N. 2 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 23 novembre 2018

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 23 novembre 2018 (del Procuratore  della
Repubblica e del Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Torino). 
 
Processo penale - Azione penale - Indagini preliminari per i reati di
  diffamazione aggravata e di rivelazione e utilizzazione di  segreti
  d'ufficio in relazione ad alcune dichiarazioni  segretate  rese  in
  sede  di  audizione  dinanzi  alla  Commissione   parlamentare   di
  inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti  e
  su illeciti ambientali ad esse correlati,  istituita  con  legge  7
  gennaio 2014,  n.  1  -  Deliberazione  del  3  maggio  2017  della
  Commissione di inchiesta relativa al  mantenimento  del  regime  di
  segretezza apposto sul verbale del 2 agosto 2016 - Richiesta  della
  Procura  della  Repubblica  di  Torino,  del  23  giugno  2017,  di
  rimuovere il vincolo del regime di segretezza al  medesimo  verbale
  di audizione. 
- Deliberazione del 3 maggio 2017 della Commissione  parlamentare  di
  inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti  e
  su illeciti ambientali ad esse correlati; mancato accoglimento,  da
  parte della Commissione parlamentare di inchiesta  sulle  attivita'
  illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali  ad
  esse correlati, dell'istanza del  23  giugno  2017,  della  Procura
  della Repubblica di Torino. 
(GU n.50 del 19-12-2018 )
    Ricorso per conflitto di attribuzione tra i  poteri  dello  Stato
nell'interesse della Procura della Repubblica presso il Tribunale  di
Torino, in persona del Procuratore della Repubblica e del Procuratore
aggiunto del medesimo ufficio, titolare del  procedimento  penale  n.
2017/3922,  rappresentati  e  difesi  giusta  delega  a  margine  del
presente atto dal prof. avv.  Federico  Sorrentino  ed  elettivamente
domiciliati presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi,  n.
30; 
    Nei confronti: 
        della  Commissione  bicamerale  d'inchiesta  sulle  attivita'
illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su  illeciti  ambientali  ad
esse correlati, istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1, in  persona
del suo Presidente pro tempore; 
        della Camera dei deputati, in persona del suo Presidente  pro
tempore; 
        del Senato, in persona del suo Presidente pro tempore, 
    in relazione: 
        alla  deliberazione  del  3  maggio  2017  della  Commissione
bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei
rifiuti e su illeciti ambientali  ad  esse  correlati  istituita  con
legge 7 gennaio 2014, n. 1, relativa al mantenimento  del  regime  di
segretezza apposto sul verbale contenente  l'audizione  dinanzi  alla
Commissione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016; 
        al non accoglimento dell'istanza di desecretazione  inoltrata
alla Commissione dalla Procura di Torino in data 23 giugno 2017. 
 
                                Fatto 
 
    1. - In data  16  dicembre  2016,  veniva  depositata  presso  il
Commissariato  di  P.S.  -  Palazzo  di   Giustizia   di   Roma   una
querela/denuncia a firma dell'on. Stefano Vignaroli in  relazione  ad
un articolo a firma della giornalista  Grazia  Longo,  pubblicato  in
data 3 ottobre 2016 sul  quotidiano  La  Stampa,  dal  titolo  «Anche
Vignaroli finisce nel mirino per le  presunte  pressioni  su  Tronca.
Commissione Ecomafie e pm potrebbero ascoltare il deputato». 
    Questo il tenore dell'articolo: «l'inchiesta di  Monnezzopoli  e'
legata sempre piu' a quella di Mafia Capitale, ma  anche  gravata  da
ombre di intrighi del M5S sulla gestione dei rifiuti. A  partire  dal
ruolo  ancora  tutto  da  chiarire  di  Stefano  Vignaroli,  deputato
pentastellato, vice presidente della  Commissione  Ecomafie.  E'  lui
l'uomo ombra dell'assessora all'ambiente Paola Muraro,  indagata  per
reati ambientali e concorso in abuso d'ufficio  (...)  Nel  frattempo
rimane aperto il capitolo Vignaroli  che  insieme  alla  compagna  la
senatrice Paola  Taverna  e'  stato  lo  sponsor  della  Muraro  come
assessore. Ha avuto anche lui un rapporto  privilegiato  con  Cerroni
(indagato per  associazione  a  delinquere  e  traffico  illecito  di
rifiuti)? C'e' un episodio sul quale occorre far luce. Lo  scorso  30
giugno  fu  proprio  Vignaroli  fare  da  garante  nell'accordo   per
assegnare duecento tonnellate di rifiuti in  eccedenza  (ma  entro  i
limiti gia' autorizzati) all'impianto di Tmb della societa' di Manlio
Cerroni e scongiurare  in  questo  modo  l'emergenza  dei  cumuli  di
spazzatura nella  citta'  (...)  ma  non  e'  escluso  che  anche  la
magistratura voglia accertare la rilevanza del  ruolo  di  Vignaroli.
Soprattutto alla luce delle dichiarazioni alle  Ecomafie  di  Daniele
Fortini... Secondo Fortini l'ex  direttore  generale  Ama  Alessandro
Filippi non sarebbe stato riconfermato «per le  pressioni  esercitate
sul commissario straordinario Francesco  Paolo  Tronca  da  parte  di
Stefano Vignaroli». Ci sono altri motivi  per  far  fuori  l'ingegner
Filippi? Fu proprio quest'ultimo a ridimensionare la Muraro bloccando
l'assegnazione di lavori a societa'  esterne  senza  gara  d'appalto.
