N. 109 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 2019

Ordinanza del 26 aprile 2019 della Corte di  cassazione  sul  ricorso
proposto da F. A.. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Detenzione  domiciliare   speciale   -
  Concessione nei confronti della condannata madre di  prole  affetta
  da handicap totalmente invalidante - Mancata previsione. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 47-quinquies, primo comma. 
(GU n.28 del 10-7-2019 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima Sezione Penale 
 
    Composta da: 
        Adriano Iasillo, Presidente; 
        Domenico Fiordalisi; 
        Francesco Centofanti, relatore; 
        Gaetano Di Giuro; 
        Alessandro Centonze; 
ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da  F  A  ,
nata a    il    detenuta per questa causa avverso l'ordinanza del  25
settembre 2018 del Tribunale di sorveglianza di Reggio Calabria; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Francesco Centofanti; 
    Lette le conclusioni  del  Pubblico  ministero,  in  persona  del
sostituto  Procuratore  generale  Stefano  Tocci,  che   ha   chiesto
dichiararsi inammissibile il ricorso; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale  di  sorveglianza  di
Reggio  Calabria  rigettava  l'istanza  di   detenzione   domiciliare
«speciale», avanzata, a norma dell'art. 47-quinquies della  legge  26
luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), da A F ,  detenuta  presso  la  casa
circondariale di Reggio Calabria, in espiazione della  pena  inflitta
con sentenza emessa dalla locale Corte di appello il 30 aprile 2015 e
scadente, allo stato, il 13 novembre 2024. La condanna, pronunciata a
carico dell'istante,  era  relativa  ai  reati  di  associazione  per
delinquere di tipo mafioso, estorsione continuata e ricettazione. 
    Rilevava  il  Tribunale  come  alla  concessione   della   misura
alternativa  non  ostasse,  in  se,  la  natura  dei   reati   teste'
menzionati, quantunque parzialmente riconducibili al catalogo di  cui
all'art.  4-bis,  comma  1,   Ord.   pen.,   posto   che   la   Corte
costituzionale, con  sentenza  n.  239  del  2014,  aveva  dichiarato
costituzionalmente  illegittime  -  con   riferimento   alla   misura
medesima, nonche'  alla  detenzione  domiciliare  prevista  dall'art.
47-ter,  comma  1,  lettere  a)  e  b),  Ord.  pen.  -  le   relative
preclusioni; ne' si ponesse, sempre ai fini di una tale  concessione,
questione alcuna di previa espiazione di una quota/parte  della  pena
inflitta, in quanto la successiva sentenza costituzionale n.  76  del
2017 aveva caducato la corrispondente previsione,  valevole  rispetto
alle persone condannate per i reati indicati nel citato art. 4-bis. 
    Piuttosto,  rilevava  il   Tribunale,   l'accesso   alla   misura
alternativa  era  impedito,  in  radice,  dal  fatto  che  la  figlia
minorenne della condannata, M R P - in  funzione  della  cui  cura  e
assistenza la misura alternativa era stata domandata - fosse nata nel
marzo 1994 e avesse cosi' superato, alla data dell'istanza, il decimo
anno di eta'; condizione, quest'ultima, legalmente stabilita  per  la
fruizione del beneficio specificamente invocato. 
    Ancorche' risultasse che  la  minore  fosse  persona  fisicamente
invalida al 100%, in quanto affetta da paralisi cerebrale  infantile,
di ordine bilaterale, tale da renderla totalmente  impossibilitata  a
deambulare e bisognosa dell'aiuto permanente di un accompagnatore, la
relativa circostanza  era  dal  Tribunale  reputata  ininfluente  sul
giudizio da rendere in causa. Cio' in quanto le funzioni intellettive
della ragazza erano nondimeno conservate, e si presentavano in  linea
con l'eta' anagrafica, sicche' ella  non  poteva  essere  equiparata,
sotto il profilo cognitivo-comportamentale, vale  a  dire  per  «eta'
mentale»,  ad  un  soggetto  inferiore  ai  dieci  anni,  limite  che
costituiva l'insuperabile criterio legate di riferimento. 
