N. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2019
Ordinanza del 18 gennaio 2019 della Corte dei conti - Sez. giurisdizionale regionale per la Lombardia nel procedimento contabile Musumeci Salvatore Alfredo contro Ministero dell'economia e delle finanze, Guardia di finanza e INPS - Istituto nazionale di previdenza sociale. Impiego pubblico - Previsione per le categorie di personale, previste dall'articolo 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, che fruiscono del meccanismo di progressione automatica degli stipendi, che gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti stipendiali previsti dai rispettivi ordinamenti - Proroga sino al 31 dicembre 2014 delle disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori, del personale delle pubbliche amministrazioni - Ulteriore proroga sino al 31 dicembre 2015 delle disposizioni recate dall'art. 9, comma 21, primo e secondo periodo, del decreto-legge n. 78 del 2010 - Mancata previsione, per i soggetti cessati dal servizio durante il periodo di congelamento della progressione automatica stipendiale, della valorizzazione nella determinazione del trattamento di quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero stati maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 21, secondo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, art. 16, comma 1, lettera b), come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 15 luglio 2011, n. 111); legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)"), art. 1, comma 256.(GU n.28 del 10-7-2019 )
LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA Il Giudice unico delle pensioni Primo referendario dott.ssa Giuseppina Veccia in esito alla pubblica udienza del 6 novembre 2018 ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio pensionistico iscritto al n. 29152 del registro di Segreteria proposto da Musumeci Salvatore Alfredo (c.f. MSMSVT57M25C351M), nato a Catania il 25 agosto 1957, residente a Milano in via Bellincione n. 10, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dall'avv. Andrea Saccucci (p.e.c. avv.andreasaccucci@pec.it) e dall'avv. Matteo Magnano (p.e.c. matteomagnano@pec.it), presso lo studio dei quali, in Roma, via Lisbona n. 9, e' elettivamente domiciliato, contro: Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t.; Guardia di finanza, in persona del Comandante generale p.t.; Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), in persona del legale rappresentante p.t.; per la rideterminazione della pensione in relazione alla base pensionabile a cui avrebbe avuto diritto in assenza del c.d. "blocco retributivo" di cui all'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, Visti gli atti di causa; Udite, alla pubblica udienza del 6 novembre 2018, le parti comparse, come da verbale; Premesso in Fatto Il sig. Musumeci Salvatore Alfredo, Ufficiale della Guardia di Finanza, cessato dal servizio per limiti di eta' in data 26.08.2017, e' stato collocato in riserva dalla stessa data, ai sensi degli artt. 886, comma 1, e 992, comma 1, del Codice dell'Ordinamento Militare, D. Lgs. 15 marzo 2010 n. 66. Nell'atto introduttivo del giudizio, depositato in data 18 giugno 2018, i difensori, nel chiedere l'accoglimento del ricorso, hanno esposto: - che nei confronti del sig. Musumeci, appartenente ad una categoria di personale che fruisce di meccanismi di progressione automatica degli stipendi, non e' stato considerato utile, ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio, il periodo di servizio incluso negli anni 2011- 2015 a causa del c.d. "blocco retributivo" di cui all'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 e prorogato dapprima fino al 31 dicembre 2014 e poi ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2015, ai sensi dell'art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190; - che, di conseguenza, la pensione del ricorrente, calcolata in relazione ad una base pensionabile che non ha tenuto conto delle predette classi/scatti, risulterebbe inferiore a quella cui avrebbe avuto diritto in assenza del c.d. "blocco retributivo", verificandosi, a suo carico, oltre ad un effetto temporaneo sul trattamento retributivo, anche un effetto pregiudizievole e permanente sul trattamento pensionistico; - che, con istanza del 25.1.2018, il ricorrente ha chiesto in via amministrativa la rideterminazione della pensione in relazione alla base pensionabile a cui riteneva avere diritto, istanza rigettata dall'Amministrazione di appartenenza con nota del 19.3.2018, prot. n. 86217/2018; - che la normativa in oggetto e' stata posta al vaglio della Corte Costituzionale sia per la mancata maturazione delle classi e degli scatti nel periodo 2011-2015 (art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010), sia per la mancata considerazione ai fini economici delle progressioni di carriera disposte negli anni 2011-2014 (art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. n. 78/2010) e, per entrambi i profili, ritenuta conforme alla Costituzione, in quanto non lesiva del principio di cui all'art. 3 Cost. - sotto il duplice aspetto della non contrarieta' al principio di uguaglianza sostanziale ed a quello della non irragionevolezza - a condizione che i sacrifici richiesti abbiano "carattere eccezionale, transeunte, non arbitratio, consentaneo allo scopo prefissato, nonche' temporalmente limitato"; - che, tuttavia, la normativa richiamata e, nello specifico, il secondo periodo del comma 21 dell'art. 9, del D.L. n. 