N. 60 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 gennaio 2019
Ordinanza del 3 gennaio 2019 del Tribunale di Bolzano nel procedimento civile promosso da F.F. e R.M. contro Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano. Procreazione medicalmente assistita - Finalita' - Accesso alle tecniche - Esclusione di coppie composte da soggetti dello stesso sesso - Previsione di sanzioni nei confronti di chi (strutture sanitarie o esercenti la professione sanitaria) consente a coppie composte da soggetti dello stesso sesso l'accesso alle tecniche. - Legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), artt. 5 e 12, comma 2, «anche in combinato disposto con i commi 9 e 10» [dell'art. 12], «nonche'» artt. 1, commi 1 e 2, e 4.(GU n.17 del 24-4-2019 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLZANO Procedimenti speciali sommari Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 4349/2018 promosso da: F.F. e M.R., rappresentate e difese dall'avv. Alexander Schuster del Foro di Trento, codice fiscale SCH LND 77T30 L378V, fax 0461 331092, pec alexander.schuster@pectrentoavvocati.it con studio in Trento, via Cesare Abba n. 8, presso il cui studio hanno eletto domicilio, anche telematico, giusta procura con atto telematico separato e unito alla busta telematica PCT; Ricorrenti contro l'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano (codice fiscale e partita I.V.A. 00773750211), con sede in Bolzano, via Cassa di Risparmio n. 4, in persona del direttore generale e legale rappresentante pro-tempore dott. Florian Zerzer, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente a mezzo degli avvocati Sonia Gasparri (codice fiscale GSPSNO67L51A952U, avvsonia.gasparri@pec.sabes.it), Alfredo Ludovico Ernesto Pischedda (codice fiscale PSCLRD63L25Z112M, avvalfredo.pischedda@pec.sabes.it), Julia Peterlini (codice fiscale PTRJLU82H42A952L, avv julia.peterlini@pec.sabes.it) e Britta Venturino (codice fiscale VNTBTT67T64Z112X, avv-britta.venturino@pec.sabes.it) giusta procura alla lite in calce alla comparsa di costituzione e giusta lettera di incarico in atti, con domicilio eletto presso l'ufficio legale dell'ente (tel.: 0471-90 91 05, fax: 0471-90 93 96) sito in Bolzano, via Orazio n. 49; Parte resistente il giudice dott. Francesco Laus, sentiti i procuratori delle parti, letti gli atti ed i documenti prodotti, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 26 novembre 2018, ha pronunciato la seguente, Ordinanza Con ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile dell'8 ottobre 2018, F.F. e M.R. evocavano in giudizio l'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano rappresentando: che la coppia ricorrente era costituita da due donne sposatesi presso il Comune di Copenaghen (Danimarca) il 27 agosto 2014, il cui atto risultava trascritto nel registro delle unioni civili del Comune di Lissone (MB): che nel novembre 2013 alla signora R., a seguito di alcuni trattamenti di IUI (inseminazione intrauterina) realizzati in Danimarca, di cui uno che dava iniziale esito positivo, veniva riscontrata una gravidanza extrauterina, che la costringeva a sottoporsi a salpingectomia destra in laparoscopia (asportazione della salpinge uterina destra); che nel settembre 2014, durante una visita ginecologica alla stessa veniva riscontrata un'infezione all'utero; che dopo la cura con antibiotico era, tuttavia, accertata l'avvenuta chiusura della salpinge sinistra; che tale quadro clinico impediva alla ricorrente R. di produrre ovuli propri (refertazione medica sub doc. 2 di parte ricorrente); che nel 2015 alla signora F. veniva riscontrata un'aritmia extrasistolica ventricolare asintomatica, in ragione della quale il medico cardiologo sconsigliava di avere gravidanze, consigliando anzi di sottoporsi a terapia anticoncezionale (refertazione medica sub doc. 1); che a fronte di queste patologie, considerato che le tecniche di fecondazione assistita consentivano di superare i rispettivi ostacoli riproduttivi secondo una strategia di complementarita' delle potenzialita' riproduttive residue (gestazionale l'una, di produzione ovarica l'altra) ed a fronte della agevole disponibilita' di sperma da donatore, le signore si rivolgevano all'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano; che l'odierna resistente forniva risposta scritta del seguente tenore: «l'Azienda sanitaria che rappresento non puo' accogliere la richiesta da Lei formulata per conto delle Sue Clienti sig.ra F.F. e sig.ra M.R., a causa dei divieti imposti dalla legge n. 40/2004: si rileva infatti che l'art. 4, comma 3 di tale legge vieta di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ma l'art. 5 prevede altresi' che possano accedere alle medesime tecniche solo coppie di maggiorenni di sesso diverso, mentre le sue clienti sono del medesimo sesso. Finche' sussisteranno tali divieti imposti dalla legge, l'azienda sanitaria