    2. Ricorre la condannata per cassazione, tramite il difensore  di
fiducia, avvocato Guido Contestabile, sulla base di unico  articolato
motivo, con cui si deduce la violazione degli articoli 125 cod. proc.
pen. e 47-quinquies Ord. pen., nonche' il vizio della motivazione. 
    Secondo la ricorrente, l'ordinanza impugnata  avrebbe  trascurato
di esaminare significative evidenze istruttorie e avrebbe tratto,  in
ogni  caso,  conclusioni  incompatibili   con   i   dati   acquisiti,
risolvendosi in un provvedimento  illogico  e  privo  di  adeguata  e
razionale giustificazione. 
    Sotto  altro  aspetto,  la  medesima  ordinanza   avrebbe   fatto
applicazione di una disposizione che - se interpretata nel  senso  di
escludere la parificazione, ai fini della concedibilita'  alla  madre
condannata della detenzione domiciliare «speciale», tra i  minori  di
dieci anni e i soggetti di eta' superiore totalmente disabili,  anche
solo dal lato fisico - sarebbe in  contrasto  con  plurimi  parametri
costituzionali (e, in particolare, con gli articoli 2, 3,  29,  primo
comma, 30, primo e secondo comma, e 31, secondo comma, della  Carta),
come  nel  motivo  diffusamente  argomentato;  ragion  per   cui   la
ricorrente  domanda  a  questa  Corte,  sia  pure  in  prospettazione
subordinata, di sollevare incidente di legittimita' costituzionale. 
    3. Nella requisitoria, presentata  a  norma  dell'art.  611  cod.
proc. pen., il Procuratore generate presso questa Corte  ha  concluso
per la declaratoria d'inammissibilita' del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il ricorso  appare,  gia'  ad  un  preliminare  apprezzamento,
manifestamente  infondato  nella  parte  relativa  alla  censura   di
mancanza, contraddittorieta' ed  illogicita'  della  motivazione  del
provvedimento impugnato, il quale  appare  viceversa  basato  su  una
esaustiva ricognizione della situazione di  fatto  alla  cui  stregua
l'istanza  di   misura   alternativa   deve   trovare,   nell'odierno
procedimento, giuridica definizione. 
    Facendo puntuale riferimento alle  deduzioni  di  parte,  e  alla
documentazione dalla  medesima  fornita,  nonche'  avvalendosi  degli
esiti di apposita perizia, in sede camerale scrupolosamente disposta,
il giudice a quo ha ineccepibilmente verificato che la  figlia  della
condannata, quattordicenne, non e' affetta da alcun handicap di  tipo
intellettivo, incidente sulla sua capacita' di  relazionarsi  con  il
mondo  esterno,  quest'ultima  pienamente   corrispondente   all'eta'
anagrafica; ella e' bensi'  affetta  da  handicap  totale  di  ordine
fisico, a seguito  della  precoce  insorgenza  della  patologia,  non
reversibile, in narrativa specificata. 
    Da tale accertamento, in se'  peraltro  genericamente  (e  quindi
inammissibilmente)  dalla  ricorrente  confutato,  il  Tribunale   di
sorveglianza ha tratto conseguenze in se perfettamente  coerenti  con
l'interpretazione   normativa   recepita,    vale    a    dire    con
l'impossibilita' di ricondurre la  situazione  dianzi  descritta  (la
condizione di madre di soggetto  totalmente  disabile,  per  handicap
fisico, ma di eta' superiore ai dieci anni) nel paradigma applicativo
dell'istituto  giuridico  di   causa   (la   detenzione   domiciliare
«speciale», disciplinata dall'art. 47-quinquies Ord.  pen.  );  onde,
sul piano motivatorio e logico-fattuale, la assoluta incensurabilita'
della decisione adottata. 
