N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 luglio 2018

Ordinanza  del  13  luglio  2018  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento di sorveglianza nei confronti di G. R.. 
 
Ordinamento penitenziario -  Misure  alternative  alla  detenzione  -
  Divieto di concessione di  benefici  -  Denunciata  previsione  del
  divieto di concessione, per la durata di  tre  anni,  della  misura
  della detenzione domiciliare speciale di cui all'art.  47-quinquies
  della legge n. 354 del 1975, al condannato nei  cui  confronti  sia
  stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi  degli
  artt. 46, comma 11, 47-ter, comma 6, o 51, primo comma, della legge
  n. 354 del 1975. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, in combinato disposto. 
(GU n.2 del 9-1-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Composta da: 
        Adriano Iasillo - Presidente 
        Filippo Casa 
        Roberto Binenti 
        Francesco Centofanti - Relatore 
        Antonio Minchella 
    ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da; 
        G    R     nato a il avverso il decreto  del  16/10/2017  del
Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano 
    udita la relazione svolta dal Consigliere Francesco Centofanti; 
    lette le conclusioni  del  Pubblico  Ministero,  in  persona  del
Sostituto Procuratore generale Marilia Di Nardo, che  ha  chiesto  la
reiezione del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con il decreto in epigrafe, adottato ai sensi degli artt. 666,
comma 2, e 678, cod. proc.  pen.,  il  Presidente  del  Tribunale  di
sorveglianza di Milano dichiarava inammissibile,  per  difetto  delle
condizioni di legge, l'istanza di detenzione domiciliare  «speciale»,
avanzata, a norma dell'art. 47-quinquies, commi 1 e 7, Ord. pen.,  da
R G , detenuto presso la casa di reclusione di Opera, con  fine  pena
fissato, allo stato, al 10 marzo 2021. 
    Nei confronti di G    era stata disposta,  in  data  18  febbraio
2016, la revoca della misura alternativa della  semiliberta',  e  nei
suoi confronti  operava  pertanto,  a  giudizio  del  Presidente  del
Tribunale, il divieto triennale di concessione di benefici, stabilito
dall'art. 58-quater, secondo comma, Ord. pen. (in combinato  disposto
con i commi primo e terzo). 
    2. Ricorre il condannato per cassazione, tramite il difensore  di
fiducia avvocato Corrado Limentani, sulla base di unico  motivo,  con
cui si deduce la violazione degli artt. 666 e 678  cod.  proc.  pen.,
nonche' 47-quinquies e 58-quater Ord. pen. 
    Rileva  il   ricorrente   che,   non   menzionando   quest'ultima
disposizione, nel suo primo comma (dal secondo richiamato), la misura
alternativa della detenzione domiciliare «speciale», rispetto a  essa
non varrebbe la  preclusione,  ivi  stabilita,  alla  iterazione  dei
benefici  penitenziari;  e,  pertanto,  la  pregressa  revoca   della
semiliberta' non sarebbe, di per se', ostativa alla  valutazione  nel
merito dell'istanza proposta dal condannato. 
    Una  diversa   interpretazione   costituirebbe   un'inammissibile
applicazione analogica, in malam partem, di  disposizioni  penali,  e
sarebbe lesiva dell'interesse del minore, a protezione del quale,  in
ossequio a precise indicazioni  d'ordine  costituzionale,  la  misura
alternativa in esame sarebbe stata istituita. 
    3. Nella requisitoria, presentata  a  norma  dell'art.  611  cod.
proc. pen., il Procuratore generale presso questa Corte  ha  concluso
chiedendo la reiezione del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. La questione di diritto, che il  ricorso  pone  all'attenzione
della Corte, consiste nello stabilire  se  il  divieto  triennale  di
concessione delle misure alternative, derivante da  revoca  di  altra
misura (nella specie semiliberta'), previsto dall'art. 58-quater Ord.
pen., nel combinato disposto dei suoi primi tre  commi,  operi  anche
rispetto alla concessione della detenzione domiciliare «speciale»  di
cui all'art. 47-quinquies. 
    2. E' quest'ultima un istituto, introdotto  nell'ordinamento  per
effetto della  legge  8  marzo  2001,  n.  40,  e  poi  ulteriormente
disciplinato, ed esteso, dalla legge 21 aprile 2011, n.  62,  che  si
inserisce nell'ambito dei processo  di  progressivo  ampliamento  dei
presidi a tutela del  rapporto  tra  condannate  madri  (e,  a  certe
condizioni, padri) e figli minori. 