78/2010, nella lettura fornita dall'Amministrazione, farebbe discendere a carico del ricorrente effetti permanenti della "cristallizzazione", prevista, invece, dalla legge, in via temporanea e non definitiva; - che, inoltre, l'art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n. 94, ha previsto che "gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato" e, quindi, anche il servizio prestato negli anni 2011-2015. Per tutte le richiamate considerazioni, dunque, ricorrente, risultata vana l'istanza presentata in via amministrativa, ha chiesto che, in accoglimento di un'invocata interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, questo Giudice accerti il suo diritto alla rideterminazione della pensione e condanni le Amministrazioni convenute alta corresponsione dei ratei arretrati, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla maturazione di ciascun rateo ed, in subordine, ove non si ritenesse di poter addivenire all'accoglimento sopra ausicato, ha domandato che sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 - nella parte in cui non prevede la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche relative alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. L'istanza di rimessione alla Corte Costituzionale troverebbe ragione, per i patrocinanti del ricorrente, nei medesimi motivi gia' esposti nell'ordinanza di questa Corte dei conti, Sez. Liguria, n. 1/2013 - con cui e' stata rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. n. 78/2010, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione - nonche' nell'ulteriore profilo di disparita' di' trattamento conseguente all'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7, del D.lgs. 29 maggio 2017, n. 94 ("Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dall'articolo l, comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244") in forza del quale gli ufficiali cessati dal servizio dopo il 1° gennaio 2018 hanno ottenuto la determinazione della base pensionabile in ragione di un trattamento retributivo che tiene conto del servizio effettivamente prestato, quindi sulla base delle classi e scatti maturati durante tutta la durata del servizio svolto, compresi gli anni del c.d. "blocco retributivo". Con memoria pervenuta via PEC in data 12.10.2018, si e' costituita in giudizio la Guardia di finanza per dedurre l'impossibilita' di accordare al ricorrente la pretesa valorizzazione degli incrementi economici maturati e non percepiti in servizio, nonche' l'insussitenza dei presupposti per una rimessione della normativa in esame alla Consulta, alla luce delle plurime pronunce che, in fattispecie analoghe, hanno affermato la legittimita' del censurato meccanismo del blocco stipendiare. Con memoria pervenuta via PEC il 26 ottobre 2018 si e' costituito I'INPS per eccepire, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione di questa Corte dei conti, non ammessa, in forza degli artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214, a conoscere della pretesa al diverso trattamento stipendiale che, invece, e' da assumersi pregiudiziale rispetto al computo ai fini previdenziali e di quiescenza oggetto della presente controversia, nonche' per eccepire il difetto di legittimazione passiva dello stesso Istituto previdenziale, investito dalla pretesa attorea solo in via mediata ed indiretta, essendo esso escluso da ogni autonoma valutazione circa la legittimita' degli atti relativi allo status ed al trattamento economico quiescibile dei dipendenti statali. Con riguardo alla questione di legittimita' costituzionale della normativa di riferimento, la difesa dell'INPS ha rilevato come essa sia stata gia' oggetto di remissione con la citata ordinanza n. 1/2017 Sez. Liguria ed, in ogni caso, ha ritenuto non sussitere alcuna disparita' di trattamento - qui, invece, censurata - della posizione di chi e' stato collocato a riposo prima rispetto a quella di chi e' stato collocato a riposo dopo la fine del periodo in questione. All'udienza del 6 novembre 2018, con sentenza parziale n. 1 del 2019 respinte le eccezioni proposte da INPS ed affermata la giurisdizione della Corte dei conti nonche' la legittimazione passiva dell'istituto resistente nella presente controversia, e' stata dichiarata l'ammissibilita' del gravame e ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' prospettata da parte ricorrente, disponendo l'adozione di separata ordinanza per la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. Considerato in Diritto D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, connma l, della legge 30 luglio 2010, n. 122, contenente "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica", all'art. 9, comma 21, ha stabilito: "l meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorche' a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, peri predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici". Le suddette misure sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014 per effetto dell'art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, art. 1, comma 1, lett. a), contenente il regolamento di attuazione del D.L. n. 98/2011. Mentre, tuttavia, il periodo di efficacia del blocco degli effetti economici derivanti dalle progressioni di carriera si e' concluso al 31 dicembre 2014, la legge di stabilita' 23 dicembre 2014 n. 190, all'art. 1, comma 256, ha previsto la proroga fino al 31 dicembre 2015 delle disposizioni recate dall'art. 9, comma 21, primo e secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 in esame. Dunque, per il personale in regime di diritto pubblico che fruiva di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011-2015 non sono stati considerati utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti previsti dal proprio ordinamento, ripresa solo dal 1° gennaio 2016 ma senza considerare utile, ai predetti fini, il servizio prestato negli anni 2011-2015. Cio' premesso, il ricorrente lamenta che, a seguito dell'applicazione del predetto quadro normativo da parte delle Amministrazioni convenute, la propria pensione sia stata calcolata in relazione ad una base pensionabile che si ritiene abbia erroneamente non tenuto conto degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il "blocco retributivo" (2011-2015). Pertanto, la prima delle domande di parte ricorrente e' volta ad ottenere un'interpretazione secundum constitutionem delle disposizioni di cui al secondo e terzo periodo dell'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, nel senso che, ai fini della determinazione della base pensionabile, si debba tenere conto anche degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il il periodo dal 2011 al 2015 e degli incrementi stipendiali che sarebbero spettati in conseguenza delle progressioni di carriera disposte durante il periodo dal 2011 al 2014, al dichiarato fine di evitare una ritenuta illegittimita' che altrimenti deriverebbe dalla produzione di effetti permanenti ad opera di una disposizione cui dovrebbe riconoscersi, invece, natura eccezionale e carattere esclusivamente temporaneo e consentaneo allo scopo di un risparmio di spesa pubblica, per un periodo di tempo limitato. In subordine, nell'ipotesi di mancato accoglimento della prima istanza, il ricorrente ha chiesto di valutare la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010, nella parte in cui non prevede la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dai servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. Cosi' riassunta la pretesa attorea, la prima delle istanze formulate, volta ad una rideterminazione della base pensionabile che tenga conto anche degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) che sarebbero spettati durante il periodo dal 2011 al 2015 non puo' trovare accoglimento alla luce del vigente contesto normativo. Poiche', infatti, gli anni 2011-2015 sono stati dal legislatore esclusi dal computo degli anni "utili" alla maturazione dei benefici economici, ne deriva che il sig. Musumeci, cessato dai servizio per limiti di eta' in data 26.08.2017 e collocato in riserva dalla stessa data, abbia subito gli effetti permanenti del c.d. "blocco retributivo" nella misura in cui tali anni di servizio non sono stati computati ai fini degli incrementi stipendiali automatici (classi e scatti) mentre, invece, sono stati considerati, ai fini della determinazione della sua base pensionabile, gli incrementi stipendiali maturati dal 1° gennaio 2016 alla data del sua collocamento a riposo. Con riguardo alla seconda delle istanze formulate ed in specifica relazione alla ritenuta illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, per disparita' di trattamento rispetto a coloro che sono cessati dal servizio prima del c.d. "blocco contributivo", e' da dire che tali censure sono gia' state vagliate dalla Corte Costituzionale e ritenute infondate con la costante affermazione di legittimita' della regola limitativa degli incrementi stipendiali posta dall'art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, dichiaratamente al fine di contenere le spese in materia di impiego pubblico e con l'enunciazione del principio per cui "esigenze di politica economica giustificano interventi che, come quello in esame, comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione di carriera." (sentenza n. 96 del 2016). Anche con riguardo agli ulteriori effetti che il contenimento della retribuzione ha comportato ai fini della quantificazione del trattamento pensionistico, la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi in plurime pronunce. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 304 del 12 dicembre 2013, nel ritenere infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. n. 78/2010, promossa dal TAR del Lazio, ha affermato, con riferimento ad alcuni dei parametri che il rimettente riteneva violati (art. 2 e art. 3), che «la misura adottata e' giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalita' di temporanea "cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalita' per certi versi simili a quelle gia' giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999).» Quanto sopra premesso ed alla luce dei principi elaborati e delle considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale in riferimento al c.d. "blocco retributivo" e, soprattutto, con specifico riguardo agli effetti di esso sui trattamenti pensionistici, permane ed appare non manifestamente infondata la questione relativa all'ulteriore profilo di illegittimita', prospettato in via subordinata dal ricorrente con riguardo alla normativa in esame ove considerata congiuntamente al disposto dell'arti 1, comma 7, del D. lgs. n. 94 che consente (solo) agli ufficiali generali e gli ufficiali superiori collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018, di ottenere la determinazione della base pensionabile tenendo conto del servizio effettivamente prestato, quindi anche sulla base delle classi e scatti maturati nel periodo