N. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2019

Ordinanza  del  18  gennaio  2019  della  Corte  dei  conti  -   Sez.
giurisdizionale regionale per la Lombardia nel procedimento contabile
Musumeci Salvatore Alfredo contro  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, Guardia di finanza e INPS - Istituto nazionale di previdenza
sociale. 
 
Impiego pubblico - Previsione per le categorie di personale, previste
  dall'articolo 3 del d.lgs. n.  165  del  2001,  che  fruiscono  del
  meccanismo di progressione automatica degli stipendi, che gli  anni
  2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini  della  maturazione  delle
  classi  e  degli  scatti  stipendiali   previsti   dai   rispettivi
  ordinamenti - Proroga sino al 31 dicembre 2014  delle  disposizioni
  che  limitano  la  crescita  dei   trattamenti   economici,   anche
  accessori,  del  personale  delle   pubbliche   amministrazioni   -
  Ulteriore proroga sino  al  31  dicembre  2015  delle  disposizioni
  recate  dall'art.  9,  comma  21,  primo  e  secondo  periodo,  del
  decreto-legge n. 78 del 2010 - Mancata previsione, per  i  soggetti
  cessati dal servizio  durante  il  periodo  di  congelamento  della
  progressione automatica  stipendiale,  della  valorizzazione  nella
  determinazione del trattamento di  quiescenza,  a  far  data  dalla
  cessazione dal servizio, degli  emolumenti  pensionabili  derivanti
  dalle progressioni stipendiali automatiche che  sarebbero  spettate
  in relazione alle classi e agli scatti che sarebbero stati maturati
  nel periodo dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. 
- Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 9, comma 21, secondo periodo; decreto-legge 6 luglio 2011,  n.
  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
  convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n.  111,
  art. 16, comma 1, lettera b),  come  specificato  dall'articolo  1,
  comma 1, lettera a), primo  periodo,  del  decreto  del  Presidente
  della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento  in  materia
  di proroga del blocco  della  contrattazione  e  degli  automatismi
  stipendiali per i pubblici dipendenti, a  norma  dell'articolo  16,
  commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 15 luglio 2011, n. 111); legge 23
  dicembre 2014, n. 190 ("Disposizioni per la formazione del bilancio
  annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di  stabilita'  2015)"),
  art. 1, comma 256. 
(GU n.28 del 10-7-2019 )
 
                         LA CORTE DEI CONTI 
         SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
 
 
                   Il Giudice unico delle pensioni 
 
    Primo referendario  dott.ssa  Giuseppina  Veccia  in  esito  alla
pubblica udienza del 6  novembre  2018  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza  nel  giudizio  pensionistico  iscritto  al  n.  29152  del
registro di Segreteria proposto da Musumeci Salvatore  Alfredo  (c.f.
MSMSVT57M25C351M), nato a Catania il  25  agosto  1957,  residente  a
Milano in via  Bellincione  n.  10,  rappresentato  e  difeso,  anche
disgiuntamente,      dall'avv.      Andrea      Saccucci      (p.e.c.
avv.andreasaccucci@pec.it)  e  dall'avv.   Matteo   Magnano   (p.e.c.
matteomagnano@pec.it), presso lo  studio  dei  quali,  in  Roma,  via
Lisbona n. 9, e' elettivamente domiciliato, contro: 
        Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del
Ministro p.t.; 
        Guardia di finanza, in persona del Comandante generale p.t.; 
        Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS),  in  persona
del legale rappresentante p.t.; 
    per la rideterminazione della pensione  in  relazione  alla  base
pensionabile a cui avrebbe avuto diritto in assenza del c.d.  "blocco
retributivo" di cui all'art. 9, comma 21, secondo periodo,  del  D.L.
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con  modificazioni,  in  legge  30
luglio 2010, n. 122, 
    Visti gli atti di causa; 
    Udite, alla pubblica  udienza  del  6  novembre  2018,  le  parti
comparse, come da verbale; 
    Premesso in 
 
                                Fatto 
 
    Il sig. Musumeci Salvatore Alfredo, Ufficiale  della  Guardia  di
Finanza, cessato dal servizio per limiti di eta' in data  26.08.2017,
e' stato collocato in riserva dalla stessa data, ai sensi degli artt.
886, comma 1, e 992, comma 1, del Codice  dell'Ordinamento  Militare,
D. Lgs. 15 marzo 2010 n. 66. 
    Nell'atto introduttivo del giudizio, depositato in data 18 giugno
2018, i difensori, nel chiedere  l'accoglimento  del  ricorso,  hanno
esposto: 
        - che nei confronti del sig. Musumeci,  appartenente  ad  una
categoria di personale che  fruisce  di  meccanismi  di  progressione
automatica degli stipendi, non e' stato considerato  utile,  ai  fini
della maturazione delle  classi  e  degli  scatti  di  stipendio,  il
periodo di servizio incluso negli anni 2011- 2015 a  causa  del  c.d.