non puo' che reiterare il proprio rigetto della richiesta»; che a fronte della decisione della resistente di non garantire il diritto alla fruizione della tale prestazione terapeutica, nonostante l'incostituzionalita' dello stesso e la violazione del diritto dell'Unione, considerata anche l'eta' avanzata delle stesse, s'imponeva una richiesta di tutela cautelare affinche' fosse garantito l'accesso alle menzionate terapie riproduttive. Con memoria difensiva del 6 novembre 2018 si costituiva nel presente procedimento l'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano sostenendo di essersi adeguata nelle proprie determinazioni al divieto imposto dalla legge, che preclude l'accesso alle tecniche di PMA a coppie, formate da persone dello stesso sesso. In punto «carenza del periculum in mora», l'azienda evidenziava come la fecondazione assistita a carico del Servizio sanitario nazionale potesse avvenire fino a 42 anni e trecentosessantaquattro giorni, si' che, rispetto all'eta' delle ricorrenti, nessuna ragione d'urgenza si poneva. La difesa della resistente richiamava infine l'obiter dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 269/2017, che, in caso di «doppia pregiudizialita'», «laddove una legge sia oggetto di dubbi di legittimita' tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta, dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni, di interpretazione o di invalidita' del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE», opponendosi quindi ad una disapplicazione diretta delle norme di divieto e sanzione per contrasto con il diritto dell'Unione europea, nonche' di fatto, al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. La causa veniva assegnata «alla dott.ssa Francesca Muscetta che, con provvedimento del 12 novembre 2018, disponeva la trasmissione degli atti al presidente del tribunale, non ritenendo che la vertenza ricadesse nell'ambito della competenza tabellare del giudice del lavoro. Il presidente del tribunale con provvedimento del 12 novembre 2018 mandava alla cancelleria «per l'iscrizione del procedimento a ruolo dei procedimenti cautelaci e d'urgenza ordinari ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile» e, con provvedimento del 14 novembre 2018, assegnava la causa allo scrivente giudice. In data 26 novembre 2018 si teneva udienza nel corso della quale l'azienda sanitaria contestava l'attribuzione del caso allo scrivente giudice, ritenendo che il presente procedimento dovesse essere trattato dal giudice del lavoro, eccependo di conseguenza l'incompetenza per territorio del Tribunale di Bolzano a favore del competente giudice del lavoro presso il Tribunale di Monza, chiedendo altresi' di dichiarare ai sensi dell'art. 107 del codice di procedura civile, la comunanza di causa con l'ASL, di Lissone (MB), e, qualora il giudice lo ritenesse opportuno, ordinarne l'intervento. Il procuratore delle ricorrente contestava le deduzioni avversarie richiamando, innanzitutto, quanto alla competenza territoriale, l'art. 20 codice di procedura civile per le obbligazioni di facere. Lo stesso sottolineava inoltre il principio di liberta' dell'utente nella scelta della struttura di fiducia per l'assistenza sanitaria, evidenziando, in punto eventuale coinvolgimento dell'ASL di Lissone (MB), che «solo per prestazioni accessorie particolari, verificatane la necessita' solo dopo la diagnosi iniziale della condizione riproduttiva della coppia, quali l'eterologa o la diagnosi preimpianto, si rende necessaria l'autorizzazione alla mobilita' della ASL degli assistiti, almeno fino a che non entreranno in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con i nuovi LEA. Il rifiuto opposto dalla SABES non e' specifico all'eterologa, ma allo stesso accesso alla pma, garantito sul territorio nazionale senza autorizzazione». In merito poi alla competenza collegata alla disciplina della non-discriminazione, il ricorso, sostiene la difesa delle ricorrenti, sarebbe da considerarsi ex art. 700 del codice di procedura civile «rispetto all'obbligo di facere e non un'azione ex art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011. Sul concorso fra rimedi ordinari e speciali, si confronti Cass. ord. 15 novembre 2012, n. 20091». La predetta difesa proseguiva sostenendo che «quand'anche si volesse cumulare alla domanda di facere la domanda di condanna a non discriminare, questa prevede si' quale competenza territoriale il domicilio del discriminato, ma si tratta di un foro di protezione. A questo il soggetto discriminato puo' derogare certo non prima, ma quando liberamente intraprende l'azione a propria tutela. Inoltre, deve essere consentito il cumulo con domande che prevedono altra competenza territoriale, per evitare che connessioni forti conducono a giudizi distinti (cfr. Cass. ord. 26 novembre 2013, n. 26379)». Alla predetta udienza il giudice si riservava la decisione. Occorre