N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 gennaio 2019

Ordinanza del 22 gennaio 2019 del Tribunale amministrativo  regionale
per l'Emilia Romagna - Sezione di Parma sul ricorso proposto da P. R.
e A. M.. 
 
Edilizia  ed  urbanistica  -  Segnalazione  certificata   di   inizio
  attivita' (SCIA) - Previsione che la  segnalazione  certificata  di
  inizio  attivita',  la  denuncia  e  la  dichiarazione  di   inizio
  attivita'  non  costituiscono  provvedimenti  taciti   direttamente
  impugnabili -  Possibilita'  per  gli  interessati  di  sollecitare
  l'esercizio delle verifiche  spettanti  all'amministrazione  e,  in
  caso  di  inerzia,  di  esperire  esclusivamente  l'azione  di  cui
  all'art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010,
  n. 104. 
- Legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
  amministrativo   e   di   diritto   di   accesso    ai    documenti
  amministrativi), art. 19, comma 6-ter. 
(GU n.38 del 18-9-2019 )
 
     IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'EMILIA ROMAGNA 
                      Sezione staccata di Parma 
                            Sezione Prima 
 
    ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 5 del 2018, proposto da: 
        R. P. e M. A., rappresentati e difesi  dagli  avvocati  Paolo
Piva e Antonio Andreoli, domiciliati presso lo studio  del  primo  in
Parma, viale Toschi, 4; 
    Contro C.  di  F.,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Masi, domiciliato
presso il suo studio in Parma, via Mistrali, 4 nei confronti di S.M.,
non costituita in giudizio per l'annullamento: 
        della comunicazione del C. di F. del 6 novembre 2017, a firma
del  responsabile  del  servizio  geom.   F.,   avente   ad   oggetto
«Trasmissione verbale di sopralluogo in immobile sito in via ...»; 
        del presupposto verbale di sopralluogo del  3  novembre  2017
del C. di F. relativo all'immobile sito in via ..., sottoscritto  dal
funzionario resp. arch. F.; 
        della SCIA n. 256/2016 del 6 dicembre 2016 avente ad  oggetto
un intervento di ristrutturazione di unita' immobiliare sita a F.  in
Via ... di proprieta' della sig.ra M. S.; 
        della SCIA n. 31/2017 del 21 febbraio 2017 avente ad  oggetto
un intervento di ristrutturazione edilizia di unita' immobiliari site
a F. in Via ... di proprieta' dei signori M. S. e M. M.; 
        della comunicazione del C. di F. 31 ottobre 2017 a firma  del
dirigente arch. G. (per quanto occorrer possa); 
        di  ogni  altro  atto  o  provvedimento  comunque   connesso,
dipendente o  conseguente  rispetto  ai  provvedimenti  espressamente
impugnati. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di C. di F.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  21  novembre  2018  il
dott. Roberto  Lombardi  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Visto l'art. 36, comma 2, del codice del processo amministrativo; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    Con ricorso collettivo  depositato  in  data  9  gennaio  2018  i
signori R. P. e M.  A.,  proprietari  di  un  appartamento  al  piano
terreno  dell'immobile  condominiale  descritto  in  epigrafe,  hanno
chiesto l'annullamento delle due SCIA presentate in data  6  dicembre
2016  e  21  febbraio  2017  dalla   loro   condomina   signora   M.,
evidenziandone l'asserita illegittimita' e censurando la condotta del
C.  di  F.,  per  il  mancato  annullamento  dei  titoli  edilizi  in
autotutela. 
    I ricorrenti hanno chiesto altresi' l'annullamento del verbale di
sopralluogo effettuato in data  31  ottobre  2017  presso  l'immobile
interessato (sito in F., alla Via ...) e della comunicazione con  cui
il Comune convenuto, in data 6 novembre 2017, aveva  trasmesso  detto
verbale. 
    Tali atti erano stati  adottati  dall'amministrazione  a  seguito
della «segnalazione di presunto abuso  edilizio  e  di  irregolarita'
nella presentazione di SCIA edilizie» trasmessa in  data  26  ottobre
2017 al C. di F. per conto dei signori P. e A. 
    Nel merito, i ricorrenti hanno  proposto  i  seguenti  motivi  di
ricorso: 
        1. il  progetto  edilizio  contestato  avrebbe  previsto  una
sopraelevazione della gronda e del colmo di circa 16  centimetri,  in
contrasto con quanto prescritto dall'art. 80 del RUE del C. di F.; 
        2. la modificazione dell'altezza  interna  di  16  centimetri
avrebbe  comportato  anche  un  aumento  dell'altezza   esterna,   in
contrasto con quanto  previsto  dall'art.  2  della  legge  regionale
dell'Emilia Romagna n. 11 del 1998; 
        3. la distanza, inferiore a dieci  metri,  esistente  tra  il
fabbricato oggetto del progetto edilizio e il  fabbricato  adiacente,
avrebbe dovuto impedire ogni maggiore altezza, ai sensi  dell'art.  9
del decreto ministeriale n. 1444/1968; 
        4.  la  giustificazione  dell'amministrazione  resistente   -
secondo cui la maggiore altezza accertata di circa 12 cm rientrerebbe
nella possibilita' di realizzare un  cordolo  strutturale  di  25  cm
senza che questo  possa  costituire  aumento  di  altezza  -  sarebbe
erronea, in quanto, da  un  lato,  il  decreto  ministeriale  del  14
gennaio  2008  impedirebbe  la  considerazione  dell'inserimento  del
cordolo  sommitale  quale  sopraelevazione  soltanto  per  cio'   che
riguarda la tipologia di  verifica  da  applicare  ai  fini  sismici,
dall'altro, il richiamo al contenuto del decreto del Presidente della
Repubblica n. 380/2001 non consentirebbe comunque  di  derogare  alle
altre normative edilizie ma potrebbe essere applicato  solamente  nei
casi in cui sia rispettata la distanza dai confini, la visuale libera
e il distacco tra i fabbricati; 
        5. entrambi  i  titoli  edilizi  si  esporrebbero  ad  alcuni
rilievi sotto il profilo delle autorizzazioni  condominiali,  rilievi
consistenti, per quanto riguarda la SCIA n. 256/2016,  in  variazioni
non consentite su  tipologia  e  inclinazione  del  cornicione  e  in
un'opera   complessiva   di   intervento   non   qualificabile   come
manutenzione  straordinaria,  e,  per  quanto  riguarda  la  SCIA  n.