"blocco retributivo" di cui all'art. 9, comma  21,  secondo  periodo,
del D.L. 31 maggio 2010, n. 78,  convertito,  con  modificazioni,  in
legge 30 luglio 2010, n. 122 e prorogato dapprima fino al 31 dicembre
2014 e poi ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2015, ai sensi
dell'art. 1, comma 256, della legge 23 dicembre 2014, n. 190; 
        - che, di conseguenza, la pensione del ricorrente,  calcolata
in relazione ad una base pensionabile che non ha tenuto  conto  delle
predette classi/scatti, risulterebbe inferiore a quella  cui  avrebbe
avuto   diritto   in   assenza   del   c.d.   "blocco   retributivo",
verificandosi, a suo carico,  oltre  ad  un  effetto  temporaneo  sul
trattamento  retributivo,  anche   un   effetto   pregiudizievole   e
permanente sul trattamento pensionistico; 
        - che, con istanza del 25.1.2018, il ricorrente ha chiesto in
via amministrativa la rideterminazione della  pensione  in  relazione
alla  base  pensionabile  a  cui  riteneva  avere  diritto,   istanza
rigettata  dall'Amministrazione  di   appartenenza   con   nota   del
19.3.2018, prot. n. 86217/2018; 
        - che la normativa in oggetto e' stata posta al vaglio  della
Corte Costituzionale sia per la mancata maturazione  delle  classi  e
degli scatti  nel  periodo  2011-2015  (art.  9,  comma  21,  secondo
periodo, del D.L. n. 78/2010), sia per la mancata  considerazione  ai
fini economici delle progressioni di  carriera  disposte  negli  anni
2011-2014 (art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. n.  78/2010)  e,
per entrambi i  profili,  ritenuta  conforme  alla  Costituzione,  in
quanto non lesiva del principio di cui all'art. 3 Cost.  -  sotto  il
duplice aspetto della non contrarieta' al  principio  di  uguaglianza
sostanziale ed a quello della non irragionevolezza - a condizione che
i sacrifici richiesti abbiano "carattere eccezionale, transeunte, non
arbitratio, consentaneo allo scopo prefissato, nonche'  temporalmente
limitato"; 
        - che, tuttavia, la normativa richiamata e, nello  specifico,
il secondo periodo del comma 21 dell'art. 9,  del  D.L.  n.  78/2010,
nella lettura  fornita  dall'Amministrazione,  farebbe  discendere  a
carico del ricorrente effetti permanenti  della  "cristallizzazione",
prevista, invece, dalla legge, in via temporanea e non definitiva; 
        - che, inoltre, l'art. 11, comma 7, del  D.  lgs.  29  maggio
2017, n. 94, ha previsto che "gli ufficiali superiori e gli ufficiali
generali sono reinquadrati, a decorrere dal 1°  gennaio  2018,  nelle
rispettive posizioni economiche, tenendo in considerazione  gli  anni
di servizio effettivamente prestato" e,  quindi,  anche  il  servizio
prestato negli anni 2011-2015. 
    Per  tutte  le  richiamate  considerazioni,  dunque,  ricorrente,
risultata vana l'istanza presentata in via amministrativa, ha chiesto
che,    in    accoglimento     di     un'invocata     interpretazione
costituzionalmente orientata del citato art.  9,  comma  21,  secondo
periodo, del D.L. n. 78/2010, questo Giudice accerti il  suo  diritto
alla rideterminazione della pensione e  condanni  le  Amministrazioni
convenute alta corresponsione dei ratei arretrati, oltre alla maggior
somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla
maturazione di ciascun rateo ed, in subordine, ove non  si  ritenesse
di poter addivenire all'accoglimento sopra ausicato, ha domandato che
sia dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la  questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  comma  21,   secondo
periodo, del D.L. n. 78/2010 - nella parte  in  cui  non  prevede  la
valorizzazione  in  quiescenza,  a  far  data  dalla  cessazione  dal
servizio, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle  progressioni
stipendiali automatiche relative  alle  classi  ed  agli  scatti  che
sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio  2011  al  31  dicembre
2015. 
    L'istanza di  rimessione  alla  Corte  Costituzionale  troverebbe
ragione, per i patrocinanti del ricorrente, nei medesimi motivi  gia'
esposti nell'ordinanza di questa Corte dei conti,  Sez.  Liguria,  n.
1/2013 - con cui  e'  stata  rimessa  alla  Corte  costituzionale  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo
periodo, del D.L. n.  78/2010,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione -  nonche'  nell'ulteriore  profilo  di  disparita'  di'
trattamento conseguente all'entrata in vigore dell'art. 11, comma  7,
del D.lgs. 29  maggio  2017,  n.  94  ("Disposizioni  in  materia  di
riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate,
ai sensi dall'articolo l, comma 5, secondo periodo,  della  legge  31
dicembre 2012, n. 244") in forza del quale gli ufficiali cessati  dal
servizio dopo il 1° gennaio 2018  hanno  ottenuto  la  determinazione
della base pensionabile in ragione di un trattamento retributivo  che
tiene conto del servizio effettivamente prestato, quindi  sulla  base
delle classi e scatti maturati durante tutta la durata  del  servizio
svolto, compresi gli anni del c.d. "blocco retributivo". 
    Con  memoria  pervenuta  via  PEC  in  data  12.10.2018,  si   e'
costituita  in   giudizio   la   Guardia   di   finanza per   dedurre
l'impossibilita' di accordare al ricorrente la pretesa valorizzazione
degli incrementi economici maturati  e  non  percepiti  in  servizio,
nonche' l'insussitenza  dei  presupposti  per  una  rimessione  della
normativa in esame alla Consulta, alla luce  delle  plurime  pronunce
che, in fattispecie analoghe, hanno  affermato  la  legittimita'  del
censurato meccanismo del blocco stipendiare. 