in primo luogo disattendere le eccezioni preliminari sollevate dalla resistente azienda sanitaria. Invero, nella sostanza, l'odierna vertenza, lungi dal poter essere ricondotta alle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie (art. 442 del codice di procedura civile) e/o ai procedimenti ex art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011 attiene piuttosto all'«esatta individuazione dei limiti e della facolta' connessi al diritto alla genitorialita', diritto che, solo incidentalmente, verrebbe veicolato attraverso il ricorso ad un determinato percorso terapeutico» (in questi termini, in vicenda analoga, ordinanza del Tribunale di Pordenone del 2 luglio 2018, n. 129, dimessa al doc. 7 dalla stessa parte resistente, ordinanza alla quale piu' volte in seguito si fara' riferimento ed alle argomentazioni della quale si fa integrale rinvio e richiamo). Tale considerazione consente di superare l'eccezione di incompetenza territoriale avanzata dalla resistente e fondata unicamente sulle previsioni dell'art. 444 del codice di procedura civile, che fa riferimento al foro di residenza dell'attore, dovendosi dunque l'adito tribunale ritenersi territorialmente competente in forza degli ordinari criteri portati dagli articoli 19 e 20 del codice di procedura civile. Rimane in ogni caso questione di distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio la ripartizione delle funzioni tra la sezione lavoro e le sezioni ordinarie (v. Cassazione civile 19 luglio 2016, n. 14790). Come gia' evidenziato nell'ordinanza del giudice Muscetta, tuttavia, «la maggior parte delle pronunce dei giudici di merito in materia di procreazione medicalmente assistita sono state emesse ... anche in caso di evocazione, in giudizio di azienda sanitaria, non da giudice addetto alla sezione lavoro, ma da giudice civile ordinario (cfr., tra le piu' recenti, Tribunale di Milano, sezione I civile 21 luglio 2017, n. 13, Tribunale di Milano sezione I civile 13 luglio 2017, Tribunale di Milano sezione I 18 aprile 2017, Corte d'appello di Milano, sezione famiglia 9 febbraio 2017)». Risulta poi corretta anche la scelta del procedimento cautelare innominato ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile, considerato che proprio nell'ambito di un procedimento promosso ai sensi del citato articolo «e' stata sollevata la questione di incostituzionalita' dell'art. 4 della legge n. 40/2004, poi decisa dalla Consulta con la sentenza n. 96/2015 che tale norma ha dichiarato, appunto, incostituzionale» (cosi' ordinanza Tribunale di Pordenone, cit.) e che il tema della discriminazione riguarda essenzialmente i profili di illegittimita' delle norme n. 40/2004 che di seguito si richiameranno. Peraltro il fatto che sia stato richiesto dalle ricorrenti l'accesso alla PMA direttamente all'Azienda sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano convenuta, liberamente scelta quale struttura di fiducia, non in regime di compartecipazione alla spesa, da parte dell'ASL di provenienza, rende del tutto superfluo qualsivoglia coinvolgimento in questo giudizio della ASL di Lissone (MB). Risulta preclusa la possibilita' di sospendere, come invece richiesto dalla convenuta, l'odierno giudizio ex art. 295 del codice di procedura civile, in attesa della pronuncia della consulta sulle questioni poste dal Tribunale di Pordenone con la citata ordinanza, in quanto, come ha avuto modo di chiarire la Suprema Corte, si tratterebbe di sospensione illegittima, determinata da mere motivazioni di opportunita' («e' illegittima, perche' determinata da ragioni di opportunita' e non dalla sussistenza delle condizioni stabilite dall'art. 295 del codice di procedura civile, l'ordinanza di sospensione del processo adottata dal tribunale, investito di controversia interessata dall'applicazione della legge regionale della Liguria 24 marzo 2000, n. 26, in attesa della risoluzione, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimita' dell'anzidetta normativa regionale, sollevata in processi diversi pendenti avanti la corte di appello», cosi' Cassazione civile - sezione III, 25 luglio 2003, n. 11567). Superate le eccezioni preliminari, si consideri ora la ricorrenza dei presupposti cautelari del periculum in mora e del fumus-boni iuris. Per quanto riguardo il periculum in mora, si ritiene di fare proprie le considerazioni svolte nell'ordinanza del Tribunale di Pordenone: «l'art. 700 del codice di procedura civile richiede, a tale riguardo, la ricorrenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile, tale dovendo essere qualificato quel pregiudizio che, non essendo adeguatamente ristorabile per equivalente, cioe' mediante assegnazione di una somma di denaro a titolo risarcitorio, in caso di mancata adozione della cautela innominata determinerebbe la irreversibile lesione del diritto fatto valere nel processo. E tali caratteristiche sussistono