31/2017,  in  variazioni  costituenti   novazione   prospettica   che
avrebbero potuto essere eseguiti soltanto con l'autorizzazione  della
totalita' dei condomini; 
        6. l'intervento progettato costituirebbe una vera  e  propria
sopraelevazione,  come  tale   non   attuabile   tramite   una   mera
presentazione di SCIA, cosi' come avallato a seguito del  sopralluogo
dal C. di F., ma  autorizzabile  soltanto  una  volta  verificato  il
rispetto delle distanze  e  acquisite  le  necessarie  certificazioni
sulla sicurezza e sulla sismica. 
    Si e' costituita l'amministrazione convenuta, che ha  chiesto  il
rigetto del ricorso, e la Sezione, dopo  la  rinuncia  alla  proposta
domanda cautelare, ha disposto una verificazione  tecnica,  affidando
l'incarico al Servizio controllo abusi edilizi del Comune di Parma, e
sottoponendo al verificatore i seguenti quesiti: 
        1. se il progetto edilizio contestato  avesse  effettivamente
previsto una sopraelevazione della gronda e del  colmo  di  circa  16
centimetri; 
        2. se, ad ogni modo, tale progetto si sia posto in  contrasto
con quanto prescritto dall'art. 80  del  RUE  del  C.  di  F.,  nella
versione vigente all'epoca dell'intervento; 
        3. se la contestata modificazione dell'altezza interna di  16
centimetri ha comportato anche un aumento  dell'altezza  esterna,  in
ipotetico contrasto con  quanto  previsto  dall'art.  2  della  legge
regionale dell'Emilia Romagna n. 11 del 1998; 
        4. se la distanza esistente tra  il  fabbricato  oggetto  del
progetto  edilizio  e  il  fabbricato  adiacente  e'   effettivamente
inferiore a dieci metri, e quale  rilevanza  abbia  tale  circostanza
qualora accertata - rispetto alle opere edilizie concretamente  poste
in essere; 
        5. se la  giustificazione  dell'amministrazione  resistente -
secondo cui la maggiore altezza accertata di circa 12 cm rientrerebbe
nella possibilita' di realizzare un  cordolo  strutturale  di  25  cm
senza che  questo  possa  costituire  aumento  di  altezza -  sia  da
considerarsi corretta; 
    6. se risulti, in  particolare,  condivisibile  l'interpretazione
fornita  dal  C.  di  F.  sulla  disciplina  contenuta  nel   decreto
ministeriale  del  14  gennaio  2008,  nel  senso  che  tale  decreto
impedirebbe sempre di considerare l'inserimento del cordolo sommitale
quale sopraelevazione, e  non  soltanto  per  cio'  che  riguarda  la
tipologia di verifica da applicare ai fini sismici; 
    7. se risulti, piu' in generale, che  siano  state  acquisite  le
necessarie autorizzazioni e certificazioni sulla  sicurezza  e  sulla
sismica. 
    Una volta depositata la relazione conclusiva del verificatore, la
causa e' stata discussa  e  trattenuta  in  decisione  alla  pubblica
udienza del 21 novembre 2018. 
 
                               Diritto 
 
    1.1. Il Collegio osserva, preliminarmente, che le  considerazioni
tecniche   esposte   dall'organismo   pubblico    incaricato    della
verificazione - nella  persona,  quale  delegato,  dell'ing.  Luciano
Cervi  -  sono  da  ritenersi  pienamente  condivisibili  in   virtu'
dell'accurata  ricostruzione  della  fattispecie  esaminata  e  della
corretta metodologia seguita, e sono cosi' riassumibili: 
        1. le misurazioni effettuate in  sede  di  sopralluogo  hanno
consentito di rilevare che in gronda vi e' stata una  sopraelevazione
media di 15-16 cm, mentre la sopraelevazione in colmo e' stata pari a
14 centimetri; 
        2. il progetto si  pone  in  contrasto  con  le  prescrizioni
dell'art. 80 del RUE del C. di F. nella versione vigente  al  momento
della presentazione della SCIA n. 256/2016; 
        3. la modificazione dell'altezza interna ha comportato  anche
un aumento dell'altezza esterna, che, secondo definizione, sulla base
della documentazione risultante agli  atti  per  lo  stato  di  fatto
ante-intervento  e  delle   misurazioni   effettuate   in   sede   di
sopralluogo, e' quantificabile in circa cm 20; 
        4. la  distanza  esistente  tra  il  fabbricato  oggetto  del
progetto edilizio e il fabbricato adiacente sul lato est e' inferiore
a dieci metri, ma, nel caso di specie, l'intervento si  sostanzia  in
un mero recupero della  preesistenza,  che  legittimamente  gia'  non
rispettava  la  prescrizione   di   distanza   minima   dal   decreto
ministeriale n. 1444/1968; 
        5. la maggiore altezza accertata (circa 20 cm)  e'  contenuta
nello  spessore  del  cordolo  sommitale  realizzato,  per  cui  tale
intervento, sia ai fini dell'applicazione della normativa in  materia
sismica, che della classificazione dell'intervento edilizio,  non  si
configurerebbe  quale  sopraelevazione  dell'immobile  e   rimarrebbe
nell'ambito della ristrutturazione edilizia; 
        6. il decreto ministeriale  14  gennaio  2008  (al  paragrafo
8.4.1.) e il decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del  2001
(ex art. 3, comma 1, lettera d),  pur  rimanendo  ciascuno  confinato
nello specifico  ambito  di  applicazione,  risulterebbero  di  fatto
coordinati nell'escludere la qualificazione  di  sopraelevazione  per
l'intervento di inserimento del  cordolo  sommitale,  seppure  con  i
limiti indicati espressamente nelle norme stesse, di  modo  che,  nel
caso di specie, il maggior volume dovuto  all'aumento  di  sagoma  in
altezza pari a circa 30 cm non avrebbe  dovuto  essere  computato  ai
fini della conformita' urbanistica,  e  avrebbe  potuto  considerarsi
compatibile    con    la    classificazione    dell'intervento     in
ristrutturazione edilizia - che non prevede aumenti di volumetria, in
quanto  derivante  completamente  da   innovazioni   finalizzate   al
miglioramento del comportamento antisismico del fabbricato; 
        7. sono state approntate le corrette procedure e prodotte  le
necessarie attestazioni e  certificazioni  sulla  sicurezza  e  sulla
sismica. 
    1.2. in diritto, occorre innanzitutto osservare che le  due  SCIA
edilizie depositate dalla  controinteressata  sono  equiparate  dalla
legge ad atti di iniziativa privata e non  ad  atti  costitutivi,  in
quanto   confluenti    nel    silenzio    serbato    su    di    essi
dall'amministrazione, di corrispondenti  provvedimenti  autorizzatori
impliciti; non  sono  pertanto  provvedimenti  di  cui  e'  possibile
ottenere l'annullamento. 