    Con memoria pervenuta via PEC il 26 ottobre 2018 si e' costituito
I'INPS  per  eccepire,  in   via   pregiudiziale,   il   difetto   di
giurisdizione di questa Corte dei conti, non ammessa, in forza  degli
artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934  n.  1214,  a  conoscere  della
pretesa  al  diverso  trattamento  stipendiale  che,  invece,  e'  da
assumersi pregiudiziale rispetto al computo ai fini  previdenziali  e
di  quiescenza  oggetto  della  presente  controversia,  nonche'  per
eccepire il difetto di legittimazione passiva dello  stesso  Istituto
previdenziale, investito dalla pretesa attorea solo in via mediata ed
indiretta, essendo esso escluso da ogni autonoma valutazione circa la
legittimita' degli  atti  relativi  allo  status  ed  al  trattamento
economico quiescibile dei dipendenti statali. 
    Con riguardo alla questione di legittimita' costituzionale  della
normativa di riferimento, la difesa dell'INPS ha rilevato  come  essa
sia stata gia' oggetto di  remissione  con  la  citata  ordinanza  n.
1/2017 Sez. Liguria ed, in  ogni  caso,  ha  ritenuto  non  sussitere
alcuna disparita' di trattamento - qui,  invece,  censurata  -  della
posizione di chi e' stato collocato a riposo prima rispetto a  quella
di chi e' stato collocato a  riposo  dopo  la  fine  del  periodo  in
questione. 
    All'udienza del 6 novembre 2018, con sentenza parziale n.  1  del
2019  respinte  le  eccezioni  proposte  da  INPS  ed  affermata   la
giurisdizione della Corte dei conti nonche' la legittimazione passiva
dell'istituto  resistente  nella  presente  controversia,  e'   stata
dichiarata l'ammissibilita' del gravame e ritenuta la  non  manifesta
infondatezza della  questione  di  costituzionalita'  prospettata  da
parte ricorrente, disponendo l'adozione di separata ordinanza per  la
rimessione degli atti alla Corte Costituzionale. 
    Considerato in 
 
                               Diritto 
 
    D.L. 31  maggio  2010,  n.  78,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, connma l, della legge 30 luglio 2010, n. 122, contenente
"Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica", all'art. 9, comma  21,  ha  stabilito:  "l
meccanismi  di  adeguamento  retributivo   per   il   personale   non
contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165, cosi' come previsti dall'articolo 24 della  legge
23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012  e
2013 ancorche' a titolo di acconto, e  non  danno  comunque  luogo  a
successivi  recuperi.  Per  le  categorie   di   personale   di   cui
all'articolo 3 del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e
successive  modificazioni,  che  fruiscono  di   un   meccanismo   di
progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011,  2012  e  2013
non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli  scatti
di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di
cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165  e
successive  modificazioni  le  progressioni  di   carriera   comunque
denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013  hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente  giuridici.  Per
il personale contrattualizzato le progressioni di  carriera  comunque
denominate ed i passaggi tra le  aree  eventualmente  disposte  negli
anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, peri  predetti  anni,  ai  fini
esclusivamente giuridici". 
    Le suddette misure sono state prorogate fino al 31 dicembre  2014
per effetto dell'art. 16, comma 1, lettera b),  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del D.P.R. 4 settembre 2013, n.
122, art.  1,  comma  1,  lett.  a),  contenente  il  regolamento  di
attuazione del D.L. n. 98/2011. 
    Mentre, tuttavia,  il  periodo  di  efficacia  del  blocco  degli
effetti economici derivanti dalle  progressioni  di  carriera  si  e'
concluso al 31 dicembre 2014, la legge di stabilita' 23 dicembre 2014
n. 190, all'art. 1, comma 256, ha previsto  la  proroga  fino  al  31
dicembre 2015 delle disposizioni recate dall'art. 9, comma 21,  primo
e secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 in esame. 
    Dunque, per il personale in regime di diritto pubblico che fruiva
di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli  anni
2011-2015 non sono stati considerati utili ai fini della  maturazione
delle classi e degli scatti previsti dal proprio ordinamento, ripresa
solo dal 1° gennaio 2016 ma  senza  considerare  utile,  ai  predetti
fini, il servizio prestato negli anni 2011-2015. 
    Cio'   premesso,   il   ricorrente   lamenta   che,   a   seguito
dell'applicazione  del  predetto  quadro  normativo  da  parte  delle
Amministrazioni convenute, la propria pensione sia stata calcolata in
relazione ad una base pensionabile che si ritiene abbia  erroneamente
non tenuto conto degli incrementi stipendiali  automatici  (classi  e
scatti)  che  sarebbero  spettati  durante  il  "blocco  retributivo"
(2011-2015). 