    La «ratio» della disposizione e' comune a quella delle  forme  di
detenzione domiciliare, gia'  previste  dall'art.  47-ter,  comma  1,
lett. a) e b), Ord. pen., ossia quella di impedire, ove possibile, il
distacco del  bambino  dalla  figura  genitoriale,  al  tempo  stesso
evitandone l'inserimento in un «contesto punitivo», privo di adeguati
stimoli per la sua crescita e del tutto inidoneo alla creazione di un
rapporto  affettivo  fisiologico  con  la  figura  stessa.  Il  nuovo
istituto  persegue  ulteriormente  tale  «ratio»,  istituendo   nuovi
presupposti perche' l'espiazione della pena al domicilio possa essere
attutata. 
    Anche li' dove la pena detentiva ancora  da  scontare  superi  il
limite dei quattro  anni,  e  le  misure  alternative  anzidette  non
potrebbero essere concesse, le  condannate  con  prole  di  eta'  non
superiore a dieci anni possono essere comunque ammesse a  espiare  la
pena «nella propria abitazione, o in altro luogo di  privata  dimora,
ovvero in luogo  di  cura,  assistenza  o  accoglienza,  al  fine  di
provvedere alla cura e alla assistenza dei figli», a  condizione  che
abbiano gia' espiato almeno un terzo della  pena  o  almeno  quindici
anni, nel caso di condanna all'ergastolo  (art.  47-quinquies,  comma
1). Occorre anche che vi sia  «la  possibilita'  di  ripristinare  la
convivenza con i figli» e che non sussista «un concreto  pericolo  di
commissione di ulteriori delitti». 
    Analogamente  a  quanto  avviene  nelle  antecedenti  ipotesi  di
detenzione domiciliare nell'interesse della prole,  se  la  madre  e'
deceduta, o  versa  in  condizioni  tali  da  renderle  assolutamente
impossibile provvedere alla cura dei figli,  e  non  vi  e'  modo  di
affidare la prole ad altri che a lui, la misura in esame puo'  essere
concessa anche al detenuto padre (art. 47-quinquies, comma 7). 
    3. Proprio muovendo dalla natura «sussidiaria»  della  detenzione
domiciliare «speciale», la giurisprudenza di legittimita' si e'  gia'
pronunciata (Sez. 1, n. 28712 del 01/07/2002, L    , Rv. 222098)  nel
senso di escludere che essa si sottragga ai divieti cui  e'  soggetta
quest'ultima, stabiliti dall'art. 58-quater Ord. pen., e quindi possa
essere concessa al condannato nei cui confronti sia stata disposta la
revoca di una misura alternativa, a norma  dell'art.  47,  comma  11,
della legge  citata  (affidamento  in  prova  al  servizio  sociale),
47-ter,  comma  6  (detenzione  domiciliare)  o   51,   primo   comma
(semiliberta', che e' la misura a G    gia' revocata nella specie). 
    Nel  ricordato  precedente  di  legittimita'   correttamente   si
evidenzia come,  con  l'introduzione  nell'ordinamento  penitenziario
dell'art. 47-quinquies,  il  legislatore  abbia  solo  ampliato,  nei
termini   innanzi   sinteticamente   illustrati,   l'istituto   della
detenzione domiciliare, e che, nel prevedere cio', gli era certamente
estraneo l'intento di sottrarlo, nel suo  insieme  come  anche  nella
parte di realizzata sua maggiore estensione, al divieto previsto  dal
secondo  comma  dell'art.  58-quater  dello  stesso  ordinamento,  in
relazione al suo comma primo. 
    A conforto si adducono ulteriori ineccepibili argomentazioni. 
    La prima e' di ordine  testuale.  L'interpretazione  suddetta  si
fonda sul dato letterale univoco,  rappresentato  proprio  dal  primo
comma dell'art. 58-quater Ord. pen., che e'  la  fattispecie  che  il
successivo comma, nel porre il divieto  qui  rilevante,  richiama  al
fine di individuarne l'ambito oggettivo. Ebbene tale primo  comma  fa
espresso  riferimento  alla  «detenzione  domiciliare»  senza   altra
specificazione, lasciando in tal  modo  intendere  che  la  locuzione
ricomprenda tutti i casi di detenzione domiciliare. Ed  e'  opportuno
sin d'ora far presente che  questa  Corte,  nella  sua  piu'  recente
giurisprudenza (Sez. l, n. 6287 del 23/10/2014, dep. 2015, S    , Rv.