    Gli altri due  atti  impugnati  dai  ricorrenti  sono  invece  un
verbale di sopralluogo e la comunicazione in  via  amministrativa  di
tale  verbale;  con  essi  il  Comune  convenuto  ha  verificato   la
conformita' tra il progetto edilizio presentato e i lavori  eseguiti,
cosi' come richiesto dai ricorrenti, decidendo di non intervenire  in
autotutela, posto che era gia' decorso il termine per l'esercizio dei
poteri di inibitoria di cui ai commi 3 e  6-bis  dell'art.  19  della
legge n. 241/1990. 
    In particolare, nella segnalazione di presunto abuso edilizio del
26 ottobre 2017, e cioe' a distanza di otto mesi dal  deposito  della
seconda SCIA, i ricorrenti (terzi interessati)  hanno  denunciato  le
seguenti circostanze di rilievo: 
        il rifacimento della copertura condominiale  prevedeva  anche
la realizzazione di un  lucernario  da  edificarsi  in  rialzo  della
copertura che non era stato autorizzato da tutti i condomini; 
        l'altezza interna del fabbricato, come indicata nel progetto,
non era documentalmente provata; 
        l'altezza esterna  realizzata  era  ben  superiore  a  quella
originaria del fabbricato; 
        le modifiche dei prospetti delle parti condominiali non erano
state autorizzate da tutti i condomini. 
    I ricorrenti  chiedevano  pertanto  al  Comune  di  annullare  le
segnalazioni certificate di inizio attivita'  in  quanto  «frutto  di
dichiarazioni mendaci» e di  eseguire  un  «immediato  intervento  di
verifica  delle  altezze,  in  quanto  notevolmente  maggiorate,  con
richiesta di riduzione in pristino allo stato originario». 
    A fronte delle  richieste  degli  interessati,  l'amministrazione
procedente, per mezzo del suo  Servizio  tecnico,  ha  effettuato  un
sopralluogo, le cui conclusioni sono state di sostanziale conformita'
ai  titoli  abilitativi  delle  opere  eseguite,   con   riserva   di
approfondire ogni altra tematica in  merito  alla  conformita'  dello
stato  di  fatto  dichiarato  rispetto   a   quello   originariamente
esistente. 
    Nella successiva comunicazione di  tale  verbale  di  sopralluogo
agli interessati, il Comune convenuto ne ha espressamente condiviso i
contenuti. 
    Orbene,  la  domanda  di  annullamento  delle  SCIA,  come   gia'
anticipato, e' da considerarsi inammissibile, in quanto si tratta  di
atto sia soggettivamente che oggettivamente privato;  d'altra  parte,
la non impugnabilita' diretta di tali  atti  e'  stata  espressamente
prevista dal legislatore, che,  con  l'inserimento  del  comma  6-ter
nell'art. 19 della legge n. 241/1990, ha stabilito che la SCIA e,  in
generale, le dichiarazioni di  inizio  attivita'  «non  costituiscono
provvedimenti taciti (...)». Occorre a questo punto verificare se gli
altri due atti impugnati dai ricorrenti  (verbale  di  sopralluogo  e
comunicazione  di  tale  verbale)  possono  essere  considerati  alla
stregua di  veri  e  propri  provvedimenti,  come  tali  direttamente
annullabili.   L'amministrazione   convenuta   e'   intervenuta    su
sollecitazione dei terzi a compiere le «verifiche» di cui  al  citato
art. 19,  comma  6-ter  della  legge  n.  241/1990;  tralasciando  le
contestazioni  afferenti   alle   asserite   mancate   autorizzazioni
condominiali - che sono state in  ogni  caso  allegate  alla  SCIA  e
attengono, nella loro sostanza, a profili di natura privatistica  che
non risultano sindacabili in sede odierna,  gli  interessati  avevano
denunciato, primariamente, che l'altezza esterna realizzata fosse ben
superiore a quella originaria del fabbricato. 
    In risposta a tale denuncia, i tecnici incaricati dal  C.  di  F.
hanno dichiarato la conformita' ai  titoli  abilitativi  delle  opere
eseguite e l'amministrazione comunale ha condiviso  tali  risultanze,
facendole  dunque  proprie;  si  puo'   dunque   affermare   che   la
manifestazione di volonta' contenuta nella comunicazione  inviata  ai
ricorrenti in data 6 novembre 2017  costituisce  un  vero  e  proprio
provvedimento  di  diniego  rispetto  all'intervento   inibitorio   o
comunque in autotutela chiesto dai privati. 
    Sussiste peraltro anche un  profilo  di  inerzia  nella  condotta
tenuta  dall'amministrazione,  costituita  dal  rinvio  ad  ulteriori
approfondimenti per cio' che concerne la conformita' dello  stato  di
fatto dichiarato rispetto a quello originariamente esistente. 
    Riguardo  a  tale  profilo  di  inerzia  questo  tribunale   puo'
astrattamente accertare  nella  presente  sede  la  fondatezza  della
pretesa dei ricorrenti - con riqualificazione della  proposta  azione
di annullamento, seppure entro i limiti previsti dall'art. 31,  comma
3 del codice del processo amministrativo, e in ossequio  al  disposto
di cui all'ultimo periodo del citato comma 6-ter dell'art.  19  della
legge n. 241/1990, come verra' meglio chiarito successivamente. 
    2.1. Venendo al merito, risulta corretta da  un  punto  di  vista
meramente  empirico  la   contestazione   secondo   cui   l'accertata
modificazione  dell'altezza  interna  dell'immobile   in   esame   ha
comportato anche un aumento dell'altezza esterna, aumento che,  sulla
base della documentazione risultante agli atti per lo stato di  fatto
ante-intervento  e  delle   misurazioni   effettuate   in   sede   di
sopralluogo, e' quantificabile in circa cm 20. 
    Tale maggiore altezza e' peraltro contenuta  nello  spessore  del
cordolo sommitale realizzato, di modo che, qualora si voglia  aderire
alla tesi secondo cui l'intervento di inserimento del citato  cordolo
sommitale esclude la  qualificazione  di  sopraelevazione,  le  opere
eseguite dovrebbero considerarsi compatibili con  la  classificazione
dell'intervento quale  ristrutturazione  edilizia  (che  non  prevede
aumenti di volumetria). 
    La  difesa  dei  ricorrenti  ha  contestato  le  conclusioni  del
verificatore rimarcando l'aumento in altezza del cornicione di 65  cm
e l'entita' della variazione della sagoma in  aumento  che,  anche  a
dire dello stesso verificatore, e'  quanto  meno  di  30  cm,  quindi
superiore rispetto  all'aumento  di  altezza  assorbito  dal  cordolo
sommitale. 