del c.d. "blocco retributivo". Si duole il ricorrente, infatti, che dalla disciplina cosi delineata ne conseguirebbe una violazione dell'art. 3 della Costituzione, in termini di irragionevolezza e disparita' di trattamento, rese palesi ove si consideri che per i soggetti collocati in quiescenza durante blocco retributivo (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015) e per quelli collocati in quiescenza dopo la cessazione del blocco retributivo ma prima dell'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7, del D. lgs. n. 94/2017 (dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017) permane la mancata valorizzazione in quiescenza, con effetto permanente per tutta la durata del trattamento pensionistico, di elementi pensionabili, quali gli incrementi stipendiali automatici che sarebbero maturati durante il periodo del blocco retributivo, mentre, in forza del citato art. 11, comma 7, del D. lgs. n. 94/2017, gli ufficiali generali e gli ufficiali superiori collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018 possono ottenere la determinazione della base pensionabile tenendo conto del servizio effettivamente prestato, quindi anche sulla base delle classi e scatti maturati nel periodo del c.d. "blocco retributivo". Pertanto, l'interessato ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 (e successive proroghe) anche in considerazione dell'art. 11, comma 7, del D.lgs. 29 maggio 2017, n. 94, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il duplice profilo della contrarieta' al principio della ragionevolezza ed al principio di uguaglianza. Tale questione, rilevante ai fini del riconoscimento del diritto pensionistico vantato davanti a questo Giudice, si appalesa non manifestamente infondata nei limiti e per i motivi che seguono. La mancata previsione della valorizzazione in quiescenza degli emolumenti stipendiali non fruiti a causa della "cristallizzazione" degli adeguamenti retributivi e' stata, infatti, riconosciuta legittima alla luce della insindacabile discrezionalita' del legislatore che ha reso definitivi tali sacrifici. Anche l'ulteriore profilo di illegittimita', sotto lo specifica aspetto della disparita' di trattamento, e' stato escluso con riguardo al differenziato regime pensionistico spettante prima e dopo la scadenza del quadriennio, giustificato alla luce della differente retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis. La Corte Costituzionale, infatti, per ultimo con sentenza n. 200 del 2018 - sulla specifica questione di legittimita' costituzionale sollevata dal giudice remittente che evidenziava, sempre in riferimento all'art. 3 Cost., l'ingiustificata disparita' di trattamento tra i pubblici dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio e quelli collocati dopo tale periodo - ha ribadito il principio in forza del quale "e' determinante considerare che il "fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile - calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento e' la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento". Nella medesima pronuncia il Giudice delle leggi ha, altresi', ribadito che «La circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente "promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che percio' sia leso il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014).» In breve nella citata sentenza n. 200/2018 si e' affermato che, una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera (ma il principio e' pacificamente estensibile anche per i meccanismi di adeguamento retributivo) senza che piu' si dubiti della legittimita' costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilita' in melius della retribuzione (per tutte, sentenza C.Cost.n. 310 del 2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale e' generalizzata e non consente di porre a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo, in quanto cio' che solo e' determinante e' la retribuzione spettante, seconda la disciplina applicabile ratione temporis, sulla base del "fluire del tempo", "senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza". Da tale principio, dunque, deriva che la data del collocamento a riposo puo' avere incidenza sul quantum del trattamento pensionistico solo ove diversa sia la retribuzione, dunque, la base pensionabile, in ragione della disciplina applicabile ratione temporis. Dati per acquisiti detti insegnamenti, tuttavia, il quadro normativa di riferimento della fattispecie posta alla decisione di questo Giudice (art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 ed art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n. 94) evidenzia un palese profilo di illegittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 3 della Costituzione. Anzitutto sotto il profilo della disparita' di trattamento. Entrambe le categorie, infatti, - da un lato, i soggetti collocati in quiescenza durante il blocco retributivo (dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015) e quelli collocati in quiescenza dopo la cessazione del blocco retributivo (dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2017) e, dall'altro, gli ufficiali generali e gli ufficiali superiori collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018, hanno subito, ai sensi dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010, la mancata valorizzazione "degli anni di servizio utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti". Detto nocumento, tuttavia, con l'entrata