262825; Sez. l, n. 586 del 10/12/2010, dep. 2011,  F     Rv.  249441;
Sez. l, n. 21081 del 27/05/2010, S    , Rv. 247580; Sez. 1, n.  13542
del 03/03/2010, S    , Rv. 246833; Sez. l, n.  3476  del  25/11/2009,
dep. 2010, B     ,  Rv.  245692),  ha  desunto  l'inoperativita'  del
divieto in scrutinio, rispetto alla misura dell'affidamento in  prova
in casi particolari, proprio dal fatto che  l'art.  58-quater,  primo
comma, richiami, a tal fine,  l'«affidamento  in  prova  al  servizio
sociale,  nei  casi  previsti  dall'art.   47»,   cosi'   chiaramente
escludendo  l'incidenza  del   divieto   sull'istituto   in   origine
disciplinato dall'art. 47-bis Ord.  pen.  e,  di  seguito  (gia'  nel
momento in cui l'art. 58-quater era introdotto nell'ordinamento,  per
effetto dell'art. 1, comma 6, d.l. n. 152 del 1991, conv. dalla legge
n. 203 del 1991), dall'art. 94 T.U. stup. 
    L'esegesi testuale  e'  dunque  di  segno  esattamente  contrario
rispetto alla tesi difensiva, ed e' da escludere, gia'  sotto  questo
assorbente profilo, che si dia la temuta analogia in malam partem. 
    Ma la tesi difensiva, centrata sull'inapplicabilita' del  divieto
alla detenzione  domiciliare  «speciale»,  non  puo'  essere  accolta
neppure secondo il criterio dell'interpretazione logica. 
    Se  la  tesi  fosse  esatta,  si  verificherebbe   una   evidente
incongruenza. Il divieto di concessione di nuova  misura  alternativa
continuerebbe infatti a esistere, pacificamente, per i  casi  di  cui
all'art. 47-ter, comma 1,  lett.  a)  e  b),  Ord.  pen.,  e  sarebbe
paradossalmente inoperante, a parita' di presupposti  giustificativi,
nel caso della detenzione domiciliare di cui  all'art.  47-quinquies,
dove anzi piu' rilevante e' la pena residua che  il  condannato  deve
espiare. 
    4. Da tali persuasive linee esegetiche il Collegio non ritiene di
potersi discostare; sicche', a legislazione vigente, deve  senz'altro
ritenersi che, nel caso di specie, la preclusione scrutinata operi in
pregiudizio del condannato ricorrente. 
    Il Collegio dubita, tuttavia, della  legittimita'  costituzionale
di tale assetto, rispetto  ai  parametri  rappresentati  dall'art.  3
Cost. da un lato, e dagli artt. 29, 30 e 31 dall'altro. 
    5. La rilevanza della questione appare evidente. 
    Il  decreto  impugnato  appare  conforme  al  sistema   normativo
sospettato d'illegittimita' costituzionale, e dunque, se il  relativo
dubbio fosse giudicato infondato, il presente ricorso per  cassazione
dovrebbe essere respinto. 
    Opposta conclusione sarebbe autorizzata  dall'accoglimento  della
questione di legittimita' costituzionale. In tal caso il Tribunale di
sorveglianza, palesemente non ostandovi il limite  di  pena,  sarebbe
tenuto - previo annullamento senza rinvio del  decreto  impugnato  ad
opera di questa Corte e restituzione degli atti  -  a  esaminare  nel
merito i presupposti per la concessione della misura, allo stato  non
preclusa per alcuna tipologia di reato; presupposti il  cui  fattuale
riscontro costituisce un posterius rispetto alla decisione  che  deve
essere assunta nel presente giudizio di cassazione. 
    Ne',  per  le  ragioni  teste'   esposte,   appare   percorribile
un'interpretazione costituzionalmente  orientata,  a  sostegno  della
quale neppure varrebbe obiettare  che  la  misura  in  questione,  in
quanto introdotta dalla legge n. 40 del 2001, esulerebbe  dal  novero
di quelle «avute di  mira»  dal  legislatore  allorche',  dieci  anni
prima, aveva varato il regime censurato. Il rilievo  si  supera  solo
che si rifletta sul fatto che il primo comma dell'art. 58-quater Ord.
pen., che delimita la sfera di operativita'  del  divieto,  e'  stato
integralmente riscritto dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (art.  7,
comma 6), successiva  alla  citata  legge  n.  40  del  2001.  Se  il
legislatore,  dunque,  avesse  voluto  realmente   affrancare   dalla
disciplina preclusiva la  detenzione  domiciliare  «speciale»,  ormai
presente nel sistema, lo avrebbe  certamente  esplicitato  nel  nuovo
testo. 