    2. Il discorso deve tuttavia ora spostarsi sul piano giuridico. 
    Deve cioe', anzitutto, verificarsi se sia esatta l'esegesi  della
disposizione sopra esposta, ovverosia se sia corretto affermare  che,
in base ad essa,  la  detenzione  domiciliare  «speciale»  non  possa
essere concessa, ricorrendo le ulteriori condizioni ivi previste,  in
funzione della cura e della educazione di prole di eta'  superiore  a
dieci anni, ove essa risulti totalmente handicappata; e risulti  tale
anche solo dal lato fisico, come e' il soggetto minore in relazione a
cui la misura alternativa e', in causa, concretamente invocata. 
    In caso di risposta affermativa, dovra' ulteriormente verificarsi
- e il tema e' posto dallo stesso ricorso, nel suo ulteriore sviluppo
- se tale esegesi presenti  profili  di  possibile  frizione  con  il
quadro costituzionale. 
    3. L'esegesi in discorso riflette,  invero,  un'adeguata  lettura
dello stato attuale del diritto positivo. 
    3.1. Come da questa Corte di recente ricordato (Sez. 1, n.  32331
del 10 luglio 2018,  Giugliano)  in  occasione  del  promovimento  di
distinta questione di legittimita' costituzionale avente  ad  oggetto
la medesima disposizione di  legge  -  sulla  scia,  peraltro,  degli
insegnamenti della stessa Corte costituzionale (sentenze nn. 239  del
2014 e 76 del 2017, citate) - la detenzione domiciliare «speciale» e'
un istituto, introdotto nell'ordinamento per effetto  della  legge  8
marzo 2001, n. 40, e poi ulteriormente disciplinato, ed esteso, dalla
legge 21 aprile  2011,  n.  62,  che  si  inserisce  nell'ambito  del
processo di progressivo ampliamento del presidi a tutela del rapporto
tra condannate madri (e, a certe condizioni, detenuti padri) e  figli
minori. 
    La ratio della disposizione e' comune a  quella  delle  forme  di
detenzione domiciliare, gia'  previste  dall'art.  47-ter,  comma  1,
lett. a) e b), Ord. pen., ossia quella di impedire, ove possibile, il
distacco del  bambino  dalla  figura  genitoriale,  at  tempo  stesso
evitandone l'inserimento in un «contesto punitivo», privo di adeguati
stimoli per la sua crescita e del tutto inidoneo alla creazione di un
rapporto affettivo fisiologico con la figura stessa. 
    Il nuovo istituto persegue ulteriormente tale  ratio,  istituendo
nuovi presupposti perche' l'espiazione della pena al domicilio  possa
essere attutata. Anche li' dove la pena detentiva ancora da  scontare
superi il limite del quattro anni, e le misure alternative  anzidette
non potrebbero essere concesse, le condannate madri di prole di  eta'
non superiore a dieci anni - ovvero i condannati padri, se  la  madre
e' deceduta, o versa in condizioni  tali  da  renderle  assolutamente
impossibile provvedere ai figli, e non vi e modo di affidare la prole
ad altri - possono essere comunque ammessi ad espiare la pena  «nella
propria abitazione, o in altro luogo di  privata  dimora,  ovvero  in
luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di  provvedere  alla
cura e alla assistenza dei figli»,  a  condizione  che  abbiano  gia'
espiato almeno un terzo della pena o almeno quindici anni,  nel  caso
di condanna all'ergastolo (art. 47-quinquies, commi 1 e  7).  Occorre
anche che vi sia «la possibilita' di ripristinare la convivenza con i
figli» e che non sussista «un concreto  pericolo  di  commissione  di
ulteriori delitti». Con la legge 21 aprile  2011,  n.  62,  e'  stata
peraltro consentita (mediante  l'introduzione,  nel  corpo  dell'art.
47-quinquies, del comma 1-bis, su cui ha inciso, in senso ampliativo,
la menzionata sentenza costituzionale n. 76 del 2017) l'espiazione in
modalita' alternative al regime carcerario, o comunque  in  modalita'
protette, altresi' della frazione  di  pena  utile  alla  maturazione
della quantita' minima necessaria per l'ammissione, a  pieno  titolo,
al regime di detenzione domiciliare «speciale». 