    Pertanto, la prima delle domande di parte ricorrente e' volta  ad
ottenere    un'interpretazione    secundum    constitutionem    delle
disposizioni di cui al secondo e terzo periodo dell'art. 9, comma 21,
del D.L. n. 78/2010, nel senso  che,  ai  fini  della  determinazione
della base pensionabile, si debba tenere conto anche degli incrementi
stipendiali automatici  (classi  e  scatti)  che  sarebbero  spettati
durante il il periodo dal 2011 al 2015 e degli incrementi stipendiali
che sarebbero spettati in conseguenza delle progressioni di  carriera
disposte durante il periodo dal 2011 al 2014, al dichiarato  fine  di
evitare una ritenuta illegittimita' che altrimenti deriverebbe  dalla
produzione di effetti permanenti ad opera  di  una  disposizione  cui
dovrebbe  riconoscersi,  invece,  natura  eccezionale   e   carattere
esclusivamente temporaneo e consentaneo allo scopo di un risparmio di
spesa pubblica, per un periodo di tempo limitato. 
    In subordine, nell'ipotesi di mancato  accoglimento  della  prima
istanza, il ricorrente ha chiesto di  valutare  la  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L.  n.  78/2010,  nella
parte in cui non prevede la valorizzazione in quiescenza, a far  data
dalla  cessazione  dai  servizio,   degli   emolumenti   pensionabili
derivanti dalle progressioni stipendiali  automatiche  che  sarebbero
spettate in relazione alle classi ed agli scatti maturati nel periodo
dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2015. 
    Cosi' riassunta  la  pretesa  attorea,  la  prima  delle  istanze
formulate, volta ad una rideterminazione della base pensionabile  che
tenga conto anche degli incrementi stipendiali automatici  (classi  e
scatti) che sarebbero spettati durante il periodo dal  2011  al  2015
non  puo'  trovare  accoglimento  alla  luce  del  vigente   contesto
normativo. 
    Poiche', infatti, gli anni 2011-2015 sono stati  dal  legislatore
esclusi dal computo degli anni "utili" alla maturazione dei  benefici
economici, ne deriva che il sig. Musumeci, cessato dai  servizio  per
limiti di eta' in data 26.08.2017 e collocato in riserva dalla stessa
data,  abbia  subito  gli  effetti  permanenti   del   c.d.   "blocco
retributivo" nella misura in cui tali anni di servizio non sono stati
computati ai fini degli incrementi stipendiali automatici  (classi  e
scatti)  mentre,  invece,  sono  stati  considerati,  ai  fini  della
determinazione  della   sua   base   pensionabile,   gli   incrementi
stipendiali  maturati  dal  1°  gennaio  2016  alla  data   del   sua
collocamento a riposo. 
    Con riguardo alla seconda delle istanze formulate ed in specifica
relazione alla ritenuta illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9,
comma 21, del D.L. n. 78/2010, per disparita' di trattamento rispetto
a coloro che  sono  cessati  dal  servizio  prima  del  c.d.  "blocco
contributivo", e' da dire che tali censure sono gia'  state  vagliate
dalla Corte Costituzionale  e  ritenute  infondate  con  la  costante
affermazione di legittimita' della regola limitativa degli incrementi
stipendiali posta  dall'art.  9,  comma  21,  del  D.L.  n.  78/2010,
dichiaratamente al fine di contenere le spese in materia  di  impiego
pubblico e con l'enunciazione del  principio  per  cui  "esigenze  di
politica economica giustificano interventi che, come quello in esame,
comprimono  solo  temporaneamente  gli  effetti   retributivi   della
progressione di carriera." (sentenza n. 96 del 2016). 
    Anche con riguardo agli ulteriori  effetti  che  il  contenimento
della retribuzione ha comportato ai fini  della  quantificazione  del
trattamento pensionistico, la Corte Costituzionale ha avuto  modo  di
esprimersi in plurime pronunce. 
    La Corte Costituzionale con la sentenza n. 304  del  12  dicembre
2013,  nel  ritenere   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21,  terzo  periodo,  del  D.L.  n.
78/2010, promossa dal TAR del Lazio, ha affermato, con riferimento ad
alcuni dei parametri che il rimettente riteneva  violati  (art.  2  e
art. 3), che «la misura adottata  e'  giustificata  dall'esigenza  di
assicurare la  coerente  attuazione  della  finalita'  di  temporanea
"cristallizzazione" del trattamento economico dei dipendenti pubblici
per inderogabili  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica,
realizzata con  modalita'  per  certi  versi  simili  a  quelle  gia'
giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze  n.
496 e n.  296  del  1993;  ordinanza  n.  263  del  2002),  anche  in
considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto  ai
dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999).» 
    Quanto sopra premesso ed alla luce dei principi elaborati e delle
considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale in riferimento  al
c.d. "blocco retributivo" e, soprattutto, con specifico riguardo agli
effetti di esso sui trattamenti pensionistici, permane ed appare  non
manifestamente infondata la questione relativa all'ulteriore  profilo
di illegittimita', prospettato in via subordinata dal ricorrente  con
riguardo alla normativa in esame ove  considerata  congiuntamente  al
disposto dell'arti 1, comma 7, del D. lgs. n. 94 che consente  (solo)
agli ufficiali  generali  e  gli  ufficiali  superiori  collocati  in
pensione dopo il 1° gennaio 2018, di ottenere la determinazione della
base pensionabile tenendo conto del servizio effettivamente prestato,
quindi anche sulla base delle classi e scatti  maturati  nel  periodo
del c.d. "blocco retributivo". 