    Nella relazione dell'ing. Cervi, peraltro,  e'  stato  spiegato -
con motivazione congrua e  ritenuta  dal  Collegio  convincente,  sia
sotto un profilo  razionale  che  sotto  un  profilo  tecnico  -  che
l'altezza della fronte o della parete esterna dell'edificio  de  quo,
dovendosi considerare delimitata secondo quanto descritto  dalle  DTU
di cui all'allegato II alla d.g.r. n. 922 del 2017,  era  variata  in
aumento dai precedenti 12 metri e 35 centimetri agli attuali 12 metri
e 64 centimetri; i circa 30  cm  di  differenza  sono  a  loro  volta
imputabili per cm 20 all'aumento di altezza del fronte del fabbricato
e per cm 10 al maggior  spessore  delle  travi  della  copertura,  le
quali, peraltro, secondo la definizione delle  norme  tecniche  sopra
richiamate, non rientrano nel computo del citato aumento di altezza. 
    Conseguentemente,   la   tesi   dei   ricorrenti,   secondo   cui
l'esecuzione  delle  opere  avrebbe  determinato  un'altezza  esterna
dell'edificio superiore a quella dovuta all'inserimento  del  cordolo
sommitale, deve ritenersi infondata. 
    Sotto un profilo giuridico, invece, e' fondata la contraria  tesi
esposta dal C.  di  F.,  e  ripresa  dal  verificatore,  secondo  cui
l'aumento di volume causato dall'inserimento di un cordolo sommitale,
in virtu' della sua funzione migliorativa  della  tenuta  antisismica
dell'edificio,  costituisce,  ai   sensi   del   combinato   disposto
costituito dal decreto ministeriale del 14 gennaio 2008  e  dall'art.
3, comma 1, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica n.
380  del   2001,   innovazione   necessaria   che   non   costituisce
sopraelevazione in senso tecnico e che non inficia la definizione  di
ristrutturazione  edilizia  attribuibile,  in  conformita'   con   il
progetto presentato, alle opere eseguite. 
    Risulta pertanto definitivamente accertato che l'altezza  esterna
del fronte dell'edificio interessato dai  lavori  non  ha  comportato
sopraelevazione dell'immobile ed e' dunque restata entro i limiti per
i quali e' ammesso intervento edilizio tramite semplice SCIA. 
    Ne consegue anche che il fatto che la distanza esistente  tra  il
fabbricato  ristrutturato  e  quello  adiacente  sia   effettivamente
inferiore a 10 metri non rileva ai fini della presunta violazione del
decreto ministerile n. 1444 del  1968,  sostanziandosi,  come  visto,
l'intervento realizzato in un mero recupero della preesistenza. 
    Il divieto di realizzare tra  gli  edifici  che  si  fronteggiano
distanze inferiori a dieci metri riguarda infatti soltanto  le  nuove
costruzioni, cui  non  e'  assimilabile,  come  visto,  la  struttura
risultante dall'intervento edilizio in esame. 
    2.2. Risulta invece accertata, anche secondo il verificatore,  la
prospettata violazione dell'art. 80 del RUE vigente  all'epoca  della
presentazione della SCIA, in quanto il recupero a fini abitativi  del
sottotetto   esistente   risulta   avvenuto    tramite    illegittima
modificazione in aumento sia dell'altezza di gronda (tra i 10 e i  13
cm) che dell'altezza di colmo (circa 10 cm). 
    2.3. E' infine da  considerarsi  non  sorretta  da  interesse  la
censura tecnica afferente alla previsione nel progetto di un  abbaino
emergente dal profilo di copertura, in contrasto con l'art. 80, comma
6 del citato RUE, in quanto in fase esecutiva e' stata realizzata una
soluzione tecnica diversa e conforme alle prescrizioni della norma di
riferimento, che per le sue caratteristiche di realizzazione preclude
qualsivoglia  intervento  successivo  e   conseguente   al   progetto
presentato. 
    2.4.  Riepilogando,  dunque,  il  Collegio  ritiene   di   dovere
respingere  tutti  i  motivi  di  ricorso,  in  quanto  infondati   o
inammissibili, nei sensi sopra descritti, fatta eccezione per  quello
afferente alla violazione  della  norma  regolamentare  che  vietava,
all'epoca della presentazione  della  SCIA,  la  modificazione  delle
altezze di colmo e di gronda nel caso di interventi  edilizi  per  il
recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti. 
    Risulta dunque accertata  l'illegittimita'  in  parte  qua  della
posizione negativa o comunque di inerzia tenuta dal C.  di  F.  sulla
richiesta di verifica degli interessati, cui  consegue  l'obbligo  da
parte dell'amministrazione convenuta di provvedere in merito. 
    3.1. Con riferimento peraltro al contenuto concreto  dell'obbligo
posto a carico del C.  di  F.  a  seguito  dell'effetto  conformativo
derivante della presente  sentenza,  il  Collegio  deve  specificarne
natura e limiti. 
    Si  tratta  cioe'  di  stabilire  se  l'accertamento   giudiziale
compiuto nel caso di specie costringa l'amministrazione resistente  a
rimuovere  sic  et  simpliciter   gli   eventuali   effetti   dannosi
dell'attivita' edilizia illegittimamente  intrapresa,  ai  sensi  del
comma 3 dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, oppure  le  imponga
l'obbligo di adottare i provvedimenti previsti  dal  citato  comma  3
soltanto in presenza delle condizioni  previste  dall'art.  21-nonies
della legge sul procedimento amministrativo. 
    Il   Collegio   ritiene   che   il   dato    normativo    deponga
inequivocabilmente nel secondo senso. 
    Invero, non e' possibile  per  il  Collegio  accertare  anche  la
fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio dai ricorrenti, nel
senso di conformare la successiva attivita'  dell'amministrazione  ad
un obbligo ineludibile di rimozione degli eventuali  effetti  dannosi
derivanti dall'attivita' edilizia  intrapresa,  poiche'  risulta,  ai
sensi dell'art. 31, comma 3 del codice del  processo  amministrativo,
che residuano ulteriori margini di discrezionalita' esercitabili  dal
Comune convenuto. 
    Decorso, come  avvenuto  nel  caso  di  specie,  il  termine  per
l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo  periodo,  come
individuato dal comma 6-bis dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990,
l'amministrazione competente, in effetti, puo' (e  deve)  adottare  i
provvedimenti volti alla rimozione degli effetti dannosi soltanto  in
presenza delle condizioni previste dall'art.  21-nonies  della  legge
appena citata per procedere all'annullamento di ufficio. 
    Al riguardo, il  Collegio  ritiene  corretto  tale  orientamento,
espresso in plurimi arresti dal Consiglio  di  Stato  (cfr.,  tra  le
altre, sentenza n.  4610  del  2016),  rispetto  alla  diversa  tesi,
secondo cui il potere sollecitato con l'azione del terzo  avverso  il
silenzio sia sempre, in presenza di  determinate  condizioni,  quello
inibitorio e non quello di autotutela (cfr., tra le altre,  Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, sentenza n.