    3.2. In altro recente arresto (Sez. 1, n. 25164 del  19  dicembre
2017,  dep.  2018,   Troia,   Rv.   273122-01),   questa   Corte   ha
opportunamente evidenziato come  -  in  relazione  alle  preesistenti
forme di detenzione domiciliare, previste dall'art. 47-ter, comma  1,
lett. a) e b), Ord. pen.  -  sia  intervenuta  l'importante  sentenza
della Corte costituzionale,  n.  350  del  2003,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni,  nella  parte  in
cui esse non prevedono la concessione  della  detenzione  domiciliare
anche nei confronti della madre condannata e, nei casi previsti,  del
padre condannato, «conviventi con un  figlio  portatore  di  handicap
totalmente invalidante». 
    La pronuncia di legittimita' teste citata, pur  nel  contesto  di
un'interpretazione attenta  a  cogliere  la  sostanziale  omogeneita'
sistematica  e  funzionale  delle   diverse   tipologie   di   misura
alternative sopra considerate, ha incidentalmente  rilevato  che  gli
effetti della declaratoria di  illegittimita'  costituzionale,  cosi'
adottata,  non  erano  suscettibili  di  estendersi  alla  detenzione
domiciliare «speciale», che restava inapplicabile nel caso allora  in
esame (riguardante parimenti un minore in gravi condizioni di  salute
psico-fisica) «trattandosi di figlio maggiore degli anni dieci». 
    3.3. L'assunto deve essere condiviso ed ulteriormente iliustrato. 
    La  contraria  impostazione,  volta  ad   equiparare,   per   via
interpretativa, in seno all'art. 47-quinquies Ord. pen.,  alla  prole
di tenera eta' quella in cui figuri un soggetto «debole» in relazione
al suo stato di salute, realizzerebbe un'evidente forzatura semantica
di una previsione testuale in se chiara e univoca, di cui  lo  stesso
giudice delle leggi prese atto nella sentenza  n.  350  del  2003,  a
fronte dell'identica  previsione  contenuta  nel  comma  1  dell'art.
47-ter Ord. pen., inducendosi cosi' ad  emettere,  nei  confronti  di
essa, una decisione di illegittimita' costituzionale. 
    Il fatto che quest'ultima non abbia riguardato  (neppure  in  via
consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.
87) la disposizione «gemella», gia' allora vigente, a maggior ragione
non autorizza l'interprete a sostituirsi all'organo cui l'ordinamento
affida il controllo accentrato di costituzionalita', tenuto conto del
principio,  ripetutamente  affermato   dalla   giurisprudenza   della
Consulta (tra le molte, sentenza n. 36 del 2016) per cui l'obbligo di
interpretazione conforme «cede il passo all'incidente di legittimita'
costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto
letterale della disposizione e  si  riveli  del  tutto  eccentrica  e
bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la  disposizione
si  colloca».  L'interpretazione  conforme  e'  quindi   doverosa   e
prioritaria, ma appartiene pur sempre alla  famiglia  delle  tecniche
esegetiche, poste a disposizione  del  giudice  nell'esercizio  della
funzione giurisdizionale,  che  hanno  carattere  dichiarativo.  Ove,
percio', sulla base di tali tecniche, non sia possibile trarre  dalla
disposizione una norma  realmente  sintonica  rispetto  al  parametro
sopra-ordinato, il giudice non puo' ricorrervi. 
    3.4. L'impossibilita' di un'esegesi «adeguatrice»  Si  ritrae  da
circostanze ulteriori, di carattere storico-sistematico. 
    Dopo  la  pubblicazione  della  sentenza  n.  350  del  2003   e'
intervenuta la novellazione integrale, ad opera del  Parlamento,  del
comma 1 dell'art. 47-ter  Ord.  Pen.,  gia'  inciso  dalla  pronuncia
costituzionale. 
    In particolare, l'art. 7, comma 3, della legge 5  dicembre  2005,
n. 251, ha ad esso sostituito due  commi,  ed  esattamente  il  nuovo
comma 1 - che riproduce integralmente il  testo  della  disposizione,
come  vigente  anteriormente   alla   declaratoria   d'illegittimita'
costituzionale (corrispondente al testo tuttora in vigore,  salvo  il
successivo  riferimento  alla  possibilita'  di  espiare  la   misura
alternativa, per la madre  condannata,  in  case  famiglia  protette,
inserito dalla legge n. 62 del  2011)  -  e  il  comma  1.1,  teso  a
restringere  l'accesso  al  beneficio  nei  confronti  dei   soggetti
condannati cui fosse stata applicata la recidiva  prevista  dall'art.