in vigore dell'art. 11, comma 7, del D.lgs. 29 maggio 2017, n. 94, e' venuto meno in via retroattiva, per i soli ufficiali superiori ed ufficiali generali che sono stati reinquadrati, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche, "tenendo in considerazione gli anni di servizio effettivamente prestato", e quindi anche il servizio prestato negli anni 2011-2015. A far variare, dunque, la base pensionabile, per i soli ufficiali generali ed ufficiali superiori collocati in quiescenza successivamente al 1° gennaio 2018, non e' intervenuta una modifica del regime retributivo e della conseguente base pensionabile - in conformita' all'insegnamento della Corte Costituzionale che nell'avvicendarsi dei diversi regimi retributivi da applicarsi ratione temporis ha costantemente individuato il fondamento di legittimita' di differenziati trattamenti pensionistici - bensi' una norma, l'art. 1, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n. 94 che, agendo retroattivamente e non secondo il "fluire del tempo", ha disposto il reinquadramento nelle rispettive posizioni economiche "tenendo in considerazione tutto il servizio effettivamente prestato", con il risultato di escludere di fatto, per tale limitata cerchia di soggetti, il blocco degli adeguamenti retributivi gia' verificatosi per tutti coloro che erano incorsi nella c.d. "cristallizzazione" durante gli anni dal 2011 al 2015. Ne', se non a tale censurabile fine, il legislatore avrebbe avuto ragione di intrevenire, essendo gia' positivamente e pacificamente previsto che, una volta cessato il c.d. "blocco retributivo", per tutti coloro collocati in quiescenza successivamente, devono essere utilmente computati gli anni di servizio prestati dal 1° gennaio 2016 e fino al collocamento a riposo. Ne consegue che il dettato dell'art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n. 94 altro effetto non possa avere se non quello di ricomprendervi, solo in favore di una classe di soggetti, anche il computo, a fini economici, degli anni 2011-2015, esclusi per tutti gli altri ai sensi dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010. Non appare utile, infine, in tale quadro norrnativo, eccepire la discrezionalita' del legislatore ed il fatto che la norma di cui all'art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n.94 introduca un trattamento di favore non suscettibile di estensione, in quanto la salvaguardia di tale ambito di discrezionalita' non esime dall'accertare se non vi siano manifesti motivi di irrazionalita' e discriminazioni prive di fondamento giustificativo e, pertanto, violative dell'art. 3 della Costituzione sia sotto il profilo della disparita' di trattamento, sia sotto quello dell'intrinseca irrazionalita', per non aver adeguatamente ponderato il legislatore del 2017 la situazione che si era determinata anche in forza dei precedenti atti normativi (cosi', in fattispecie simile, Corte cost. 185/1995). A sostegno della prospettata non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' delle norme in argomento, sotto il profilo della disparita' di trattamento, giova, inoltre, richiamare la pronuncia n. 163/1993 della Corte Costituzionale laddove si legge «[...] ll principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui e' indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico od omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali e' stata definita quella determinata categoria di persone. Al contrario, ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sara' conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono." In breve, il principio di eguaglianza pone l'esigenza di verificare che non sussista violazione di alcuno dei seguenti criteri: a) la correttezza della classificazione operata dal legislatore in relazione ai soggetti considerati, tenuto conto della disciplina normativa apprestata; b) la previsione da parte dello stesso legislatore di un trattamento giuridico omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali della classe (o delle classi) di persone cui quel trattamento e' riferito; c) la proporzionalita' del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina normativa considerata: proporzionalita' che va esaminata in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita. E nel caso di specie, le menzionate previsioni normative hanno comportato l'applicazione di un trattamento giuridico, sub specie pensionistico, differenziato tra coloro che sono stati collocati in quiescenza anteriormente al 1° gennaio 2018 e coloro che sono stati collocati successivamente a tale data, pur avendo, tali classi di persone, caratteristiche essenziali omogenee, per essere state tutte soggette nel periodo 2011-2015 al c.d. "blocco retributivo", ed ove il discrimine e' stato posto unicamente dal legisatore con una norma di favore per gli ufficiali superiori e gli ufficiali generali collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018, finendo, dunque, per attribuire rilevanza unicamente alla data del pensionamento, contrariamente a quanto statuito dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 200/2018, ove si legge: "Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurate, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali e' quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza." L'art. 3 della Costituzione, inoltre, appare violato anche sotto il diverso profilo della ragionevolezza, ravvisabile in quella intrinseca contraddittorieta' tra la ratio della