indubbiamente nel caso di specie, costituendo fatto notorio, ricavabile dagli studi scientifici intervenuti sulla materia de qua e non a caso recepiti anche dal nostro Istituto superiore di sanita', che la possibilita' di sottoporsi con successo a tecniche di fecondazione e' strettamente legata all'eta' della donna ed e' destinata a diminuire sensibilmente perlomeno dopo i 35 anni della stessa, come pure che i rischi per la salute della madre e del nascituro aumentano esponenzialmente col passare del tempo». Considerato che le ricorrenti sono nate rispettivamente nel 1979 e nel 1982, appare chiaro che l'attesa dei tempi di un ordinario giudizio di cognizione potrebbe di fatto pregiudicare definitivamente l'accoglimento della domanda qui azionata dalle ricorrenti. La delibazione del fumus boni iuris concerne invece in questa fase la valutazione della non manifesta infondatezza dei sospetti di illegittimita' costituzionale delle norme di divieto di applicazione delle pratiche di PMA a coppie dello stesso sesso e relative sanzioni, anche avuto riguardo alla questione della salute riproduttiva di coppia. Del resto il rilievo della questione nel giudizio a quo si evince dalle motivazione addotte dalla convenuta azienda sanitaria a diniego delle prestazioni richieste: «l'Azienda sanitaria che rappresento non puo' accogliere la richiesta da Lei formulata per conto delle Sue Clienti sig.ra F.F. e sig.ra M.R., a causa dei divieti imposti dalla legge n. 40/2004: si rileva infatti che l'art. 4, comma 3 di tale legge vieta di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, ma l'art. 5 prevede altresi' che possano accedere alle medesime tecniche solo coppie di maggiorenni di sesso diverso, mentre le sue clienti sono del medesimo sesso. Finche' sussisteranno tali divieti imposti dalla legge, l'azienda sanitaria non puo' che reiterare il proprio rigetto della richiesta (pec datata 20 settembre 2018, doc. 4 di parte ricorrente). In altre parole l'unico ostacolo all'accoglimento dell'istanza cautelare presentata dalle ricorrenti nel presente procedimento, istanza di accesso alle pratiche di procreazione medicalmente assistita, e' costituito proprio dalle norme sospettate di illegittimita' e soltanto una pronuncia della Corte costituzionale adita consentirebbe al giudice a quo di fornire piena tutela al progetto di maternita' e famiglia delle stesse. Si riportano di seguito le norme oggetto di vaglio: Legge 19 febbraio 2004, n. 40 («Norme in materia di procreazione medicalmente assistita») pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 febbraio 2004, n. 45). Art. 1 (Finalita'). - 1. Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana e' consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalita' previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. 2. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita e' consentito qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilita' o infertilita'. Art. 4 (Accesso alle tecniche). - 1. Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e' consentito solo quando sia accertata l'impossibilita' di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed e' comunque circoscritto ai casi di sterilita' o di infertilita' inspiegate documentate da atto medico nonche' ai casi di sterilita' o di infertilita' da causa accertata e certificata da atto medico. 2. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono applicate in base ai seguenti principi: a) gradualita', al fine di evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasivita' tecnico e psicologico piu' gravoso per i destinatari, ispirandosi al principio della minore invasivita'; b) consenso informato, da realizzare ai sensi dell'art. 6. 3. E' vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Art. 5 (Requisiti soggettivi). - 1. Fermo restando quanto stabilito dall'art. 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi. Art. 12 (Divieti generali e sanzioni). - ... 2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell'art. 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro. ... 8. Non sono punibili l'uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5. 9. E' disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 7. 