99, quarto comma, cod. pen. (comma in seguito abrogato  dal  d.l.  1°
luglio 2013, n. 78, conv. dalla legge 9 agosto 2013, n. 94). 
    In tal modo e' tornata obiettivamente ad essere applicabile -  ad
onta  dell'art.  136  Cost.,  se  ne  sia  reso  conto,  o  meno,  il
legislatore storico - una disposizione che, nel disciplinare  in  via
ordinaria l'accesso alla detenzione domiciliare  del  condannato  che
sia  genitore  di  prole  di  tenera  eta'  (misura  che  costituisce
l'archetipo di quella in scrutinio), oblitera la  possibilita',  gia'
ritenuta costituzionalmente imposta, di  estendere  il  beneficio  ai
casi in cui la prole sia affetta da handicap totalmente invalidante. 
    Il medesimo legislatore,  in  tempi  gia'  recenti,  ha  peraltro
avvertito la necessita' di rimediare, se e'  vero  che,  in  sede  di
attuazione della delega conferita della legge 23 giugno 2017, n. 103,
nella parte relativa alle  modifiche  all'ordinamento  penitenziario,
era  stata  originariamente  prevista  (v.   Relazione   governativa,
illustrativa del primo schema di decreto legislativo, pagg. 36 e  38)
la modifica del testo, come sopra ripristinato, dell'art.  47,  comma
1, lett. a) e b), Ord. pen. - oltre  che  la  modifica,  nella  parte
corrispondente, dello stesso art. 47-quinquies Ord.  pen.  -  proprio
nel senso preteso dalla sentenza  costituzionale  n.  350  del  2003,
ossia mediante l'opportuno «riferimento alla  condizione  del  figlio
affetto da disabilita' grave, ai sensi dell'art. 3,  comma  3,  della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata ai sensi dell'art.  4  della
medesima legge». 
    La mancata conferma di tale iniziale intendimento, nella versione
definitiva del decreto legislativo delegato (2 ottobre 2018, n. 123),
appare dunque frutto di una precisa opzione legislativa, la  quale  -
all'interno di un quadro ordinamentale, ove era stato  gia'  caducato
il principio regolatore, che avrebbe potuto servire  da  tramite  per
l'eventuale interpretazione costituzionalmente orientata  -  convince
conclusivamente del fatto che tale ultima  strada  non  possa  essere
percorsa. 
    4.  L'esegesi,  fatta  propria  dall'ordinanza  in  questa   sede
impugnata, seppure dunque corretta  a  legislazione  vigente,  induce
tuttavia ad interrogarsi sulla  compatibilita'  di  quest'ultima,  in
parte qua, con i principi e i valori della Costituzione. 
    4.1. I dubbi di costituzionalita' sono alimentati  proprio  dalle
argomentazioni contenute  nella  citata  giurisprudenza  della  Corte
deputata al controllo delle leggi. 
    L'assetto,  garantito  dalle  misure  di  detenzione  domiciliare
introdotte  dagli  articoli  47-ter,  comma  1,  lett.  a)  e  b),  e
47-quinquies, Ord. pen., omogenee per funzione, mira a  «favorire  il
pieno sviluppo della personalita' del figlio» del soggetto condannato
a pena detentiva (Corte cost., n. 350 del 2003). Nell'economia  degli
istituti  assume,  infatti,  «un  rilievo   del   tutto   prioritario
l'interesse  di  un  soggetto  debole,  distinto  dal  condannato   e
particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore  in
tenera  eta',  ad  instaurare  un  rapporto  quanto  gia'   possibile
«normale» con la madre (o, eventualmente, con il padre) in  una  fase
nevralgica del suo sviluppo» (Corte cost., n. 239 del 2014). 