2274 del 2016). 
    Invero, tale orientamento, pur mosso dal lodevole intento di  non
diminuire  la  tutela  dei  terzi  lesi  dalla   attivita'   edilizia
intrapresa, non ha un  fondamento  normativo  testuale,  nell'attuale
formulazione dell'art.  19  della legge  n.  241  del  1990,  e  deve
ricorrere ad una serie di «forzature» interpretative per delineare il
complessivo regime impugnatorio di cui dispone il terzo che solleciti
il potere  inibitorio  dell'amministrazione,  una  volta  decorso  il
termine  entro  il  quale  l'amministrazione  stessa  avrebbe  potuto
intervenire  senza  essere  costretta  ad  operare   con   i   limiti
dell'autotutela. 
    Sul punto, il Collegio condivide  le  perplessita'  espresse  dal
Tribunale amministrativo regionale della Toscana,  nell'ordinanza  n.
667 del 2017, con cui e' stato rimesso alla Corte  costituzionale  il
vaglio di legittimita' dell'art.  19,  comma  6-ter  della  legge  n.
241/1990, per assenza di previsione espressa di un termine  entro  il
quale   il   terzo   deve   sollecitare    il    potere    inibitorio
dell'amministrazione. 
    Il problema, tuttavia,  non  riguarda  soltanto  il  termine  per
sollecitare il potere  dell'amministrazione,  come  condivisibilmente
rilevato  dall'ordinanza  appena  citata,  ma  anche   il   tipo   di
procedimento attivato dal terzo (ovvero le cd. verifiche). 
    Quanto al termine,  non  vi  e'  nessuna  soluzione,  tra  quelle
proposte dalla giurisprudenza che si  e'  occupata  della  questione,
fondata su di un adeguato riferimento normativa. 
    In particolare, sono da  ritenersi  non  idonee  a  risolvere  la
problematica de qua: 
        la tesi secondo cui il termine concesso al  controinteressato
per presentare l'istanza sollecitatoria  sarebbe  lo  stesso  che  la
norma  assegna  all'amministrazione  per   l'esercizio   del   potere
inibitorio ufficioso, in  quanto  il  dies  a  quo  di  tale  termine
coincide  con  il   «ricevimento   della   segnalazione»   da   parte
dell'amministrazione, fase cui e' del tutto estraneo il terzo; 
        la tesi che sostiene che la facolta' del controinteressato di
proporre l'istanza inibitoria ex art. 19 comma 6-ter sarebbe soggetta
al termine decadenziale di sessanta giorni (prendendo in prestito  il
termine processuale di impugnazione),  in  quanto  vi  e'  diversita'
ontologica tra la disciplina invocata (termine per le proposizione di
atto «processuale») e l'ambito di  attivita'  in  esame  (ricerca  di
termine per attivazione del privato in sede «amministrativa»); 
        la tesi che richiama il termine annuale di cui  all'art.  31,
comma 2, del codice del processo amministrativo, in quanto  anche  in
questo caso si confonde un termine processuale (quello  dell'art.  31
del codice del processo amministrativo) con un termine amministrativo
(quello per la sollecitazione delle verifiche da parte della pubblica
amministrazione). 
    Quanto  alla  sollecitazione  del  potere  di  verifica,  risulta
erronea, ad avviso del Collegio, la tesi secondo cui  si  tratterebbe
dell'impulso all'avvio di un procedimento analogo a quello inibitorio
di cui all'art. 19, comma 3 della legge n. 241/1990, per  due  ordini
di motivi. 
    Invero,   da    un    lato,    l'amministrazione    beneficerebbe
inammissibilmente di una sorta di rimessione nei termini rispetto  al
procedimento attivato sulla base della segnalazione  certificata,  il
cui limite  temporale  entro  il  quale  intervenire  con  il  potere
repressivo (trenta giorni) e'  stato  nel  frattempo  definitivamente
superato. 
    Dall'altro,  viene  introdotto  in  via  pretoria,  seppure   per
apprezzabili motivi, un correttivo normativo per permettere al  terzo
controinteressato   di   sostituirsi   all'amministrazione,   tramite
l'utilizzo in via mediata di un potere di azione  non  consentito  al
privato  dall'ordinamento,  in   luogo   dell'ordinario   regime   di
impugnazione di un provvedimento lesivo. 
    La lettura del dato normativo testuale - e della ratio  legis  ad
esso sottesa - induce invece ad arrivare ad altra  ricostruzione  del
nuovo sistema di tutela del terzo attualmente vigente in  materia  di
SCIA edilizia. 
    Innanzitutto,  e'  pacifico  ormai,  a  seguito   dell'intervento
esplicito  del  legislatore -  che  ha  aderito  alla  tesi  gia'  in
precedenza sposata sul punto dall'Adunanza plenaria del Consiglio  di
Stato, che  la  segnalazione  certificata  non  e'  un  provvedimento
amministrativo a formazione tacita e non da' luogo in ogni caso ad un
titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare
l'intenzione di intraprendere un'attivita' direttamente ammessa dalla
legge. 
    Si tratta sostanzialmente di attivita' libera, sulla quale  pero'
l'amministrazione, in virtu'  dell'interesse  tutelato,  conserva  un
potere  di  controllo  piu'  penetrante  di   quello   ordinariamente
esercitato sulle liberta' garantite ai privati. 
    Risulta connaturata a tale  nuova  prospettazione  giuridica  una
correlativa rimodulazione della tutela dei terzi dinanzi  al  giudice
amministrativo; l'assenza di un provvedimento amministrativo, con  il
residuare di un mero potere di controllo ex post da  parte  dell'ente
pubblico, condiziona espressamente la possibilita' per i  privati  di
paralizzare l'attivita' di altri privati radicando  una  controversia
concernente  l'esercizio  o   il   mancato   esercizio   del   potere
amministrativo,  in  aggiunta  o  in  luogo  degli  ordinari   rimedi
esperibili dinanzi al giudice ordinario a tutela della  proprieta'  e
del possesso. 
    Secondo la ratio legis, dunque, le iniziative spettanti ai  terzi
interessati  si  riflettono  interamente  nei   poteri   esercitabili
dall'amministrazione: se entro trenta giorni dal deposito della  SCIA
edilizia l'amministrazione non si e' attivata, i terzi hanno  azione,
entro  i  termini  di  prescrizione  ordinaria,  per   l'accertamento
dell'obbligo  dell'amministrazione  di   verificare   e   manifestare
(tramite  provvedimento  espresso)  la  sussistenza  o   meno   delle
condizioni previste dall'art. 21-nonies della legge n. 241 del  1990,
una volta che il giudice amministrativo  abbia  accertato  l'astratta
fondatezza delle censure tecniche avanzate dagli interessati. 