10. L'autorizzazione concessa ai sensi dell'art. 10 alla struttura al cui interno e' eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente articolo e' sospesa per un anno. Nell'ipotesi di piu' violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva l'autorizzazione puo' essere revocata. Ritiene in primo luogo lo scrivente giudice che le norme richiamate si pongano in evidente contrasto con gli articoli 2 («la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'») e 3 («tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») della Costituzione, a motivo della palese natura irragionevole e discriminatoria della prescrizioni/divieti in esse contenuti. Quanto si sostiene risulta dimostrato se solo si rifletta sui recenti sviluppi normativi e del diritto vivente che hanno caratterizzato in anni recenti l'ordinamento italiano. Si fa richiamo innanzitutto alla legge 20 maggio 2016, n. 76 («Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze») che all'art. 1 recita: «La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto». Sebbene il legislatore abbia fatto espresso riferimento all'art. 2 della Costituzione ed al concetto di formazione sociale e non all'art. 29 della Costituzione («la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come societa' naturale fondata sul matrimonio»), la giurisprudenza e' concorde nel ritenere di natura familiare la formazione sociale che scaturisce dall'unione civile. Valga riportare i passaggi di alcune recenti pronunce sul punto: - «Reputa questo tribunale che l'indirizzo sin qui illustrato sia stato anche confermato dalla legge n. 76 del 2016. In primo luogo, la nuova normativa ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di "famiglia" (e' inequivoco il riferimento, nella normativa, alla "vita familiare", a tacer d'altro), cosi' offrendo all'adozione in casi particolari, un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato ... Va rimarcato che la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni; i desideri e i sogni comuni per il future, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una "famiglia", luogo in cui e' possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore omoaffettivita' possa costituire ostacolo formale.» (Tribunale minorenni, Bologna, 6 luglio 2017); - «il diritto alla genitorialita', e ancor bigenitorialita', e' un diritto prima di tutto del minore ad instaurare relazioni affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso sia, stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche di cui alla PMA, posto che anche in tali ultimi casi il figlio e' generato in forza di un progetto di vita comune della coppia, etero o omosessuale, volto alla creazione di un nucleo familiare secondo un progetto di genitorialita' condiviso. Il figlio voluto dalla coppia omosessuale attraverso il ricorso alla PMA deve trovare, dunque, tutela anche sotto il profilo giuridico, venendo in gioco tutta una serie di interessi che, per la sola ragione di essere amato e cresciuto di fatto dalla coppia di donne, non sono comunque assicurati se non attraverso, il formale riconoscimento dell'essere figlio delle due mamme che lo hanno desiderato ... 5.6. Il concetto di famiglia deve, quindi, essere riletto alla luce dei mutamenti sociali e deve essere inteso come comunita' di affetti svincolata da legami biologici, oltre che da istituti tradizionali quali l'unione matrimoniale, incentrandosi piuttosto su relazioni affettive ed effettive tra i suoi componenti che prescindono da legami tradizionalmente intesi (si veda la riforma della filiazione, la recente disciplina delle unioni civili ed il riconoscimento per le coppie dello stesso sesso del diritto di adottare figli ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983)» (Tribunale, Pistoia, 5 luglio 2018); - «La giurisprudenza della Corte EDU e quella costituzionale impongono di assicurare copertura giuridica alle relazioni gia' in essere nell'esclusivo interesse del minore, in quanto il diritto alla vita familiare si esplica anche nelle situazioni di fatto generate da legami affettivi ed indipendentemente dall'orientamento sessuale dei componenti l'unione» (Cassazione, 1 sezione civile, sentenza 20 giugno 2917, n. 15202). Ritenuta di natura familiare la formazione sociale fondata su di un'unione civile o anche solo, al limite, da una convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso, occorre esaminare se, da un'eventuale rimozione del divieto richiamato, possa ritenersi leso un rilevante interesse di rango costituzionale della persona nata dalla PMA, vale a dire se nell'ambito di una famiglia omogenitoriale sia o meno tutelato il migliore interesse della prole (cfr. Corte costituzionale, 10 giugno 2014, n. 162, relativa alla c.d. fecondazione eterologa: «unico interesse che si contrappone ai predetti beni costituzionali e', dunque, quello della persona nata dalla PMA di tipo eterologo, che, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, sarebbe leso a causa sia del rischio psicologico correlato ad una genitorialita' non naturale»). Invero tanto la giurisprudenza di merito, quanto quella di legittimita' ha recentemente sempre e pienamente riconosciuto l'idoneita' genitoriale della coppia "same sex": - «al riguardo, tuttavia: o si ritiene che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l'interesse del minore, incorrendo pero' in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull'orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l'adozione, di discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico; oppure