Filippi era troppo «fastidioso» per vedersi rinnovato l'incarico?  Il
presidente delle Ecomafie Alessandro Bratti non  ha  ricevuto  alcuna
disponibilita' «dal M5S o da Stefano Vignaroli  sull'audizione  dello
stesso deputato  e  sulla  scelta  di  altre  modalita'»  diverse  da
un'audizione formale». 
    2. - Nella sua querela-denuncia, l'on. Vignaroli contestava  alla
giornalista Grazia Longo il reato di diffamazione  aggravata  di  cui
all'art. 595, commi 1, 2 e 3, cod. pen., sostenendo che  ella  aveva,
in detto articolo, posto arbitrariamente in relazione l'inchiesta cd.
di Monnezzopoli e quella cd. di Mafia Capitale, nonche' addebitato al
Movimento Cinque Stelle «ombre di intrighi», da  un  lato,  alludendo
alla sua relazione sentimentale con la sen. Paola Taverna ed  a  loro
presunti  rapporti  con  la  dott.ssa  Paola  Muraro  (ex   assessore
all'ambiente del Comune di Roma, della quale l'articolo  sottolineava
la qualita' di indagata per reati  ambientali  e  concorso  in  abuso
d'ufficio) e, dall'altro, riferendo che - secondo  quanto  dichiarato
dall'ing.  Fortini  nel  corso  della  sua  audizione  dinanzi   alla
Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite  connesse
al ciclo dei  rifiuti  -  l'on.  Vignaroli  avrebbe  fatto  pressioni
sull'allora Commissario  straordinario  di  Roma  Capitale,  Prefetto
Tronca, per l'allontanamento  dell'ex  direttore  generale  dell'AMA,
dott. Alessandro Filippi. 
    L'on. Vignaroli contestava alla giornalista Grazia Longa anche il
reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di  ufficio  di  cui
all'art. 326 codice penale, in concorso con soggetto non identificato
ex art 110 c.p. 
    Cio' faceva asserendo che di  «tale  vicenda  l'articolista  deve
aver appreso, violando il segreto preteso  dal  medesimo  Fortini  ed
apposto alle sue  dichiarazioni  dal  presidente  della  Bicamerale»,
sicche'  «codesto  ufficio  inquirente  deve   accertare   come   mai
nell'articolo  compare  tale  questione,  oggetto  appunto  di   tale
segretazione, e guarda caso secondo la falsa ricostruzione dei  fatti
offerta dal Fortini». 
    L'on. Vignaroli contestava quindi sia la violazione  del  segreto
apposto dalla Commissione bicamerale  sulle  dichiarazioni  dell'ing.
Fortini, sia  la  non  veridicita'  della  «ricostruzione  dei  fatti
offerta» da quest'ultimo, allegando alla  querela  la  «dichiarazione
resa, nell'ambito di indagini espletate dal difensore del  querelante
..., dal generale De Milato, sub commissario con  delega  ai  rifiuti
nel commissariamento  Tronca,  il  quale  smentisce  recisamente  che
l'onorevole Vignaroli  abbia  esercitato  pressioni  per  allontanare
l'ing. Filippi dal suo ruolo in AMA». 
    3.  -  Le  doglianze  del  querelante  erano  quindi  diverse  ed
involgevano: a) il tenore, ritenuto  diffamatorio,  dell'articolo  di
stampa; b) la diffusione del contenuto di dichiarazioni che - secondo
quanto dichiarava lo stesso on.  Vignaroli,  che  e'  vice-presidente
della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei  rifiuti  -  erano  state
bensi'  rese  dall'ing.  Fortini  in  sede  di  audizione  presso  la
Commissione d'inchiesta, ma con richiesta di secretazione; c) la  non
veridicita' di tali dichiarazioni. 
    Conseguentemente,  la  querela/denuncia  era  rivolta   sia   nei
confronti della  giornalista  che  aveva  firmato  l'articolo  e  del
direttore  responsabile  pro  tempore  del   quotidiano   La   Stampa
(quest'ultimo per il reato di cui all'art. 596-bis codice penale,  in
relazione all'art. 57 codice penale e  all'art.  13  della  legge  n.
47/1948), sia nei  confronti  «di  tutti  coloro  che  si  sono  resi
responsabili del reato di diffamazione», nonche' di «tutti coloro che
si sono resi  responsabili  del  reato  di  rivelazione  del  segreto
d'ufficio» punito, ai  sensi  dell'art.  5  della  legge  n.  1/2014,
dall'art. 326 c.p. 
    4. - Il procedimento veniva trasmesso per competenza alla Procura
della Repubblica di Torino, risultando  il  quotidiano  stampato  nel
circondario del Tribunale di Torino. 
    5. - In data 28 febbraio 2017, la Procura richiedeva  formalmente
alla Commissione d'inchiesta copia del verbale contenente l'audizione
dell'ing. Fortini del 2 agosto  2016,  chiedendo  di  chiarirle  «se,
quando e in quali termini tale atto  sia  stato  secretato»,  «se  lo
stesso  risulti  ancora  secretato»  e  «quando   lo   stesso   sara'
desecretato». 
    6. -  L'allora  presidente  della  Commissione  d'inchiesta,  on.
Alessandro Bratti, dapprima, con nota del 21 marzo 2017,  trasmetteva
alla Procura, «in  ossequio  al  principio  di  leale  collaborazione
istituzionale», l'intero resoconto stenografico dell'audizione del  2
agosto 2016 dell'ing. Fortini, di cui una  parte  era  effettivamente
secretata, sottolineando che  quest'ultima  veniva  trasmessa  «sotto
vincolo di  mantenimento  del  regime  di  segretezza  apposto  dalla
Commissione». 
    Successivamente, il 3 maggio 2017,  comunicava  alla  Procura  la
decisione della Commissione d'inchiesta di mantenere la secretazione,
evidenziando che era stato domandato all'ing. Fortini  «di  esprimere
la propria valutazione sulla persistenza delle esigenze di segretezza
del resoconto in questione» e che egli aveva richiesto  di  mantenere
segreto l'atto. 