    Si duole  il  ricorrente,  infatti,  che  dalla  disciplina  cosi
delineata  ne  conseguirebbe  una  violazione   dell'art.   3   della
Costituzione,  in  termini  di  irragionevolezza  e   disparita'   di
trattamento,  rese  palesi  ove  si  consideri  che  per  i  soggetti
collocati in quiescenza durante blocco retributivo  (dal  1°  gennaio
2011 al 31 dicembre 2015) e per quelli collocati in  quiescenza  dopo
la cessazione del blocco retributivo ma prima dell'entrata in  vigore
dell'art. 11, comma 7, del D. lgs. n. 94/2017 (dal 1° gennaio 2016 al
31 dicembre 2017) permane la mancata  valorizzazione  in  quiescenza,
con  effetto  permanente  per  tutta  la   durata   del   trattamento
pensionistico,  di  elementi  pensionabili,  quali   gli   incrementi
stipendiali automatici che sarebbero maturati durante il periodo  del
blocco retributivo, mentre, in forza del citato art. 11, comma 7, del
D. lgs. n. 94/2017, gli ufficiali generali e gli ufficiali  superiori
collocati in pensione dopo il 1° gennaio  2018  possono  ottenere  la
determinazione della base pensionabile  tenendo  conto  del  servizio
effettivamente prestato, quindi  anche  sulla  base  delle  classi  e
scatti maturati nel periodo del c.d. "blocco retributivo". 
    Pertanto,    l'interessato    ha    eccepito     l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 9, comma 21, secondo periodo,  del  D.L.  31
maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 (e successive  proroghe)  anche
in considerazione dell'art. 11, comma 7, del D.lgs. 29  maggio  2017,
n. 94, per contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il
duplice profilo della contrarieta' al principio della  ragionevolezza
ed al principio di uguaglianza. 
    Tale questione, rilevante ai fini del riconoscimento del  diritto
pensionistico vantato davanti  a  questo  Giudice,  si  appalesa  non
manifestamente infondata nei limiti e per i motivi che seguono. 
    La mancata previsione della valorizzazione  in  quiescenza  degli
emolumenti stipendiali non fruiti a causa  della  "cristallizzazione"
degli  adeguamenti  retributivi  e'  stata,   infatti,   riconosciuta
legittima  alla  luce  della   insindacabile   discrezionalita'   del
legislatore che ha reso definitivi tali sacrifici. 
    Anche l'ulteriore profilo di illegittimita', sotto  lo  specifica
aspetto  della  disparita'  di  trattamento,  e'  stato  escluso  con
riguardo al differenziato regime pensionistico spettante prima e dopo
la scadenza del quadriennio, giustificato alla luce della  differente
retribuzione "spettante" secondo la  disciplina  applicabile  ratione
temporis. 
    La Corte Costituzionale, infatti, per ultimo con sentenza n.  200
del 2018 - sulla specifica questione di  legittimita'  costituzionale
sollevata  dal  giudice  remittente  che   evidenziava,   sempre   in
riferimento  all'art.  3  Cost.,   l'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra i pubblici dipendenti  collocati  in  quiescenza  nel
quadriennio e quelli collocati dopo tale periodo  -  ha  ribadito  il
principio in forza del quale  "e'  determinante  considerare  che  il
"fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima  e  dopo
la  scadenza  del  quadriennio  e  giustifica  il  fatto  che  per  i
dipendenti collocati in quiescenza nel  quadriennio  la  retribuzione
pensionabile - calcolata  vuoi  con  il  sistema  contributivo,  vuoi
ancora residualmente con il sistema retributivo - debba  tener  conto
della retribuzione  "spettante"  secondo  la  disciplina  applicabile
ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la  scadenza
del quadriennio  il  parametro  di  riferimento  e'  la  retribuzione
spettante fino alla data del loro pensionamento". 
    Nella medesima pronuncia il Giudice  delle  leggi  ha,  altresi',
ribadito  che  «La  circostanza  che,  superato  il  quadriennio,  al
dipendente "promosso"  sia  attribuita  una  retribuzione  superiore,
rilevante anche  sul  piano  (contributivo  e)  previdenziale  e  del
trattamento pensionistico, si giustifica - senza che percio' sia leso
il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del  tempo"
che  costituisce  sufficiente   elemento   idoneo   a   differenziare
situazioni non comparabili e a rendere applicabile  alle  stesse  una
disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53  del
2017, n. 254 del 2014).» 
    In breve nella citata sentenza n. 200/2018 si e'  affermato  che,
una volta posta la  regola  dell'invarianza  della  retribuzione  dei
pubblici dipendenti in  caso  di  progressione  di  carriera  (ma  il
principio e' pacificamente estensibile  anche  per  i  meccanismi  di
adeguamento retributivo) senza che piu' si dubiti della  legittimita'
costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilita' in melius
della retribuzione (per tutte, sentenza C.Cost.n. 310 del 2013) -  la
ricaduta sul piano del rapporto previdenziale e' generalizzata e  non
consente di porre a raffronto il trattamento pensionistico, spettante
ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso  del  quadriennio  in
questione,  con  quello  riconosciuto  ai  dipendenti  collocati   in
quiescenza dopo la scadenza di tale periodo, in quanto cio' che  solo
e' determinante e' la retribuzione spettante, seconda  la  disciplina
applicabile ratione temporis, sulla  base  del  "fluire  del  tempo",
"senza  che  a  tal  fine  rilevi  il  momento  del  collocamento  in
quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente  alla  sua
scadenza". 