    Ne derivera', a seconda  delle  conclusioni  raggiunte  ad  esito
della nuova verifica operata dall'amministrazione, l'adozione  di  un
provvedimento che neghi motivatamente la possibilita'  di  intervento
in autotutela, oppure, al contrario, l'adozione di  un  provvedimento
che ordini la rimozione degli effetti dannosi dell'attivita' edilizia
intrapresa o diversa sanzione prevista dalle norme di settore. 
    Sotto altro profilo, il Collegio osserva che la  disposizione  di
cui al comma 6-ter dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 introduce
per  legge  un'ipotesi  di  inerzia   sanzionabile   della   pubblica
amministrazione, ai sensi dell'art. 31, commi 1, 2 e 3 del codice del
processo amministrativo; si rientra cioe' in uno  degli  «altri  casi
previsti dalla legge», in cui «chi  vi  ha  interesse  puo'  chiedere
l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere» (art.
31, comma 1, sopra citato). 
    E' stato cioe' previsto un caso di obbligatorieta' della risposta
pubblica rispetto alla sollecitazione dei  poteri  di  autotutela  da
parte del privato. 
    L'obbligo di provvedere, peraltro, una volta accertato, non  puo'
che portare ad un  esercizio  del  potere  conforme  alle  norme  che
regolano tale esercizio. 
    Se, pertanto, come nel caso di specie,  sia  decorso,  alla  data
della sollecitazione del potere di verifica da parte  del  terzo,  il
termine entro il quale l'amministrazione avrebbe  potuto  vietare  la
prosecuzione  dell'attivita'  edilizia  intrapresa  e   ordinare   la
rimozione degli eventuali effetti  dannosi  di  essa,  l'accertamento
dell'obbligo di provvedere non puo' che costituire il presupposto per
l'esercizio del potere di annullamento di  ufficio  di  cui  all'art.
21-nonies della legge n. 241/1990. 
    Correlativamente,    il    giudice    non     puo'     conformare
l'amministrazione  ad  una  specifica  condotta,   ne'   tanto   meno
condannarla all'emissione di un determinato provvedimento,  dovendosi
limitare ad accertare la sussistenza dell'inerzia e la necessita'  di
un riesame, alla luce di un vaglio  necessario  e  preliminare  sulla
fondatezza   delle   doglianze   esposte   dall'interessato,   e   in
applicazione, per  espresso  rinvio  legislativo,  e  seppure  con  i
temperamenti del caso, dei primi tre commi dell'art.  31  del  codice
del processo amministrativo. 
    In altri termini, l'azione proposta dai terzi non  cambia  natura
(azione di accertamento dell'obbligo di provvedere), qualunque sia il
termine entro il quale viene proposta,  e  salvi  gli  effetti  della
prescrizione,  ma  a  modificarsi  sono  i   poteri   successivamente
esercitabili dall'amministrazione,  e,  prima  ancora,  i  limiti  di
esercizio del potere di accertamento giurisdizionale. 
    D'altra parte, significativa  conferma  della  correttezza  della
ricostruzione appena operata, e' data proprio dalla  circostanza  che
il legislatore abbia espressamente riconosciuto ai terzi  interessati
«esclusivamente»   la   possibilita'   di   esperire   l'azione    di
accertamento,  con  preclusione,  dunque,   non   solo   dell'accesso
all'azione di annullamento, ma anche della possibilita'  di  proporre
l'azione di condanna al rilascio di un  provvedimento,  ex  art.  34,
comma 1, lettera c) del codice del processo amministrativo. 
    Invero, se il procedimento attivato dal terzo leso  da  una  SCIA
illegittima fosse sempre e solo quello inibitorio  e  non  quello  di
autotutela, sarebbe del tutto  incomprensibile  l'eliminazione  dallo
strumentario processuale a  disposizione  del  ricorrente  dell'unica
azione che, una volta che non residuino margini  di  discrezionalita'
in favore dell'amministrazione procedente (come normalmente accade  a
seguito    di    riconoscimento    giudiziale    della    doverosita'
dell'intervento repressivo), gli permetterebbe una  tutela  piena  ed
immediata. 
    Sotto altro, concorrente profilo, non e' seriamente  ipotizzabile
uno scenario di tutela tanto asimmetrico da configurare  da  un  lato
l'eliminazione di ogni discrezionalita' nella successiva esplicazione
dei  propri  poteri  da  parte  dell'amministrazione  (intendendo  il
richiamo  al  comma  3  dell'art.  31   del   codice   del   processo
amministrativo come limitato al  potere  giudiziale  di  accertamento
della fondatezza della pretesa,  sempre  e  comunque),  e  dall'altro
l'impossibilita' per il ricorrente di ottenere anche una sentenza  di
condanna al rilascio del provvedimento richiesto. 
    E' evidente, invece, che il richiamo  esplicito  al  terzo  comma
dell'art. 31 del codice  del  processo  amministrativo  costringe  il
giudice ad interrogarsi, prima di procedere all'accertamento  o  meno
della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, su quale  sia  la
natura (discrezionale o vincolata)  del  potere  ancora  esercitabile
dall'amministrazione. 
    In definitiva, il nuovo sistema di tutela del terzo leso  da  una
SCIA edilizia illegittima  e'  stato  consapevolmente  costruito  nei
termini di una ridotta forza processuale del controinteressato, e non
puo'  essere  interpretato  in  modo  diverso,  e  costituzionalmente
orientato, se non tramite l'inammissibile costruzione pretoria di  un
regime impugnatorio sprovvisto di base normativa. 
    3.2. Questa soluzione, peraltro: 
        da  un  lato  ha  il  pregio  di  depotenziare  i  dubbi   di
incostituzionalita' sollevati dal Tribunale regionale  amministrativo
della Toscana con riferimento alla mancata previsione di  un  termine
decadenziale per l'esercizio del potere sollecitatorio da  parte  del
terzo - contemporaneamente evitando all'interprete la  necessita'  di
«forzare» altri dati normativi, previsti per differenti  fattispecie,
al  fine  di  individuare  il  suddetto   termine,   in   quanto   la
sollecitazione «privata» delle verifiche non effettuate puo' avvenire
in ogni tempo dal deposito della  SCIA,  ma  l'intervento  repressivo
dell'amministrazione, ad eccezione degli abusi  edilizi  piu'  gravi,
sanzionati in via autonoma dall'art. 31 del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  380/2001  (secondo  quanto   condivisibilmente
affermato dall'Adunanza plenaria n. 9 dei Consiglio di Stato), e  non
legittimati dalla SCIA - la cui portata  effettuale  deve  intendersi
limitata ai soli interventi segnalati (cfr. al riguardo,  da  ultimo,
Tribunale amministrativo regionale della Campania,  sede  di  Napoli,
sentenza  n.  914  del  2018),  deve  sottostare  a  rigorosi  limiti
temporali e motivazionali, ex art. 21-nonies della legge n.  241  del
1990; non si corre il rischio, cosi', di lasciare che il privato  che
avvia  un'attivita'   edilizia   sottoposta   a   mera   segnalazione
certificata resti soggetto per un  tempo  indeterminato  e  a  priori
indefinibile ad un intervento repressivo dell'amministrazione; 
        dall'altro, espone la nuova disciplina prevista dall'art.  19
della legge n. 241 del 1990 ad un dubbio di costituzionalita',  nella
misura in cui la  stessa  risulta  non  idonea  a  tutelare  in  modo
efficace la sfera giuridica del terzo. 