    Se cosi' e',  occorre  constatare  che  il  sistema  prevede,  in
proposito,  la  possibilita'  di  fare  ricorso,  nei  confronti  del
genitore assoggettato ad espiazione, ad un trattamento  sanzionatorio
che non interrompa il continuum educativo-assistenziale del  medesimo
con il figlio, limitandola  pero'  all'ipotesi  del  minore  di  eta'
inferiore  a  dieci  anni.  Non   e'   stata   viceversa   presa   in
considerazione  -   come   espressamente   sottolinea   la   sentenza
costituzionale n. 350 del 2003 - la condizione del figlio  gravemente
invalido, rispetto  alla  quale  il  riferimento  all'eta'  non  puo'
assumere un rilievo dirimente, essendo  la  sua  salute  psico-fisica
suscettibile di essere in pari  modo  pregiudicata  dall'assenza  del
genitore, detenuto in  carcere,  «non  essendo  indifferente  per  il
disabile grave, a qualsiasi eta', che le cure  e  l'assistenza  siano
prestate da persone diverse dal genitore» medesimo. 
    4.2. La  limitazione  in  questione  sembra  dunque  contrastare,
anzitutto, con l'art. 3, primo comma, della  Costituzione,  sotto  il
profilo - gia' ritenuto della pronuncia  costituzionale  n.  350  del
2003 - della intrinseca irragionevolezza di  un  sistema  rigidamente
legato all'eta' del minore, in cui, ai fini della  concessione  della
detenzione  domiciliare  in  esame,  non  si  consenta   affatto   di
apprezzare l'esistenza di situazioni omogenee a quella  espressamente
regolata, in cui si palesi la medesima necessita'  di  assicurare  al
figlio l'effettiva presenza, e il pregnante sostegno,  del  genitore,
quali sono le situazioni in cui il  figlio  appaia  portatore  di  un
handicap totalmente invalidante. 
    Al riguardo il Collegio non puo' che replicare le  considerazioni
gia' spese dalla Corte costituzionale, che, nella pronuncia da ultimo
citata, ebbe a  ritenere  irrazionale  «il  trattamento  difforme  di
situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra  loro,  quali  sono
quella della madre di un figlio incapace perche'  minore  degli  anni
dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno sul piano fisico,
e quella della madre di un figlio disabile e incapace  di  provvedere
da solo  anche  alle  sue  piu'  elementari  esigenze,  il  quale,  a
qualsiasi eta', ha maggiore e continua necessita' di essere assistito
della madre rispetto ad  un  bambino  di  eta'  inferiore  agli  anni
dieci». 
    Ne'  mancano  recenti  indici  legislativi,  emersi  in  sede  di
ulteriore  aggiornamento  del  diritto  penitenziario,  della   piena
equiparabilita' delle situazioni anzidette. La legge 16 aprile  2015,
n. 47, incidendo sulla conformazione di un istituto di recente conio,
quale quello delle visite al minore infermo  da  parte  del  genitore
detenuto  (art.  21-bis  Ord.   pen.),   ha   infatti   esteso   tale
possibilita', tra l'altro, al caso del  figlio  affetto  da  handicap
grave, ai sensi dell'art. 3, comma 3, legge n. 104 del 1992, in  base
a quest'ultima  ritualmente  accertato.  Analoga  estensione  tuttora
difetta  in  seno  all'art.  47-quinquies  Ord.   pen.,   a   riprova
dell'ingiustificata discriminazione in esso viceversa insita. 
    4.3. Appaiono verosimilmente violati, altresi', gli  articoli  3,
secondo comma, e 31, secondo comma, della Costituzione. 
    La prima disposizione  impegna  la  Repubblica  a  rimuovere  gli
ostacoli, anche di ordine sociale, che impediscono il pieno  sviluppo
della personalita' umana. La  seconda  la  impegna  a  proteggere  la
maternita',  l'infanzia  e  la  gioventu',  favorendo  gli   istituti
necessari a tale scopo. 
    E'  stato  gia'  sottolineato  che  in  tale  ultimo   senso   e'
esattamente  orientata  la  ratio  dell'istituto  regolato  dall'art.