    Da tale principio, dunque, deriva che la data del collocamento  a
riposo puo' avere incidenza sul quantum del trattamento pensionistico
solo ove diversa sia la retribuzione, dunque, la  base  pensionabile,
in ragione della disciplina applicabile ratione temporis. 
    Dati  per  acquisiti  detti  insegnamenti,  tuttavia,  il  quadro
normativa di riferimento della fattispecie posta  alla  decisione  di
questo Giudice (art. 9,  comma  21,  secondo  periodo,  del  D.L.  n.
78/2010 ed art. 11, comma 7, del D.  lgs.  29  maggio  2017,  n.  94)
evidenzia un palese profilo  di  illegittimita'  costituzionale,  con
riferimento all'art. 3 della Costituzione. 
    Anzitutto sotto il profilo della disparita' di trattamento. 
    Entrambe  le  categorie,  infatti, -  da  un  lato,  i   soggetti
collocati in quiescenza durante il blocco retributivo (dal 1° gennaio
2011 al 31 dicembre 2015) e quelli collocati in  quiescenza  dopo  la
cessazione del blocco retributivo (dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre
2017) e, dall'altro, gli ufficiali generali e gli ufficiali superiori
collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018, hanno subito, ai sensi
dell'art. 9, comma  21,  secondo  periodo,  del  D.L.  n.78/2010,  la
mancata valorizzazione "degli anni di servizio utili  ai  fini  della
maturazione delle classi e degli scatti  di  stipendio  previsti  dai
rispettivi ordinamenti". 
    Detto nocumento, tuttavia, con l'entrata in vigore dell'art.  11,
comma 7, del D.lgs. 29 maggio 2017, n. 94,  e'  venuto  meno  in  via
retroattiva, per i soli ufficiali superiori ed ufficiali generali che
sono stati reinquadrati, a  decorrere  dal  1°  gennaio  2018,  nelle
rispettive posizioni economiche, "tenendo in considerazione gli  anni
di servizio effettivamente prestato",  e  quindi  anche  il  servizio
prestato negli anni 2011-2015. 
    A far variare, dunque, la base pensionabile, per i soli ufficiali
generali   ed   ufficiali   superiori   collocati    in    quiescenza
successivamente al 1° gennaio 2018, non e' intervenuta  una  modifica
del regime retributivo e della conseguente  base  pensionabile  -  in
conformita'   all'insegnamento   della   Corte   Costituzionale   che
nell'avvicendarsi  dei  diversi  regimi  retributivi  da   applicarsi
ratione  temporis  ha  costantemente  individuato  il  fondamento  di
legittimita' di differenziati trattamenti pensionistici - bensi'  una
norma, l'art. 1, comma 7, del D. lgs. 29  maggio  2017,  n.  94  che,
agendo retroattivamente e non  secondo  il  "fluire  del  tempo",  ha
disposto il reinquadramento  nelle  rispettive  posizioni  economiche
"tenendo  in  considerazione   tutto   il   servizio   effettivamente
prestato", con il risultato di escludere di fatto, per tale  limitata
cerchia di soggetti, il blocco  degli  adeguamenti  retributivi  gia'
verificatosi  per  tutti  coloro  che  erano   incorsi   nella   c.d.
"cristallizzazione" durante gli anni dal 2011 al 2015. 
    Ne', se non a tale censurabile fine, il legislatore avrebbe avuto
ragione di intrevenire, essendo gia'  positivamente  e  pacificamente
previsto che, una volta cessato il  c.d.  "blocco  retributivo",  per
tutti coloro collocati in quiescenza successivamente,  devono  essere
utilmente computati gli anni di servizio prestati dal 1° gennaio 2016
e fino al collocamento a riposo. 
    Ne consegue che il dettato dell'art. 11, comma 7, del D. lgs.  29
maggio 2017, n. 94 altro effetto non possa avere  se  non  quello  di
ricomprendervi, solo in favore di una classe di  soggetti,  anche  il
computo, a fini economici, degli anni 2011-2015,  esclusi  per  tutti
gli altri ai sensi dell'art. 9, comma 21, secondo periodo,  del  D.L.
n. 78/2010. 
    Non appare utile, infine, in tale quadro norrnativo, eccepire  la
discrezionalita' del legislatore ed il fatto  che  la  norma  di  cui
all'art. 11, comma 7, del D. lgs. 29 maggio 2017, n.94  introduca  un
trattamento di favore non suscettibile di estensione,  in  quanto  la
salvaguardia  di  tale   ambito   di   discrezionalita'   non   esime
dall'accertare se non vi siano manifesti motivi di  irrazionalita'  e
discriminazioni  prive  di  fondamento  giustificativo  e,  pertanto,
violative dell'art. 3 della Costituzione sia sotto il  profilo  della
disparita'  di  trattamento,   sia   sotto   quello   dell'intrinseca
irrazionalita', per non aver adeguatamente ponderato  il  legislatore
del 2017 la situazione che si era  determinata  anche  in  forza  dei
precedenti atti normativi (cosi', in fattispecie simile, Corte  cost.
185/1995). 