    Non accredita l'interpretazione «adeguatrice»  neppure  il  fatto
che il divieto  ex  58-quater  non  operi,  secondo  la  gia'  citata
giurisprudenza di legittimita', rispetto all'affidamento  terapeutico
di cui all'art. 94 T.U. stup., in quanto siffatta  giurisprudenza  e'
basata sul diverso dato testuale gia' sopra esaminato, oltre  che  su
elementi  logico-sistematici   -   la   specialita'   e   l'autonomia
dell'affidamento   in   prova   in    casi    particolari    rispetto
all'affidamento in prova ordinario - non riproducibili  nel  caso  in
esame (stante l'identita' di ratio  tra  la  detenzione  domiciliare,
ordinariamente prevista dall'art. 47-ter, comma 1, Ord. pen. a favore
del  condannato-genitore,  e  la  detenzione  domiciliare  «speciale»
istituita dall'art. 47-quinquies). 
    6.  Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  e'  alimentato,
anzitutto, dalle considerazioni  che  hanno  gia'  indotto  la  Corte
costituzionale, nella sentenza n. 239 del  2014,  a  dichiarare,  tra
l'altro, l'illegittimita' costituzionale dell'art.  4-bis,  comma  1,
Ord. pen., nella parte in cui non esclude dal divieto di  concessione
dei benefici penitenziari, da  esso  stabilito,  la  misura  prevista
dall'art. 47-quinquies dello stesso ordinamento. 
    6.1. In questa pronuncia si  sottolinea  il  prioritario  rilievo
che, nell'economia dell'istituto, assume l'interesse di  un  soggetto
debole, distinto  dal  condannato  e  particolarmente  meritevole  di
protezione, quale quello del minore in tenera eta', ad instaurare  un
rapporto  quanto  piu'  possibile  «normale»   con   la   madre   (o,
eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo;
interesse che - oltre a chiamare in gioco l'art. 3 Cost., in rapporto
all'esigenza  di  un  trattamento  differenziato  -  evoca  ulteriori
parametri costituzionali (tutela della  famiglia,  diritto-dovere  di
educazione dei figli, protezione dell'infanzia: artt.  29,  30  e  31
Cost.). 
    Per questo il giudice delle leggi  ritenne  che  assoggettare  la
misura in esame (come quella ex art. 47-ter, comma 1, lett. a) e  b),
Ord. pen.) al regime «di rigore», sancito dall'art. 4-bis,  comma  1,
legge penitenziaria,  significasse  accomunare  situazioni  tra  loro
profondamente diversificate, nonche' traslare su un  soggetto  terzo,
estraneo alle attivita' delittuose che hanno dato luogo alla condanna
(oltre che, rispetto a quella fattispecie, alla scelta del condannato
di   non   collaborare),   le   sottese    esigenze    di    politica
repressivo-criminale (rispetto a quella fattispecie, il «costo» della
strategia di lotta al crimine organizzato, basata sull'incentivazione
alla  collaborazione,  rappresentato  dal  sacrificio  delle  normali
esigenze trattamentali). 
    6.2.   Anche   l'art.   58-quater   Ord.   pen.   -    introdotto
nell'ordinamento dal menzionato art. 1, comma  6,  d.l.  n.  152  del
1991, conv. dalla legge n. 203 del  1991,  e,  nella  parte  che  qui
rileva, modificato dal parimenti ricordato art. 7, comma 6, legge  n.