    7. - In data 23 giugno 2017,  la  Procura  di  Torino  richiedeva
formalmente la desecretazione del verbale,  rappresentando  che  esso
era stato ormai formalmente acquisito agli atti  del  procedimento  e
percio' - qualunque fosse stato l'esito delle indagini preliminari  -
avrebbe dovuto essere formalmente depositato alle parti; circostanza,
questa, suscettibile di determinare contrasto con il provvedimento di
secretazione. 
    8.  -  In  data  13  luglio  2017,  l'allora   presidente   della
Commissione d'inchiesta ribadiva che  la  deliberazione  relativa  al
mantenimento del regime di segretezza era stata  gia'  assunta  il  3
maggio, ma che - a fronte della richiesta  formale  della  Procura  -
l'ufficio  di  presidenza  della  Commissione   d'inchiesta   avrebbe
valutato «le eventuali iniziative da assumere». 
    La Procura di Torino, quindi, in data 4 settembre 2017,  chiedeva
al giudice per le indagini preliminari  la  proroga  dei  termini  di
indagine. 
    Alla data odierna,  tuttavia,  non  e'  stata  comunicata  alcuna
«iniziativa» volta alla declassificazione del verbale. 
 
                               Diritto 
 
I - Ammissibilita' del conflitto sotto il profilo soggettivo. 
    E'  pacifica  la  legittimazione   a   sollevare   conflitto   di
attribuzione del Procuratore della  Repubblica  presso  il  tribunale
ordinario, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente -
nell'esercizio dell'attribuzione inerente all'esercizio  obbligatorio
dell'azione penale (garantita dall'art. 112 Cost.) - la volonta'  del
potere cui appartiene. 
    Quanto alla legittimazione passiva, la Corte, fin  dal  1975,  ha
riconosciuto che le commissioni parlamentari di inchiesta sono organi
«competenti a dichiarare  definitivamente»  la  volonta'  del  potere
legislativo. Cio', «per la considerazione ... che, a norma  dell'art.
82 Cost., la potesta' riconosciuta alle Camere di disporre  inchieste
su materie di pubblico interesse non e' esercitabile  altrimenti  che
attraverso la interposizione di Commissioni a cio'  destinate,  delle
quali puo' ben dirsi percio' che, nell'espletamento e per  la  durata
del  loro  mandato,  sostituiscono  ope  constitutionis   lo   stesso
Parlamento, dichiarandone percio' "definitivamente  la  volonta'"  ai
sensi del primo comma dell'art. 37» (cosi' l'ordinanza n. 228 del  17
luglio  1975  e  la  sentenza  n.  231  del  1975;  si  vedano  anche
l'ordinanza n. 73 del 2006 e la sentenza n. 241 del 2007). 
    Il presente ricorso per conflitto e' inoltre  rivolto  contro  la
Camera dei deputati ed il Senato dal momento che: a) l'art. 1,  comma
1, della legge n. 1/2014 ha  istituito  la  Commissione  parlamentare
d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti  e
su illeciti ambientali ad esse correlati «per la  durata  della  XVII
legislatura»; b) con decreti del  28  dicembre  2017,  il  Presidente
della Repubblica ha sciolto  le  Camere  ed  ha  convocato  i  comizi
elettorali per il giorno di domenica 4 marzo  2018,  fissando  al  23
marzo la data per la prima riunione  delle  Camere  (e  con  cio'  la
definitiva conclusione della legislatura), sicche' e' presumibile che
- nelle more del giudizio di ammissibilita' del presente conflitto  -
la Commissione d'inchiesta avra' ormai cessato  di  esistere;  c)  in
relazione a tale caso, la Corte ha gia' avuto modo  di  chiarire  che
«nell'ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa,  del  funzionamento
della Commissione (...), la legittimazione processuale ad agire  o  a
resistere e' riassunta dalla camera medesima» (v. sentenza n. 241 del
2007); quindi,  nel  caso  presente  di  commissione  bicamerale,  da
entrambe le Camere. 
II - Ammissibilita' del conflitto sotto il profilo oggettivo. 
    Con  il  presente  conflitto,  la  Procura  di  Torino   denuncia
l'illegittima  menomazione  della  sfera  di  attribuzioni  ad   essa
garantita dalla Costituzione (articoli 101, 104,  107  e  112  Cost.)
derivante dalla decisione della  Commissione  bicamerale  d'inchiesta
sul ciclo dei rifiuti di mantenere la  secretazione  del  verbale  di
audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016. 
    Tale secretazione ha infatti paralizzato il  procedimento  penale
n. 2017/3922, nel cui ambito il verbale in  questione  costituisce  -
almeno    nella    prospettazione    astratta    desumibile     dalla
querela-denuncia  presentata   dall'on.   Vignaroli   -   sia   prova
documentale del  reato  di  diffamazione,  in  quanto  contenente  le
dichiarazioni rese dall'ing. Fortini, sia corpo di reato in relazione
al delitto di rivelazione ed utilizzazione di un segreto d'ufficio. 
    Piu' in particolare, la Procura, la quale e' tenuta ad esercitare
l'azione penale o a richiedere l'archiviazione nei termini  stabiliti
dall'art. 407 codice di procedura penale, allo stato non  puo'  agire
ne' in un senso ne' nell'altro, in ragione  del  segreto  apposto  ed
opposto dalla Commissione d'inchiesta. Cio' in quanto essa,  sia  ove
decidesse di archiviare le indagini avvisando il querelante  (che  ha
formulato a tal fine istanza ex art. 408 c.p.p.), sia  ove  decidesse
di esercitare l'azione penale, ha comunque  l'obbligo  di  depositare
tale verbale alle parti. Il che non puo' fare in ragione del segreto. 