disposizione e il suo contenuto normativa che da' luogo al vizio di eccesso di potere legislativo, anch'esso riconducibile alla sfera applicativa del citato art. 3 Cost. (sentenze n. 172 del 2006, n. 146 del 1996 e n. 313 del 1995 e n. 279 del 2012). Per valutare l'esistenza di' tale vizio, tuttavia, e' necessario procedere ad una lettura integrale, e non parziale, delle norme impugnate, come emerge dalla costante giurisprudenza della Corte Costituzionale (ex multis, sentenza n. 402 del 2007), ovvero ad una lettura «dell'intero quadro normativo» di riferimento del settore legislativo nel quale si inseriscono le stesse norme (sentenza n. 172 del 2006). All'esito di questo esame complessivo, puo' infatti valutarsi l'eventuale esistenza del vizio in questione, con particolare riferimento alla ratio dell'intervento legislativo ed alla sua eventuale irragionevolezza o contraddittorieta', ed allo sviamento della funzione legislativa. Detta intrinseca contraddittorieta' tra la ratio della disposizione e il suo contenuto normativo sembrerebbe palesarsi nel quadro normativo in esame. E' pacificamente rimessa, infatti, alla discrezionalita' legislativa, col solo limite della palese irrazionalita', la definizione dei modi e della misura dei trattamenti di quiescenza, nonche' le variazioni dell'ammontare delle prestazioni, alle quali il legislatore giunge attraverso un bilanciamento fra valori contrapposti che contemperi le esigenze di vita dei beneficiari con le concrete disponibilita' finanziarie e le esigenze di bilancio (v., ex plurimis la sentenza n. 390 del 1995 e sentenza n. 531 del 1988). Peraltro, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale (sentenza n. 409/1998), il "fluire del tempo" costituisce, di per se', idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive, anche nella specifica materia previdenziale, dal momento che differenziazioni temporali agevolative nell'ambito di una stessa categoria di soggetti si giustificano con la necessita' di bilanciamento con le disponibilita' delle risorse indispensabili a tal fine e con le connesse esigenze finanziarie (ex plurimis sentenze n. 175 del 1997, n. 311 del 1995, nn. 385 e 378 del 1994, n. 243 del 1993, nn. 455 e 95 del 1992). Pertanto, se il sacrificio imposto da tali misure al trattamento retributivo (e conseguentemente pensionistico) dei dipendenti pubblici e' stato ritenuto ragionevole dalla Corte Costituzionale sul presupposto del suo carattere temporaneo e giustificato dalle esigenze di contenimento della spesa pubblica per un periodo di tempo limitato, (cfr. Corte Cost., sentenze n.304/2013, n.310/2013 e n.154/2014), tale ratio non appare piu' coerente con Il contenuto della disciplina normativa complessivamente derivato dalle disposizioni qui censurate, in forza delle quali il sacrificio a tutti imposto con l'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010 in relazione alle individuate esigenze - anche pluriennali, ma pur sempre limitate nel tempo - di riequilibrio di bilancio, e' divenuto permanente per alcuni soggetti ma e' stato rimosso per altri, senza che sia intervenuta, in favore di questi ultimi, alcuna variazione retributiva se non il reinquadramento, a decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle rispettive posizioni economiche e, quindi, rimuovendo, di fatto, solo per detti soggetti, gli effetti permanenti del c.d."blocco retributivo" negli anni 2011- 2015, in violazione della ratio che aveva imposto detto sacrificio per generali esigenze di politica economica, indistintamente a tutti i lavoratori pubblici dipendenti. In conclusione, il quadro normativo di riferimento porta ad una ingiustificata differente determinazione dei trattamento pensionistico - a causa del diverso computo degli anni 2011-2015 ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio - per i soggetti collocati in quiescenza dal 1°gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, rispetto agli ufficiali generali ed agli ufficiali superiori collocati in quiescenza a partire dal 1° gennaio 2018 ed e' determinante e rilevante nel presente caso, essendo questo giudice chiamato a decidere sul quantum del trattamento di quiescenza di soggetto cessato dal servizio nel periodo anteriore al 1° gennaio 2018.
P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale regionale per la Lombardia, visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, solleva in quanto rilevante per la decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n.122; - dell'art. 16, comma l, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); - dall'art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e piuriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2015"); - anche in considerazione dell'art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n. 94 ("Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244"), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui dette norme, per il personale di cui all'art. 3 del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, cessato dal servizio dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione in quiescenza, a far data dalla cessazione dal servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni stipendiali automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi ed agli scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria della Sezione, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Cosi' provveduto in Milano il 6 novembre 2018. Il Giudice: Veccia