    Sotto questo profilo, infatti, il Collegio osserva che  il  terzo
ha innanzitutto l'onere, prima di agire in  giudizio,  di  presentare
apposita istanza sollecitatoria alla pubblica amministrazione,  cosi'
subendo una procrastinazione del  momento  dell'accesso  alla  tutela
giurisdizionale, e, quindi, un'incisiva limitazione dell'effettivita'
della tutela giurisdizionale in  spregio  ai  principi  di  cui  agli
articoli 24, 103 e 113 della Costituzione. 
    Inoltre, e  soprattutto,  l'istanza  e'  diretta  ad  attivare  -
qualora, come normalmente accade, siano gia'  decorsi  trenta  giorni
dall'invio della segnalazione, di cui  ovviamente  il  terzo  non  ha
diretta conoscenza - non il potere  inibitorio  di  natura  vincolata
(che si estingue decorso il termine perentorio di legge), ma il  c.d.
potere di autotutela cui fa riferimento l'art.  19,  comma  4,  della
legge n. 241/1990. Tale potere, tuttavia, e' ampiamente discrezionale
in   quanto   postula   la   ponderazione   comparativa,   da   parte
dell'amministrazione, degli  interessi  in  conflitto,  con  precipuo
riferimento al riscontro di un interesse pubblico concreto e  attuale
che non coincide con il mero ripristino della legalita' violata. 
    Con il corollario, come detto, che nel  giudizio  conseguente  al
silenzio o al rifiuto di intervento dell'amministrazione, il  giudice
amministrativo non  puo'  che  limitarsi  ad  una  mera  declaratoria
dell'obbligo di provvedere, senza poter predeterminare  il  contenuto
del  provvedimento  da  adottare.  Evidente   risulta,   allora,   la
compressione dell'interesse del terzo ad ottenere una  pronuncia  che
impedisca lo svolgimento  di  un'attivita'  illegittima  mediante  un
precetto  giudiziario  puntuale  e   vincolante   che   non   subisca
l'intermediazione   aleatoria    dell'esercizio    di    un    potere
discrezionale. 
    In definitiva, se la lesione dell'interesse pretensivo del  terzo
e' ascrivibile alla mancata adozione di un  provvedimento  inibitorio
doveroso, e' incongruo che la tutela debba riguardare l'esercizio del
diverso e piu' condizionato potere discrezionale di autotutela. 
    3.3. Ne consegue che non e' manifestamente infondata la questione
di illegittimita' costituzionale  dell'art.  19,  comma  6-ter  della
legge n. 241 del 1990, per violazione degli articoli 3, 24, 103 e 113
della Costituzione, nella parte in cui consente ai terzi lesi da  una
SCIA edilizia illegittima di esperire  «esclusivamente»  l'azione  di
cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3  del  decreto  legislativo  2  luglio
2010, n. 104, e, cio', soltanto  dopo  aver  sollecitato  l'esercizio
delle verifiche spettanti all'amministrazione. 
    Per una tutela piena ed effettiva della loro posizione giuridica,
infatti, i terzi interessati  dovrebbero  avere  la  possibilita'  di
azionare gli ordinari rimedi giurisdizionali  azionabili  avverso  le
iniziative edilizie illecite altrui, qualunque sia  la  modalita'  di
acquisizione del titolo legittimante, senza essere costretti a dovere
richiedere,  prima   di   agire,   l'intermediazione   dell'autorita'
pubblica, e senza essere soggetti, dopo avere agito in giudizio - per
il mero decorso del tempo concesso all'amministrazione  per  attivare
il potere inibitorio - ai  forti  limiti  di  tutela  giurisdizionale
derivanti dall'intermediazione aleatoria  dell'esercizio  del  potere
discrezionale di autotutela. 
    Al contrario, come visto, e'  evidente  che  il  legislatore  del
2011,  introducendo  il  comma  6-ter  in  coda   all'art.   19,   ha
consapevolmente precluso al terzo interessato l'unica possibilita' di
intervenire, tramite declaratoria giudiziale di illegittimita', sulla
conclusione negativa del procedimento di  controllo  dei  presupposti
avviato   dall'amministrazione   a   seguito    della    segnalazione
certificata. 
    Tale possibilita' di tutela  era  stata  enucleata  dall'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011, proprio  al  fine  di
non esporre il sistema ai  profili  di  incostituzionalita'  in  sede
odierna  dedotti,  mediante  l'assimilazione  ad   un   provvedimento
negativo  per  silentium  della   condotta   di   inerzia   mantenuta
dall'amministrazione allo spirare del termine  previsto  dalla  legge
per l'esercizio del potere inibitorio. 
    Ma la modifica legislativa, come visto, ha da un lato impedito al
terzo la possibilita' di esperire un'azione di natura impugnatoria  o
di condanna (gli interessati possono agire soltanto ex art. 31, comma
1, 2  e  3  del  codice  del  processo  amministrativo),  dall'altro,
mediante il richiamo espresso di tutti e tre tali commi, ha  limitato
la possibilita' del giudice di accertare la fondatezza della  pretesa
ai soli casi di attivita' vincolata. 
    Tuttavia, quando il termine per l'esercizio del potere inibitorio
e' nel frattempo decorso -  come  avvenuto  nel  caso  oggetto  della
presente    controversia,    l'obbligo    accertabile     in     capo
all'amministrazione e' soltanto quello previsto dal comma 4 dell'art.
19  della  legge  sul  procedimento   amministrativo,   secondo   cui
«l'amministrazione  competente  adotta   comunque   i   provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle  condizioni  previste
dall'articolo 21-nonies». 
    Conseguentemente, il giudice adito  non  puo'  predeterminare  il
contenuto  del  successivo  provvedimento  dell'amministrazione,  con
indubbia e inevitabile lesione del diritto del terzo ad una piena  ed
effettiva tutela giurisdizionale. 