251  del  2005,  nonche'  inciso  da  declaratorie   d'illegittimita'
costituzionale  (ininfluenti  in  questa  sede,   perche'   tese   ad
escluderne l'applicazione ai condannati minorenni e a  circoscriverla
rispetto alle situazione espiative gia'  in  essere)  -  esprime  una
precisa linea di politica criminale, volta  a  sanzionare  la  scarsa
«affidabilita'»   di   un   condannato   responsabile   di   condotte
negativamente sintomatiche, quali l'evasione, ovvero le trasgressioni
alle prescrizioni di una pregressa misura alternativa, tali da averne
determinato la revoca. Rispetto a tale condannato si  istituisce  una
presunzione assoluta di temporanea inidoneita' rispetto  a  forme  di
espiazione della pena detentiva, che si attuino anche parzialmente al
di fuori dell'istituzione carceraria. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  -  orientata  in   linea   di
principio ad escludere, nella materia dei benefici  penitenziari,  la
legittimita' di rigidi automatismi, e a richiedere invece che vi  sia
sempre  una  valutazione  individualizzata,  cosi'  da  collegare  la
concessione o meno del beneficio ad una  prognosi  ragionevole  sulla
sua utilita' a far procedere il condannato sulla  via  dell'emenda  e
del reinserimento sociale (sentenze n. 291 del 2010, n. 189 del 2010,
n. 255 del 2006, n. 436 del 1999; da  ultimo,  sentenza  n.  149  del
2018)  -  ammette  eccezionalmente,  in   materia,   presunzioni   di
pericolosita', a patto che non siano arbitrarie ne'  irrazionali,  in
quanto rispondenti a  dati  di  esperienza  generalizzati,  riassunti
nella formula dell'id quod plerumque accidit, e che non siano neppure
ad altro titolo lesive di valori costituzionali. 
    6.3. Nel dichiarare, con l'ulteriore sentenza  n.  76  del  2017,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma  1-bis,
Ord. pen., introdotto dall'art. 3, comma 1, lett. b), legge n. 62 del
2011,  quanto  all'inciso  «Salvo  che  nei  confronti  delle   madri
condannate per taluno dei delitti indicati  nell'articolo  4-bis,»  -
norma sotto altro aspetto limitativa della piena  operativita'  della
detenzione domiciliare «speciale» - la  Corte  costituzionale  ne  ha
ribadito le caratteristiche essenziali, che costituiscono  attuazione
di valori costituzionali fondamentali. 
    La Corte anzidetta ha  riaffermato  che  essa,  pur  partecipando
della finalita' di  reinserimento  sociale  propria  di  ogni  misura
alternativa, e' istituto in cui assume rilievo prioritario la  tutela
del minore, nel suo interesse a mantenere  un  rapporto  continuativo
con ciascuno dei genitori, dai quali ha  diritto  di  ricevere  cura,
educazione e istruzione. Ha riconosciuto  che  tale  interesse  trova
riconoscimento e tutela - oltre che  nell'ordinamento  costituzionale
interno, e specialmente nell'art. 31, secondo comma, della Carta, che
demanda alla  Repubblica  di  proteggere  l'infanzia,  favorendo  gli
istituti necessari a tale scopo  -  nell'ordinamento  sovranazionale,
ove vengono in particolare considerazione le previsioni dell'art.  3,
comma l, della Convenzione sui diritti del  fanciullo,  fatta  a  New
York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in  Italia  con
legge 27 maggio 1991, n. 176, e dell'art. 24, comma  2,  della  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea  del  7  dicembre  2000,
proclamata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.  Ha  attribuito  a  tale
interesse rango «preminente». 
    6.4.   Per   quanto   tale,   come   ricordato   nelle   pronunce
costituzionali n. 239 del 2014 e n. 76 del 2017, nemmeno  l'interesse
del minore a fruire in modo continuativo dell'affetto  e  delle  cure
genitoriali forma oggetto di protezione assoluta, tale  da  sottrarlo
ad ogni possibile bilanciamento con esigenze  contrapposte,  pure  di
rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese  alla
necessaria esecuzione della pena inflitta  al  genitore,  in  seguito
alla commissione di un reato, e  alle  condizioni  che  la  regolano.
Proprio a una simile logica di bilanciamento risponde, in effetti (v.
anche Corte cost. n. 177 del 2009), la disciplina delle condizioni di
accesso alla detenzione domiciliare «speciale»,  stabilita  dall'art.
47-quinquies, comma 1, Ord. pen.;  condizioni  tra  le  quali  figura
anche quella, gia' ricordata,  della  insussistenza  di  un  concreto
pericolo di commissione di ulteriori delitti da parte del condannato. 
