilita' di essere  raggiunto  ampliando,  a  scopo  quanto  meno
dissuasivo,   e   non   certamente   restringendo,   la   sfera    di
responsabilita' del pubblico dipendente che approfitta delle funzioni
svolte per delinquere (e, in tal senso, del resto, sembra muoversi lo
stesso legislatore, come si evince dalle fattispecie ampliative delle
ipotesi di danno all'immagine della Pubblica amministrazione). 
    Ne consegue  che  l'eccessivo  e  sproporzionato  sacrificio  del
diritto all'onore ed alla reputazione della Pubblica  amministrazione
imposto  dalla  disposizione  normativa   censurata,   non   trovando
giustificazione nella necessita'  di  un  bilanciamento  al  fine  di
tutelare   un   altro   diritto   costituzionalmente    protetto    e
potenzialmente   con    esso    confliggente,    e'    da    ritenere
costituzionalmente illegittimo. 
    3.  La  disposizione   censurata   viola   l'effettivita'   della
giurisdizione contabile, sancita dal medesimo codice in base all'art.
2 «la giurisdizione contabile assicura una tutela piena ed  effettiva
secondo i principi  della  Costituzione  e  del  diritto  europeo»  e
all'art.  3  (principio  di  concentrazione  «...  il  principio   di
effettivita' e' realizzato attraverso la  concentrazione  davanti  al
giudice contabile di ogni forma di tutela degli interessi pubblici  e
dei diritti dei soggetti  coinvolti,  a  garanzia  della  ragionevole
durata del processo». 
    Nel disporre  il  richiamo  alla  condanna  penale  irrevocabile,
l'art. 51 commi 6 e 7, del c.g.c. produce, nella  materia  del  danno
all'immagine, un ingiustificato restringimento  dell'azione  erariale
di danno provocando un insanabile contrasto con te  sopra  richiamate
disposizioni,  che  costituiscono  diretta   ripresa   dei   principi
contenuti all'art. 20, comma 2, lett. a e b, della  legge  di  delega
(legge 7 agosto 2015, n. 124), a sua volta  attuativa  dell'art.  103
comma  2  della  Costituzione,  quale  norma  interposta   (parametri
normativi di riferimento costituzionale articoli 103 e 76 Cost.). 
    L'inammissibilita' dell'azione erariale nel  caso  sottoposto  al
vaglio  di  costituzionalita'   determina,   rebus   sic   stantibus,
l'inammissibilita'  della  domanda  attorea,  impedendo  al  Pubblico
Ministero contabile di difendere i diritti di un  soggetto  coinvolto
(il Ministero dell'interno), in base  al  principio  di  effettivita'
della tutela e della concentrazione della giurisdizione  in  capo  al
giudice naturale precostituito per legge: il giudice contabile. 
    La preclusione e' tanto  piu'  grave  sol  che  si  rifletta  sul
passaggio motivazionale reso dalla Corte nella nota pronuncia n.  355
del 2010  a  proposito  dell'allora  censurata  disposizione  di  cui
all'art.  17  comma  30-ter  «la  norma  deve   essere   univocamente
interpretata...  nel  senso   che   al   di   fuori   delle   ipotesi
tassativamente previste di  responsabilita'  per  danni  all'immagine
dell'ente pubblico di appartenenza non e' configurabile siffatto tipo
di tutela risarcitoria». Idem est:  la  Pubblica  amministrazione  in
caso di reato doloso plurioffensivo, dichiarato  prescritto,  che  ha
cagionato un grave nocumento alla reputazione pubblica, non ha azione
nei confronti del funzionario infedele. Si produce dunque uno  spazio
giuridicamente vuoto che rende frammentaria e non effettiva la tutela
erariale  e,  con  essa,  la  giurisdizione  contabile  che  di  tali
fattispecie giudica. 
    La  preclusione  normativa,  appare  dunque  incidente  in  senso
irragionevolmente limitativo del potere di delega affidato al Governo
con la legge 7 agosto 2015, n. 124 (art. 1, comma 2, lett. a e b), il
cui compito precipuo e' rendere effettiva la giurisdizione  contabile
adeguandola, anche con disposizioni  innovative,  ai  principi  della
Costituzione e del diritto Europeo (che mal  tollera  limitazioni  di
responsabilita'  per   dolo),   alla   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale e delle giurisdizioni superiori. 
    L'assenza di previsione di  responsabilita'  a  titolo  di  danno
all'immagine per un reato doloso dichiarato  prescritto  nei  termini
ivi  descritti  determina,  ad  avviso  del  remittente,   un   vizio
sostanziale  della  legge  delegata  rispetto  ai  criteri  direttivi
imposti  al   Governo   dalle   Assemblee   legislative,   producente
un'insanabile irrazionalita' sistematica, ad onta del fine dichiarato
di' rendere effettiva  la  giurisdizione  contabile  a  tutela  degli
interessi dei soggetti pubblici coinvolti  (per  il  sindacato  sulle
leggi di delega, Corte Cost. sent. n. 293/2010, n. 272/2012). 
    Non  e',  pertanto,  manifestamente  infondato   il   dubbio   di
costituzionalita' in relazione all'art. 51, commi 6 e 7, del  decreto
legislativo 26  agosto  2016  n.  174  nella  parte  in  cui  esclude
l'esercizio dell'azione del P.M. contabile per  il  risarcimento  del
danno all'immagine conseguente a reati dolosi  commessi  da  pubblici
dipendenti  a  danno  delle  pubbliche  amministrazioni;   dichiarati
prescritti cori sentenza passata in giudicato pienamente  accertativa
della responsabilita' dei fatti ai fini della condanna  dell'imputato
al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite. 
    Per le ragioni che precedono, in applicazione dell'art. 23  della
legge costituzionale  n.  87/1953,  riservata  ogni  altra  decisione
all'esito del giudizio innanzi alla Corte costituzionale, la  Sezione
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 6  e  7  del  decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174, con riferimento agli articoli  3,
76, 97 e 103 della Costituzione e dispone la  rimessione  degli  atti
alla Corte costituzionale per la relativa decisione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 e segg.  della  Costituzione  e  23  della
legge 11 marzo 1953  n.  87,  solleva  in  quanto  rilevante  per  la
decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, commi 6  e  7  del  decreto
legislativo 6 ottobre 2016, n. 176, per contrasto con gli articoli 3,
76, 97 e 103 Cost. nella parte in cui esclude l'esercizio dell'azione
del  P.M.  contabile  per  il  risarcimento  del  danno  all'immagine
conseguente a reati dolosi commessi da pubblici  dipendenti  a  danno
delle pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti  con  sentenza
passata in giudicato pienamente accertativa della responsabilita' dei
fatti ai fini della condanna dell'imputato al risarcimento dei  danni
patiti dalle parti civili costituite, conseguentemente disponendo  la
sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli  atti  alla
Corte costituzionale; 
    Dispone che la presente ordinanza di rimessione sia notificata, a
cura della Segreteria della Sezione, a tutte le parti in causa ed  al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   al
Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
dei Deputati. 
    Cosi' provveduto in Genova  nelle  camere  di  consiglio  del  14
giugno e del 7 settembre 2017. 
 
                                             Il Presidente: Pischedda 
 
                    Il Giudice estensore: Bragho'