    La Commissione d'inchiesta, dunque, confermando  il  segreto  sul
verbale in questione, ha interferito  sul  potere  costituzionalmente
spettante al pubblico ministero, paralizzandone l'operato e ponendolo
in una situazione di impasse nella quale: per rispettare le norme  di
rito, dovrebbe violare il segreto;  all'inverso,  per  rispettare  la
secretazione, dovrebbe violare il c.p.p. 
III - Nel merito. Violazione degli articoli 82, 101 e ss., 112 Cost. 
Premessa. 
    L'apposizione del segreto da parte delle commissioni parlamentari
di  inchiesta,  allorche'  abbia  ad  oggetto  un  documento  la  cui
acquisizione sia necessaria ai fini di un'indagine giudiziaria e/o di
un processo penale, costituisce una deroga al principio  generale  di
conoscibilita'  dei  fatti  e  degli  atti  da  parte  dell'autorita'
giudiziaria. Tale secretazione e' percio' consentita dall'ordinamento
costituzionale  non  in  via  generale  ed  assoluta,  bensi'   entro
determinati limiti, ricavabili dall'art. 82 Cost., come  interpretato
dalla giurisprudenza della Corte. 
    III.1 - Detto articolo, nel prevedere che ciascuna  Camera  possa
disporre inchieste su materie di pubblico interesse,  stabilisce  che
le commissioni all'uopo nominate procedono alle indagini e agli esami
«con  gli  stessi  poteri  e  le  stesse  limitazioni  dell'autorita'
giudiziaria». 
    Invero, ai sensi dell'art. 329 codice  di  procedura  penale,  la
possibilita' di secretare atti di indagine  da  parte  dell'autorita'
giudiziaria presuppone necessariamente la sussistenza di esigenze  di
indagine e risulta limitata entro un orizzonte temporale che coincide
con la durata della fase delle indagini preliminari, salva, nel  caso
in cui esistano connessioni con altri procedimenti in corso, e previo
decreto  motivato,  l'ulteriore  durata   delle   relative   indagini
preliminari. 
    Il parallelismo  sancito  testualmente  dall'art.  82  Cost.  tra
poteri  delle  commissioni  parlamentari  di   inchiesta   e   poteri
dell'autorita' giudiziaria indurrebbe allora, prima facie, a ritenere
che anche il potere di secretazione delle prime - cosi'  come  quello
riconosciuto dalla legge all'autorita'  giudiziaria  -  si  configuri
come «segreto istruttorio». 
    Secondo   l'interpretazione   della   Corte,    tuttavia,    tale
parallelismo non va inteso in modo rigido: la  sentenza  n.  231  del
1975  ha  infatti  chiarito  che  «il   segreto   delle   Commissioni
d'inchiesta non corrisponde, a rigore,  ai  vari  specifici  tipi  di
segreto previsti dalle  norme  dei  codici  di  diritto  e  procedura
penale, ma puo' qualificarsi piuttosto, piu' genericamente,  come  un
segreto funzionale». 
    Il  suo   fondamento   va   infatti   ravvisato   nell'autonomia,
costituzionalmente garantita, delle Camere, sicche', «fermo  restando
che il principio fondamentale in materia e' quello della  pubblicita'
degli atti parlamentari (art. 64, secondo comma, Cost.), e'  tuttavia
rimesso alla valutazione delle  Camere  (e  rientra  nella  autonomia
costituzionale ad esse, come sopra accennato, garantita) di derogarvi
in singoli casi,  deliberando  di  riunirsi  in  seduta  segreta»  e,
poiche' «le Commissioni parlamentari  d'inchiesta,  ...,  sostituendo
necessariamente a norma dell'art. 82, primo comma,  Cost.  il  plenum
delle Camere, a buon diritto  possono  configurarsi  come  le  stesse
Camere nell'atto di procedere all'inchiesta», deve ritenersi che esse
siano «libere di organizzare i propri lavori, anche stabilendo  -  in
tutto od in parte - il segreto delle attivita' da  esse  direttamente
svolte e della documentazione risultante dalle indagini  esperite:  e
cio' in funzione del conseguimento dei fini istituzionalmente ad esse
propri» specificamente indicati nella loro legge istitutiva. 
    In  definitiva,  cio'  che   si   ricava   dalla   giurisprudenza
costituzionale e' che: 
        anche   per   gli   atti   delle   commissioni   parlamentari
d'inchiesta,  la  regola  e'  la  pubblicita',  mentre   il   segreto
costituisce l'eccezione, essendo il nostro ordinamento costituzionale
sorretto  dal  principio  democratico  dell'esercizio   del   «potere
pubblico in pubblico» (1) ; 
        tale eccezione e' legittima  se  e  nei  limiti  in  cui  sia
necessaria  per  il  perseguimento  delle   finalita'   istituzionali
perseguite dalla commissione medesima. 
    Va poi evidenziato che il segreto «funzionale», come  configurato
dalla Corte non sembra incontrare limiti temporali massimi.  Cio',  a
differenza di quanto  previsto  per  il  segreto  caratterizzante  le
indagini penali ed anche di quanto previsto in materia di segreto  di
Stato (l'art. 39, comma  8,  della  legge  n.  124/2007  prevede  che
quest'ultimo non possa in ogni caso essere superiore a trent'anni). 
    Tale illimitatezza temporale, peraltro, rende vieppiu' stringente
l'onere  della  commissione  di  valutare  la   necessarieta'   della
secretazione  in  funzione  del  perseguimento   dei   suoi   compiti
istituzionali, non potendo l'ordinamento in alcun modo tollerare  una
secretazione  sine  die  -  sotto  questo  profilo  addirittura  piu'
pervasiva  del  segreto  di  Stato  -  in  assenza  di  una  rigorosa
valutazione sul punto. 