    A sostegno della prospettata  non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionalita' delle norme  in  argomento,  sotto  il
profilo della disparita' di trattamento, giova,  inoltre,  richiamare
la pronuncia n. 163/1993 della Corte Costituzionale laddove si  legge
«[...] ll principio di eguaglianza comporta che a  una  categoria  di
persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente
omogenee in  relazione  al  fine  obiettivo  cui  e'  indirizzata  la
disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento
giuridico identico  od  omogeneo,  ragionevolmente  commisurato  alle
caratteristiche essenziali in ragione delle quali e'  stata  definita
quella determinata categoria di persone. Al contrario, ove i soggetti
considerati  da  una  certa  norma,  diretta   a   disciplinare   una
determinata fattispecie, diano luogo a una classe di  persone  dotate
di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito
con il trattamento giuridico ad essi  riservato,  quest'ultimo  sara'
conforme al principio di eguaglianza soltanto nel  caso  che  risulti
ragionevolmente   differenziato   in    relazione    alle    distinte
caratteristiche proprie delle sottocategorie di  persone  che  quella
classe compongono." 
    In  breve,  il  principio  di  eguaglianza  pone  l'esigenza   di
verificare  che  non  sussista  violazione  di  alcuno  dei  seguenti
criteri:  a)  la  correttezza  della  classificazione   operata   dal
legislatore in relazione ai soggetti considerati, tenuto conto  della
disciplina normativa apprestata; b)  la  previsione  da  parte  dello
stesso   legislatore   di   un   trattamento   giuridico    omogeneo,
ragionevolmente commisurato  alle  caratteristiche  essenziali  della
classe (o delle classi) di persone cui quel trattamento e'  riferito;
c) la proporzionalita' del trattamento  giuridico  previsto  rispetto
alla classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del  fine
obiettivo   insito   nella    disciplina    normativa    considerata:
proporzionalita' che va esaminata in relazione agli  effetti  pratici
prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita. 
    E nel caso di specie, le menzionate  previsioni  normative  hanno
comportato l'applicazione di un  trattamento  giuridico,  sub  specie
pensionistico, differenziato tra coloro che sono stati  collocati  in
quiescenza anteriormente al 1° gennaio 2018 e coloro che  sono  stati
collocati successivamente a tale data, pur  avendo,  tali  classi  di
persone, caratteristiche essenziali omogenee, per essere state  tutte
soggette nel periodo 2011-2015 al c.d. "blocco retributivo",  ed  ove
il discrimine e' stato posto unicamente dal legisatore con una  norma
di favore per  gli  ufficiali  superiori  e  gli  ufficiali  generali
collocati in pensione dopo il 1° gennaio 2018, finendo,  dunque,  per
attribuire  rilevanza  unicamente  alla   data   del   pensionamento,
contrariamente a quanto statuito  dalla  Corte  Costituzionale  nella
citata sentenza n. 200/2018, ove si legge: "Una volta sterilizzati ex
lege, per  effetto  della  disposizione  censurate,  gli  automatismi
retributivi nel quadriennio in questione, la  retribuzione  utile  ai
fini previdenziali e' quella  risultante  dall'applicazione  di  tale
regola limitativa, senza  che  a  tal  fine  rilevi  il  momento  del
collocamento  in  quiescenza,  se  nel  corso   del   quadriennio   o
successivamente alla sua scadenza." 
    L'art. 3 della Costituzione, inoltre, appare violato anche  sotto
il  diverso  profilo  della  ragionevolezza,  ravvisabile  in  quella
intrinseca contraddittorieta' tra la ratio della  disposizione  e  il
suo contenuto normativa che da' luogo al vizio di eccesso  di  potere
legislativo,  anch'esso  riconducibile  alla  sfera  applicativa  del
citato art. 3 Cost. (sentenze n. 172 del 2006, n. 146 del 1996  e  n.
313 del 1995 e n. 279 del 2012). 
    Per valutare l'esistenza di' tale vizio, tuttavia, e'  necessario
procedere ad una lettura  integrale,  e  non  parziale,  delle  norme
impugnate, come emerge  dalla  costante  giurisprudenza  della  Corte
Costituzionale (ex multis, sentenza n. 402 del 2007), ovvero  ad  una
lettura «dell'intero quadro normativo»  di  riferimento  del  settore
legislativo nel quale si inseriscono le stesse norme (sentenza n. 172
del 2006). 
    All'esito di questo esame  complessivo,  puo'  infatti  valutarsi
l'eventuale  esistenza  del  vizio  in  questione,  con   particolare
riferimento  alla  ratio  dell'intervento  legislativo  ed  alla  sua
eventuale irragionevolezza o contraddittorieta',  ed  allo  sviamento
della funzione legislativa. 
    Detta  intrinseca   contraddittorieta'   tra   la   ratio   della
disposizione e il suo contenuto normativo sembrerebbe  palesarsi  nel
quadro normativo in esame. 
    E'  pacificamente   rimessa,   infatti,   alla   discrezionalita'
legislativa,  col  solo  limite  della  palese   irrazionalita',   la
definizione dei modi e della misura dei  trattamenti  di  quiescenza,
nonche' le variazioni dell'ammontare delle prestazioni, alle quali il
legislatore   giunge   attraverso   un   bilanciamento   fra   valori
contrapposti che contemperi le esigenze di vita dei  beneficiari  con
le concrete disponibilita' finanziarie e le esigenze di bilancio (v.,
ex plurimis la sentenza n. 390 del 1995 e sentenza n. 531 del 1988). 