    In altri termini, il legislatore ha congegnato un sistema tale da
comprimere  in  giudizio  l'esplicazione   di   tutte   le   facolta'
giurisdizionali normalmente connesse  alla  posizione  soggettiva  di
interesse legittimo pretensivo del soggetto leso da un  comportamento
illegittimo dell'amministrazione, escludendo la possibilita', tramite
il rinvio ad un successivo esercizio del  potere  sempre  e  comunque
discrezionale, che la violazione di tale interesse legittimo  ottenga
un'efficace e satisfattiva riparazione gia' dinanzi al giudice adito. 
    3.4. Quanto alla rilevanza sull'esito del presente giudizio, come
anticipato,  la  decisione  sulla  questione   di   costituzionalita'
sollevata  risulta  indispensabile  per  consentire  al  Collegio  di
accertare anche la fondatezza della pretesa fatta valere in  giudizio
dai ricorrenti, nel  senso  di  conformare  la  successiva  attivita'
dell'amministrazione ad un obbligo  ineludibile  di  rimozione  degli
eventuali   effetti   dannosi   derivanti   dall'attivita'   edilizia
intrapresa. 
    Invero, se la disciplina dell'art. 19, comma 6-ter della legge n.
241 del 1990, cosi' come ricostruita nella presente sentenza,  e'  da
ritenersi  costituzionalmente  legittima,  il   Collegio   non   puo'
pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in  giudizio,  ne'
tanto meno condannare l'amministrazione al rilascio del provvedimento
richiesto,  residuando   ulteriori   margini   di   esercizio   della
discrezionalita' in favore  del  Comune  convenuto,  derivanti  dalle
valutazioni da effettuare in sede di autotutela. 
    Se invece la disciplina dell'art. 19, comma 6-ter della legge  n.
241 del 1990, cosi' come ricostruita nella presente sentenza,  e'  da
ritenersi costituzionalmente illegittima - nel senso sopra  indicato,
il Collegio puo' pronunciare sulla fondatezza della  pretesa  dedotta
in giudizio,  rientrandosi  in  un  caso  di  attivita'  vincolata  o
comunque  non  residuando  ulteriori  margini  di   esercizio   della
discrezionalita'  e/o  la  necessita'   di   adempimenti   istruttori
successivi alla pronuncia. 
    4.1. Conclusivamente, il Collegio ritiene rilevante ai  fini  del
decidere,   e   non   manifestamente    infondata,    la    questione
d'illegittimita' costituzionale sollevata d'ufficio  con  riferimento
al comma 6-ter dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 (ai sensi del
quale «La segnalazione certificata di inizio attivita', la denuncia e
la dichiarazione di inizio attivita' non costituiscono  provvedimenti
taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono  sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in  caso
di inerzia, esperire esclusivamente  l'azione  di  cui  all'art.  31,
commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n.  104»),  per
violazione degli articoli 3, 24, 103 e 113 della Costituzione,  nella
misura  in  cui  impedisce  ai  terzi  lesi  da  una  SCIA   edilizia
illegittima di ottenere dal giudice amministrativo una  pronuncia  di
accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio,  con
conseguente condanna o comunque effetto conformativo all'adozione dei
corrispondenti provvedimenti, anche nel caso in cui  sia  decorso  il
termine  concesso  all'amministrazione   per   azionare   il   potere
inibitorio di cui al comma 3 dell'art. 19  della  legge  n.  241  del
1990. 
    4.2. In punto di rilevanza della questione  di  costituzionalita'
sollevata, ferme restando le considerazioni svolte al paragrafo 3.4.,
l'applicazione della norma ritenuta  incostituzionale  costringerebbe
il  Collegio  a  limitarsi  ad  una  mera  declaratoria  dell'obbligo
dell'amministrazione di agire in autotutela, senza  potere  accertare
la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio e  predeterminare  il
contenuto  del  provvedimento  da  adottare,  dal  momento   che   e'
ampiamente  decorso  il  termine  entro  il  quale  l'amministrazione
avrebbe potuto attivare il potere inibitorio. 
    4.3. Nel merito della questione di costituzionalita' sottoposta a
codesta Corte, ferme restando le considerazioni svolte  ai  paragrafi
3.2. e 3.3., il  Collegio  rimettente  ritiene  che  il  comma  6-ter
dell'art. 19 della legge sul procedimento di amministrativo violi gli
articoli 3, 24, 103  e  113  della  Costituzione,  sotto  il  profilo
dell'irragionevole    limitazione    del    diritto    alla    tutela
giurisdizionale,   in   quanto   i   ricorrenti   in   un    giudizio
amministrativo,  portatori  di  un  interesse  legittimo  pretensivo,
paiono  subire  una  discriminatoria  compressione   delle   facolta'
giurisdizionali ordinariamente offerte loro dal codice  del  processo
amministrativo. 
    Invero, nel caso  di  specie,  l'unica  azione  riconosciuta  dal
legislatore  ai  terzi  lesi  da  una  SCIA  illegittima  (azione  di
accertamento) non ha una portata piena ed effettiva ma  e'  a  priori
condizionata, secondo le regole processuali di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3  del  decreto  legislativo  n.  104  del  2010,  dal  potere
discrezionale che residua in capo al Comune resistente. 
    4.5. Sulla base delle  su  esposte  considerazioni,  il  Collegio
ritiene dunque necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione
degli atti alla Corte  costituzionale  affinche'  si  pronunci  sulla
questione. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese resta riservata alla decisione definitiva.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  l'Emilia  Romagna,
Sezione di Parma, non definitivamente pronunciando sul ricorso,  come
in epigrafe proposto, riqualificata la domanda di annullamento  delle
SCIA in azione di accertamento ex art. 31  del  codice  del  processo
amministrativo, lo respinge parzialmente, nei sensi e nei  limiti  di
cui in motivazione. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 6-ter della legge  n.
241 del 1990, in relazione agli articoli  3,  24,  103  e  113  della
Costituzione. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che, a cura della Segreteria della  sezione,  la  presente
sentenza sia notificata alle parti  in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Ritenuto  che  sussistano  i  presupposti  normativi  vigenti  in
materia di privacy, a tutela dei diritti o della dignita' della parte
interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle
generalita' nonche' di qualsiasi altro dato  idoneo  ad  identificare
ricorrenti e controinteressata. 
 
    Cosi' deciso in Parma nelle camere di  consiglio  dei  giorni  21
novembre 2018 e 16 gennaio 2019, con l'intervento dei magistrati: 
 
        Sergio Conti, Presidente; 
        Marco Poppi, consigliere; 
        Roberto Lombardi, primo referendario, estensore. 
 
                        Il Presidente: Conti 
 
 
                                               L'estensore: Lombardi