    Sebbene possa sembrare ovvio, e' bene infine sottolineare  che  -
specie ove il segreto venga opposto all'autorita'  giudiziaria  -  la
commissione parlamentare, non solo  deve  valutare  la  necessarieta'
della secretazione rispetto alle finalita' che essa persegue, ma deve
anche estrinsecare tale  valutazione:  l'atto  di  opposizione  o  di
conferma del segreto deve cioe' essere motivato  con  riferimento  al
nesso  funzionale  intercorrente  tra  secretazione  (e   conseguente
sottrazione del documento alla conoscibilita' ed  utilizzabilita'  da
parte della magistratura) e  scopi  istituzionali  della  commissione
medesima. 
    La  motivazione  costituisce  quindi  requisito  di  legittimita'
essenziale ed ineludibile dell'opposizione del segreto  all'autorita'
giudiziaria: poiche' la secretazione e' legittima solo se  funzionale
ai compiti istituzionali della commissione e poiche', in  assenza  di
motivazione, non e' possibile riscontrare l'effettiva sussistenza  di
tale nesso (e quindi il rispetto dei limiti  costituzionali  entro  i
quali soltanto il segreto e' opponibile  all'autorita'  giudiziaria),
un'opposizione  immotivata  e',  di  per  se  stessa,  lesiva   delle
attribuzioni proprie dell'autorita' giudiziaria. 
    Cio' analogamente a quanto la Corte ha  da  sempre  affermato  in
materia di segreto di Stato, ove e' pacifico l'obbligo del Presidente
del Consiglio di motivare la conferma  del  segreto  a  fronte  della
«necessita' di ridurre al minimo sia gli abusi sia la possibilita' di
contrasti con il potere giurisdizionale» (sentenza n. 86/1977; v. ora
l'art. 202 codice di procedura penale, come  novellato  dall'art.  40
della legge n.  124/2007,  ai  sensi  del  quale  «l'opposizione  del
segreto di Stato» deve  essere  «confermata  con  atto  motivato  dal
Presidente del Consiglio dei ministri»). 
    III.2  -  La  legge  7  gennaio  2014,  n.  1,  istitutiva  della
Commissione d'inchiesta sulle attivita' illecite  connesse  al  ciclo
dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati,  all'art.  4,
comma 3, attribuisce alla Commissione il potere di  stabilire  «quali
atti e documenti non devono essere divulgati, anche in  relazione  ad
esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso»,  fermo
che «devono in ogni caso essere coperti dal  segreto  gli  atti  e  i
documenti  attinenti  a  procedimenti  giudiziari  nella  fase  delle
indagini preliminari». 
    La disposizione in esame -  coerentemente  con  l'interpretazione
data dalla Corte all'art. 82 Cost. - e' da intendersi  nel  senso  di
riconoscere in capo alla Commissione un potere di secretazione bensi'
piu' ampio di quello, meramente istruttorio, spettante  all'autorita'
giudiziaria, ma pur sempre nei soli limiti in cui esso sia funzionale
al conseguimento dei fini istituzionali della stessa. 
    Inoltre, come si  e'  detto,  ove  la  secretazione  sia  opposta
all'autorita' giudiziaria, il nesso funzionale tra segreto e  compiti
istituzionali  della  Commissione  dev'essere  oggetto  di  specifica
motivazione, si' da consentire a quella la possibilita' di apprezzare
la   legittimita'   della   compressione   delle   sue   attribuzioni
costituzionali. 
    III.3 - Nella specie, l'atto che la  Commissione  d'inchiesta  ha
secretato ed ha deciso di mantenere segreto nonostante  la  richiesta
di declassificazione avanzata dalla Procura ricorrente e'  una  parte
del verbale dell'audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto 2016. 
    Per motivare  il  mantenimento  della  segretezza,  la  nota  del
presidente della Commissione del 3 maggio 2017 ha affermato solo  che
la Commissione  ha  interpellato  sul  punto  l'ing.  Fortini  e  che
quest'ultimo ha confermato «la propria valutazione sulla  persistenza
delle esigenze di segretezza del resoconto in questione». 
    Dal resoconto stenografico della seduta del 3 maggio  2017  della
Commissione (trasmesso alla  Procura  solo  in  forma  sintetica,  ma
pubblicato per intero sul sito della Camera dei deputati), emerge poi
che lo scontro tra favorevoli e sfavorevoli alla  desecretazione  era
tutto politico e niente affatto incentrato  sulla  necessarieta'  del
segreto  rispetto  al  perseguimento  dei  fini  istituzionali  della
Commissione. Necessarieta' ritenuta inesistente anche da  coloro  che
si opponevano alla desecretazione. 
    In sintesi, questi  gli  interventi  principali  in  Commissione:
l'on. Vignaroli, definendo ripetutamente l'ing.  Fortini  come  «uomo
del PD», insisteva affinche'  la  parte  del  verbale  contenente  le
dichiarazioni in  questione  venisse  desecretata,  evidenziando  che
«l'audizione  il  giorno  dopo  (era  gia')  stata  spiattellata  sui
giornali» e che era «interesse  generale»,  oltre  che  evidentemente
suo, quello di far indagare la magistratura sia sulla veridicita' dei
fatti riferiti, sia sul reato di rivelazione del segreto. 
    Seguiva l'intervento  dell'on.  Zolezzi  (M5S),  favorevole  alla
desecretazione, che evidenziava come la ricostruzione  della  realta'
dei fatti da parte della magistratura apparisse funzionale ai compiti
della Commissione, consentendole di  avere  un  quadro  veritiero  di
quanto accaduto nella «filiera dei rifiuti in regione  Lazio»,  parte
«importante e strutturale della relazione che verra' compiuta». 