si deve escludere tout court, come gia' ampiamente argomentato, la configurabilita' in via generale ed astratta di una situazione di conflitto d'interessi. ... La Corte ... nel caso X ed altri contro Austria (sentenza del 19 febbraio 2013 nel ricorso n. 19010 del 2007), ha riconosciuto anche in tema di adozione del figlio del partner (o adozione cosiddetta "coparentale") la violazione del principio di non discriminazione stabilito dall'art. 14 della Convenzione in presenza di una ingiustificata disparita' di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso, dal momento che nell'ordinamento austriaco tale forma di adozione era consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali. La Corte di Strasburgo, al riguardo, ha sottolineato che l'Austria non aveva fornito "motivi particolarmente solidi e convincenti idonei a stabilire che l'esclusione delle coppie omosessuali dall'adozione coparentale aperta alle coppie eterosessuali non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia tradizionale" (par. 151 della sentenza). Il rilievo della pronuncia rispetto al presente giudizio si coglie relazione all'applicazione del paradigma antidiscriminatorio. Nel caso di una discriminazione fondata sul sesso o l'orientamento sessuale, il margine di apprezzamento degli Stati e' limitato, ed il consenso dei medesimi in ordine all'estensione del diritto all'adozione alle coppie formate da persone dello stesso sesso non e' immediatamente rilevante (parr. 147, 148, 149), se in concreto si verifica una situazione, come nella fattispecie esaminata dalla Corte, di disparita' di trattamento tra coppie di fatto eterosessuali e dello stesso sesso non fondata su ragioni "serie" (non essendovi evidenze scientifiche dotate di un adeguato margine di certezza in ordine alla configurabilita' di eventuali pregiudizi per il minore derivanti dall'omogenitorialita', come riconosciuto anche dalla sentenza di questa Corte n. 601 del 2013).» (Cassazione civile sezione 1, 22 giugno 2016, n. 12962); - «Tantomeno potrebbe rilevare, ai fini di escludere la compatibilita' con l'ordine pubblico, quale sopra considerato, e quindi con il preminente interesse dei minori, delle adozioni per cui e' causa, il dato, conseguente, dell'inserimento degli stessi minori nel contesto di una famiglia costituita da coppia omosessuale, e delle possibili ripercussioni negative sul piano della crescita e dell'educazione, essendo qui sufficiente il richiamo a quanto gia' chiarito da questa Corte, in ordine all'ininfluenza di meri pregiudizi (Cassazione n. 601/2013; Cassazione n. 4184/2012) ed in ordine alla non incidenza dell'orientamento sessuale della coppia sull'idoneita' dell'individuo all'assunzione della responsabilita' genitoriale (Cassazione n. 15202/2017; Cassazione n. 12962/2016)» (Cassazione civile sezione I, 31 maggio 2018, n. 14007). Se dunque da un'unione civile scaturisce una famiglia della cui idoneita' ad accogliere e crescere il nuovo nato non si dubita, non sussistono spazi di valutazione politico legislativa per negare il diritto alla genitorialita', mediante accesso alla PMA, ad una coppia di donne unite civilmente. Cio' in quanto, nel caso di specie, non vi sono contrapposte esigenze tra le quali il legislatore sia chiamato a trovare un punto di equilibrio, non risultando pregiudicate in alcun modo le prerogative del nuovo nato, ne' venendo in rilievo le questioni di ordine etico, che la c.d. maternita' surrogata potrebbe sollevare (non viene coinvolto nella gestazione alcun soggetto esterno alla coppia richiedente, necessitandosi soltanto il ricorso, oramai consentito, alle pratiche di fecondazione eterologa). Al contrario il divieto, di accesso alla PMA da parte di persone dello stesso sesso costituisce, per le ragioni sopra esposte, chiara discriminazione fondata sull'orientamento sessuale, discriminazione che lede la dignita' della persona umana, giacche' il divieto posto implica una compressione o meglio una totale negazione del diritto alla genitorialita' (si veda l'ulteriore norma parametro costituita dall'art. 31 della Costituzione «La Repubblica ... Protegge la maternita'») sproporzionata ed irragionevole, in quanto essenzialmente priva di ragioni. Nel caso in esame viene inoltre in rilievo il contrasto delle disposizioni richiamate con la norma parametro dell'art. 32 della Costituzione («la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita', e garantisce cure gratuite agli indigenti»), poiche' alle ricorrenti viene preclusa la possibilita' di superare i rispettivi ostacoli riproduttivi, come sopra descritti tra le allegazioni delle stesse, secondo l'individuata strategia di complementarita' delle potenzialita' riproduttive residue (gestazionale dell'una, produzione ovarica dell'altra - cfr. Corte costituzionale, sentenza 10 giugno 2014, n. 162, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del comma