    Affinche' l'interesse  dei  minore  possa  restare  recessivo  di
fronte  alle  esigenze  di  protezione  della  societa'  dal  crimine
occorre, pero',  come  ammonisce  la  Corte  costituzionale,  che  la
sussistenza e la consistenza di queste ultime venga  verificata,  per
l'appunto,  in  concreto,  secondo  quanto  richiesto  dalla   citata
disposizione, e non gia' «collegata ad indici  presuntivi  [...]  che
precludono al giudice ogni margine  di  apprezzamento  delle  singole
situazioni» 
    6.5. L'art.  58-quater,  primo  e  secondo  comma,  Ord.  pen.  -
nell'inibire, nei confronti del  condannato  resosi  responsabile  di
condotte che hanno determinato  la  pregressa  revoca  di  una  delle
misure  alternative   ivi   indicate,   l'accesso   alla   detenzione
domiciliare «speciale» - pone una siffatta presunzione  assoluta,  da
ritenere in contrasto, per tutte le considerazioni svolte, sia con il
principio di eguaglianza  formale  (art.  3  Cost.),  per  l'indebita
parificazione   di   situazioni   di    espiazione    soggettivamente
differenziate, sia con le disposizioni costituzionali a tutela  della
famiglia (art. 29, primo comma), del rapporto di genitorialita' (art.
3°, primo comma)  e  dell'infanzia  (art.  31,  secondo  comma),  che
restano compromesse al di fuori del necessario prudente apprezzamento
delle circostanze della vicenda concreta. 
    Vero e' che la preclusione, indotta dal  citato  art.  58-quater,
seppur assoluta ha durata limitata nel tempo; il  terzo  comma  della
disposizione fa coincidere tale durata  con  il  tempo  di  tre  anni
dall'intervenuta revoca della misura alternativa. 
    Tale circostanza non appare dirimente, al fine  di  escludere  il
vulnus ai citati principi costituzionali. 
    Tre anni sono  un  tempo  assai  significativo  nel  processo  di
crescita del minore di tenera eta', cui l'art. 47-quinquies Ord. pen.
ha principale riguardo; tanto piu' significativo, quanto piu' ridotta
sia l'eta' del bambino nel momento in  cui  la  preclusione  inizi  a
decorrere.  Durante  tale  periodo  ben  possono  verificarsi  quelle
importanti,  e  difficilmente   riparabili,   alterazioni   del   suo
equilibrio psicofisico che solo l'eliminazione dell'automatismo  -  e
con essa  la  riespansione  del  potere  discrezionale  del  giudice,
orientato a una logica di attento bilanciamento dei valori in campo -
e' in grado di sventare. 
    7. Per  le  ragioni  sin  qui  esposte  il  Collegio  ritiene  di
sollevare  d'ufficio,  nei  termini  precisati,   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art.  58-quater,  primo,  secondo  e
terzo comma, Ord. pen., in combinato disposto. 
    Spettera'  alla  Corte  costituzionale  valutare,  in   caso   di
accoglimento, l'opportunita' di  estendere,  ai  sensi  dell'art.  27
legge  11  marzo  1953,  n.  87,  la  declaratoria   d'illegittimita'
costituzionale all'analoga preclusione - qui tuttavia non «rilevante»
- che le norme in scrutinio determinano,  rispetto  alla  concessione
della detenzione domiciliare  nei  casi  regolati  dall'art.  47-ter,
comma 1, lett. a) e b), Ord. pen. 
    Il processo  deve  essere  per  l'effetto  sospeso,  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale, come da dispositivo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Vista la legge 11  marzo  1953,  n.  87,  art.  23,  solleva,  di
ufficio, questione di legittimita' costituzionale -  con  riferimento
agli artt. 3, primo comma, 29, primo comma, 30, primo  comma,  e  31,
secondo comma,  della  Costituzione  -  dell'art.  58-quater,  primo,
secondo e terzo comma, della legge 26  luglio  1975,  n.  354,  nella
parte in cui essi, nel loro combinato  disposto,  prevedono  che  non
possa essere concessa, per la  durata  di  tre  anni,  la  detenzione
domiciliare speciale, prevista dall'art.  47-quinquies  della  stessa
legge n. 354 del 1975, al  condannato  nei  cui  confronti  e'  stata
disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell'art.  47,
comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o  dell'art.  51,  primo  comma,
della legge medesima. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone altresi' che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza sia  notificata  al  ricorrente,  al  Procuratore  Generale
presso questa Corte, al Presidente del Consiglio dei Ministri, e  sia
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso il 10 luglio 2018 
 
                       Il Presidente: Iasillo 
 
 
                                 Il Consigliere estensore: Centofanti