    Annunciava invece il voto  contrario  del  suo  partito  (PD)  la
senatrice Puppato, la quale, da  un  lato,  insisteva  sull'imbarazzo
della Commissione dovuto al fatto che  «una  figura  coinvolta  nella
vicenda ... siede all'interno ... ed ha sempre  ritenuto  di  sedervi
anche nei  momenti  nei  quali  questa  Commissione  avrebbe  gradito
lavorare su questioni in maniera meno conflittuale, cioe' in un clima
meno pesante»  ed  affermava  che  «questo  pezzo  dell'audizione  di
Fortini» non ha «alcun riferimento ... rispetto  alle  tematiche  che
questa Commissione  ha  affrontato»,  trattandosi  piuttosto  di  una
«vicenda personale»  tra  l'on.  Vignaroli  e  l'ing.  Fortini  e  di
un'indagine giudiziaria di  «rilievo  assolutamente  limitato  a  una
vicenda personale», sicche' «le questioni personali Vignaroli/Fortini
potr(anno)  vedere  la  luce  all'interno  del  tribunale,   ciascuno
portando le  proprie  testimonianze  e,  perche'  no,  facendo  anche
riferimento agli articoli di giornale che sono apparsi in relazione a
questa audizione», mentre «trovo estremamente strumentale che, ancora
una volta, si tiri in ballo la Commissione di inchiesta, che per  sua
natura ha ragioni di esistere ben piu' impegnative  e  importanti  di
questa, per continuare questa eterna polemica su una vicenda che  non
ha davvero  molto  di  dignitoso».  Dall'altro,  affermava  che  «non
possiamo ... permetterci di desecretare per il semplice fatto che, da
questo momento in poi, chiunque venga in questa Commissione e secreti
il suo pezzo di audizione, dovra' partire dal presupposto che ... noi
potremmo desecretare». 
    Seguivano poi le repliche dell'on. Vignaroli e dell'on. Zollezzi,
che evidenziava  come  la  Commissione  non  poteva  consentire  alle
persone audite di utilizzare la secretazione  per  «raccontare  delle
cose che non ha verificato o su cui non ha  ragionevole  certezza»  e
che possono essere oggetto di strumentalizzazioni politiche. 
    In conclusione,  dal  dibattito  in  Commissione  emerge  che  la
secretazione sulle  dichiarazioni  dell'ing.  Fortini  non  e'  stata
mantenuta in quanto funzionale ai  lavori  ed  alle  finalita'  delle
Commissione, ma  all'opposto  poiche'  l'intera  questione  e'  stata
giudicata di scarso interesse per la Commissione ed  oggetto  di  uno
scontro «personale» tra l'on. Vignaroli e l'ing. Fortini e poiche' si
e' ritenuto di assecondare la volonta' di quest'ultimo  di  avvalersi
del regime della secretazione. 
    E' tuttavia evidente che le valutazioni ed i desiderata  espressi
dal testimone audito, di per se stesse, non  legittimano  affatto  la
Commissione a mantenere segreto un atto che  l'autorita'  giudiziaria
ha  richiesto  in  quanto  necessario  all'esercizio  delle   proprie
attribuzioni. Come si e' detto, infatti,  il  segreto  e'  opponibile
solo se e nei limiti in cui  esso  sia  funzionale  al  perseguimento
degli obiettivi istituzionali della Commissione. 
    Il  rapporto  di  funzionalita'  tra  segreto  e  compiti   della
Commissione era dunque la sola valutazione che  quest'ultima  avrebbe
dovuto compiere, ma che e' stata, invece, del tutto omessa. 
    Tale omessa valutazione emerge sia dal resoconto della seduta del
3 maggio sopra citata, sia dalla nota del 3 maggio 2017, con la quale
e' stata  comunicata  alla  Procura  di  Torino  la  decisione  della
Commissione di mantenere il vincolo di segretezza. 
    Quest'ultima e' del tutto priva di motivazione,  contenendo  solo
un riferimento alla «valutazione»  espressa  dall'ing.  Fortini,  sia
dalla successiva nota del 13 luglio 2017. 
    Di qui l'illegittimita' della secretazione opposta  alla  Procura
di Torino sia sotto il profilo  della  carenza  di  motivazione,  sia
sotto il profilo della  carenza  dei  presupposti  sostanziali  della
stessa. 
    III.4 - E' bene a questo punto evidenziare la diversita' del caso
di specie rispetto a quello deciso dalla sentenza n. 231 del 1975. 
    Come chiaramente illustrato nella motivazione di tale decisione -
della quale di seguito si riporteranno i passaggi piu' salienti -  la
Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia scelse di
utilizzare modalita' di indagine del tutto peculiari. Cio' pote' fare
in quanto l'art. 82 Cost. attribuisce alle commissioni  di  inchiesta
gli stessi poteri dell'autorita' giudiziaria «per consentire loro  di
superare, occorrendo, anche coercitivamente, gli ostacoli  nei  quali
potrebbero scontrarsi nel loro operare», ma cio' non toglie che dette
commissioni  -  le  cui  inchieste  differiscono   nettamente   dalle
istruttorie delle autorita' giudiziarie, in quanto muovono «da  cause
politiche» ed hanno «finalita' del pari politiche» - «restano  libere
di prescegliere modi di azione diversi, piu'  duttili  ed  esenti  da
formalismi giuridici, facendo appello alla  spontanea  collaborazione
dei cittadini e di pubblici funzionari, al  contributo  di  studiosi,
ricorrendo allo spoglio di giornali e riviste, e via dicendo». 