    Peraltro, secondo il costante indirizzo  giurisprudenziale  della
Corte Costituzionale (sentenza n. 409/1998), il  "fluire  del  tempo"
costituisce, di per se', idoneo elemento  di  differenziazione  delle
situazioni soggettive, anche nella specifica  materia  previdenziale,
dal momento che differenziazioni temporali agevolative nell'ambito di
una stessa categoria di soggetti si giustificano con la necessita' di
bilanciamento con le disponibilita' delle  risorse  indispensabili  a
tal fine e con le connesse esigenze finanziarie (ex plurimis sentenze
n. 175 del 1997, n. 311 del 1995, nn. 385 e 378 del 1994, n. 243  del
1993, nn. 455 e 95 del 1992). Pertanto, se il sacrificio  imposto  da
tali  misure   al   trattamento   retributivo   (e   conseguentemente
pensionistico) dei dipendenti pubblici e' stato ritenuto  ragionevole
dalla  Corte  Costituzionale  sul  presupposto  del   suo   carattere
temporaneo e giustificato dalle esigenze di contenimento della  spesa
pubblica per  un  periodo  di  tempo  limitato,  (cfr.  Corte  Cost.,
sentenze n.304/2013, n.310/2013 e n.154/2014), tale ratio non  appare
piu'  coerente  con   Il   contenuto   della   disciplina   normativa
complessivamente derivato dalle disposizioni qui censurate, in  forza
delle quali il sacrificio a tutti imposto con  l'art.  9,  comma  21,
secondo periodo, del D.L. n.78/2010  in  relazione  alle  individuate
esigenze - anche pluriennali, ma pur sempre limitate nel tempo  -  di
riequilibrio di bilancio, e' divenuto permanente per alcuni  soggetti
ma e' stato rimosso per altri, senza che sia intervenuta,  in  favore
di  questi  ultimi,  alcuna  variazione   retributiva   se   non   il
reinquadramento, a decorrere dal 1° gennaio  2018,  nelle  rispettive
posizioni economiche e, quindi, rimuovendo, di fatto, solo per  detti
soggetti, gli effetti permanenti del c.d."blocco  retributivo"  negli
anni 2011- 2015, in violazione della ratio che  aveva  imposto  detto
sacrificio   per   generali   esigenze   di    politica    economica,
indistintamente a tutti i lavoratori pubblici dipendenti. 
    In conclusione, il quadro normativo di riferimento porta  ad  una
ingiustificata    differente    determinazione    dei     trattamento
pensionistico - a causa del diverso computo degli anni  2011-2015  ai
fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio - per
i soggetti collocati in quiescenza dal 1°gennaio 2011 al 31  dicembre
2017, rispetto agli ufficiali generali ed  agli  ufficiali  superiori
collocati  in  quiescenza  a  partire  dal  1°  gennaio  2018  ed  e'
determinante e rilevante nel presente caso,  essendo  questo  giudice
chiamato a decidere sul quantum  del  trattamento  di  quiescenza  di
soggetto cessato dal servizio nel periodo  anteriore  al  1°  gennaio
2018.  
 
                                P.Q.M. 
 
    La Corte dei conti,  Sezione  Giurisdizionale  regionale  per  la
Lombardia, 
    visti gli artt. 134 e segg. della Costituzione e l'art. 23  della
legge 11 marzo 1953  n.  87,  solleva  in  quanto  rilevante  per  la
decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale 
        - dell'art. 9, comma 21, secondo periodo,  del  decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  30  luglio  2010,
n.122; 
        - dell'art. 16, comma l,  lettera  b),  del  decreto-legge  6
luglio 2011, n.  98  (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,
della legge 15 luglio 2011, n. 111,  come  specificato  dall'art.  1,
comma 1, lettera a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre  2013,  n.
122  (Regolamento  in   materia   di   proroga   del   blocco   della
contrattazione  e  degli  automatismi  stipendiali  per  i   pubblici
dipendenti,  a  norma  dell'articolo  16,  commi  1,  2  e   3,   del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); 
        - dall'art. 1, comma 256, della legge 23  dicembre  2014,  n.
190 
    ("Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
piuriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2015"); 
        - anche in considerazione dell'art. 11, comma 7, del D.  lgs.
29 maggio 2017, n. 94 ("Disposizioni in materia di riordino dei ruoli
e  delle  carriere  del  personale  delle  Forze  armate,  ai   sensi
dell'articolo 1, comma 5, secondo periodo, della  legge  31  dicembre
2012, n. 244"), 
    per contrasto con l'art. 3 della Costituzione nella parte in  cui
dette norme, per il personale di cui all'art. 3 del D. lgs. 30  marzo
2001, n. 165, e successive modificazioni, cessato dal servizio dal 1°
gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, non prevedono la valorizzazione  in
quiescenza,  a  far  data  dalla  cessazione  dal   servizio,   degli
emolumenti  pensionabili  derivanti  dalle  progressioni  stipendiali
automatiche che sarebbero spettate in relazione alle classi  ed  agli
scatti che sarebbero maturati nel periodo dal 1° gennaio 2011  al  31
dicembre 2015. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio  e  la  trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale. 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
Segreteria della Sezione, alle parti in causa ed  al  Presidente  del
Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente  del  Senato
della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. 
 
    Cosi' provveduto in Milano il 6 novembre 2018. 
 
                         Il Giudice: Veccia