47-quinquies  Ord.  pen.,  e  che  la  finalita'   ultima   di   tale
disposizione e' la valorizzazione del rapporto genitoriale, a  tutela
della prole che versi in situazioni di minorita' e la  cui  crescita,
in termini di realizzazione umana e sociale, potrebbe, in relazione a
cio', restare altrimenti vulnerata. 
    In questo contesto, l'indebita compressione  delle  finalita'  di
protezione dell'istituto medesimo, realizzata tramite l'irragionevole
restrizione del suoi spazi applicativi,  in  grado  di  compromettere
l'anzidetto valore di promozione della personalita' umana, si pone in
potenziale contraddizione con il  programma  costituzionale  espresso
nelle citate disposizioni  (la  cui  violazione,  in  effetti,  venne
parimenti ritenuta nella pronuncia costituzionale n. 350 del 2003). 
    5. La questione cosi'  posta  appare  sicuramente  rilevante  nel
presente giudizio, con specifico riguardo alla misura alternativa  di
cui all'art. 47-quinquies, comma 1, Ord. pen.,  relative  alla  madre
condannata, che nel giudizio stesso viene in applicazione. 
    Dall'accoglimento della questione discenderebbe la necessita'  di
annullare con rinvio la decisione impugnata, perche  i  Tribunale  di
sorveglianza  -  superata  la   ravvisata   preclusione,   costituita
dall'eta' della prole - possa, in piena autonomia  di  apprezzamento,
compiere  le  ulteriori  valutazioni,  in   punto   di   assenza   di
pericolosita' sociale della richiedente e di adeguatezza  genitoriale
rispetto alla finalita' rieducativa da svolgere,  dovute  sulla  base
della costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n.  47092  del
19 luglio 2018, Barbi Cinti, Rv. 274481-01;  Sez.  1,  n.  25164  del
2017, dep. 2018, Troia, citata; Sez. 1, n. 38731 del  7  marzo  2013,
Radouane, Rv. 257111-01). 
    Ogni diverso esito dell'incidente  di  costituzionalita'  sarebbe
viceversa ostativo ad una favorevole delibazione del proposto ricorso
per cassazione. 
    6. Per  le  ragioni  sin  qui  esposte  il  Collegio  ritiene  di
sollevare,  nei  termini   precisati,   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 47-quinquies,  comma  1,  Ord.  pen.,  nella
parte in  cui  la  disposizione  non  prevede  la  concessione  della
detenzione  domiciliare  «speciale»   anche   nei   confronti   della
condannata,  madre  di   prole   affetta   da   handicap   totalmente
invalidante. 
    Spettera'  alla  Corte  costituzionale  valutare,  in   caso   di
accoglimento, l'opportunita' di  estendere,  ai  sensi  dell'art.  27
legge  11  marzo  1953,  n.  87,  la  declaratoria   d'illegittimita'
costituzionale  alle  analoghe  limitazioni  -   qui   tuttavia   non
«rilevanti» - stabilite per i casi di detenzione domiciliare regolati
dagli articoli 47-ter, comma 1, lett. a) e b) (nel  testo  risultante
della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, della legge 5 dicembre
2005, n. 251), e 47-quinquies, comma 7, Ord. pen. 
    Il processo  deve  essere  per  l'effetto  sospeso,  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale, come da dispositivo. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in  riferimento   agli
articoli 3, primo  e  secondo  comma,  e  31,  secondo  comma,  della
Costituzione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
47-quinquies, comma 1, della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (recante
norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle  misure
privative e limitative  della  liberta'),  nella  parte  in  cui  non
prevede la concessione della detenzione  domiciliare  speciale  anche
nei confronti della condannata madre di  prole  affetta  da  handicap
totalmente invalidante. 
    Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    Dispone altresi' che,  a  cura  della  cancelleria,  la  presente
ordinanza sia notificata alla  ricorrente,  al  procuratore  generale
presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
    Cosi' deciso il 27 marzo 2019 
 
                       Il Presidente: Iasillo 
 
 
                                 Il Consigliere estensore: Centofanti