    In  particolare,  nell'ambito  dell'inchiesta  parlamentare   sul
fenomeno della mafia in Sicilia, le  persone  audite  non  lo  furono
«propriamente quali testimoni», ma fornirono  «informazioni»  in  via
confidenziale.  Persino  le  relazioni  presentate  dalle   pubbliche
autorita'  alla  commissione  non  ebbero  pretesa  di  oggettivita',
riportando «anche stati d'animo e convincimenti  diffusi,  registrati
per quel che sono, indipendentemente dalla loro fondatezza,  da  chi,
per la sua particolare esperienza  o  per  l'ufficio  ricoperto,  sia
meglio in grado di averne diretta notizia». 
    A fronte di tale modus operandi - evidentemente diverso da quello
proprio delle indagini giudiziarie - il  parallelismo  tra  attivita'
della commissione e  attivita'  dell'autorita'  giudiziaria  risulto'
fortemente attenuato e dequotato: «le  considerazioni  che  precedono
quanto  ai  particolari  metodi  di  indagine  cui  una   Commissione
d'inchiesta puo' ricorrere,  alla  natura  confidenziale  o  comunque
riservata che possono avere le informazioni ad essa fornite o da essa
raccolte, delle quali non  sempre  la  Commissione  e'  in  grado  di
accertare con sufficiente sicurezza la  piena  conformita'  al  vero,
giustificano ... la eventuale segretezza dei risultati in tali  forme
acquisiti, e  di  questi  soltanto,  anche  per  non  esporre  quanti
forniscono informazioni al rischio di conseguenze dannose». 
    In buona  sostanza,  nel  conflitto  deciso  nel  '75,  la  Corte
affermo' che  le  Camere  ben  potevano,  nell'esercizio  della  loro
autonomia, decidere di indagare sul fenomeno  mafioso  con  modalita'
diverse da quelle che  la  legge  impone  all'autorita'  giudiziaria,
ricavandone  che  proprio  tali  «particolari  metodi  di   indagine»
rendevano legittima  l'apposizione  del  segreto  sulle  informazioni
assunte in via confidenziale (e di queste soltanto), anche al fine di
non mettere in grave pericolo gli informatori. 
    E' peraltro chiaro che sia le  modalita'  di  indagine  prescelte
dalle Camere,  sia  la  preoccupazione,  condivisa  dalla  Corte,  di
preservare gli informatori da ritorsioni violente erano  strettamente
collegate all'oggetto dell'inchiesta parlamentare  -  trattandosi  di
approfondire la genesi e le caratteristiche del fenomeno della  mafia
in Sicilia - nonche' all'epoca in cui essa  si  svolse  (dal  '62  al
'76), allorche' mancavano ancora nell'ordinamento adeguati  strumenti
a tutela  dell'incolumita'  dei  collaboratori  e  dei  testimoni  di
giustizia. 
    Viceversa,  nell'istituire  la  Commissione   d'inchiesta   sulle
attivita' illecite connesse al ciclo dei  rifiuti,  le  Camere  hanno
espressamente  stabilito  che,  «per  le  audizioni  a  testimonianza
davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste  dagli
articoli da 366 a 372 del  codice  penale»  (art.  3  della  legge  7
gennaio 2014, n. 1). 
    E' allora evidente che, nell'ambito  dell'inchiesta  parlamentare
di  cui  trattasi,  la  secretazione  delle  dichiarazioni  rese  dai
soggetti  auditi  non  e'  necessariamente  funzionale   ai   compiti
istituzionali  della  Commissione,  avendo  le   Camere   deciso   di
procedere, non tanto acquisendo informazioni confidenziali seppur non
verificabili, bensi' interrogando le persone informate dei  fatti  ed
assoggettandole   alla   medesima,    rigorosa    disciplina    sulla
testimonianza dinanzi al giudice penale. 
    Alla luce di cio' risulta confermato che il  mero  desiderio  del
soggetto audito di far mantenere la secretazione su quanto dichiarato
non  puo'  di  per  se   giustificare   l'opposizione   del   segreto
all'autorita' giudiziaria e la conseguente interferenza  con  le  sue
attribuzioni, dovendosi altrimenti ammettere l'esistenza di una  zona
franca, nell'ambito  della  quale  sarebbe  consentito  alle  persone
sentite dalla Commissione di fare,  consapevolmente  ed  impunemente,
dichiarazioni non veritiere. Il che non  sarebbe  affatto  funzionale
all'inchiesta  parlamentare,   bensi'   -   all'opposto   -   sarebbe
disfunzionale alla sua finalita' di ricostruire la realta' dei fatti. 
    III.5  -  Non  priva  di  rilievo  e'  poi  la  circostanza  che,
all'inizio  dell'audizione  dell'ing.  Fortini,  il   Presidente   lo
avvertiva che «della presente audizione viene  redatto  un  resoconto
stenografico e che,  facendone  espressa  e  motivata  richiesta,  in
particolare in presenza di fatti illeciti sui  quali  sono  in  corso
indagini tuttora coperte da segreto, consentendo  la  Commissione,  i
lavori  proseguiranno  in  seduta  segreta,  invitando  comunque   ci
rinviare eventuali interventi di natura riservata alla  parte  finale
della seduta». 
    Pertanto, gia' ab origine, la richiesta di secretazione di alcune
sue dichiarazioni avrebbe dovuto essere motivata e,  in  particolare,
avrebbe dovuto esserlo in  relazione  all'esistenza  di  indagini  in
corso e coperte da segreto sui fatti oggetto di audizione. 