terzo, art. 4 della legge n. 40/2004, nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all'art. 5, comma 1, della citata legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilita' o infertilita' assolute ed irreversibili), laddove la legge n. 40/2004 all'art. 1, individua quale scopo della PMA la «soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana». Alla signora F. ed alla signora R. viene negato cosi' dalla legge il diritto fondamentale alla salute riproduttiva, sol perche' componenti di coppia formata da persone dello stesso sesso. La natura espressa del divieto e della relativa sanzione in esame impediscono di procedere ad interpretazione della normativa in modo conforme a Costituzione. Ne' puo' procedersi alla disapplicazione dei citati articoli 5 e 12 della legge n. 40/2004 per contrasto con gli articoli 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) della CEDU, in quanto occorre sollevare questione di legittimita' costituzionale per contrasto della legge con la norma interposta della CEDU, cosi' come attratta dall'art. 117, comma 1 della Costituzione («la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» al rango sovra-primario. Parimenti si rende necessario in ogni caso e per le medesime ragioni denunciare di fronte alla Corte costituzionale italiana il sospetto di illegittimita' della normativa richiamata per incompatibilita' con ulteriore normativa internazionale pattizia, che per mere ragioni di completezza si indica negli articoli 2.1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (tali disposizioni recano ancora una volta il divieto di discriminazione ed il richiamo al necessario rispetto della vita privata e familiare), ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881; nonche' articoli 5, 6, 22.1, 23.1, 25 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilita' (tali disposizioni declinano il divieto di discriminazione e la promozione del diritto alla salute in relazione alle persone con disabilita', da intendersi anche quale disabilita' riproduttiva), ratificata e resa, esecutiva con legge n. 18 del 3 marzo 2009. Neppure sarebbe praticabile una disapplicazione diretta in forza dell'art. 21 della Carta europea dei diritti dell'uomo («E' vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilita', l'eta' o l'orientamento sessuale.»), recentemente divenuta giuridicamente vincolante nell'Unione europea, con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona del 2009, Carta che e' oggi parificata ai trattati dell'Unione. Quand'anche si ritenesse che la vicenda ricada nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea, quale discriminazione fondata sul sesso nell'ambito dell'accesso ai servizi (direttiva 13 dicembre 2004, n. 113 «Direttiva del Consiglio che attua il principio della parita' di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso di beni e servizi e la loro fornitura», cfr. articoli 1 e 2 della direttiva citata - art. 21 della Carta europea dei diritti dell'uomo), non si riterrebbe di procedere alla diretta disapplicazione della normativa nazionale contrastante, ne' a prioritario rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in ossequio al recente obiter dictum della Corte costituzionale, (Corte costituzionale, 14 dicembre 2017, n. 269), che ha cosi' argomentato: «i principi e i diritti enunciati nella Carta intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana (e dalle altre Costituzioni nazionali degli Stati membri). Sicche' puo' darsi il caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell'unione, come e' accaduto da ultimo in riferimento al principio di legalita' dei reati e delle pene (Corte di giustizia dell'Unione europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, M.A.S. M.B.) ... le violazioni dei diritti della persona postulano la necessita' di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtu' del principio che situa il sindacato accennato di costituzionalita' delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 della Costituzionale). La Corte giudichera' alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex articoli 11 e 117 della Costituzione), secondi l'ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall'art. 6 del trattato sull'Unione europea e dall'art. 52, comma 4 della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. In senso analogo, del resto, si sono orientate altre Corti costituzionali nazionali di antica tradizione (si veda ad esempio Corte costituzionale austriaca, sentenza 14 marzo 2012, U 466/11-18; U 1836/11-13). Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017), affinche' sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). D'altra parte, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE a quelle previste dalla Costituzione italiana puo' generare un concorso di rimedi giurisdizionali. A tale proposito, di fronte a casi di "doppia pregiudizialita'" - vale a dire di controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimita' costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilita' con il diritto dell'Unione -, la stessa Corte di giustizia ha a sua volta affermato che il diritto dell'Unione "non osta" al carattere prioritario del giudizio di costituzionalita' di competenza delle Corti costituzionali nazionali, purche' i giudici ordinari restino liberi di sottoporre alla Corte di giustizia, "in qualunque fase del procedimento ritengano appropriata e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi questione pregiudiziale a loro giudizio necessaria"; di "adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione"; di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalita', ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione (tra le altre, Corte di giustizia dell'Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 settembre 2014, nella causa C-112/13 A contro B e altri; Corte di giustizia dell'Unione europea, grande sezione, sentenza 22 giugno 2010, nelle cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli). In linea con questi orientamenti, questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimita' tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidita' del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del TFUE». Tale ricostruzione ha trovato alterno accoglimento presso la Suprema Corte di cassazione, che vi si e' talora adeguata (Cassazione civile sezione II, 16 febbraio 2018, n. 3831), talora discostata (Cassazione civile sezione lavoro, 17 maggio 2018, n. 12108; Cassazione civile sezione lavoro, 30 maggio 2018, n. 13678). Il sottoscritto giudice condivide le argomentazioni espresse dalla Consulta nel citato obiter della sentenza n. 269 del 2017, anche considerato che la Corte costituzionale nazionale pare costituire per il giudice del merito il piu' idoneo fautore di ordine nella complessita' del sistema di tutela multilivello, in grado peraltro di espungere dall'ordinamento, con effetto «erga omnes» la norma viziata, laddove, per contro, la Corte di giustizia dell'Unione europea e' unicamente chiamata ad esprimersi circa l'interpretazione del diritto eurounitario. L'ossequio al citato obiter evita infine l'introduzione in via surrettizia di un controllo di costituzionalita' diffusa, distonico rispetto all'ordinamento costituzionale interno. Resta tuttavia aperto il problema del modus procedendi maggiormente corretto in caso di contrasto tra la norma di legge ed urla norma di divieto antidiscriminatorio contenuta in una direttiva, dotata di effetti diretti in quanto espressiva di un divieto, ma di fatto riproduttiva delle prescrizioni di rango costituzionale che tutelano il diritto all'eguaglianza ed alla pari dignita'. In ogni caso questo giudice reputa inconferente il riferimento ad un'ipotetica discriminazione fondata sul sesso, giacche' a nessuna donna, in quanto tale, e' vietato l'accesso alle PMA, ma solo se la stessa sia inserita in una coppia formata da persone dello stesso sesso.
P. Q. M. Solleva questione di legittimita' costituzionale rispetto all'art. 5, limitatamente alle parole «di sesso diverso», all'art. 12, comma 2, limitatamente alle parole «dello stesso sesso o», anche in combinato disposto con i commi 9 e 10, nonche' agli articoli 1, commi 1 e 2, e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie formate da due persone di sesso femminile per violazione delle disposizioni della Costituzione: articoli 2, 3 inteso quale eguaglianza e non discriminazione per orientamento sessuale, sesso e disabilita', 3 inteso quale principio di ragionevolezza, 31 comma 2, 32 comma 1, nonche' 11 e 117, comma 1, in riferimento agli articoli 8 e 14 congiuntamente a 8, CEDU, agli articoli 2.1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e agli articoli 5, 6, 23.1, 25 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilita'. Sospende, per l'effetto, il presente giudizio cautelare. Dispone, ai sensi dell'art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta a cura della Cancelleria, sull'originale del presente provvedimento, la seguente annotazione, recante l'indicazione degli estremi dell'articolo citato, volta a precludere, in caso di riproduzione del provvedimento in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalita' e di altri dati identificativi di F.F. e M.R. riportati nel presente provvedimento: «in caso di diffusione omettere le generalita' e gli altri dati identificativi di F.F. e M.R.». Manda alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti costituite ed al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone l'immediata trasmissione, a cura della Cancelleria, della presente ordinanza e degli atti del giudizio alla Corte costituzionale, unitamene alla prova delle notificazioni e comunicazioni prescritte. Bolzano, 3 gennaio 2019 Il giudice: Laus