    Cio' che e' invece accaduto e'  che  l'ing.  Fortini,  dopo  aver
riferito alla Commissione che, secondo quanto  appreso  dal  Gen.  De
Milato, vi erano state  forti  pressioni  politiche  sul  Commissario
Tronca per allontanare il dott.  Filippi  dall'AMA,  a  fronte  della
specifica  domanda  su  «chi  avesse  esercitato  queste  pressioni»,
chiedeva se avesse la facolta' di non rispondere. 
    Il Presidente, dunque, nel  chiarirgli  che  aveva  l'obbligo  di
rispondere,  affermava   che   «possiamo   secretare   la   risposta,
eventualmente». 
    Nel caso  di  specie,  quindi,  gia'  l'originaria  richiesta  di
secretazione era priva di motivazione e la Commissione sembra  avervi
acconsentito  solo  per  superare  l'imbarazzo  dell'ing.  Fortini  a
riferire alcune circostanze a suo avviso riservate (che  peraltro  il
giorno dopo divennero di pubblico dominio, in  quanto  diffuse  sulla
stampa nazionale). 
    III.6  -  Va  infine  evidenziato  che,  nella  specie,  l'intero
contesto fattuale appare del tutto incompatibile con il  mantenimento
del segreto. 
    Il procedimento penale in relazione al  quale  e'  necessaria  la
desecretazione del verbale  di  audizione  dell'ing.  Fortini  del  2
agosto 2016 e' infatti iniziato su impulso proprio di un membro della
Commissione, l'on. Vignaroli, il quale, nella  sua  denuncia-querela,
asseriva tra l'altro che le dichiarazioni del  Fortini  riferite  dal
quotidiano La Stampa erano state effettivamente da  lui  fatte  nella
sua audizione,  ma  erano  state  oggetto  di  secretazione,  dovendo
percio' l'autorita' giudiziaria  indagare  anche  per  accertare  chi
avesse illecitamente rivelato tale segreto. 
    Nel corso delle indagini, poi, il verbale di audizione  e'  stato
trasmesso, per intero, alla Procura di Torino dall'allora  presidente
della Commissione d'inchiesta, seppur «sotto vincolo di  mantenimento
del regime di segretezza apposto dalla Commissione». 
    Pertanto,  le  dichiarazioni  secretate   sono   state   dapprima
ampiamente disvelate e diffuse dagli organi di stampa, poi confermate
dall'on.   Vignaroli,   membro   della   Commissione,    nella    sua
denuncia-querela e infine trasmesse  alla  Procura  della  Repubblica
dalla stessa Commissione mediante una nota ufficiale, necessariamente
ed obbligatoriamente confluita tra gli atti dell'indagine. 
    In tale quadro fattuale, appare quanto meno anomala la  decisione
della Commissione di mantenere la secretazione su dichiarazioni ormai
rivelate,  diffuse  ed  acquisite  agli   atti,   impedendone   cosi'
l'utilizzabilita' processuale. 
    Invero, la perdurante secretazione delle dichiarazioni  dell'ing.
Fortini,  poiche'  non  puo'   certo   eliminare   l'ormai   avvenuta
rivelazione delle  stesse,  gia'  oggetto  di  ampia  diffusione  sui
quotidiani nazionali, finisce con l'avere  come  unico  ed  esclusivo
effetto quello di paralizzare il procedimento penale avviato  con  la
querela-denuncia dell'on. Vignaroli. 
    Tale paralisi viene tuttavia imposta in totale assenza di ragioni
riconducibili  alle  esigenze  funzionali  della  Commissione  ed  e'
percio' illegittima. 
    III.7 - Per tutte le sopra esposte ragioni, si chiede alla  Corte
di  accertare  e  dichiarare  che  non  spettava   alla   Commissione
bicamerale d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei
rifiuti e su illeciti ambientali  ad  esse  correlati  confermare  il
segreto sul verbale dell'audizione dell'ing.  Fortini  del  2  agosto
2016, nonche' rigettare la richiesta  di  declassificazione  avanzata
dalla Procura di Torino: 
        motivando  con   esclusivo   riferimento   alla   valutazione
dell'ing. Fortini «sulla persistenza delle esigenze di segretezza del
resoconto in questione»; 
        omettendo   ogni   valutazione   e   motivazione   circa   la
necessarieta'  del  mantenimento  del   segreto   in   funzione   del
perseguimento dei compiti istituzionali della Commissione medesima; 
        senza  considerare  il   fatto   che   il   contenuto   delle
dichiarazioni  dell'ing.  Fortini   erano   state   ormai   disvelate
all'opinione  pubblica  ed  acquisite  alle   indagini,   avendo   la
secretazione come unico ed esclusivo effetto quello di paralizzare il
procedimento penale. 
    In tal modo  la  Commissione  di  inchiesta  ha  illegittimamente
interferito  con  le  attribuzioni  costituzionalmente  riservate  al
pubblico ministero. 

(1) N. Bobbio, La democrazia e il potere  invisibile,  in  Il  futuro
    della democrazia: una difesa delle regole del gioco, Torino 1984,
    76. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Si chiede all'ecc.ma Corte di: 
        dichiarare  che  non  spettava  alla  Commissione  bicamerale
d'inchiesta sulle attivita' illecite connesse al ciclo dei rifiuti  e
su illeciti ambientali ad esse correlati confermare  il  segreto  sul
verbale dell'audizione dell'ing. Fortini del 2 agosto  2016,  nonche'
rigettare la richiesta di declassificazione avanzata dalla Procura di
Torino; 
        per l'effetto, annullare la deliberazione del 3 maggio  2017,
che ha mantenuto la secretazione  del  resoconto  stenografico  della
seduta del  2  agosto  2016,  e  consentire  quindi  la  prosecuzione
dell'attivita' dell'autorita' giudiziaria. 
          Roma, 19 gennaio 2018. 
 
                        Prof. avv. Sorrentino